Trattato della Santa Comunione
INDICE
PARTE PRIMA
IL DISEGNO CHE GESÙ CRISTO SI È PROPOSTO ISTITUENDO
IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di unirsi a noi per animarci all’amore.
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di renderci simili a Lui
per animarci ad amarlo più perfettamente
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia portare a perfezione la carità
per mezzo della dolcezza che ci fa gustare.
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di farci amare
tutti coloro per i quali noi dobbiamo nutrire amore
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di conservaci la vita che ci ha donato
Rinnovare le forze della nostra anima
Farci crescere nella vita spirituale
PARTE SECONDA
MEZZI PER ASSECONDARE IL DISEGNO CHE GESÙ CRISTO
SI È PROPOSTO ISTITUENDO IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
La vita soprannaturale dell’anima
L’impegno nel condurre una vita cristiana
PARTE TERZA
OSTACOLI AL DISEGNO CHE GESÙ CRISTO SI È PROPOSTO
ISTITUENDO IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
Intorno alla Comunione Spirituale
PARTE PRIMA
IL DISEGNO CHE GESÙ CRISTO SI È PROPOSTO ISTITUENDO IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
INTRODUZIONE
1. È importante per approfittare della s. Comunione, penetrare con gli occhi della fede, l’intenzione che ha mosso Gesù Cristo a istituire l’augusto sacramento dell’Eucaristia. Oltre al fatto che questa conoscenza ci fornirà un’alta idea, e ci ispirerà un profondo rispetto e amore per questo adorabile mistero, essa servirà anche a istruirci, del fine che dobbiamo proporre a noi stessi e della preparazione che occorre fare per raccoglierne i frutti. Perché le intenzioni di Gesù Cristo devono diventare le nostre e le disposizioni necessarie per comunicarsi degnamente non sono che dei mezzi propri ad assecondare il Suo disegno.
2. Parlando in generale, possiamo dire che questo disegno è grande. Se non fosse così, perché il Figlio di Dio avrebbe, per eseguirlo, operato tanti miracoli e cambiato le leggi della natura distruggendo la sostanza del pane e del vino, conservando i loro accidenti senza nessun sostegno, e racchiudendo il suo corpo, la sua anima, la sua divinità in un così piccolo spazio, nascondendo sotto i veli così vili e oscuri, lo splendore della sua gloria? Se Egli avesse voluto, attraverso questo Sacramento, dare solamente la grazia santificante, come ha fatto con gli altri, era necessario che Lui si trovasse presente in persona in questo Sacramento? Non poteva Egli donare questa grazia con un pezzetto di pane nella Eucaristia così come la dà con un po’ d’acqua nel Battesimo?
3. Ma qual è il grande disegno che rivela così fortemente questo Sacramento al di sopra degli altri e che ne fa il suo carattere particolare? Nessuno può istruirci meglio di chi ne è l’autore. Ecco come Egli stesso si spiega: «Questo è – dice il Salvatore – il pane che discende dal cielo; … se qualcuno mangia di questo pane vivrà in eterno. Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Colui che mangia la mia carne e che beve il mio sangue, ha la vita eterna. In verità, in verità io vi dico, se voi non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,50-58). Osservate, con s. Giovanni Crisostomo, che il Salvatore, tutte le volte che parla dell’Eucaristia, ci promette sempre di darci la vita. Perché questo, se non perché noi potessimo capire che è il suo effetto proprio, e per condurci nello stesso tempo ad avvicinarci al Padre? Perché non c’è nulla di più dolce che non morire, e la passione più violenta e la più universale tra gli uomini, è quella di conservarsi in vita.
4. Così Gesù Cristo, donandoci il suo corpo da mangiare il suo sangue da bere, ha l’intenzione di comunicarci la vita. Ma quale genere di vita? Non si può dubitare – dice s. Anselmo – che prendendo questo nutrimento celeste, noi riceviamo la vita dell’anima piuttosto che la vita del corpo. Ora, Dio è carità, cioè la vita dell’anima razionale. E per conseguenza la vita che il Figlio di Dio intende comunicarci, è una vita divina e tutta d’amore» (Tract. De Sacr. Alt.).
Ma, possiamo domandarci inoltre, se precisamente nella capacità di amare o negli atti dell’amore divino che consiste questa vita. Io rispondo che è meno nella capacità che nell’esercizio della carità.
Possedere questo santo abito, è avere il principio della vita: ma vivere è agire, è amare, è comportarsi ordinariamente motivati da questa eccellente virtù. Benché un fanciullo abbia un’anima razionale, finché egli non si serve della sua ragione non possiamo dire che vive una vita razionale, o che di tanto in tanto ne fa vedere una scintilla. Ugualmente non possiamo dire che un cristiano vive di questa vita divina quando la carità è pressoché oziosa nel suo cuore. La fede senza le opere, secondo s. Giacomo, è una fede morta (Gc 2,17); e un amore senza azione, secondo s. Gregorio, un amore fortemente imperfetto. Da qui possiamo concludere che quando il Salvatore ci promette la vita, la sua intenzione è di metterci in grado d’agire ordinariamente per il principio dell’amore divino e di facilitarcene la pratica, come s. Tommaso ci insegna in più di un luogo.
La virtù di questo Sacramento – dice questo santo Dottore – non si ferma ad aumentare l’abito della carità, ma ci procura anche delle grazie per esercitarne degli atti (Summa Th., IIa, q 59, a. 7 ad 2m).
5. Per finire di spiegare la natura di questa felice vita, aggiungo che, per gioirne, che non è sufficiente amare, ma che occorre anche essere amati; che la perfezione consiste nell’amore mutuo tra l’anima fedele e Gesù Cristo. Perché amare senza essere ricambiati, è vivere? Non è forse languire, non è piuttosto morire? Eppure, colui che ama, muore a se stesso e ciò che ama vive in lui. S. Paolo, che amava Gesù Cristo con tanto ardore, è un bell’esempio per noi. «Io vivo, non già più io – dice lui – ma è Gesù Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Così quando amando si è reciprocamente amati, si ritrova in colui che si ama quella vita si era persa amandolo. Dato che l’Eucaristia ci dona la vita, occorre che ci spinga ad amare Dio e che ci attiri, nello stesso tempo, il suo amore. Non dubitatene affatto, o anime cristiane, comunicandovi degnamente voi amerete Gesù Cristo e sarete amati da Lui; Lui dimorerà in voi e voi in Lui: voi vivrete nel suo Cuore ed Egli vivrà nel vostro: « Colui – disse Lui – che mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in Me ed Io in lui» (Gv 6,57). O amabile ospite che è Gesù Cristo! O dolce dimora che è il suo Cuore! Che preziosa morte è quella che è seguita da una simile vita! La felice vita che consiste nel dolce scambio di questo perfetto amore che è frutto dell’Eucaristia!
6. In realtà quali sono i motivi che causano il mutuo amore? Possiamo ridurli a tre principali. Il primo è l’unione; il secondo, la rassomiglianza; il terzo, infine, è la bontà e la bellezza.
L’unione della carne e del sangue porta i parenti ad amarsi gli uni gli altri; c’è una attrazione di simpatia naturale per chi ci rassomiglia; la bellezza non ha che da mostrarsi e la bontà non ha che da farsi sentire per affascinare ogni cuore.
Ciascuno di questi motivi è sufficiente a creare una certa amicizia; quando essi si trovano tutti e tre, riuniti in due persone, portano questa amicizia al più alto punto di perfezione che possa arrivare. Ora, il Salvatore, con il mezzo dell’Eucaristia, si unisce a noi, ci mostra la sua bellezza e ci fa gustare la sua bontà, e comunicandoci l’una e l’altra ci rende simili a Lui. È così che Lui ci attira a Sé e che noi diventiamo cari ai suoi occhi, ed è così che Egli stabilisce tra noi e Lui il casto scambio del più ardente amore, e ci regala questa ammirabile vita che è per i fedeli come un assaggio del paradiso e che procura tanta gloria a Dio. Ma, poiché noi siamo sulla terra e siamo circondati da nemici, che si sforzano di soffocare la vita delle nostre anime, e siamo soggetti così a malattie e ferite, ma allo stesso tempo possiamo crescere sempre in amore e avanzare nella vita interiore, il Salvatore, non contento di averci donato la vita nella s. Comunione, se ne serve ancora per guarire queste ferite e malattie spirituali e per elevare le nostre anime gradualmente alla perfezione della carità. È quello che significano i segni del pane e del vino nei quali Egli ci dona il suo corpo da mangiare e il suo sangue da bere. Perché, secondo s. Tommaso, il nutrimento spirituale produce, in rapporto alla vita dell’anima, gli stessi effetti che il nutrimento corporale produce in rapporto alla vita del corpo. Esso ci conserva, ristora e perfeziona le forze del corpo, e quell’altro le forze spirituali dell’anima. Possiamo ancora aggiungere che queste due specie di nutrimento agiscono nella stessa maniera. Perché è dandoci del piacere, unendosi a noi, comunicandoci le loro qualità, l’uno al corpo e l’altro all’anima, che essi producono tutti i loro effetti. Voi vedete ora il disegno del Salvatore istituendo l’Eucaristia; ma per averne una conoscenza più distinta, occorre spiegare separatamente ciascuna parte: è quello che ci accingiamo a fare nei capitoli successivi.
PARTE PRIMA – CAPITOLO PRIMO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di unirsi a noi per animarci all’amore.
1. Tutte le amicizie – dice s. Tommaso – sono fondate su una qualche unione, e il mutuo amore quanto più forte quanto più stretta è l’unione. È per questa ragione che un padre ama i suoi figli e che tutti i parenti si amano reciprocamente, perché, come dice la Scrittura, nessuno odia la sua carne (Ef 5,29). L’unione di spirito produce i medesimi effetti. Le adorabili Persone della Santissima Trinità si amano reciprocamente in modo infinito, ma, nello stesso tempo, Esse non sono che un medesimo Spirito e questa unità di natura è una delle principali sorgenti del loro amore. Il mistero dell’Incarnazione ci insegna la stessa cosa; è per guadagnarsi i cuori di tutti gli uomini che il Figlio Unigenito di Dio ha voluto contrarre un’alleanza così stretta con la natura umana. Ma poiché, in questo mistero, Egli non si è unito che con un corpo e con un’anima umana, ha stabilito il Sacramento dell’Eucaristia per unirsi, corporalmente e spiritualmente con tutti coloro che si comunicano degnamente, e per animarli, attraverso questa duplice unione, ad amarlo più perfettamente. Questo ha dato occasione a qualche santo Padre, come s. Giovanni Cristostomo e s. Giovanni Damasceno, di chiamare l’Eucaristia una estensione dell’Incarnazione e di preferire, in un certo senso, a questo riguardo, il secondo beneficio al primo.
2. Per comprendere come per la s. Comunione noi siamo uniti corporalmente con il Figlio di Dio, occorre distinguere con i Padri e i teologi, due corpi in Gesù Cristo: un corpo naturale e un corpo mistico. Egli ha rivestito il primo nel seno della Vergine Maria, sua Madre, ma ha formato il secondo da tutti i fedeli e per la degna ricezione del suo corpo naturale noi diventiamo membri del suo corpo mistico in una modo più eccelso degli altri Sacramenti. Il corpo mistico di Gesù Cristo, dice s. Tommaso (De Sacr. Alt., XIV), è la Chiesa, Lui è il Capo, tutti i fedeli in stato di grazia, sono le membra; ma è per mezzo della s. Comunione che noi siamo incorporati a Lui. Tutti i Padri tengono il medesimo linguaggio. «La ragione – dice s. Giovanni Cristostomo (Homil. Ad pop. Antioch.) – che ha portato il Salvatore a donarsi a noi nella s. Comunione, è stata quella di fare un tutto uno con noi e di unirsi con i fedeli come il Capo con le sue membra. Perché – aggiunge in un altro luogo (Homil. LXXV in Matt.) – Egli non si è accontentato di farsi uomo, di essere flagellato e crocifisso per amore nostro, ha voluto anche inoltre farsi uno con noi, non solamente per mezzo della carità, ma anche corporalmente e realmente (Homil. XLV in Joan.).
È questa unione mistica che intendono s. Cirillo e s. Ilario quando paragonano l’unione che contraiamo con Gesù Cristo comunicandoci, il primo a quella di due ceri fusi e uniti insieme, e il secondo a l’unione d’essenza delle Tre Auguste Persone della Santissima Trinità. Infine, s. Paolo dice espressamente che tutti i fedeli, dopo essersi nutriti di questo stesso Pane, formano uno stesso corpo (1Cor, 10,47). Ma, in verità, quale riconoscenza dobbiamo avere per il Salvatore per un così grande beneficio? «O uomo! – scrive s. Giovanni Crisostomo (Hom. LX ad pop. Antioch.) – medita, considera l’eccellenza e l’onre che tu ricevi avvicinandoti alla santa mensa. Noi mangiamo Colui che gli Angeli guardano con tremore e non osano quasi contemplare a causa del suo splendore e noi, invece, ci uniamo a Lui, diventiamo con Lui una sola carne e uno stesso corpo.
3. L’unione spirituale è una conseguenza naturale dell’unione corporale: giacché non abbiamo che un medesimo corpo con Gesù Cristo, è evidente che dobbiamo essere animati dal suo spirito, cioè dallo Spirito Santo. Ecco come s. Cirillo d’Alessandria spiega questo mistero: «La comunicazione dello Spirito Santo – dice il Padre (In Joa., II, 12) è iniziata da Gesù Cristo, è Lui che l’ha ricevuto per primo. Poiché, anche se Egli è Dio per natura, in quanto vero uomo ha ricevuto lo Spirito quando fu concepito per opera dello Spirito Santo e scese su di Lui l’unzione e la santificazione dello Spirito Santo. È lo Spirito Santo stesso che ha santificato il suo tempio, cioè la sua umanità, e che santifica tutte le creature capaci di essere santificate. Il mistero di Gesù Cristo è dunque il principio e il canale per mezzo del quale ricevendo la partecipazione dello Spirio Santo, noi siamo uniti a Dio e santificati».
Ma è particolarmente per mezzo della s. Comunione che il Salvatore fa regnare questo Spirito nei nostri cuori. Perché, come la nostra anima, dal momento che è unita al nostro corpo, comincia anche ad amare il nutrimento che noi prendiamo, ugualmente, lo spirito che anima l’umanità del Salvatore, e che è come l’anima della sua anima, comincia animare anche noi non appena noi, per mezzo della s. Comunione, diventiamo sue membra. E come lo spirito che anima il corpo fisico si spande dalla testa a tutto il corpo, per dargli movimento e vita, ugualmente nel corpo mistico di Gesù Cristo, lo Spirito Santo discende dal Capo su tutti i fedeli che ne sono membra, per comunicare loro la vita divina. Questo è il significato di quella unzione misteriosa che colava dalla testa del sommo sacerdote Aronne, figura di Gesù Cristo, fino ai bordi delle sue vesti (cf Sal 133,2), figura del suo corpo mistico.
Anche i Padri (cf s. Girolamo, Contra Jov., II) spiegano la dimora che il Figlio di Dio prende nelle nostre anime per la partecipazione che riceviamo del suo Santo Spirito che abita in noi. S. Tommaso fa di questo favore uno dei principali effetti del Sacramento; e se crediamo al padre Teofilo Raimondo nella sua «Dissertazione sulla prima messa della Chiesa», questa messa fu celebrata da s. Pietro nel Cenacolo il giorno della Pentecoste e lo Spirito Santo discese sui fedeli immediatamente dopo che si erano comunicati.
4. Così il Salvatore, secondo s. Cirillo (cf In Joan., II, 12), ci unisce a Lui in due modi: corporalmente in quanto uomo, e spiritualmente in quanto Dio. In quanto uomo, Egli ci unisce con il suo corpo, in quanto Dio, Egli ci eleva ad una vita nuova e ci associa alla sua natura divina per mezzo della grazia e la potenza del suo Spirito.
S. Agostino (In Joan., XXVI, 13) spiegando queste parole del Signore: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51) dice la stessa cosa in modo più ampio, ma le sue parole sono così belle e sviluppano così bene questa verità che io non sono capace di riassumerle, per cui le riporto integralmente:
«[…] I fedeli dimostrano di conoscere il corpo di Cristo, se non trascurano di essere il corpo di Cristo. Diventino corpo di Cristo se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Dello Spirito di Cristo vive soltanto il corpo di Cristo. Capite, fratelli miei, ciò che dico? Tu sei un uomo, possiedi lo spirito e possiedi il corpo. Chiamo spirito ciò che comunemente si chiama anima, per la quale sei uomo: sei composto infatti di anima e di corpo. E così possiedi uno spirito invisibile e un corpo visibile. Ora dimmi: quale è il principio vitale del tuo essere? È il tuo spirito che vive del tuo corpo, o è il tuo corpo che vive del tuo spirito? Che cosa potrà rispondere chi vive (e chi non può rispondere, dubito che viva), che cosa dovrà rispondere chi vive? È il mio corpo che vive del mio spirito. Ebbene, vuoi tu vivere dello Spirito di Cristo? Devi essere nel corpo di Cristo. Forse che il mio corpo vive del tuo spirito? No, il mio corpo vive del mio spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. È quello che dice l'Apostolo, quando ci parla di questo pane: Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo (1 Cor 10, 17). Mistero di amore! Simbolo di unità! Vincolo di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha di che vivere. S'avvicini, creda, s’incorpori, e sarà vivificato. Non disdegni d'appartenere alla compagine delle membra, non sia un membro infetto che si debba amputare, non sia un membro deforme di cui si debba arrossire. Sia bello, sia valido, sia sano, rimanga unito al corpo, viva di Dio per Iddio; sopporti ora la fatica in terra per regnare poi in cielo».
5. Che, se l’unione è un motivo per amare, quale amore la s. Comunione deve ispirarci per il Figlio di Dio, dato che Essa ci unisce così strettamente che noi non siamo che un solo spirito con Lui? Ma, se la nostra vita e le nostre azioni devono rispondere della natura della nostra anima, animati che siamo dallo Spirito Santo, da questo spirito d’amore, quale vita dobbiamo condurre dopo la s. Comunione, se non una vita d’amore? Quali devono essere le nostre azioni se non atti di carità? Se Gesù Cristo, colmo di questo spirito, amò con tanto ardore il suo Padre celeste, se Egli aveva una carità così generosa e universale per tutti gi uomini, come mai la s. Comunione, che ci comica lo stesso spirito, non ci infiamma dello stesso ardore? Infine, se Gesù Cristo, dato che Egli ricevette la vita dal Padre suo, non vive, non respira, non lavora che per il Padre suo, per chi noi dobbiamo vivere, respirare e agire, se non per Gesù Cristo da cui riceviamo la vita, una vita santa, una vita tutta divina?
PARTE PRIMA – CAPITOLO SECONDO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di renderci simili a Lui per animarci ad amarlo più perfettamente
1. L’unione contribuisce all’amore, ma anche la distinzione contribuisce, e l’amore reciproco non può esistere che dove ci siano almeno due persone diverse. Tra i veri amici tutto deve essere uno; tutto, tranne che le loro stesse persone, ma affinché si possano amare occorre che le loro persone si rassomiglino. La rassomiglianza è una delle sorgenti dell’amicizia e della simpatia che lega così dolcemente e fortemente i cuori, altro non è che una conformità d’inclinazioni.
Perché Dio ha creato l’uomo a sua immagine? Per disporlo ad accogliere il grande precetto che doveva donargli, di amarlo con tutto il suo cuore. Perché ha formato Eva così simile ad Adamo? Perché ella doveva diventare la sua sposa e desiderava che si stabilisse tra i due un amore ugualmente tenero e duraturo: «Facciamo un aiuto che gli sia simile» (Gen 2,18). Perché l’amore ci porta ad imitare coloro che noi amiamo e così l’amore si conserva e cresce.
Infine, il reciproco amore dell’Eterno Padre e del suo Figlio Unigenito, è l’origine e il modello di tutti i veri amori e il Verbo è la perfetta immagine del Padre suo e lo specchio senza macchia di tutte le sue adorabili perfezioni. E se la carità trova la sua ultima perfezione in cielo, è che in quell’ultimo giorno noi saremo, secondo l’apostolo s. Giovanni, trasformati in Dio: «Saremo simili a Lui» (1Gv 3,2).
2. Se dunque, anime cristiane, voi desiderate amare Gesù Cristo e farvi amare da Lui, occorre che diventiate simili a Lui ed è mangiando il suo corpo e bevendo il suo sangue che voi gli rassomiglierete. Perché, secondo s. Tommaso, uno dei più grandi benefici prodotti dalla s. Comunione è quello di trasformarci a somiglianza dell’immagine di Dio, cioè di Gesù Cristo.
L’Abbé Tupert (In Exod., II) parla di questo soggetto in un modo molto ingegnoso: «Il demonio – dice lui – tentò i nostri progenitori dicendo loro: “Mangiate il frutto e sarete come degli dèi. Essi gli credettero nonostante Dio li avesse minacciati di morte se ne avessero gustato. Per rimediare a questo disordine, il Salvatore ci “tenta” a sua volta dicendoci: “Mangiate il mio corpo, bevete il mio sangue e diventerete degli dèi. Credendogli, più sulla sua parola che sui nostri sensi che percepiscono le apparenze esteriori del pane e del vino e con una santa e religiosa fede ripariamo all’imprudente e ingiusta credulità di Eva e di Adamo.
In effetti questo pane celeste è di una natura ben differente da quella del pane ordinario: noi non lo cambiamo nella nostra sostanza quando lo prendiamo, ma è esso, al contrario, che ci cambia nella sua sostanza. “Mangiate il mio corpo – disse un giorno il Salvatore a s. Agostino – voi non mi trasformate affatto in voi, Io vi trasformo in Me”
3. Per scendere in maggiori dettagli, noi possiamo rassomigliare a qualcuno in tre dimensioni: nel suo aspetto fisico, nella sua natura e essenza, e nelle sue azioni.
Si rassomiglia nell’aspetto fisico, quando si ha la stessa taglia, la stessa figura e gli stessi tratti del viso. Si rassomiglia nell’essenza, quando si hanno le stesse capacità e le stesse inclinazioni. SI rassomiglia nelle azioni, quando si agisce motivati dagli stessi principi e dalle stesse finalità. La prima rassomiglianza possiamo chiamarla immagine; la seconda simpatia e la terza, imitazione. Il Salvatore con la s. Comunione ci rende simili a Lui in tre maniere che s. Tommaso spiega attraverso tre belle comparazioni (cf De Sacr. Alt.).
4. La prima comparazione di cui egli si serve, è quella di un sigillo applicato su della cera molle sulla quale imprime la propria figura. «Quando riceviamo la s. Comunione – dice il santo Dottore – Gesù Cristo imprime il suo corpo come un sigillo sui nostri cuori brucianti dell’amore di Dio, purificati dalla penitenza e inteneriti d’amore per il prossimo, non per essere cambiato in noi, questo sarà impossibile, ma per trasformare noi in Lui e imprimere nelle nostre anime l’immagine della sua bontà e delle sue perfezioni divine». Quando, nel libro dei Cantico dei Cantici, la Sposa invita lo Sposo a metterla come un sigillo sul suo cuore e sul suo braccio (cf Ct 8,6), è il Figlio di Dio, secondo la spiegazione di un grande maestro della vita spirituale, il padre Louis du Pont, che ci esorta alla s. Comunione, per imprimere la sua rassomiglianza nelle nostre anime. Il Figlio di Dio, imprimendo nelle nostre anime l’impronta di Se Stesso, che è l’immagine della sostanza del Padre, restaura l’immagine di Dio sporcata dal peccato e comunica ad esse una bellezza tutta divina. Perché il pane celeste non contribuisce ad imbellire le anime meno di come il buon cibo contribuisca a rendere floridi e belli i corpi. S. Giovanni Crisostomo si spiega mirabilmente intorno a ciò: «Questo sangue – dice parlando della s. Eucaristia – fa brillare in noi l’immagine di Gesù Cristo, comunica all’anima bellezza e nobiltà, e le impedisce, nutrendola, di cadere in debolezza. Questo sangue è la sua salute, esso la purifica, la rende bella, l’abbraccia e la rende più splendente dell’oro e più luminosa del fuoco. Giacché, allo stesso modo che un oggetto immerso nell’oro fuso diventa tutto dorato, così l’anima immersa in questo sangue diventa pura e bella come l’oro». Egli, aggiunge più avanti che un cristiano comunicandosi si riveste del manto reale di Gesù Cristo, o ancora di più, si riveste di Gesù Cristo stesso. Si può descrivere meglio la virtù che ha l’Eucaristia di trasformarci nella rassomiglianza del Salvatore? Possiamo meglio esprimere l’eccellenza e la bellezza di questa rassomiglianza che viene paragonata allo splendore dell’ora e alla luminosità del fuoco? Possiamo noi meglio dichiarare quanto questa immagine si perfetta dicendo che questo Sacramento ci riveste degli abiti e degli ornamenti di Gesù Cristo e che ci riveste di Gesù Cristo stesso?
5. Non solamente, il Salvatore, per mezzo della s. Comunione, restaura in noi l’immagine della sua bellezza, ma si unisce a noi in corpo e in spirito, e comunica anche la sua bontà, le sue inclinazioni e virtù. La pratica dell’umiltà, della pazienza della mortificazione, dell’amore ai nemici, così opposta alle nostre inclinazioni naturali, ci diventa allora facile. Perché dice s. Tommaso, allo stesso modo che una goccia di acqua gettata in un grande recipiente di vino si perde e si confonde così bene che non la si distingue più, tanto essa rassomiglia al vino, così l’anima unita a Gesù Cristo è come quella goccia d’acqua, come una goccia da un secchio (Is 40,15). L’anima prende talmente le inclinazioni di Gesù Cristo, si conforma così perfettamente ai suoi gusti e modi, che sembra proprio cambiata in Lui.
Possiamo prendere questa comparazione dagli usi della Chiesa che mischia sempre un po’ di acqua al vino del calice della consacrazione. Perché questa miscela, secondo s. Cipriano, significa l’unione che i fedeli, rappresentati dall’acqua, contraggono con Gesù Cristo in questo Sacramento, e la rassomiglianza segue naturalmente all’unione.
6. Questo effetto è così proprio all’Eucaristia che l’illustre patriarca di Venezia, s. Lorenzo Giustiniani, ne ricava una prova della presenza reale di Gesù Cristo in questo Sacramento: «Se il corpo del Figlio di Dio – dice lui (Serm. De l’Euchar.), non fosse affatto nell’Eucaristia, come un po’ di pane e del vino potrebbero operare tanti miracoli? Da dove verrebbe questa forza nel corpo e nell’anima? Da dove verrebbe questo rinnovamento dell’uomo interiore, questo fervore della carità, questo gusto così delizioso di dolcezza spirituale, questa abbondanza di pace, questo amore dei beni eterni, questo ardente desiderio di avanzare nelle virtù e questi fervorosi rendimenti di grazie? Per la devota ricezione di questo augusto Sacramento, gli odi cessano, le tensioni si acquietano, le liti cessano, i vizi dispiacciono, si ama la castità e si disprezza la terra. Per mezzo dell’Eucaristia l’uomo diventa tutto un altro, cambia in meglio, non per natura, ma per grazia. Egli ferma la sua lingua, ama il silenzio, si applica alla preghiera, conserva l’unione fraterna, si impegna nella purezza del cuore e in tutto ciò che sa essere gradito a Dio. Giacché questi progressi spirituali non possono essere causati che dalla bontà dello Spirito Santo e l’amabile presenza di Gesù Cristo che opera questi meravigliosi cambiamenti, non ugualmente in tutti, ma secondo le disposizioni di colui che si comunica, e secondo quelle di Gesù Cristo che li realizza nella sua misericordia».
Ma, essendo così, voi che leggete, se siete ancora così imperfetti, se rassomigliate poco a Gesù Cristo, è tutta colpa vostra. Sicuramente, o voi vi comunicate troppo raramente, o vi mancano le disposizioni idonee a far bene la s. Comunione.
7. Quando noi portiamo in noi l’immagine di Gesù Cristo e abbiamo le sue stesse inclinazioni, è naturale che noi imitiamo la sua condotta e che seguiamo i suoi esempi. È questo l’ultimo tocco con cui la s. Eucaristia completa di realizzare la nostra rassomiglianza a Lui. S. Tommaso lo spiega con tre comparazioni simili a quelle due altre di prima, eccole: «È proprio di un pollone di un buon albero – dice l’ammirabile Dottore – quando esso è innestato su un albero selvatico, di prevalere su questo per la sua forza naturale e di comunicargli la sua dolcezza togliendogli la sua asprezza e facendogli produrre dei frutti simili ai suoi. Ugualmente, il corpo di Gesù Cristo, innestato, per così dire, in noi, corregge i nostri difetti, ci comunica la sua bontà, e la virtù di produrre foglie, fiori e frutti di giustizia simili a quelli prodotti da Lui stesso. È questo – continua s. Tommaso – che lo Spirito Santo ci insegna per bocca del profeta Ezechiele, quando dice: «Io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami coglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un monte alto, massiccio; lo pianterò sul monte alto d'Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico» (Ez 17,22-23). Questo alto cedro è Dio Padre, i suoi rami elevati sono i patriarchi di cui la Vergine Santa è la cima, è la carne di Maria. Lo Spirito Santo pianta questo eccellente germoglio sulla montagna elevata, ogni volta che distribuisce ai fedeli – elevati dalla terra al cielo per mezzo dei loro desideri – il Sacramento del Corpo del Signore. Da questa unione nascono frutti eccellenti. Giacché il cuore di un fedele perde l’amarezza dei suoi vizi per la forza del Sacramento, e produce, sull’esempio di Gesù Cristo, i fiori, i frutti delle virtù e delle buone opere. È per questo che Egli diceva s. Agostino: «Io sono il cibo dei forti». È questo che desidera la Sposa quando diceva: «Attirami dietro a Te» (Ct 1,4), come se lei gli dicesse: «Cambiami in Te per la forza del mio amore e del tuo, unendoti a me, stando nel mio cuore, distruggi quella maledetta radice che produce frutti così amari, affinché la forza della tua dolcezza e della tua bontà prevalga con potenza su di me. È per questo, infine, che s. Paolo dice: «Io vivo, non più io, ma è Gesù Cristo che vive in me» (Gal 2,20)».Tutto questo dice s. Tommaso, ma sembra che abbia preso queste similitudini da s. Dionisi l’Aeropagita, che chiama l’unione che noi contraiamo con Gesù, innesto spirituale (De hier. Eccl., III).
Vedete bene dunque come il Figlio di Dio imprime in noi la sua immagine, ci comunica le sue inclinazioni e ci fa agire come Lui, quando noi lo riceviamo con le dovute disposizioni. Ma se la rassomiglianza produce l’amore reciproco, poteva il nostro Salvatore, per animarci all’amore verso di Lui e così poterci ricambiare moltiplicato il suo amore, inventare un mezzo più efficace dell’adorabile Eucaristia che ci rende così santi e così simili a Lui? Sii sempre benedetto, o mio adorabile Salvatore, per un così grande e inestimabile dono!
PARTE PRIMA – CAPITOLO TERZO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia portare a perfezione la carità per mezzo della dolcezza che ci fa gustare.
1. L’Eucaristia ci unisce con il Salvatore, questa unione produce la rassomiglianza e ci predispone a gustare quanto Egli è dolce; questo gusto ci dona un piacere e questo piacere, infine, è la più forte attrazione d’amore verso Gesù Cristo. E di fatto, per quale altro fascino la bellezza e la bontà toccano, guadagnano e attraggono i cuori, se non per il piacere che esse causano, la bellezza quando si contempla e la bontà quando la si gusta?
2. Ma dove possiamo trovare le parole per descrivere queste ineffabili dolcezze, queste deliziose comunicazioni di luce di cui l’Eucaristia è la vera fonte? Potremo mai riassumere tutte quelle cose di cui i santi Padri, dopo averne fatto esperienza? Potremo mai finire di spiegare tutte le figure con le quali i libri sacri prefiguravano l’Eucaristia? «L’anima fedele – disse s. Macario (Homil. IV), sente, gusta, esperimenta nella s. Comunione, dei beni celesti e dei piaceri inesprimibili, essa ci rivela delle ricchezze immense che non ha mai visto, né l’orecchio inteso».
«O anima! – è così che s. Bernardo fa parlare il Salvatore – o anima! Non hai tu conosciuto per esperienza, che ricevendomi, tu gusti il miele con il raggio che lo racchiude, la dolcezza della mia divinità unita al mio corpo e al mio sangue?»
Tutte le opere dei Padri sono piene degli stessi sentimenti. Per quanto riguarda la Sacra Scrittura, essa ci fa intendere abbastanza, attraverso i simboli di cui si serve quando parla dell’Eucaristia, quanto questo cibo divino sia delizioso. Talvolta ne parla come di un vino squisito, altre volte di alimento delicato o come di un pane fatto di puro frumento. Quando essa ci invita alla s. Comunione, è come a un gran dono, ad un magnifico banchetto, è l’invito alla festa delle nozze di un re (cf Lc 14,16). In una parola, i Padri e i teologi applicano a questo pane celeste tutte le volte che la Scrittura parla di vino, di latte, di miele e di tutto ciò che c’è di più dolce e di più squisito in materia di cibo e di bevande. Possiamo vedere questo nel trattato sull’Eucaristia di s. Alberto Magno.
3. Da parte mia, io mi contento di dire che trovo in questo Sacramento le prerogative della manna, che è la più nobile sua prefigurazione tra tutte le altri tipi di alimenti. Gli altri hanno ciascuno il loro gusto. Il Sapiente rivolto a Dio, ne parla in questi termini: «Invece sfamasti il tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli; esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava» (Sap 16,20-21). Ecco un bell’elogio della manna, ma che conviene perfettamente all’Eucaristia: «Questo Sacramento – dice s. Cipriano (Serm. De Cœna Dom.) – racchiude così bene, come la manna, tutti i gusti immaginabili, e per una virtù meravigliosa fa sentire a ciascuno che la riceve degnamente e con devozione, quel piacere che egli desidera, sazia l’appetito e sorpassa in soavità ogni altra dolcezza». E possiamo anche dire di più. Perché, prima di tutto, come il Salvatore diceva ai Giudei, Mosè non ha dato il vero pane del cielo. È dal figlio di Dio che lo abbiamo ricevuto (cf Gv 6,32-33). L’Eucaristia sorpassa talmente la manna, come un oggetto reale sorpassa una sua raffigurazione e poi, la manna era un cibo corporale, l’Eucaristia un cibo spirituale e le delizie proprie dello spirito non sono paragonabili a quelle del corpo. Tutto era materiale nella manna, nel Sacramento dell’altare, tutto è spirituale e divino. «Se dunque – conclude s. Ambrogio (Lib. De iis qui myst. Init., IX) voi avete tanta ammirazione per la figura, quale stima dovrete avere di questo pane celeste di cui la figura è così ammirevole?»
4. C’è da dire in più che queste delizie spirituali – al sentire dell’illustre cardinale di Cracovia (DIal. De la freq. Comm.) – sono come una proprietà insita nella s. Comunione. «Dio – dice questi – racchiudendo in questo Sacramento la fonte viva di tutte le consolazioni celesti, non ha solo voluto comunicarci la grazia santificante, ma suscitare anche nei nostri cuori i più teneri sentimenti di devozione, di modo che quando un’anima ben disposta ne riceve qualche aumento di grazia, ella non manca mai di sentire la dolcezza di questo celeste nutrimento. È – continua questo saggio vescovo – quello che accadeva al Salvatore, quando dopo aver manifestato il suo grande desiderio di fare quella sua ultima pasqua con i suoi discepoli, mangiò il suo proprio corpo (cf Lc 22,14-20). Giacché Egli pur non ricevendo nessun accrescimento di grazia, non fu per questo meno ripieno di gioia, come è presumibile».
5. Voi, certamente, mi direte che molte persone non sentono questa dolcezza quando fanno la s. Comunione. Ma s. Tommaso prevede questa obiezione e vi risponde. Egli afferma che un oggetto può provocare del piacere in due maniere: o per se stesso o per l’immagine che noi ce ne formiamo. Esso è causa da se stesso, quando fa attualmente impressione sui sensi che lo vedono o lo gustano; esso provoca piacere con la sua immagine, quando lo spirito si occupa della idea vantaggiosa che se ne è fatto. Giacché il solo pensiero di un bene, soprattutto quando lo si possiede o lo si spera, suscita un sentimento piacevole. Un avaro che tiene il suo tesoro nascosto nella cassaforte, senza vederlo, senza toccarlo, prova della gioia ogni volta che ci pensa. La medicina, amara che sia, non lascia di rallegrare il malato, per la speranza di salute che vi ripone. L’Eucaristia ci dona del piacere, tanto come il primo che come il secondo caso. Non è forse, per un’anima fedele, un motivo di gioia sapere che facendo la s. Comunione riceverà un tesoro in cui sono racchiuse tutte le ricchezze, una medicina che guarisce tutte le sue malattie e il Re della Gloria che ornerà le proprie potenze? Questo solo pensiero, senza altra consolazione, non dovrà esso causare un grande piacere ad un cristiano convinto di queste verità? Ma succede anche che la s. Comunione spande nell’anima delle gioie sensibili. Questo accade quando il Salvatore fa gustare la dolcezza della sua grazia e la soavità dell’operazione con cui la produce. In quei momenti, l’anima tutta presa da questi gusti deliziosi, respirando quel celeste profumo, s’infiamma di santo ardore dell’amore divino, canta le lodi del suo Beneamato, si consacra al suo servizio, emette dei teneri sospiri, si fonde, si liquefa in devozione, e gioisce in questo amoroso incontro di una felicità inesprimibile. Tuttavia, per infiammati che siano questi piaceri, talvolta se ne provano degli altri molto più delicati, dei quali s. Tommaso ne parla in altri luoghi. Quando il Figlio di Dio fa sentire la sua presenza con una conoscenza sperimentale. Non è più la soavità della grazia che si gusta, ma la dolcezza della Divinità stessa unita all’umanità del Salvatore. Non è solo per fede che l’anima conosce di possedere il suo Dio, ma lo sente, per così dire, lo tocca, l’abbraccia spiritualmente. Questi momenti sono brevi – dice s. Bernardo – ma sono infinitamente deliziosi. Felix ora, brevi ora… Felice momento, breve momento. Sono – dice un altro Padre – degli amabili preludi della felicità eterna. È più facile immaginare, se tuttavia si potesse, che esprimere con parole la pace e la serenità di cui allora goda l’anima santa, la gioia di cui ella è come avvolta e le caste delizie in cui ella si trova come inabissata..
6. Dopo questa distinzione così dettagliata di s. Tommaso, è evidente che tutti i cristiani possono, comunicandosi, sperimentare qualche dolcezza. È vero che l’ultimo favore di cui ho parlato (esperimentare la dolcezza della divinità) è raro e che è un privilegio accordato ad un piccolo numero di anime scelte, interamente distaccate dal mondo e crocifisse con Gesù Cristo. Ma non credo che si possa con ragione mettere in dubbio che questo sia qualcosa che possa accadere. Oltre al fatto dei santi di cui abbiamo parlato e che ne hanno fatto esperienza, perché il Salvatore ci avrebbe donato con il suo corpo, il suo sangue e la sua anima, anche la sua divinità per essere alimento delle nostre anime, se non volesse farcene gustare la dolcezza? Io vi confesso ancora che molte persone si comunicano senza queste consolazioni interiori della grazia, ma fuori dai tempi in cui il buon Dio priva le anime pie, per provarle e purificarle, se noi non le sentiamo è solo perché siamo ancora troppo attaccati ai pei ceri dei sensi.
Perché, come rimarca s. Alberto Magno nel suo Trattato sull’Eucaristia, occorre che ci sia una corrispondenza armonica tra l’alimento e chi se ne nutre perché mangiandone possa goderne del gusto. Tutti gli uomini non hanno gli stessi gusti, hanno gusti differenti secondo la diversità dei temperamenti e una rigetta come insipido ciò che un altro ritiene gustoso. Parimenti, l’uomo spirituale gusta con piacere quello che viene dallo spirito di Dio. Al contrario, l’uomo naturale e carnale – secondo s. Paolo – è incapace di gustare queste cose (cf 1 Cor 2,14). È per questo che se voi voleste esperimentare queste delizie, cessate di essere naturali e carnali e diventate soprannaturali e spirituali; se voi volete gustare Gesù Cristo, sforzatevi di rassomigliargli.
Per ciò che è il piacere che produce la conoscenza dei grandi beni che questo Sacramento racchiude, non c’è cristiano che non dubita di averlo sperimentato. Non occorre altro che stimare i beni della grazia, desiderare la propria salvezza e santificazione, sospirare verso il cielo, e ricordarsi che questo Sacramento è la sorgente di tutte le ricchezze spirituali, che esso è il mezzo più proprio per soddisfare tutti i nostri desideri. La gioia non mancherà mai di farsi sentire ad un cuore che si avvicina con queste disposizioni alla sacra mensa.
7. Ebbene, anime cristiane, volete entrare nel disegno del Salvatore? Capite perché Egli ha voluto essere presente nel Sacramento dell’altare? Riconoscete che è lì per unirsi a noi, per renderci simili a Lui, per ricolmarci di gioia e, con questi mezzi così efficaci, ispirarci quel santo amore che costituisce l’eccellente vita che ci ha promesso? Sì, o mia amabile Salvatore, io lo riconosco, e ti rendo mille azioni di grazie, e io affermo che il tuo amore sarà ormai l’unica vita della mia anima, che io morrò volentieri a tutto il resto, al fine di vivere solo di te, amando nient’altro che Te. Che orrenda morte quella di essere privato del tuo amore! Ma quanto è nobile, dolce e felice la vita che è quella in cui si ama Te e si è amati da Te!
PARTE PRIMA – CAPITOLO QUARTO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di farci amare tutti coloro per i quali noi dobbiamo nutrire amore
1. La carità non ci ordina solo di amare Gesù Cristo, essa ci comanda anche di amare Dio Padre, d’amare lo Spirito Santo, d’amare la Vergine Maria, gli angeli, i santi, i fedeli e, in generale, tutti gli uomini. E il Salvatore ci ispira l’amore per tutti costoro con gli stessi mezzi di cui si serve per ispirarci l’amore verso di Lui stesso; cioè, unendosi a noi e rendendoci simili a Lui con il Sacramento del suo corpo e del suo sangue. Perché, se Dio è tutto racchiuso in Gesù Cristo, se Egli ha riuniti in Se Stesso il cielo e la terra – come dice s. Paolo (cf Ef 1,10) – questo lo realizza in modo particolare nell’Eucaristia. È per questo motivo – dice s. Alberto Magno – che la Chiesa greca e quella Latina gli hanno dato unanimemente il nome di «Comunione» e che un Padre l’ha chiamato «l’amabile legame tra la Chiesa trionfante e quella militante». Ed è vero che, come le unioni che si contraggono in questo Sacramento sono diverse a secondo delle differenti qualità degli uomini, così è diverso anche l’amore che l’unione causa e non c’è un’unione che provoca un amore ugualmente tenero e costante.
2. Io dunque affermo, in primo luogo, che la s. Comunione perfeziona in noi l’eminente dignità di figli di Dio. Infatti, da un lato essa ci unisce a Gesù Cristo come le membra con il loro capo, dall’altra essa ci colma di Spirito Santo. Ora, il Verbo Incarnato essendo veramente il Figlio di Dio, come possiamo noi essere sue membra senza essere partecipi di questa sua divina qualità? Di conseguenza – come dice s. Paolo -, «tutti quelli che sono animati e condotti dallo Spirito di Dio, questi sono suoi figli» (Rm 8,14). Questo ha dato modo a s. Alberto Magno di spiegare per mezzo della virtù dell’Eucaristia, il potere che il Verbo ci ha dato di diventare figli di Dio – secondo s. Giovanni (Gv 1,12) – a coloro che la ricevono. E per convincerci della possibilità di questa meraviglia – continua s. Alberto Magno – il discepolo beneamato aggiunge non contento queste parole: «Il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14), come se dicesse: Non dubitate affatto che l’uomo possa diventare figlio di Dio, perché Dio si è fatto figlio dell’uomo. Noi non siamo, in verità, che dei figli adottivi, ma di un genere di adozione diversa profondamente da quella umana. Quando un uomo adotta qualcuno come figlio, non gli comunica affatto il suo spirito, né le sue inclinazioni, né i tratti del suo viso. Ma Dio, adottandoci, imprime nelle nostre anime una rassomiglianza e ci riempie del suo spirito. È di questo favore – al sentire di s. Cirillo d’Alessandria e di s. Ilario – che parlava il Salvatore quando diceva a suo Padre che aveva reso gli uomini partecipi della gloria che Egli aveva ricevuto presso di Lui. Dopo quanto affermato, possiamo noi mancare di rispetto o di amore per il nostro Padre celeste, senza essere il più ingrato di tutti gli uomini?
3. In secondo luogo, è evidente, per quello che ho appena detto e quello che ho detto altorve, che l’Eucaristia perfeziona nelle nostre anime l’unione e il regno dello Spirito Santo. In effetti, questa grazia così propria del Nuovo Testamento è il frutto della Passione del Salvatore, ma è particolarmente per mezzo di questo Sacramento che è una sua viva rappresentazione, che ce ne applica i meriti. Di più, è per mezzo della carità che lo Spirito Santo abita in noi, e l’Eucaristia è stata istituita per aumentare in noi la carità. È la concupiscenza che ostacola in noi il regno dello Spirito Santo e che gli disputa l’intero possesso del nostro cuore; e la s. Comunione l’indebolisce e la modera.
Questo succede perché per mezzo dell’Eucaristia lo Spirito Santo si unisce più perfettamente a noi, diviene come l’anima della nostra anima e si rende assolutamente il Maestro. Di conseguenza noi dobbiamo avere per Lui, in virtù di questo Sacramento, lo stesso amore, lo stesso attaccamento che ha il corpo per la propria anima, dalla quale teme di separarsi in quanto ama la propria vita e ha paura della morte.
4. Aggiungo che la s. Eucaristia ci onora ancora del glorioso titolo di figli di Maria, e ci ispira per Lei un filiale amore. Perché – come dice s. Agostino – poiché noi siamo le membra di Gesù Cristo, come potrà la Santa Vergine essere la sua madre senza essere anche la nostra? Potrà Lei averlo generato, senza averci generati con Lui? (cf Serm. XVI de temp.).
Per questo il Salvatore morente disse all’apostolo prediletto che Maria era sua Madre, e alla Santa Vergine che Giovanni era suo figlio. Ma questa Madre, così teneramente affezionata ai suoi figli, non si accontenta di averli partoriti, Ella li nutre non del suo latte, ma della sua carne, non solo per qualche anno, ma durante tutta la loro vita; perché mangiando il corpo di Gesù Cristo, è la carne di Maria che noi mangiamo. «Il Verbo – dice s. Agostino (In Ps. XCVIII) – si è formato un corpo dalla carne della purissima Vergine Maria, sua Madre: Egli ha vissuto su questa terra in questa carne e ce la offre come cibo per la nostra salvezza».
Amiamo, dunque, e onoriamo una così buona e illustre Madre, e non esponiamoci ai rimproveri di un profeta che accusava Israele di aver dimenticato Dio che l’aveva nutrito e Gerusalemme sua nutrice (cf Bar 4,8); giacché Riccardo di S. Laurent intende con questa nutrice la Chiesa e la Santa Vergine. Al contrario, consideriamo, come s. Pier Damiani ci esorta, gli obblighi che abbiamo verso Maria, alfine di testimoniarle la nostra riconoscenza. «Ella ci dona – dice questi – per nutrirci, lo stesso corpo che ella ha partorito nel presepe, che Ella ha portato sulle sue braccia, che ha avvolto in fasce nella mangiatoia, che Lei ha cresciuto con le cure e le tenerezze di Mamma, e Lei ci dona il suo sangue da bere nel Sacramento della nostra redenzione. Non c’è lingua che possa degnamente lodare Colei che custodisce le vite delle nostre anime nel suo Cuore purissimo. Non c’è cuore che possa amarla quanto merita d’essere amata».
Ma in quale modo possiamo dimostrargli la nostra riconoscenza? «Per mezzo della frequente s. Comunione – risponde Isidoro di Tessalonica –; perché – dice questo sapiente vescovo – quando riceviamo il corpo di Gesù Cristo dalla mano dell’angelo del Signore, cioè del prete, si realizza in voi un mistero che è analogo a quello che si è realizzato nella Santa Vergine al momento in cui l’Arcangelo Gabriele le annunzi che Lei doveva diventare la Madre di Dio, voi ne rinnovate la memoria, per così dire, tutte le volte che vi comunicate, e questo ricordo dona sempre una nuova gioia.
5. In quarto luogo, questo Sacramento non annoda tutti i fedeli gli uni agli altri? Non avendo che un Padre e una Madre, essendo tutti figli di Dio e figli della Vergine Santa, sono tutti veramente fratelli. E questo ancora non basta, essi non sono più che un solo corpo e un solo spirito. S. Cirillo interpreta la preghiera dove il Figlio di Dio domanda a suo Padre che tutti i fedeli non siano che uno in Loro, come Egli non è che uno con Lui, dice che il Salvatore domanda in verità, una conformità di volontà e di amore tra i fedeli che sono una immagine dell’unità della volontà e dell’amore che vi è tra le Persone Divine. Ma approfondendo il senso di queste parole, aggiunge che il Salvatore domanda anche che i fedeli siano veramente riuniti in un medesimo spirito e possano diventare un solo corpo e che voleva procurare questa unione per via di un’invenzione degna della sua saggezza. E qual è questa invenzione? È il Sacramento dell’Eucaristia. «In effetti – continua questo santo – quando noi la riceviamo, il corpo del Figlio di Dio si trova tutto intero in ciascuno di noi, senza essere diviso e diventa, per così dire, un legame comune che ci unisce corporalmente tutti insieme, pur avendo ognuno di noi il suo corpo particolare». Ugualmente, benché ognuno di noi abbia la propria anima, quando noi ci comunichiamo il Salvatore comunica a tutti la sua anima, e questa anima unica in Lui stesso, anima tutti i fedeli, li unisce spiritualmente gli uni agli altri e, per una necessaria conseguenza logica, i cristiani comunicandosi non sono più che uno sia come corpo che come spirito: Affinché siano uno come noi siamo uno (Gv 17,22).
Secondo s. Agostino, la materia dell’Eucaristia è un simbolo di quest’unione, come infatti il pane viene fatto dalla macinazione di molti chicchi di frumento, e il vino di molti acini d’uva, ugualmente per mezzo della s. Comunione si forma di tutti i cristiani un corpo animato da una sola anima. È possibile che per questo motivo i nostri Padri nella fede hanno dato a questo Sacramento il nome di cospersio, che significa aspersione. Perché come per mezzo dell’acqua che impasta la farina riunisce in uno stesso pane i grani di frumento macinati da cui è ricavata la farina, è per mezzo del sangue di Cristo, dal quale i fedeli sono aspersi, che sono riuniti in un solo corpo, e, per servirmi della stessa espressione di s. Paolo, in un medesimo pane: Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane (1Cor 10,17). Da questa unione così stretta, s. Paolo conclude con l’obbligo che tutti i credenti hanno di amarsi reciprocamente. Poiché voi siete un corpo animato da uno stesso spirito – dice agli Efesini – poiché voi non avete che un battesimo, una fede, un Padre, un Signore, un Dio, una speranza, abbiate cura di conservare l’unione dei sentimenti per mezzo del vincolo pace (Ef 4,3-5). S. Giovanni Crisostomo da là prende spunto per inveire contro le guerre e le divisioni tra i fedeli. «Cosa strana – dice questo Padre (Hom. VIII, in Epist. a Rom.) – i ladri non si fanno temere da coloro con cui mangiano insieme: la stessa mensa li cambia talmente che quelli che per gli altri sono delle belve feroci, diventano dolci agnelli per i compagni di mensa. E noi invece che pur mangiamo alla stessa mensa, siamo poi armati l’uno contro l’altro!»
6. Per la manducazione di questo pane celeste, noi entriamo in comunione con gli angeli. Seguendo la spiegazione di Cornelio a Lapido, il dotto interprete della Sacra Scrittura, quando s. Paolo dice che Dio ha riunito in Gesù Cristo le cose del cielo e quelle della terra (Ef 1,10), vuole dire che per mezzo di Gesù Cristo gli angeli e gli uomini sono diventati fratelli e coeredi della medesima eredità. Ma, dice Alberto Magno, è per mezzo della s. Comunione che si realizza questa unione e riporta due motivazioni a ciò: la prima, ricevendo questo Sacramento, noi ci sediamo all mensa degli angeli per prendere lo stesso nutrimento. È vero che gli spiriti beati mangiano questo pane celeste senza veli e mescolanze, mentre gli uomini si nutrono del Verbo eterno unito alla sua santa umanità e nascosto sotto le specie sacramentali, ma, in fin dei conti, gli uni e gli altri si nutrono dello stesso Verbo.
La seconda ragione è che per mezzo della s. Comunione noi acquistiamo il diritto di essere un giorno associati agli angeli nella gloria e di riempire i posti lasciati vuoti dagli angeli ribelli. Perché «nessuno sale al cielo se non colui che è disceso dal cielo» (Gv 3,13), cioè il Figlio Unigenito di Dio, e così per salire al cielo occorre essere unito a Lui, come membra del corpo con il loro capo, e quest’unione è effetto proprio dell’Eucaristia.
È in virtù di questo vincolo che gli angeli hanno tanto amore per gli uomini, vegliano con cura sulla loro condotta, e custodiscono accuratamente le ceneri di coloro che nella loro vita si sono comunicati, fino alla risurrezione dei loro corpi come ci assicura s. Giovanni Crisostomo (de Sacerd., lib. VI); essi piangono amaramente la caduta dei giusti come afferma il profeta Isaia (cf Is 33,7) e gioiscono per la conversione dei peccatori, come il Signore stesso ci dice (cf Lc 15,7). Quale amore, quale riconoscenza dunque dobbiamo avere per il Figlio di Dio?
7. Ora non ci resta altro che spiegare come l’Eucaristia ci ispiri sentimenti di carità per tutti gli uomini, persino per i pagani e gli eretici che non partecipano di questo Sacramento.
Io dico che questo avviene in quanto l’Eucaristia ci comunica l’amore per Gesù Cristo e ci eleva alla dignità di figli di Dio, e il cui regno non può avere altri confini che quelli dell’universo: lo zelo della sua gloria ci deve spingere ad agire perché questi ribelli rientrino nei loro doveri, e perché siano dissipate le tenebre dei loro errori, affinché riconoscano e adorino il loro legittimo Re.
È proprio poi dei figli di Dio il fare del bene a tutti. Perché come è proprio di Dio, infinita e somma bontà, di trovare, non nelle persone che ama, ma in Se Stesso il motivo di amarle e ricolmare di beni quegli stessi che sono indegni di riceverli. È dovere dei figli di Dio quello di rassomigliare al loro Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sui peccatori come sui giusti (Mt 5,45), d’imitare la sua condotta e così beneficare i nemici e i loro cari: Amate i vostri nemici, beneficate coloro che vi fanno del male… affinché siate simili al Padre vostro che fa sorgere il suo sole sui peccatori come sui giusti (Mt 5,45-46).
8. È così che l’Eucaristia stabilisce in tutti i cuori il regno della perfetta carità che lo stesso Sacramento comunica in modo differente e personale, secondo come si amano gli altri e come siamo amati dagli altri. Per mezzo della s. Comunione Dio ci ama come suoi cari figli e noi l’amiamo come nostro Padre; lo Spirito Santo ci ama come il corpo che Lui anima e noi l’amiamo come l’anima del nostro corpo; Gesù Cristo ci ama come sue membra e noi l’amiamo come nostro Capo; la Santa Vergine ha per noi tenerezza di Madre e noi abbiamo per lei affetto di figli; tutti i santi, tutti i fedeli si amano reciprocamente con affetto fraterno; gli angeli ci guardano come loro concittadini e noi li consideriamo ugualmente;; infine noi concepiamo per i pagani, per gli eretici, per i peccatori, per tutti gli uomini gli stessi sentimenti di affetto che Dio Padre e che Gesù Cristo hanno per loro.
Oh come è giusto che il Sacramento dell’Eucaristia porta il nome di Sacramento dell’amore! Ma che vantaggio per noi tutti questi differenti amori. Dio prende in mano i nostri interessi come nostro Padre, Gesù Cristo come nostro Capo, la Santa Vergine come nostra Madre, gli angeli e i santi come nostri fratelli. Com’è dolce amare Dio, amare lo Spirito Santo, Gesù Cristo, la Santa Vergine, gli angeli, i santi e di essere reciprocamente amati! Quale gloria infine ci viene da così tante e illustri alleanze! La gloria dei santi e degli angeli si riflette sui loro fratelli, quella di Gesù Cristo sui suoi membri, e quella di Dio stesso sui suoi figli. Gloria dei vecchi sono i figli dei figli, onore dei figli i loro padri (Pr 17,6).
PARTE PRIMA – CAPITOLO QUINTO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di conservaci la vita che ci ha donato
1. Abbiamo un obbligo infinito con il Salvatore di averci donato una vita così eccellente. Ma, purtroppo, è facile perderla e, come s. Paolo ci avverte, è un prezioso tesoro che noi portiamo in vasi di creta (2Co 4,7) ben fragili. Quanti nemici, tanto industriosi quanto potenti fanno di tutto per distruggercela? La concupiscenza, il mondo, il demonio congiurano contro di noi.
La concupiscenza ci dà una fortissima tendenza verso i beni che passano; il mondo fa luccicare ai nostri occhi tutto ciò che più è capace di sedurci; il demonio che esercita una specie di imperio sulla concupiscenza e sul mondo, si serve delle inclinazioni corrotte dell’una e delle attrattive ingannatrici dell’altro per distruggere l’amore di Gesù Cristo nei nostri cuori e per farvi regnare al suo posto l’amore disordinato per le creature.
Esposti a tanti pericoli, agitati da tante guerre domestiche e esterne, divisi al di dentro, assediati all’esterno, attaccati continuamente da tanti nemici che cospirano a distruggerci la vita dell’anima, ahimé! A chi possiamo ricorrere? A Gesù Cristo nell’Eucaristia. Voi troverete in questo Sacramento delle forze e delle armi per resistere a tutti questi nemici e per vincerli.
Ricordatevi di quel pane misterioso che, cadendo da una montagna sul campo dei Madianiti, distruggeva completamente la loro armata (cf Gdc 7,13). È questa una figura dell’epoca di Gedeone, ma è anche una delle virtù del pane eucaristico. Ascoltate il Sapiente che annuncia che Dio nutrirà il suo popolo di un pane e di un vino di saggezza che lo renderà irremovibile nella pratica del bene, è del corpo e il sangue di Gesù Cristo che intendeva parlare: Lo nutrirà con il pane dell'intelligenza, e l'acqua della sapienza gli darà da bere. Egli si appoggerà su di lei e non vacillerà, si affiderà a lei e non resterà confuso (Sir 15,3-4; cf Pr 9,5). Ma credete soprattutto al Figlio di Dio che vi promette che mangiando l’Eucaristia diventerete immortali: Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno (Gv 6,58).
Dopo tutto questo, di che cosa abbiamo paura? «Non dubitate affatto – dice s. Cipriano (Serm. de Nat.) – l’Eucaristia vi farà trionfare sul mondo, sull’inferno e su voi stessi».
2. Occorre ammettere che nulla è più capace di farci perdere la grazia, che questa imperiosa legge delle mie membra totalmente opposta alla legge dello spirito (cf Rm 7,14-25) e che quell’importuna spina nella carne non ha risparmiato il grande Apostolo (cf 2Cor 12,7); che quella violenta passione che ci attira, malgrado noi stessi, verso il male, è la concupiscenza, funesto frutto del peccato originale. Ma dopo tutto, consoliamoci, abbiamo infatti nell’Eucaristia un sovrano rimedio per moderare la concupiscenza, per assopire la vivacità delle nostre passioni e per guarire la corruzione con cui il peccato originale ha infettato la natura umana.
«L’ignoranza nel capire – dice Angelo de l’Ècole – la freddezza nella volontà, il disgusto dei beni spirituali nell’appetito concupiscibile, e nell’irascibile, la difficoltà nel praticare le virtù sono la triste eredità degli sventurati figli di Adamo peccatore. Ma il frutto benedetto del seno di Maria, il corpo e il sangue di Gesù Cristo, libera coloro che se ne nutrono, da tutte le maledizioni che il nostro primo padre ci ha attirato mangiando il frutto proibito. Quando il Salvatore entra in noi – dice questo santo Dottore – fa qualcosa che assomiglia a ciò che fece Eliseo quando risuscitò il figlio della Sunnamita (cf 2Re 4,32). Il profeta mise i suoi occhi, la sua bocca, le sue mani sugli occhi, sulla bocca, sulle mani di quel piccolo corpo freddo per la morte e subito un calore vitale si sparse per tutte le membra riportando la vita dove aveva regnato la morte. Ugualmente, quando noi riceviamo la s. Comunione, il Salvatore si applica alle nostre anime, come un sigillo sulla cera: Egli mette i suoi occhi sui nostri, cioè Egli rischiara il nostro intelletto; Egli spande nel nostro corpo un calore vivificante, quando abbraccia la nostra volontà con gli ardori del suo amore divino; Egli mette la sua bocca sulla nostra, quando ci fa gustare a nostra memoria, le dolcezze dei piaceri spirituali, ed Egli mette le sue mani sulle nostre, quando ci dona la forza e il coraggio di praticare ogni sorta di opere buone.
3. Vedete da ciò quanto sia efficace la s. Eucaristia per attenuare la concupiscenza, la cui forza consiste o nelle tenebre con cui offusca il nostro spirito, o del piacere con cui essa seduce il nostro cuore. Essa ci acceca, ci incanta e ci sottomette così al suo impero. Ma il Sacramento dell’Eucaristia dissipa queste tenebre con la sua luce e con le celestiali delizie che ci fa gustare, ci fa disgustare dei piaceri sensuali e ci libera dalla tirannia delle nostre passioni. È questo che i Padri ci insegnano in diversi luoghi. «La luce che Gesù Cristo spande nelle nostre anime per mezzo della s. Comunione supera quella del sole – dice s. Giovanni Crisostomo – con il vantaggio che, lontano da essere oscurato dalle tenebre e di essere seguito da una buia notte, Essa risplende in mezzo alle tenebre. Ma Essa è simile al sole in quanto ci fa vedere le cose così come sono effettivamente. Durante la notte – dice il santo – uno scambia una corda per un serpente, e un amico per un nemico; si fugge da chi abbracceremmo se lo conoscessimo e si trema per il più piccolo rumore. Ma quando il sole è levato vediamo ogni cosa distintamente e tutte le vane paure svaniscono. Ugualmente, quando le passioni ci accecano, noi prendiamo il cattivo per il buono e il buono per il cattivo, non vediamo altro male che la povertà, la malattia e la morte. Ma quando riceviamo Gesù Cristo e questo divino Sole di giustizia (cf Lc 1,78) rischiara le nostre anime, tutto cambia volto: la morte non è più una morte per noi, ma un dolce riposo; la povertà e la malattia non sono più dei mali, ma dei mezzi per raggiungere l’eterna felicità». Ciò che riesce a disarmare completamente la concupiscenza, è il disgusto che l’Eucaristia ci comunica verso tutti le voluttà sensuali. S. Cipriano ( Serm. de Cœna Domini), dopo aver parlato dei dolci lamenti che i fedeli spargono e de iteneri sospiri ch’essi emettono durante la s. Comunione; dopo aver parlato di come questi lamenti sorpassano in dolcezza la rugiada del mattino e la delizia del nettare, aggiunge: «Coloro che devono di questo calice desiderano ancora di berlo, e tutti i loro desideri sono rivolti verso Dio e hanno un disgusto per tutto il resto; essi aborriscono come fiele e aceto i banchetti dei peccatori e i piaceri disordinati della carne».
4. Ciò che rende temibile il mondo – dice s. Agostino – sono le sue promesse e le sue minacce, le sue carezze e le sue persecuzioni. Ma Gesù Cristo, che ne ha gloriosamente trionfato, ci insegna nella s. Comunione l’arte di vincere e ce ne dona la forza. Testimoniano questo i martiri illustri che hanno generosamente rifiutato tutto ciò che il mondo ha di più attraente e di terribile. Era uno spettacolo degno di ammirazione vedere – durante i tempi della persecuzione della Chiesa – di vedere un giovane nobile, nel fiore della gioventù, favorita dalla natura e dalla fortuna, una Agnese, una Caterina e tanti altri, rifiutare le alleanza più illustri e affrontare i più orrendi supplizi; di vedere un padre con i famigliari e i suoi amici, tutti addolorati e prostrati ai suoi piedi che la scongiurano con tutto ciò che la natura e l’amicizia hanno di più tenero e di più toccante, di non andare al martirio abbandonandoli, levarsi con lo sguardo deciso e con un’aria tranquilla, salire sul luogo dell’esecuzione. Vedere una giovane abituata a dormire su letti di rose, sollecita nei piaceri della vita di corte e poi sdraiata su dei bracieri ardenti, torturata da un carnefice impietoso, rimanere ferma nella fede, senza essere per tutto questo più toccata di come avesse un cuore di marmo e un corpo di ferro. Da dove proveniva una così prodigiosa perseveranza? Da una bevanda meravigliosa – rispondono i Padri –, dal sangue di Gesù Cristo che la Chiesa dona loro da bere per disporli a questi rudi combattimenti. «Quando si beve al calice che la Chiesa presenta ai fedeli – dice s. Giovanni Crisostomo (In Ps. XXVIII), si è talmente posseduti e presi dall’amore di Gesù Cristo, che i martiri sembrano avere dimenticato ciò che avevano di più caro al mondo. I padri non riconoscevano più i loro figli, né i figli i loro padri». S. Agostino (In Ps. LXXVIII e XXXV) disse la stessa cosa in termini simili: «Si può – si domanda questo santo – un uomo più fuori di sé di colui che disconosce suo padre, sua madre, i suoi figli e la sua donna tutta lacrimante? I martiri li avevano davanti ai loro occhi e non li vedevano affatto. Non siatene affatto sorpresi: essi avevano bevuto al calice che inebria di santità: Poiché nella mano del Signore è un calice ricolmo di vino drogato (Sal 75,9; cf 23,5). Ammirate il coraggio di s. Lorenzo disteso su una griglia rovente, questo è – dice ancora lo stesso Padre – effetto dell’Eucaristia. Fortificato dalla carne di Gesù Cristo, inebriato dal suo sangue, Lorenzo era come insensibile ad un così crudele tormento. Ammirate la fermezza d‘animo di un s. Vincenzo martire, è la s. Comunione che l’ha reso possibile. Con lo spirito, felicemente inebriato a questo calice – dice ancora s. Agostino – Vincenzo si presenta con coraggio davanti al tiranno, e si fa beffe con sicurezza della sua rabbia e delle sue minacce; ma è per la confidenza che aveva nel sangue di Gesù Cristo, fornito delle sue armi spirituali per combattere, egli si considera invincibile e vittorioso su tutti i supplizi che il furore del tiranno potesse suggerire contro di lui».
Infine tutti i fedeli erano così ben persuasi della virtù che ha l’Eucaristia di fortificare e dare coraggio, che al tempo delle persecuzioni, la custodivano presso di loro per essere facilitati a comunicarsi quando correva il rischio di essere condotti davanti al tiranno. Per la stessa ragione, s. Cipriano (Epist. LIV) voleva che si abbreviassero i tempi delle penitenze inflitte ai penitenti, nei tempi di pace per la Chiesa, perché potessero accostarsi presto alla sacra mensa anche se non avessero adempiuto pienamente alla penitenza che era stata loro imposta. «Perché – diceva questi – se un domani saranno presentati davanti al carnefice o desidereranno lasciare tutto per andare nel deserto avranno comunque bisogno di coraggio e chi lo darà loro se non l’Eucaristia? Nessuno potrebbe subire il martirio se la Chiesa non gli fornisse le armi per combattere e il cuore viene a mancare se il sangue di Gesù Cristo non lo sostiene. Di più, Nostro Signore ci proibisce di pensare cosa dovremo dire quando saremo consegnati ai nostri nemici e ci assicura che lo Spirito del Padre nostro celeste si suggerirà cosa di re e parlerà per noi (cf Mt 10,19-20). Come si potrà dunque essere disposti a confessare il Suo nome, se non si riceve, comunicandosi, quello Spirito che ci fortifica e che deve parlare e testimoniare la fede in noi?».
5. Grazie al cielo noi non abbiamo più da temere tiranni pagani, ma il mondo sarà sempre il persecutore irriconciliabile delle persone buone: sarà sempre il loro tiranno e carnefice, che cerca nuovi modi di inveire su di esse. D’altronde di quante altre miserie questa infelice vita è piena! Volete sopportare tutti questi mali con coraggio? Mangiate il corpo di Gesù Cristo, bevete il suo sangue, fatevi forti di questo pane celeste, e oserei dire, ubriacatevi di questa divina bevanda e potrete soffrire tutte le afflizioni di questo mondo con una pazienza simile a quella dei primi cristiani con cui sopportavano le persecuzioni, le ruote e i carboni ardenti. Lo stesso Salvatore che ha sparso il suo sangue sulla Croce, per donare ai martiri la forza di versare il loro, offre ogni giorno un sacrificio non cruento per noi sugli altari per sostenerci nel martirio non cruento che le persecuzioni del mondo, che le afflizioni del presente, le povertà, le malattie e i disprezzi ci causano. L’Eucaristia ci dona coraggio e armi per vincere i nostri nemici, ma Essa non ci dispensa dal combattere: Essa li vince, ma non li distrugge completamente. Gesù Cristo ci fortifica nelle sofferenze, ma non vuole esentarcene. Per questo l’Eucaristia non rende i martiri invulnerabili né insensibili, ma li rende vittoriosi in mezzo ai più terribili tormenti.
6. Il demonio è il terzo nemico che con astuzia e aggressività cerca di strapparci la vita dell’anima. Ma oltre che indebolire le passioni e assoggettarle, resistere alle lusinghe e alle persecuzioni del mondo, la s. Eucaristia ci mette al riparo anche dalle frecce più velenose. «Tu hai, Signore – disse un giorno Davide – Tu hai preparato un mensa per difendermi dai miei nemici» (Sal 23,5). S. Giovanni Cristostomo, dopo essersi chiesto chi sono i suoi nemici, risponde: «Sono le suggestioni del nemico, le passioni, i piaceri e gli onori del mondo; tutto ciò che porta turbamento. Per questo tutti coloro che vivono nel mondo esperimentano la tentazione della carne. Ma quando ci si siede alla mensa del principe e si considera ciò che ci viene servito e di cui ci nutriamo con timore e rispetto, le tribolazioni si cambiano in consolazione. Questa mensa placa i turbamenti dello spirito, per far spazio alla dolcezza della pace». «Entriamo – dice altrove questo Padre – entriamo coraggiosamente nel combattimento, noi abbiamo delle armi più brillanti dell’oro, più penetranti del fuoco e più leggere delle piume. Quali sono? È la mensa che il Signore ci ha preparato e dove ci ha fatto sedere con Lui, perché rinfrancando le nostre forze, possiamo sconfiggere i nostri nemici. Se il sangue dell’agnello pasquale con cui gli Israeliti avevano intinto le loro porte, li preservava dalla spada dell’angelo sterminatore. Molto più il sangue di Gesù Cristo, di cui il sangue dell’agnello pasquale era solo una figura, ci difenderà dal demonio!». Egli ripete lo stesso concetto in diversi luoghi. Ora dice che il sangue di Gesù Cristo mette in fuga il demonio, ora che la s. Eucaristia ci rende coraggiosi come leoni. «La ragione è – afferma s. Pier Damiani – che il demonio, riconoscendo nel sangue di cui sono bagnate le labbra dei cristiani, il marchio della sua sconfitta e lo strumento di cui il Signore si è servito per vincerlo e incatenarlo, non può sostenerne la vista senza tremare e senza fuggire via, similmente a quei schiavi che, alla vista delle verghe con cui sono stati battuti, tremano di paura e si impegnano nel fare il loro dovere».
7. Così, anime sante che vi comunicate spesso, dite arditamente, sull’esempio di s. Paolo: «Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,35-39), cioè di quell’amore che Gesù Cristo mi ha comunicato nella s. Comunione.
Quanto a voi, anime mondane che vi comunicate raramente, io non sono affatto sorpreso che voi, dopo aver ricevuto la vita della grazia, la perdete così facilmente. Come potete, infatti, senza ricorrere alla s. Eucaristia, resistere alla concupiscenza che vi trascina, al mondo che vi attira, al demonio che vi attacca? Imparate da s. Cirillo che tutti coloro che, dopo essere stati rigenerati dal battesimo, vengono raramente in Chiesa e, sotto pretesto di pietà e di religione, rifiutano di ricevere Gesù Cristo, s’allontanano dalla vita eterna. Imparate da s. Giovanni Crisostomo che è pericoloso comunicarsi con tiepidezza e di preferire la morte piuttosto che astenersi dal banchetto mistico e che questa astinenza è la perdita mortale dell’anima. Oh! com’è vero mio Salvatore, che si allontana da Te, perisce (Sal 73,27)! Noi non possiamo dubitarne perché Tu stesso ci hai detto: «Se voi non mangiate la carne del Figlio dell’uomo, e se voi non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,54). E, in verità, se noi perdiamo questa vita soccombendo agli attacchi dei nostri nemici, siamo assolutamente inescusabili? Questo perché siamo molto facilitati ad essere vincitori in quanto «per vincere e per essere coronati, non occorre altro – dice s. Giovanni Crisostomo – che mangiare», e mangiare – posso io aggiungere – un cibo così delizioso qual è la s. Eucaristia.
PARTE PRIMA – CAPITOLO SESTO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di rinnovare le forze della nostra anima quando esse si affievoliscono nel cammino della virtù
1. La vita della grazia ha le sue debolezze, i suoi languori e le sue malattie come avviene nella vita naturale. Oh! come è difficile essere uniti così strettamente ad un corpo corruttibile, senza risentirne della sua corruzione! Come è difficile avere contro un così grande numero di nemici e non perdersi mai di coraggio; combattere sempre, senza mai essere feriti; essere notte e giorno in stato di allerta senza mai addormentarsi nemmeno per un momento! Come è difficile remare continuamente contro la corrente delle proprie passioni, senza mai cedere alla loro violenza. Ahimé! noi lo esperimentiamo continuamente: la nostra vita è una perpetuo avvicendarsi di bene e di male. Ora si avanza nel cammino delle virtù, ora si indietreggia; oggi il fervore ci trasporta e domani languiamo nella tiepidezza. Il vero rimedio a tutte queste miserie è la s. Comunione.
2. In effetti la causa più ordinaria dei nostri rilassamenti sono i peccati veniali. Quantunque queste leggere ferite non uccidono l’anima, esse la indeboliscono e la rendono molle e pigra. Ma, secondo il Concilio di Trento, l’Eucaristia è un eccellente mezzo per cancellarli, Essa è un vaccino che ci preserva dal peccato mortale e ci libera dai peccati veniali. S. Giovanni Crisostomo ci insegna la stessa cosa in termini pressoché uguali. Egli paragona questo genere di peccati a dei vermi o a dei piccoli serpenti che mordono e rodono il cuore; e paragona il sangue di Gesù Cristo ad una bevanda salutare che li fa morire: «Se volete raggiungere la santità – dice questi – prendete la bevanda che uccide tutti i vermi e tutti i serpenti. Qual è questa bevanda? È il prezioso sangue di Gesù Cristo: esso ha il potere di far guarire da tutte le malattie, ma occorre prenderla con fiducia».
3. È forse la durata del combattimento che si deve sostenere contro un nemico infaticabile, che vi fa infastidire e stancare? È la violenza che occorre avere, senza rilassarsi mai, contro le proprie passioni, che vi fa perdere di coraggio? Ricorrere – dice s. Lorenzo Giustiniani – all’Eucaristia; Gesù Cristo l’ha istituita per rinnovare le vostre forze e rianimare il vigore della vostra anima: «I generali d’armata – dice questo santo – quando si dispongono a combattere i loro nemici, hanno cura di provvedere che ci siano degli ambulatori per i propri soldati che stanno al fronte, perché possano rinfrancarsi e farsi medicare le proprie ferite. Ugualmente, Gesù Cristo ha fatto preparare, per coloro che combattono sotto il suo stendardo, dei luoghi di sicurezza dove essi possano rifugiarsi. Dopo essersi ristabiliti nelle loro forze e guariti dalle loro ferite, ritornano sul campo di battaglia con più coraggio. Questi luoghi di sicurezza sono i diversi Sacramenti. I deboli lì trovano la forza, i timidi il coraggio, e i vinti la confidenza per ricominciare a combattere. Se qualcuno fosse stato infettato dal veleno del demonio o colpito dalla malattia del peccato, troverà nella Confessione un rimedio sovrano. Ma se qualcun altro languisce sfinito, così affaticato dalla lotta e cerca di rinfrancarsi e fortificarsi, riceva con fede e ferma speranza il corpo di Gesù Cristo e subito riprenderà nuovo vigore.
4. È probabile che siano le occupazioni esteriori e le preoccupazioni degli affari, che dissipano il vostro spirito e che vi derubano la vista di Dio e il pensiero per la vostra eterna salvezza. Avvicinatevi alla sacra mensa. Questa sorte di luce – come dice s. Giovanni Crisostomo – vi rischiarerà, vi farà rientrare in voi stessi, vi presenterà davanti agli occhi il più importante dei vostri affari e vi ricorderà la presenza di Dio. L’Eucaristia – dice s. Efrem ( Serm. de Jud. et comp.), è una fontana la cui acqua ridona la vista come quella di Siloe dove il Signore inviò il cieco nato a lavarsi. Servitevi dunque, comunicandovi, della bella preghiera di questo santo: «Signore, le tue parole hanno aperto gli occhi ad un cieco nato, Tu hai fatto un grande miracolo alla piscina di Siloe, ridando ad un cieco, con la vista de corpo, la vista dello spirito, giacché dopo confesserà pubblicamente che Tu eri il suo Guaritore, il suo Salvatore e il suo Dio. Degnati, Signore, di aprirci, come a lui, gli occhi delle nostre anime, perché possiamo compiere con ardore la tua volontà. Noi siamo lontani, in verità, dalla piscina di Siloe, ma abbiamo il calice del tuo adorabile sangue, colmo di amore e di vita. Dateci, per mezzo di questo calice, la luce di comprendere ciò che ci è necessario per avvicinarti a Te con fede e ardore».
5. L’aridità in cui vivere come in un luogo deserto, può essere la causa del vostro rilassamento. Annoiati di vivere senza piaceri e dolcezze, vi perdete di coraggio e, abbattuti dai languori, a compensazione di quanto Dio vi rifiuta, cercate un po’ di consolazione dalle creature. Ricordatei di quello che accadde al profeta Elia (1Re 19,3ss). Egli fuggiva dalla crudele Gezabele e, dopo aver vagato in una deserto orribile senza nessun ristoro, stanco del cammino, spossato dalle forze, si coricò per terra per riposarsi un po’. Non è questa una viva immagine dello stato in cui vi trovate? Che farete per uscirne fuori? Il resto della storia ve lo spiegherà. Appena il profeta si addormentò, un angelo lo svegliò e gli gridò: «Alzati e mangia». Egli obbedì e subito mangiò un pane cotto sotto la cenere che trovò vicino alla sua testa, le forze gli ritornarono e ammirerà senza sforzo fino al Monte Oreb. A voi anime debilitate e sfinite, dico: Alzatevi, prendete e mangiate il corpo di Gesù Cristo, di cui il pane di Elia non era che una figura, vi sentirete fortificati e camminerete a grandi passi sui sentieri della virtù e vi eleverete alla più sublime perfezione dell’amore rappresentata da questo monte il cui nome significa «Visione di Dio». È vero che il profeta dopo aver mangiato la prima volta questo pane, ricadrà nel suo assopimento, ma l’angelo gli ordinerà di mangiarne nuovamente, per farvi capire che se una s. Comunione non è sufficiente a rinfrancare perfettamente il vostro cuore, dovete ripeterla finché non avrete ritrovato il vostro primitivo fervore. Alzatevi, dunque, ancora una volta: mangiate, perché avete un bel cammino ancora da fare per raggiungere quella perfezione nell’amore a cui Dio vi chiama: Alzati, mangia, devi fare ancora molta strada.
6. La libertà che voi avete dato ai vostri sensi, la gioia dei piaceri troppo naturali e dei divertimenti troppo umani che voi avete accordato al vostro cuore, hanno diminuito l’ardore del vostro amore per Dio: non scoraggiatevi per nulla, rinunciate al più presto a tutte queste cose e ricorrete alla s. Comunione. Quel carbone ardente che prese un serafino sull’altare (cf Is 6,6) era – secondo il sentimento dei Padri – un simbolo dell’Eucaristia: «Un carbone – disse s. Giovanni Damasceno (De fide, lib. IV, 4), non è semplicemente del legno, è un legno penetrato dal fuoco. Ugualmente, il pane eucaristico non è affatto un pane comune, ma un pane in cui si trova ad essere presente la divinità. Noi la mangiamo affinché siamo infiammati dal desiderio di amare Dio e affinché il fuoco divino che sgorga da questo misterioso carbone ardente consumi i nostri peccati, rischiarti i nostri cuori, avvolga le nostre anime fino a trasformarle in Dio». S. Efrem (De natur. Dei non serv., c. 5) aggiunge che Gesù Cristo, donandoci il suo corpo e il suo sangue, «ci dona da mangiare e da bere del fuoco». L’espressione è un po’ forte, ma essa rimarca molto bene come la virtù propria dell’Eucaristia è quella di eccitare i nostri cuori in fervorosi affetti.
7. Infine, da qualunque causa derivi il vostro rilassamento, la vostra debolezza e ogni malattia della vostra anima, troverete nell’Eucaristia un rimedio universale ed efficace per chi desidera sinceramente guarire. Voi sapete che in mezzo al paradiso terrestre c’era un albero chiamato albero della vita, perché i suoi frutti avevano i potere di conservare in vita e di ristabilire la salute quando cominciasse ad alterarsi. Non rimpiangiamo affatto questo bell’albero che, dopo tutto, non serviva che alla vita corporale. Gesù Cristo, secondo s. Agostino, è un albero di vita piantato in mezzo alla Chiesa per produrre nell’anima quegli effetti che l’altro albero non produceva che sui corpi. E, se come dice Salomone, la sapienza è un albero di vita per chi la possiede (Pr 3,18) che sarà allora Gesù Cristo che è la sapienza incarnata? Avvicinatevi dunque a questo albero, cogliete e mangiatene il frutto, ricevete l’Eucaristia. Se siete malati, Essa vi renderà la salute, se siste deboli vi ridarà le forze, se molli vi ridarà il coraggio; in una parola, dopo aver distrutto in voi i vecchio Adamo, Essa vi comunicherà una nuova giovinezza che rinnoverà in voi l’uomo interiore e vi stabilirà, per la pratica e l’imitazione perfetta delle sue virtù, il regno del nuovo Adamo, che è Gesù Cristo: Rinnovi come aquila la tua giovinezza (Sal 103,5).
8. «In effetti – dice s. Bernardo (Serm. XIV in Cant.) quando lo Sposo celeste entra nell’anima fedele, subito la risveglia e come Lui è vivo e operante, la trae dal profondo sonno nel quale era immersa. La ferisce per guarirla, la penetra, e foss’anche più dura del marmo, l’intenerisce, sradica le sue cattive abitudini e, dopo aver distrutto le sue inclinazioni disordinate, la riempie delle sue virtù. Se il suo cuore è arido, lo bagna dell’acqua della sua grazia, se è nelle tenebre, lo rischiara, se è chiuso lo apre, se è freddo lo riscalda, se è storto lo raddrizza. È di questo pane – dice s. Ambrogio parlando degli effetti dell’Eucaristia – che è scritto: «Ecco, perirà chi da te si allontana» (Sal 73,27). Se voi ve ne allontanate, morite; ma se voi lo usate, vivrete. È il pane della vita, colui che ne mangia non muore, come può infatti morire chi si nutre della vita? Come può cadere in debolezza he possiede questa sostanza vivificante? Avvicinatevi, dunque, e saziatevi, giacché questo è un pane; avvicinatevi e bevete, giacché questa è una fonte; avvicinatevi e sarete illuminati, giacché è una luce; avvicinatevi e sarete liberati dalla schiavitù, giacché dove c’è lo Spirito di Dio, là c’è libertà (2Cor 3,17; avvicinatevi e sarete assolti, giacché è la remissione dei peccati. Voi mi chiedete cos’è questo pane? Vi risponde lui stesso: Io sono – dice il Salvatore – il pane della vita: colui che viene a Me non avrà più fame, e colui che crede in Me, non avrà più sete (Gv 6,35).
PARTE PRIMA – CAPITOLO SETTIMO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di farci crescere a poco a poco la vita spirituale e di elevarci, per gradi, alla perfezione dell’amore.
1. Il Salvatore ha inoltre il desiderio di elevarci, per mezzo del Sacramento dell’Eucaristia, alla più sublime perfezione dell’amore, ma non bisogna immaginare che questa sia opera di un giorno e che ci si arrivi in una sola s. Comunione. Egli agisce nell’ordine della grazia come nell’ordine della natura. I bambini non crescono che a poco a poco, nutrendosi spesso: così le anime avanzano nelle virtù in misura di come si nutrono di questo pane celeste. La vita spirituale ha come la vita naturale, diverse età e il Salvatore proporziona le sue operazioni allo stato in cui trova le persone che Lo ricevono. Egli è latte per i bambini, farmaco per i malati, e nutrimento solido per le anime perfette. Ma in qualunque stato voi siate, ordinariamente, è solo per gradi e per mezzo di frequenti s. Comunioni che Gesù Cristo corregge i nostri errori, e che ci comunica una alta santità.
2. «Quando – dice Esichio (In cant.) – noi siamo ammessi, non senza tremore, a questi divini e casti misteri di Gesù Cristo, nostro Dio e nostro sovrano Re degno di ogni rispetto, noi dobbiamo avere una grande modestia custodire accuratamente il nostro cuore, affinché questo fuoco divino, cioè il corpo e il sangue di Gesù Cristo, purifichi fino le più piccole macchie dei nostri peccati. Infatti, appena Egli viene a noi, bandisce lo spirito di malizia, ci rimette i peccati che sono nati in noi, e placa i nostri turbamenti e agitazioni. Se, in seguito, noi vegliamo alla porta del nostro cuore per custodirli, quando ci avvicineremo un’altra volta alla s. Comunione, questo divino corpo farà risplendere le nostre anime di grande splendore e le renderà come stelle del cielo». Vedete dunque come è importante per voi approfittare della grazia ricevuta nella s. Comunione al fine di ritornare alla sacra mensa, voi ne riceverete un’altra più eccellente della prima. Voi vedete, infine, che i maestri spirituali hanno ragione a dire che una s. Comunione ben fatta è la migliore delle disposizioni per ottenere maggior frutto dalla s. Comunione seguente.
3. S. Bernardo paragona ad un’ulcera la disgraziata tendenza verso i beni sensibili che abbiamo ereditato dai nostri progenitori, ma aggiunge anche che da questa pericolosa ulcera si guarisce a poco a poco attraverso le s. Comunioni. È nel Primo Sermone sulla Cena del Signore che egli parla così: «Io ve l’ho detto spesso, miei cari fratelli, e voi non dovete dimenticarvelo: il primo uomo cadendo ci ha trascinati con lui. Siamo caduti su un cumulo di pietre e nel fango, e cadendo così non ci siamo solo insudiciati, ma anche feriti e colpiti gravemente. Si può essere purificati in poco tempo, ma non dalle nostre ferite, per guarire occorre mettervi sopra dei medicamenti a diverse riprese. Il battesimo ci ha cancellato la sentenza della nostra condanna, ma chi potrà reprimere i movimenti impetuosi della nostra concupiscenza che rimane anche dopo il battesimo? Chi potrà assopire il prurito causato dall’ulcera? Abbiate fiducia, avete infatti un rimedio che dovrebbe rassicurarvi, è il Sacramento del corpo e del sangue del Salvatore. Esso ha due effetti: uno, quello di far diminuire l’attaccamento ai peccati lievi; l’altro, quello di impedire il consenso ai peccati gravi. Se dunque voi non sentite più in voi quei movimenti violenti di collera, d’invidia, d’impurità, e altri simili, ricordatevi di ringraziare Gesù Cristo: è la virtù del Sacramento del suo corpo e del suo sangue che agisce in voi, e gioite prevedendo che la pericolosa ulcera sarà ben presto guarita.
4. È per questo che i Padri si guardavano bene dall’allontanare dalla s. Comunione coloro che erano ancora bambini nella vita della grazia, ma li invitavano a mangiare questo pane celeste che li fa crescere in ogni genere di virtù. «Signore, – dice Eusebio in un’opera che si attribuisce a s. Girolamo – oh quanto sono grandi i tuoi benefici! quanto sono eccessivi! Tu non ti rifiuti che a chi non si avvicina a Te per negligenza. Se dunque qualcuno fosse ancora piccolo, venisse a Te e si nutrisse del tuo corpo e del tuo sangue, diventerà grande e ributtando le abitudini dell’infanzia, camminerà per la via della sapienza. Se qualcuno che è debole ricorresse a Te, sarebbe reso forte; se fosse malato, guarirebbe; e lo stesso, se fosse morto, e decidesse di ascoltarTi, troverebbe in Te una vita che non ha mai fine.
5. Inoltre, la s. Comunione perfeziona le virtù a misura che diminuisce le abitudini viziose, e dopo aver purificato a poco a poco le nostre anime, le fa risplendere di una più grande luce, e aggiunge qualche nuovo tratto di bellezza ogni volta che noi ci comunichiamo degnamente. Giacché l’Eucaristia produce sempre, nelle anime ben disposte, qualche nuovo grado di grazia santificante e fa crescere le virtù della fede, della speranza e della carità. In secondo luogo, Essa perfeziona i doni dello Spirito Santo. In terzo luogo, Essa aumenta le virtù morali e infuse: la prudenza, la fortezza, la giustizia, la temperanza, dalle quali nasce l’umiltà, la pazienza e la mortificazione cristiana. In quarto luogo, l’Eucaristia sollecitandoci con delle grazie attuali a produrre degli atti in tutte queste virtù, ce ne perfeziona presto l’abito spirituale rendendoci più facile l’agire virtuoso. Infine, essendo queste grazie attuali, in relazione all’intelletto, delle luci che ci svelano la bellezza nascosta di Gesù Cristo; e in relazione alla volontà, una dolce unzione che ci fa gustare la sua bontà, la gioia di cui l’anima è penetrata, la prepara e la dispone ad essere trasformata nella perfetta immagine di Gesù Cristo. Come una molle cera riceve più agevolmente l’immagine del sigillo che vi si applica sopra, così l’anima, come liquefatta per la dolcezza che sperimenta, si conforma più facilmente alle inclinazione del Figlio di Dio, e più Gli rassomiglia, più Lo ama e più è amata. È così che l’anima, ricevendo degnamente l’eucaristia, si eleva a poco a poco al supremo grado della perfezione dell’amore che consiste nella rassomiglianza con Gesù Cristo e nel possesso del santo amore.
6. In effetti, il più eccellente degli amori di questa terra – secondo s. Bernardo – è quello che si trova tra lo sposo e la sua sposa. Ora, è per mezzo dell’Eucaristia che l’anima si dispone a diventare perfettamente la sposa di Gesù Cristo. Questo celeste banchetto è, per così dire, il banchetto di nozze dell’Agnello: è grazie a questo amabile Sacramento che il Salvatore contrae con le anime la più casta e la più stretta di tutte le alleanze. Ma qual è la felicità di un’anima arrivata a questo sublime stato di perfezione dell’amore? È proprio quello che andiamo a spiegare.
PARTE PRIMA – CAPITOLO OTTAVO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è rendere gli uomini felici.
1. Tutta la felicità dell’umo consiste nell’amare Dio e il suo Unigenito Figlio, Gesù Cristo, e ad esserne reciprocamente amata. Più questo amore è perfetto, più la nostra felicità è piena. Poiché il fine dell’Eucaristia è quello di spingerci ad amare Dio e di renderci amabili ai suoi occhi, da ciò ne segue che il disegno nell’istituzione di questo adorabile mistero, è di renderci, in questo modo, tanto felici quanto possiamo essere. Tra gli amori umani, il più tenero e il più ardente, è senz’altro l’amore coniugale, Dio stesso lo ha rimarcato quando ha detto che l’uomo per stare con la sua donna, deve lasciare il padre e la madre (cf Gen 2,24; Ef 5,31). Ora, come noi veniamo a spiegare e come i santi Padri l’hanno insegnato, è questo la specie di amore che il Salvatore vuole stabilire tra noi e Lui, quando per mezzo del Sacramento dell’Eucaristia, Egli si unisce strettamente con le nostre anime tanto da renderle simili a Sé. S. Lorenzo Giustiniani chiama la s. Comunione «matrimonio spirituale dell’anima con Gesù Cristo»; e s. Efrem invita l’anima che si avvicina alla sacra mensa, a preparare il cuore a ricevere il suo Sposo immortale, ed essa celebra le sue nozze ricevendo il Sacramento celeste. Per cui, quando noi mangiamo il corpo e beviamo il sangue di Gesù Cristo, Egli dimora in noi e noi dimoriamo in Lui (cf Gv 6,56). Date quindi – continua questo santo – la vostra più grande attenzione quando vi comunicate e, per meritare l’onore di riceverLo, affrettatevi ad ornare di tutte le virtù il talamo nuziale del vostro cuore».
2. È giusto rimarcare qui ancora che il Figlio di Dio è l’unico Sposo della Chiesa e che ogni singola anima può definirsi giustamente, l’unica sua sposa. Questo perché come non c’è che un solo Gesù Cristo in tutte le ostie consacrate del mondo ed Egli è intero in ciascuna di esse, ugualmente il Salvatore, che è l’unico Sposo di tutta la Chiesa, si dona tutto intero a ciascuna anima santa, ciascuna lo possiede senza parti e senza diminuzioni. Il saggio Algero di Liegi che ha ben scritto su questo mistero, ci spiega la stessa cosa per un altra comparazione: «Quando si parla – dice questi – davanti ad una numerosa assemblea, ciascuno ascolta tutto quanto è stato detto come se si parlasse solo a lui, e benché l’oratore non dica che una volta sola ciascuna sua parola, essa si moltiplica così perfettamente che ogni ascoltatore non ne perde una sillaba, e per grande che sia la moltitudine degli uditori, nessuno ruba ad un altro una sola parola di quelle che sono state pronunciate. Ugualmente, quando i cristiani ricevono Gesù Cristo, che è il Verbo e la Parola del Padre eterno, ciascuno di essi Lo riceve tutto intero, senza che le grazie e le carezze ch’Egli fa ad uno diminuisca minimamente ciò che Egli comunica ad un altro. Ciascuno in particolare ne è colmo con tanta abbondanza di profusione, come se non vi fossero altri e ciascuna sposa possiede il suo Beneamato come se fosse ella sola a possederLo.
3. Ma qual è la beatitudine che nasce da questo possesso? «Scrivi – disse una volta un angelo a s. Giovanni – è Dio, è la verità stessa che parla: Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello (Ap 19,9)! Sì, beati, e mille volte più beati che si possiamo dire, le anime che Gesù Cristo eleva al rango di sue spose! Ah! degnati, Signore, di farmi comprendere qualcosa di questa loro felicità perché io non ometta nulla che possa contribuire a procurarmela.
Benché questa divina alleanza sorpassa infinitamente tutte le altre, tuttavia per avere almeno un’idea grossolana dei beni che essa racchiude, possiamo servirci di ciò che fa la felicità degli sposi umani. Sembra che quattro o cinque elementi concorrono a formarla: l’unione dei cuori, la comunicazione dei beni, la fecondità, le mutue attenzioni d’amore ed, infine, la gioia che risulta da tutto questo insieme. È molto raro di vedere nel mondo delle alleanza sponsali in cui questi elementi si riscontrano tutti, ma in quella che contrae Gesù Cristo con le anime sante, non solamente non ne manca uno, ma si trovano tutte alla loro massima perfezione.
4. L’unione mutua e l’amore reciproco, che come il vincolo di questa casta alleanza, è inspiegabile e incomprensibile. Come il Salvatore sorpassa il resto degli uomini, altrettanto, anche l’amore che Egli ha per le sue spose e le sue spose per Lui, sorpassa in tenerezza e ardore tutti gli altri amori coniugali. Lo Spirito Santo, amore sostanziale e infinito, ne è il principio; Gesù Cristo, il più bello tra i figli degli uomini (Sal 45,3), il più forte, il più glorioso, il più ricco, il più maestoso, il più saggio di tutti i re, il Creatore del Cielo e della terra, è l’oggetto dell’amore della sposa: l’anima santa, questa figlia di Gerusalemme senza ruga né macchia (cf Ef 5,27), ornata di tutte le virtù (cf Ap 21,2), immagine di Dio stesso, è l’oggetto dell’amore dello Sposo. Cosa si può desiderare di più per un perfetto amore?
5. La completa comunicazione dei beni segue questa unione, è proprio dell’amore è donarsi. Il proprio dell’amore coniugale è di rendere comuni tutti i beni che lo sposo e la sposa possiedono. Oh! quale ricchezza immensa, che tesoro inestimabile che l’anima fedele riceve dal suo Sposo divino! Egli le comunica la scienza e la saggezza di cui è ripieno, aumenta infinitamente le sue virtù, le dona il suo corpo, la sua anima, il suo spirito, la sua divinità e la sua stessa persona. l’associa alla sua eredità eterna, le dà il diritto di risuscitare un giorno con il suo corpo immortale e glorioso, le dona come suo il proprio Padre, come sua la propria Madre, tutti i suoi fratelli e amici perché siano anche i suoi fratelli e amici; la fa salire sul suo stesso trono per essere coronata con Lui; infine, le dona tutto ciò che Lui è e che possiede: Tutto è vostro! (1Cor 3,22). La sposa, da parte sua, si dona tutta intera al suo Sposo; lei Gli dona il suo corpo, la sua anima, tutti i suoi sensi, tutte le sue facoltà e Gli restituisce con amore e riconoscenza tutto quello che aveva ricevuto da Lui: Ma voi siete di Cristo (1Cor 3,23). Tutti i doni soprannaturali che l’anima possiede in questo stato, sono come il germe e il seme degli atti più eroici delle più eccellenti virtù che lei pratica con altrettanto piacere e facilità, ma sempre secondo le intenzioni del suo Sposo, cioè per la gloria di Dio suo Padre: E Cristo è di Dio (Ib.). Ed è nell’esercizio di queste sublimi virtù che consiste la beata fecondità, e nei frutti tutti celesti di questa pura e casta alleanza.
6. Aggiungete a tutto questo la cura attenta di questo amabile Sposo per la sua sposa, e lo zelo di questa fedele sposa per l’onore del suo Sposo divino. Gesù Cristo conduce e governa questa anima con tanta attenzione e cura come se non avesse altro che lei al mondo: la istruisce sui suoi doveri, le insegna ciò che deve amare e ciò che deve odiare, ciò che deve evitare e ciò che deve ricercare. La libera dalle occasioni pericolose in cui potrebbe incorrere, e le svela gli inganni del demonio, la difende e la fortifica quando lo spirito cattivo l’attacca. La consola nelle sue afflizioni, la sostiene nelle sue debolezze, la spinge e la risolleva dalle sue tristezze e abbattimenti. Infine, è tutto occupato per ogni sua cosa e lavora continuamente a renderla felice. Il Salvatore estende la sua provvidenza su tutte le creature, ma le sue cure e i suoi interessamenti sono per le sue spose, dice s. Bernardo. L’anima santa, da parte sua non si applica che a procurare della gloria al suo Sposo, non pensa che ad accontentare i suoi desideri e a soddisfare le sue inclinazioni. Lei Lo benedice, Lo ringrazia, Lo adora, esalta al massimo le sue grandezze per farle amare da tutti gli uomini, spesso ella invita perfino le creature insensibili, a far risuonare delle sue lodi tutto l’universo. In una parola se il suo Beneamato è tutto per lei, lei è tutto per Lui: Il mio Diletto è per me ed io per Lui (Ct 2,16)
7. Adesso è il momento di parlare delle dolcezze di cui gode l’anima quando ama uno Sposo così affascinante e ne è reciprocamente amata, quando ella raccoglie i frutti delle cure che il suo Sposo ha per lei e che lei ha per Lui. Quando riceve dalla sua mano tanta grazia che lei, per una amorosa riconoscenza, Gli rende tutto quanto ha ricevuto; quando lei abbraccia Lui e Lui abbraccia lei; quando Gesù Cristo le fa gustare la dolcezza della sua divinità, e l’anima, come liquefatta da questo fuoco divino, si versa in qualche modo in Dio. Ma quale lingua mortale potrà parlarne degnamente? O beati serafini, diteci: quali sono i trasporti di questa sposa? Ella nuota nella gioia,, avvolta da queste celesti dolcezze, s’inabbissa in esse e si perde nell’oceano delle delizie.
Non so cosa dire di più e tutte queste espressioni sono troppo deboli per rappresentare un beatitudine così divina. No, Signore, non mi è dato di rivelare i misteriosi segreti del tuo amore, di entrare dentro le celle piene di vino delizioso che tu fai gustare alle tue spose fedeli (cf Ct 2,4). Non mi è dato di aprire il giardino chiuso dove esse mangiano frutti così gradevoli (cf Ct 4,12), né di violare quel sigillo che Tu hai impresso sul loro cuore (cf Ct 8,6) e di contemplare quel torrente di delizie di cui è inondato. Ma anche se lo avessi visto, potrei io parlarvene? Occorre gustarne per poter giudicare e quand’anche se ne gustasse, ne possiamo avere un’idea sempre molto imperfetta. Tutto quello che possiamo dire è che questa beatitudine è ineffabile e incomprensibile. Voi mi capite, sante anime che lo avete esperimentato. Ma voi che ancora non lo conoscete da voi stesse, ascoltate ciò che ci hanno riferito coloro che hanno gioito di un così grande favore. Ciò che hanno scritto sarà sufficiente, ve lo assicuro, per ispirarvi il desiderio di disporvi a fare una esperienza simile.
8. «In questo sacro scambio d’amore, in queste divine comunicazioni di Gesù Cristo con la sua sposa durante la s. Comunione, l’anima di uno, passa, per così dire, nell’anima dell’altra – questi sono i termini di cui si serve s. Macario – e la sostanza dell’uno penetra la sostanza dell’altra. La sposa entra allora in una vita nuova, gusta in qualche modo come anticipo le dolcezze della gloria immortale e partecipa alla beatitudine dei santi. Non è solo per la fede, ma anche per una esperienza sentita di gioia che conosce i beni celesti. Colma di delizie inesprimibili, ella riceve le ricchezze immense della divinità che occhio non può vedere, orecchio non può mai ascoltare (cf 1Cor 2,9). Lo Spirito di Dio, da cui è penetrata, diviene il suo riposo, la sua gioia, la sua vita e Lui le fa trovare un paradiso sulla terra». «Il Sacramento dell’Eucaristia – dice s. Bernardo (Serm. de Cœna Dom.) – è l’amore degli amori e la dolcezze delle dolcezze, nella s. Comunione si esperimenta una santa tenerezza che sorpassa tutti i più soavi piaceri».
Il Verbo – aggiunge Denis il Certosin – è l’oggetto increato del nostro amore, essendo infinitamente amabile e avendo una virtù sommamente attiva nel toccare, abbracciare ed elevare i cuori, attira le sue spose, durante la s. Comunione, fin dentro le ricchezze della sua gloria e l’oceano della sua beatitudine. E tutte le volte che la parte superiore dello spirito si trova immersa e inabbisata nella divinità, rapita dallo stupore, traboccante di gioia e d’amore, l’anima non può impedire di andare in estasi.
9. Israele, quanto è grande la casa di Dio, quanto è vasto il luogo del suo dominio! È grande e non ha fine, è alto e non ha misura! (Bar 3,24-25). O Israele! O sante anime! La Casa di Dio che è la Chiesa (1Tm 3,15) possiede un così augusto Sacramento che è l’Eucaristia dove è presene in persona il Dio del cielo e della terra, è veramente qualcosa di grande! No, la gloria di cui la sposa è rivestita comunicandosi, le pure delizie che gusta, i beni immensi di cui è arricchita, non si possono comprendere. O mio amabile Salvatore, il tuo discepolo aveva ragione a dire che, in modo particolare, sul finire della tua vita, quando hai istituito questo inestimabile mistero, che Tu ci hai donatoli pegno più prezioso e il segno più espressivo del tuo amore: Li amò sino alla fine (Gv 13,1). L’amore non è soddisfatto finché non ha donato tutto quello che possiede, e cosa resta al Salvatore che ancora non ci ha comunicato? L’amore ci porta a cercare di rendere felici chi amiamo, cosa possiamo aggiungere ai vantaggi che questo amore ci procura? Tre cose contraddistinguono una beatitudine perfetta: la grandezza, la gioia e la ricchezza. L’Eucaristia, dopo aver perfezionato in noi le qualità dei figli di Dio, eleva le nostre anime alla sublime dignità di spose di Gesù Cristo. Essa è per noi una sorgente inesauribile di gioie spirituali, infine Essa ci comunica i tesori del cielo e, se non al presente non gioiamo in pienezza, Essa ci dà il diritto di gioirne dopo la morte.
10. Dove, dunque, noi pensiamo di poter trovare la nostra felicità fuori da questo adorabile Sacramento? Figli degli uomini, fino a quando seguirete le tendenze di un cuore grossolano e carnale? Fino a quando correrete dietro i vani fantasmi delle grandezze mondane? Fino a quando preferirete l’acqua fangosa di queste cisterne screpolate che non possono tenere l’acqua (Ger 2,13), a questa sorgente pura e chiara che è capace di estinguere la vostra sete e di soddisfare perfettamente il desiderio di felicità che vi consuma? Una volta – questo è un pensiero di s. Giovanni Damasceno – Dio ha detto ad Adamo: mangiate di tutti i frutti che sono nel giardino (Gen 2,16). Ma adesso Gesù Cristo ci invita alla s. Comunione: Prendete e mangiate (Mt 26,26). Prendete questo cibo, esso vale di più di tutti i frutti del paradiso terrestre, vi troverete ogni genere di beni e di dolcezze. Mangiate questo meraviglioso frutto che può fare tutto in un uomo venuto dal nulla, infatti può renderlo simile a Dio.
11. Ma voi, anime religiose, scelte da Gesù Cristo per uno speciale privilegio per essere messe nel rango delle sue più care spose, coraggio! Rifiuterete ancora la beatitudine che il vostro Sposo vi offre? Non penserete oggi più seriamente a mettere dell’olio nelle vostre lampade (cf Mt 25,1ss), a purificare il vostro cuore e a riempirlo dell’unzione della sua grazia, a fomentare il fuoco della carità per entrare nella sala delle nozze e per gustare le ineffabili delizie del celeste banchetto dell’Eucaristia? Oh! quanto sarete imprudenti, quanto sarete insensate, se, dopo aver rinunciato così generosamente al mondo, vi addormentate in non so quale piccole soddisfazioni umane che vi escludono dalla compagnia del vostro Sposo divino e vi chiuderanno la porta della sala dove Egli colma di onori e di tenerezze le sue vere spose! Approfittate dell’avviso che s. Girolamo dà in una delle sue lettere ad una vergine più illustre ancora per la sua virtù che per la sua nascita: «La sposa – scrive questi – è l’arca del testamento, dorata dal di dentro e dal di fuori, ella è la custode della legge del Signore. Come in quest’arca non c’erano che le due tavole della legge, voi dovete bandire dal vostro spirito ogni altro pensiero che non sia per il vostro Sposo che ha scelto il vostro cuore per servirgli da propiziatorio e luogo di riposo. Egli vi ha liberata dalla cura degli affari mondani affinché, sbarazzata dalla paglia e dai lavori dell’Egitto (cf Es 5,6ss), voi seguirete Mosè nel deserto, per arrivare in seguito alla terra promessa. Giacché, dal momento in cui un’anima consacrata a Dio apre il suo cuore agli impicci del mondo, ella profana il santuario, il velo del tempio si squarcia (Mc 15,38 e paral.) e lo Sposo preso dalla collera, abbandona la sposa ai suoi desideri». S. Bernardo dice, più o meno, la stessa cosa. La sposa di Gesù Cristo – secondo lui – deve rinunciare in modo generale a tutte le cose, per attaccarsi con tutto il cuore al Verbo Eterno. È un’anima che non vive che del Verbo e che fa girare tutto attorno a Lui, che non ha desideri suoi, che non fa altro che ciò che il Verbo le suggerisce, che riferisce tutto ciò che pensa e che fa alla gloria del Verbo, che può dire: «Per me infatti il vivere è Cristo ed è un guadagno il morire » a me stessa (Fil 1,21). Un’anima di questo carattere è una vera sposa del Verbo Eterno e può godere di tutte le grazie che sono appannaggio della sua dignità.
PARTE PRIMA – CAPITOLO NONO
Il desiderio di Gesù Cristo nell’Eucaristia è di glorificare il Padre suo
1. L’intenzione principale che il Verbo Eterno ha avuto facendosi uomo è di rendere gli uomini felici e di procurare la gloria del Padre suo e l’Eucaristia è certamente il mezzo più eccellente di tutti gli altri di cui Egli si serve per realizzare questo suo desiderio. Dopo aver visto come questo Sacramento contribuisce alla nostra felicità, occorre ora vedere come contribuisce a glorificare Dio. Questo effetto è così proprio dell’Eucaristia e fa parte della sua essenza che s. Ignazio martire, in una sua lettera agli Efesini, chiama questo Sacramento con il nome di «gloria di Dio». In effetti cos’è glorificare Dio? Lo si può glorificare in diversi modi che finiscono sempre nel formare delle immagini e indicare dei segni delle sue infinite perfezioni. Il Verbo Eterno si chiama «gloria del Padre» perché ne è la perfetta immagine. Quando Dio creò l’uomo a sua immagine, l’ha creato per la sua gloria. Così glorificare Dio, è formare nel proprio spirito e nello spirito degli altri una alta idea della potenza, della bellezza, della bontà, della sapienza e della giustizia di Dio, è conoscerLo e farLo conoscere con gioiosa e chiara notizia. Glorificare Dio, è avere presente in tutti i movimenti del proprio cuore, in tutte le parole e azioni, l’alta idea che abbiamo concepito della grandezza e della maestà di Dio. È lodarLo, è imitarLo, è servirLo. Ma non sono proprio questi gli effetti dell’Eucaristia? Gesù Cristo, quando noi Lo riceviamo, ci trasforma in Lui e, di conseguenza, nell’immagine del Padre suo. Perché, come colui che vede il Figlio vede il Padre – Chi vede Me ha vistoli Padre (Gv 14,9) –, questi è simile al Padre che è uguale al Figlio (cf Gv 5,18). Quale idea un’anima concepisce della bontà e della maestà di Dio allorquando, beneficata dalle mirabili luci con cui è rischiarata nelle s. Comunioni e dalle ineffabili delizie che sperimenta, ella contempla la bellezza ed ella gusta la dolcezza dell’Essere Divino! E, inoltre, qual è il suo rispetto, qual è il suo amore, quali sono i suoi ardori per questa maestà, per questa bellezza e per questa infinita bontà! Che gioia per il Padre Eterno incontrarsi con questi suoi figli, di considerare compiaciuto il suo ritratto, di poter dire a ciascun figlio: Questo è il figlio mio diletto nel quale mi sono compiaciuto! (Mt 3,47).
2. Spieghiamo ancora meglio l’eccellenza della gloria che l’uomo, colmato delle grazie che riceve comunicandosi, rende a Dio con la lode, l’adorazione e il servizio. Quattro elementi contribuiscono a formare questa specie di gloria: la dignità di colui che onora, il suo discernimento, la sua equità e il suo disinteresse. Più egli è elevato, più le sue adorazioni sono profonde; più ha discernimento e equità e più sono giuste e proporzionate; più, infine, sono disinteressate, più sono sincere. Ora, il Salvatore, perfezionando in noi le qualità dei figli di Dio, ci trasmette tutti questi vantaggi, ci eleva alla più sublime dignità che una creatura possa arrivare. Perché, presso Dio, non c’è nulla di così grande di poterGli rassomigliare e portare il carattere della sua grandezza. Egli riempie il nostro intelletto di luce e la nostra volontà di giustizia e, l’illustre titolo di figli di Dio, ci dandoci il diritto all’eredità celeste, ci rende disinteressati. Così, quando l’uomo in questo stato, adora Dio, è un figlio simile al Padre, che si abbassa, che si umilia, che si annienta davanti a Lui, non per necessità, ma per giustizia, e meno ancora per speranza che per amore. Allora che la gloria un cristiano rende a Dio è a Lui gradita! Allora che il servizio resoGli, non per timore, ma per inclinazione d’amore, Gli dona veramente gloria!
3. Tuttavia, tutto questo ancora non è sufficiente a soddisfare il desiderio insaziabile che il Figlio di Dio ha di glorificare il Padre suo, per questo Egli ha inventato qualcosa di mirabile per aumentare ancora di nuovi splendori la gloria che tutti gli uomini sono tenuti a renderGli. E come il Verbo Incarnato sorpassa in sapienza, in giustizia e in amore anche gli uomini più santi, Egli si unisce a loro nella s. Comunione come il capo con le sue membra, al fine di agire in loro e per loro, tutte le volte che per mezzo delle loro azioni è glorificato Dio. In modo tale che è Gesù Cristo che adora il Padre quando noi lo adoriamo, è Lui che canta le sue lodi quando noi le cantiamo, è Lui che lavora, che soffre quando noi lavoriamo e soffriamo per la gloria di Dio. È lo stesso Signore – dice s. Paolo – che opera tutte queste cose nei suoi fedeli: Vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti (1Cor 12,6). Non è stato troppo per Gesù Cristo aver preso un corpo dal seno della Vergine Maria, d’essersi unito con una sola anima, egli vuole unirsi misticamente di corporalmente e spiritualmente con tutti i fedeli, al fine di servirsene per glorificare Lui stesso il Padre suo. È stato troppo poco per Lui l’aver lavorato durante trentatre anni per farLo onorare quaggiù sulla terra, Egli vuole adoperarsi per questo fino alla fine dei secoli. I confini della Giudei erano troppo stretti per racchiudere l’ardore del suo zelo, Egli vuole raggiungere tutto l’universo. Una bocca, una lingua, un cuore non bastano per contenere il vivo desiderio che Egli ha di esaltare le grandezze del Padre suo e di amarLo. Occorre che tutte le bocche, tutte le labbra, tutti i cuori diventino strumento per Lui per annunciare le sue infinite perfezioni, per adorarLo e per amarLo. Non è stato sufficiente l’aver sacrificato la propria vita sul Calvario e di rinnovare questo sacrificio tutte le volte che si celebra la s. Messa, Egli vuole ancora vivere in tutte le anime buone, per subire la morte per la gloria del Padre, in tutte quelle maniere in cui i santi moriranno fino alla fine del mondo. Così Gesù Cristo, in virtù dell’unione che ha contratto con noi, è apostolo con gli apostoli, martire con i martiri, confessore con i confessori, vergine con le vergini. Egli predica in mille luoghi, è tormentato e sparge il suo sangue in mille maniere: soffre la macerazione nei penitenti, prende su di Sé le calunnie di coloro che sono perseguitati, è povero con i poveri, infermo con gli infermi. Egli è tutto quello che siamo noi e si trova dovunque noi siamo, fa tutto ciò che facciamo noi, soffre tutto quello che noi soffriamo per l’onore e la gloria del Padre suo.
Ma voi mi obietterete, forse, che il Salvatore, dopo la sua risurrezione è impassibile e immortale. Questo è vero se voi non considerate che il suo corpo naturale. Ma se considerate il suo corpo mistico di cui Egli è il capo, può ancora soffrire in ciascuno delle sue membra. E per la stessa ragione per cui per l’unione ipostatica del Verbo con la natura umana, possiamo dire che Dio, quantunque sia eterno, impassibile e immortale di natura sua, è in un presepe, ha sofferto ed è morto sulla Croce. Anzi, noi possiamo dire, in qualche modo, che Gesù Cristo, tutto glorioso com’è in cielo, a motivo dell’unione mistica che ha contratto con le nostre anime per mezzo del Sacramento dell’Eucaristia, lavora, soffre muore, quando noi lavoriamo, soffriamo e moriamo. Questo nello stesso senso in cui s. Paolo diceva: «Completo nel mio corpo ciò che manca alla passione di Gesù Cristo» (Col 1,24). Giacché, guardando il corpo naturale del Salvatore, non ha niente da completare riguardo alle sue sofferenze, Egli, infatti, è lacerato – come dice un profeta (cf Is 53,13ss) – dalla testa ai piedi. Ma se voi considerate il suo corpo mistico, manca qualcosa alla sua Passione finché tutti i fedeli che lo compongono, perseguitati o oltraggiati, possano dire, con altrettanta verità come lo stesso apostolo: «Io sono crocifisso con Gesù Cristo» (Gal 2,19). O mio amabile Salvatore, cosa ammirare di più: lo zelo che ti fa ardere per la gloria del Padre tuo o l’invenzione resa possibile dalla tua sapienza che realizza questa gloria? Quando, dunque, noi agiamo, quando noi soffriamo per la gloria di Dio, noi assecondiamo il più ardente desiderio di Gesù Cristo. Questo mi sembra una motivazione forte, per condurre un’anima a non perdere nessuna occasione per praticare la virtù! Non c’è niente di più dolce che poter soddisfare la persona che si ama in ciò che desidera più ardentemente!
5. Ecco, o anime cristiane, il grande desiderio del Salvatore nell’adorabile Sacramento dei nostri altari. Egli ha preteso, per tutte le meraviglie che vi ha operato, dare, conservare e perfezionare una vita che dia gloria a Dio suo Padre e vantaggiosa per gli uomini. Io non mi meraviglio che Egli, prima di istituire questo Sacramento, disse: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi (Lc 22,15). Io desidero – disse ai suoi apostoli –, ardentemente, cioè con tutta la passione del suo cuore divino-umano; di mangiare questa Pasqua con voi: non la Pasqua ordinaria, ma questa qui, questa Pasqua. È lo zelo della gloria del Padre e della salvezza delle anime che Lo hanno consumato, che accendono questo ardente desiderio di celebrare questa Pasqua: questa Pasqua dove Lui farà susseguire la verità alla figura, abolendo la Pasqua giudaica e istituendo la Pasqua cristiana: Questa Pasqua, dove vuole mangiare con i suoi apostoli non un comune agnello, ma l’Agnello di Dio (Gv 1,29) e unirsi intimamente a noi nel Sacramento dell’Eucaristia, per la gloria del Padre suo e per la santificazione delle anima. Dopo ciò, Tu hai ben ragione, mio amabile Salvatore, di dire a tuo Padre che hai portato a termine l’opera per cui ti aveva mandato e che compiuto tutti i doveri della tua missione. Tu sei venuto per glorificare il Padre e l’hai fatto in modo eccellente in questo Sacramento; sei venuto per dare la vita agli uomini (cf Gv 10,10) e potevi darne loro una più santa e felice?
6. Che resta ora da dirvi se non quelle stesse parole che Mosè indirizzò una volta agli Israeliti: Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza (Dt 30,19). Perché questo Sacramento è una sorgente di vita e un tesoro di benedizioni per coloro che lo ricevono degnamente. Ma coloro che se ne allontanano o che si accostano ad esso indegnamente, si attirano la maledizione di Dio e la morte (cf 1Cor 11,29). Scegliete dunque, disponetevi a ricevere come si deve questo Sacramento. Per suo mezzo, amerete Dio, vi attaccherete a Lui e obbedirete alla sua voce e in questo consiste la vita di un cristiano, non solamente sulla terra, ma anche in cielo: Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita… (Dt 11,29-30). Se voi non farete così – aggiunse Mosè parlando al popolo di Israele – voi non entrerete nella terra che Dio promise ai vostri padri Abramo, Isacco e Giacobbe (cf Dt 11,30). Ed io, cristiani, vi dico che Gesù Cristo ha giurato che se voi non mangiate il suo corpo e se non bevete il suo sangue, non gioirete mai di questa vita santa che è il frutto di questo Sacramento e non possederete mai la vita eterna di cui esso è la caparra. Ti siano rese grazie immortali, mio adorabile Salvatore, per averci donato un cibo in cui è racchiusa la vita eterna: Cibo in cui la vita eterna è racchiusa (s. Ambrogio). Amiamo, dunque, cristiani, adoriamo questo augusto Sacramento, perché senza di esso – si domanda s. Bonaventura – che verità può esserci nel mondo dove c’è solo errore e infedeltà? Che sarebbero i cristiani se non una truppa di anime immonde come i pagani? È questo Sacramento che sostiene la Chiesa, che fortifica la fede, fa fiorire la religione cristiana e il culto verso Dio. Ma cosa occorre fare per riceverlo degnamente? È quello che cercheremo di spiegare nella seconda parte.
PARTE SECONDA
IL DISEGNO CHE GESÙ CRISTO SI È PROPOSTO ISTITUENDO
IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
INTRODUZIONE
1. Fa meraviglia che il Salvatore ci abbia donato questo santissimo Sacramento per elevarci alla più sublime perfezione dell’amore, eppure questo suo desiderio si vede così raramente realizzato. Dopo gli inizi della Chiesa, dopo i tempi gloriosi in cui i fedeli si comunicavano quotidianamente, le s. Comunioni sono diventati molto meno frequenti, come ai nostri giorni, purtroppo oggi, è evidente agli occhi di tutti, il numero di chi cerca la perfezione dell’amore è troppo ristretto. Da cosa deriva ciò? Lo comprenderete se farete caso al fatto che Dio non agisce nella santificazione della anime come ha agito nella creazione. Quando creò il mondo, Egli lo fece uscire dal nulla per mezzo di quella Parola onnipotente che non ha bisogno di alcun aiuto esterno e che nessun altro può pronunciare. Ma nella santificazione delle anime desidera agire in modo libero, senza nulla fare senza il nostro consenso. Egli comincia la nostra santificazione, ma desidera essere assecondato: ci fornisce i mezzi per santificarci, ma vuole che noi li adoperiamo e che cooperiamo con Lui per la nostra santificazione. Se, dunque, l’Eucaristia non produce quei meravigliosi di cui abbiamo parlato, non è perché la virtù dell’Eucaristia abbia fallito, quanto perché sono venute a mancare le disposizioni d’amore di chi la riceve.
2. Voi vi chiederete: in cosa consistendo queste disposizioni? Mi sembra che non ci sia modo migliore per descriverle che quello di seguire il pensiero di s. Paolo (cf Rm 1,19-20) quando insegna che Dio vuole portarci dalle cose sensibili alla conoscenza di quelle insensibili. Così, il nostro Salvatore ci ha donato la s. Eucaristia per essere il nutrimento spirituale delle nostre anime, per cui la cosa migliore per soddisfare al suo desiderio, è quello di vedere da cosa dipende l’effetto del nutrimento corporale e quale fine ci si propone nel cibarsi di esso. Ora, prima di tutto perché il nutrimento abbia effetto, occorre che colui al quale lo si presenta sia vivo, perché i morti non possono mangiare nulla; il cibo conserva e prolunga la vita, ma non la dona. In secondo luogo, la fame è un’eccellente disposizione per gustare gli alimenti e per approfittarne. In terzo luogo, occorre mangiare, senza questo non serve a nulla né essere in vita né aver fame. Ma per quale motivo mangiamo? È per ritornare dopo a lavorare e adempiere con più forza e gioia i doveri propri del proprio stato.
3. Presupposto ciò, ora adeguate il ragionamento al pane consacrato dell’Eucaristia, e possiamo trovare, in analogia con il pane materiale, quattro condizioni necessarie per assecondare il grande desiderio del Salvatore. Primo, occorre, per ben comunicarsi, essere in vita, cioè essere in grazia di Dio; in secondo luogo, occorre avvicinarsi alla sacra mensa con appetito, cioè avendo fame del nutrimento divino; terzo, occorre prenderlo di fatto e mangiarlo; quarto, infine, dopo essersi saziati di questo pane, e aver rifocillato le forze dell’anima, occorre lavorare per la gloria di Dio e per la propria perfezione nell’amore. Con più applicazione e fervore di prima. Ecco i quattro doveri dell’anima cristiana che concorrono alla realizzazione del desiderio del Salvatore: ecco i mezzi infallibili per partecipare con abbondanza ai frutti della s. Comunione. Noi veniamo ora a spiegarli in particolare.
PARTE SECONDA – CAPITOLO PRIMO
Della vita soprannaturale dell’anima, ovvero dello stato di grazia
1. Tutti i teologi sono d’accordo riguardo a queste due verità: la prima, che l’anima deve godere della vita soprannaturale per ricevere degnamente l’Eucaristia; la seconda, che questa vita consiste nella grazia santificante, accompagnata dalle tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità. La Chiesa, anticamente, dando la s. Comunione a più giovani fanciulli, ha rimarcato come, per avere qualche profitto da questo Sacramento, è sufficiente avere gli abiti infusi di queste tre virtù. Non si può dubitare che, per parteciparvi con più abbondanza di frutto, sarà estremamente vantaggioso esercitare queste tre virtù, cioè credere con fede speciale e attuale quelle verità rivelate concernenti questo mistero; di avere una confidenza particolare in questo mezzo di salvezza (speranza); e di amare Dio in ringraziamento della bontà che ci manifesta donandoci questo Sacramento. È dunque importante conoscere materia e il motivo della fede, della speranza e della carità in relazione all’Eucaristia, al fine di sollecitarci a produrne gli atti: è questo ciò che andiamo a spiegare fra poco.
2. Nome eccellente della s. Eucaristia è quello di s. Mistero e Sacramento della fede. Essa si chiama «Mistero», perché nella religione cristiana non abbiamo nulla di più nascosto alla ragione umana; essa si chiama «mistero della fede», perché non c’è nulla di più difficile da credere. Negli altri Sacramenti, i nostri sensi e la nostra ragione percepiscono qualcosa di quello che ricevono, o almeno noi non crediamo nulla che sia contrario a quello che vediamo. Nell’Incarnazione del Verbo, per esempio, se la divinità era nascosta, l’umanità era visibile, e le opere meravigliose del Salvatore, manifestavano abbastanza che c’era in questo grande Profeta qualcosa di sovrumano. Negli altri Sacramenti, se la grazia che produce è invisibile, la loro materia è tale e quale quella che vediamo. L’acqua che serve al battesimo non è che acqua e l’olio della confermazione non è che olio; ma nell’Eucaristia tutto è mistero, tutto è nascosto: né l’umanità, né la divinità del Salvatore, né le sue operazioni, né gli effetti che essa produce, nulla cade sotto i sensi. E in più, occorre tutt’altra cosa di ciò che i sensi percepiscono. Voi non vedete, non gustate, non toccate che del pane, mentre voi credete che è il corpo e il sangue di Gesù Cristo nascosto sotto gli accidenti, o le specie o le apparenze del pane.
3. Ci sono diverse ragioni per cui il Salvatore ha voluto nascondersi così radicalmente nell’Eucaristia. Primo, volendo Egli donarci, lasciando questo mondo, il più grande bene possibile, ha voluto procurare, nello stesso tempo, al Padre suo il più sublime omaggio che una creatura ragionevole possa rendere a Dio in quanto Prima Verità, con il sacrificio del suo spirito e della sua ragione, obbligandosi a credere quello che Dio rivela, in dispetto della testimonianza dei nostri sensi. In secondo luogo il Salvatore è venuto sulla terra per riparare il peccato dei nostri progenitori. Essi hanno peccato credendo troppo leggermente al demonio che aveva promesso loro la divinità se avessero mangiato di quel frutto, molto bello in apparenza, e non credendo alle parole di Dio che li aveva minacciati di morte se ne avessero mangiato. Il Salvatore ripara questo peccato obbligando l’uomo a credere, in dispetto della testimonianza dei sensi, che sotto le apparenze di un comune cibo, si nasconde un mezzo infallibile per far aggiungere ai figli di Dio la perfezione dell’amore. E, in terzo luogo, giacché il Salvatore vuole farci raggiungere questa perfezione d’amore unendosi a noi sotto la forma di un nutrimento, volontariamente sottrae ai sensi la vista della sua carne che altrimenti avremmo avuto orrore a mangiare.
4. Per ciò che riguarda l’oggetto della fede, cioè quello che la Chiesa ci insegna su questo mistero, noi possiamo ridurre tutto a quattro punti. Occorre, primariamente, credere che l’Eucaristia non è una semplice figura del Salvatore, ma che essa racchiude veramente il suo corpo, la sua anima, la sua persona e la sua divinità. Infatti, benché il sacrificio della s. Messa non sia che una rappresentazione di quello della Croce, è vero comunque che il Salvatore che si è immolato sul Calvario una volta per tutte, s’immola ancora, Lui stesso, sui nostri altari. È pressappoco come un principe che, dopo aver riportato una vittoria importante, celebra ogni anno l’anniversario di questa vittoria con una festa pubblica in cui vi partecipa di persona. Questa festa non sarà che una rappresentazione di quella vittoria, ma lo stesso principe che aveva combattuto e vinto, vi sarà presente in persona. La seconda cosa che occorre credere è che tutta la sostanza del pane e del vino, è interamente cambiata nel corpo e sangue del Salvatore. La terza, che gli accidenti o le apparenze dell’uno e dell’altro sono sostenuti dalla potenza di Dio senza alcun soggetto che li sostiene, in altre parole, che la bianchezza che resta non rende bianca alcuna sostanza, che la rotondità non rende tonda nessuna sostanza; e che, ricevendo l’Eucaristia, noi non mangiamo affatto del pane, benché ne sentiamo il gusto. La quarta, cosa che la fede insegna è che il Salvatore è nell’Eucaristia in una modalità tutta spirituale, cioè che è tutto intero nell’ostia e tutt’intero in ciascuna parte di essa, in modo che quando la si spezza, non si spezza il corpo del Salvatore, ma semplicemente le specie o apparenze del pane; e colui che ne riceve anche solo una piccola parte, Lo riceve tutt’intero. Così quando i Padri hanno detto talvolta che Nostro Signore è presente spiritualmente nell’Eucaristia, questa espressione non è contraria affatto alla presenza reale, essa non fa altro che spiegare la modalità in cui si rende presente il Salvatore, modalità che ha qualche analogia con la maniera di esistere degli spiriti, come ad esempio, l’anima dell’uomo, in particolare, è presente nel suo corpo.
5. Si chiama «motivo della fede» la ragione che ci porta a credere e questa ragione altro non è che la parola e l’autorità di Dio. Poiché Dio è essenzialmente infallibile e non può ingannarsi né ingannare nessuno, dal momento che si è degnato di rivelare qualcosa alla sua Chiesa, non possiamo dubitarne senza essere irragionevoli. Ora, se il Salvatore si è espresso così nettamente sulla presenza reale del suo corpo e del suo sangue nel Sacramento che Lutero, uno dei più grandi oppositori della Chiesa romana, confessò francamente che dopo aver cercato per lungo tempo qualche modo per abolire questa credenza, ha dovuto riconoscere che non poteva contestarlo senza rendersi ridicolo. In effetti, non possiamo avere delle parole più precise di queste: «Questo è il mio corpo che sarà consegnato per voi; questo è il mio sangue che sarà sparso per voi» (Mt 26,26-28; Mc 14,22-24; Lc 22,19-20; 1Cor 2,24-25). Il Salvatore non poteva affermare in una maniera più positiva che era proprio quello lì il suo corpo, se non dicendo che era questo che sarebbe stato consegnato alla morte, e quel sangue che sarebbe stato sparso per noi! Di più, quando il Salvatore ci dice che il suo corpo è veramente un cibo e il suo sangue una bevanda (cf Gv 6,56), perché aggiunge la parola “veramente” se non per prevenire le false interpretazioni simboliche e per fornirci di che controbattere gli eretici? Queste espressioni del Salvatore così chiare e precise, sono il motivo della nostra fede, così come lo sono state per quei grandi geni che Dio, nei vari secoli ha suscitato, quali sono stati i Padri e i dottori della Chiesa. Non sarà utile in questo Trattato, in cui non mi rivolgo che alle anime fedeli, di fermarmi su questo punto controverso. Per questo mi accontento di riportare il sentire di s. Giovanni Crisostomo e di s. Agostino. Il primo, come se avesse prevenuto l’errore di Calvino che sostenne che il Salvatore non fosse presente in questo mistero che per la fede di chi crede, disse che Questi si è unito non solamente per mezzo della fede e della carità, ma realmente e veramente. Il secondo, parlando della Cena dove il Signore ha istituito questo Sacramento, scrisse come alla vista di una meraviglia sconosciuta, che il Salvatore si portò Lui stesso nelle sue mani. In verità, sarebbe veramente un grande prodigo e qualcosa che farebbe estasiare, se il Signore non avesse messo nelle su e mani Se Stesso che solo in figura o simbolo? Sarebbe una cosa così straordinaria che un uomo tenesse nelle sue mani il proprio ritratto?
6. Questa fede viva e inebriante della presenza reale del Salvatore, è così assolutamente necessaria che, possiamo dire, tutto il frutto della s. Comunione dipende da essa. Giacché da questa ferma fede nascono facilmente gli atti di adorazione, di speranza, di carità, insieme all’impegno di prepararsi a comunicarsi degnamente. Se noi facciamo dei preparativi quando si tratta di accogliere un re terreno, con quale applicazione un’anima, convinta della presenza reale del Salvatore nell’Eucaristia, davanti al quale tutti re della terra non sono che cenere e polvere, si disporrà a riceverLo! Vediamo anche come nei primi secoli della Chiesa si facevano fare ai fedeli più atti di fede prima di dar loro la s. Comunione. Tre volte dopo la consacrazione del pane, tre volte dopo quella del vino, tutti quelli che partecipavano alla s. Messa dicevano ad alta voce: Amen, cioè, come spiegano s. Ambrogio e s. Agostino: «Sì, noi crediamo che Gesù Cristo è veramente sull’altare!» e, immediatamente prima di ricevere la s. Comunione, il diacono diceva ancora a voce alta: Il Corpo di Cristo, cioè: «Ecco il Corpo di Cristo», e tutti rispondevano una settima volta: Amen, cioè: «Sì, noi crediamo!». È per questo che chiunque voglia soddisfare degnamente i propri doveri comunicandosi, deve applicarsi a produrre soventi atti di fede su questo mistero. Possiamo farlo tutte le volte che entriamo in Chiesa, che partecipiamo alla s. Messa, che si accompagna il Santissimo Sacramento, sia nelle processioni pubbliche, sia quando Lo si porta ai malati. È anche una santo esercizio spirituale quello di fare un atto di fede nella presenza del Signore nei nostri tabernacoli ogni volta che si passa davanti ad una chiesa dove Lui dimora. Queste pratiche aiutano poi a far bene la s. Comunione, soprattutto quando ci si comunica raramente, per cui ci si espone alla possibilità di non avere viva questa fede nella presenza reale.
7. Se l’Eucaristia è chiamata «il Sacramento della fede», s. Agostino la chiama anche «il Sacramento della speranza». Questa virtù non è altro che un santo amore verso noi stessi che ci porta a ricercare i beni soprannaturali che Dio ci ha promessi, ed essa non è meno necessaria della fede per ben approfittare della s. Comunione. Il suo oggetto, in rapporto all’Eucaristia, è compreso in tutti i vantaggi che questo Sacramento ci procura; e le promesse che il Signore ha così spesso ripetute, ne sono il motivo. Egli le ha tutte racchiuse sotto il nome della vita divina che ci ha promesso, come abbiamo già visto, pressoché tutte le volte che ci ha parlato dell’Eucaristia.
8. Ma il demonio sempre nemico della nostra felicità, per allontanarci da questa sorgente di grazia, tenta, con ogni sorta di mezzi, di cambiare la nostra confidenza in un eccessivo timore. Egli tiene a questo riguardo una condotta opposta a quella che ha tenuto con tanto successo con i nostri progenitori. Quando Dio comandò loro, sotto pena di morte, di non mangiare un certo frutto, il demonio si industriò a persuaderli che, non solo non sarebbe morti, ma che sarebbero diventati come Dio e, per nostra sventura, riuscì troppo bene nella sua impresa. Il Signore, per attirarci alla s. Comunione, ci assicura che questo pane celeste ci comunicherà una immortale vita divina e minaccia la morte a chi non ne mangerà. Che fa il demonio? Si sforza di farci credere che se noi ne mangiamo troveremo la morte. Per evitare questa piaga, ascoltate l’abbé Rubert: «Il demonio – dice questi – promise con insigne menzogna di farci degli dèi, cosa che non è nelle sue possibilità di poter fare, ma il Salvatore che è Dio per natura, ci dona l’Eucaristia che ci può far diventare effettivamente figli di Dio. Adamo fu molto sciagurato ad avere più fede alle promesse di quest’impostore che alle minacce dell’Onnipotente. Guardiamoci bene dall’imitarlo e crediamo a Dio più di quanto Adamo abbia creduto al demonio. Adamo si lasciò persuadere di ciò che non vedeva affatto, e cioè che quel frutto potesse comunicare la divinità. Crediamo a nostra volta ciò che non percepiamo con i sensi, che nel Sacramento dell’Eucaristia si trova veramente il corpo e il sangue del Figlio Unigenito di Dio, e una virtù capace di unirci in uno stesso corpo con Lui. Detestate, dunque, l’impudente menzogna del demonio, ricevete, approvate, abbracciate la verità che il Signore vi annuncia, e per guarire i funesti effetti di questo frutto di morte, mangiate il pane della vita immortale, bevete al calice della salvezza eterna». Ecco come parla questo pio e saggio sacerdote!
9. Per fortificare la vostra speranza, e per correggere quei sentimenti di rispetto mal inteso che vi allontana, senza ragioni, dalla sacra mensa, meditate attentamente le promesse del Signore: considerate come le ripete spesso, ma soprattutto ricordatevi che Egli ha chiamato questo Sacramento suo «testamento» [alleanza in latino si dice testamento], cioè la più sacra e irrevocabile di tutte le promesse. Questo è il calice della nuova alleanza [testamentum]. Sì, mio Dio, questo testamento [alleanza] è tutto nuovo, questa promessa è ben sorprendente. Per grandi che furono i beni promessi ad Abramo e a Mosè, non si avvicinano lentamente alle ricchezze che Tu ci prometti qui. O bontà infinita! Voi sapete che per convincermi di questa verità, è necessario che la studi più di una volta, senza questo impegno nella conoscenza il vostro amore facilmente decaderà. Ma dopo tutte queste assicurazioni, cosa temi, o anima mia! C’è anche una sola parola, in tutte le parole del Salvatore, che ci possa spaventare? Se Egli minaccia la morte, non minaccia coloro che si accostano a questo Sacramento, ma coloro che se ne allontanano: «Se voi non mangiate la carne del Figlio dell’uomo – dice – e se voi non bevete il suo sangue, non avrete affatto la vita in voi».
10. Ma di tutte le virtù, la più necessaria per approfittare della s. Comunione è la carità. Essa è la veste nuziale di cui occorre rivestirsi per entrare nella sala del banchetto celeste, se non si vuole incorrere nell’indignazione di colui che ci ha invitati ed esporsi alle sue più terribili punizioni.. e, di fatti, è la carità che, propriamente parlando, comunica la vita all’anima, come si esprime s. Giovanni: Chi non ama rimane nella morte (1Gv 3,14). È per mezzo di essa che arriviamo alla finalità che l’Eucaristia si propone per noi: che possiamo, cioè, unirci a Gesù Cristo, gustare le sue dolcezze e poterci trasformare in Lui. In modo che, più il nostro cuore brucia di questo fuoco divino, più è disposto a partecipare ai frutti della s. Comunione.
11. L’oggetto e il motivo della carità nell’Eucaristia sono gli stessi degli altri esercizi di pietà. Questa virtù ha, per così dire, due oggetti: il primo è Dio, il secondo è la gloria e il bene che Lui desidera. Il suo motivo è la grandezza e l’eccellenza infinita di Dio. C’è questa differenza tra la speranza e la carità: quella ama Dio in quanto sommo bene e questa ama in quanto Egli si merita tutta la gloria immaginabile. Il fine proprio di chi spera in Dio, è quello di giungere alla propria felicità, il fine proprio di chi ama Dio, è quello di dargli gloria. Il motivo della speranza, è la liberalità di Dio che premia coloro che Lo servono; il motivo della carità sono le adorabili perfezioni che Egli possiede. Occorre, dunque, che queste perfezioni siano conosciute pr eccitarci ad amare Dio, e aggiungo che, se si eccettua il mistero dell’Incarnazione, non abbiamo, sia nell’ordine della natura, sia nell’ordine della grazia, nulla di più atto a sollecitare i cuori alla carità, quanto l’Eucaristia. Perché, dove Dio appare più potente, più sapiente, più buono? Dove opera più miracoli, dove spande più luce, e dove si fa gustare più dolcemente, in una parola, dove si fa conoscere meglio che in questo Mistero? È per questo che i padri gli hanno applicato unanimemente le parole del profeta regale: «Vedete, gustate, esperimentate quanto è buono il Signore!» (Sal 34,9).
12. Da ciò ne consegue che uno dei più eccellenti mezzi per amare Dio, è meditare le meraviglie che Egli opera in questo Sacramento: quanto spesso dovremmo farlo! Ma ne segue pure che coloro che hanno zelo per la gloria di Dio, devono spesso istruire i fedeli di queste meraviglie e invitarli a comunicarsi frequentemente. Degnati, Signore, di rischiarare i nostri spiriti per penetrare queste così importanti verità: degnati di infiammare del desiderio di parlarne a chi ha l’onore di annunciare la tua Parola e non permettete che coloro che sanno insegnare queste cose si dispensano dal far risplendere agli occhi dei cristiani, con qualche pretesto, durante l’Ottava che la Chiesa ha consacrato a questo adorabile Sacramento, i tesori di grazia che Tu hai ivi racchiuso.
13. Ecco la vita che occorre che vivano coloro che vogliono prendere questo divino nutrimento: occorre che siano anima ti dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Ma voi potreste domandarmi quanto questa vita dovrebbe essere perfetta e a quale grado di carità si dovrebbe giungere. Vi rispondo che quanto più eminente sarà il grado raggiunto quanto più esso dipenderà dal frutto della s. Comunione; ma qualunque sia il grado raggiunto esso dipenderà sempre in qualche modo da Essa. È questo che ci insegna il Signore quando , nella parabola del padre di famiglia che invita alla sua festa i malati, i ciechi e gli zoppi (cf Lc 14,13), chiama alla sacra mensa anche quelli che sono imperfetti. La prassi della Chiesa primitiva conferma questo con l’uso di dare la s. Comunione anche ai bambini e a tutti gli adulti il giorno stesso del loro battesimo, e agli eretici, il giorno stesso in cui si sono riconciliati con la Chiesa. È evidente che né uno né gli altri non sono ancora giunti ad una grande perfezione. E quando la Chiesa, a certi peccatori, differisce per molto tempo la s. Comunione, non lo fa perché giudichi che occorra una perfezione straordinaria per ricevere la s. Comunione, ma solo perché ci si assicuri della sincerità della loro conversione e per dar loro, con una così rigorosa punizione, una consapevolezza più grande dell’orrore dei loro peccati. E di questo ne è prova il fatto che durante le persecuzioni venivano abrogati i tempi della loro penitenza, perché nel caso che venissero portati davanti al tiranno potevano trovare il coraggio di cui avevano bisogno nell’Eucaristia. Ora, se essi fossero stati assolutamente indegni di riceverla, questa ragione non avrebbe dato loro la disposizione interiore che loro mancava e, se essi erano incapaci di profittarne nella condizione in cui erano, invano avrebbero dato loro la s. Comunione per sostenerli nei tormenti.
PARTE SECONDA – CAPITOLO SECONDO
Della fame spirituale dell’Eucaristia
1. La seconda disposizione per raccogliere frutti dalla Eucaristia è la fame spirituale, cioè l’ardente desiderio di riceverla, così come l’appetito per gli alimenti materiali indica comunemente la buona disposizione di chi se ne ciba, ugualmente, un desiderio ardente di accostarsi alla sacra mensa è una eccellente preparazione a partecipare all’abbondanza di effetti che la s. Comunione produce nelle anime. Parlando in generale, Dio, dice s. Gregorio di Nissa, desidera essere desiderato. Il Verbo eterno sembra non aver differito così tanto la sua Incarnazione che per farla desiderare più ardentemente; e tra i nomi che i profeti avevano dato al Messia c’era «il desiderio delle montagne eterne» e «il desiderato delle nazioni». Ma Egli vuole essere particolarmente desiderato da coloro che si comunicano. Niente risponde meglio da parte nostra, alla prontezza con cui Egli viene a noi, che un ardente desiderio di ricerverLo.
2. Oltre che donarsi a noi sotto forma di cibo per rimarcare abbastanza l’utilità di questa disposizione della “fame”, Egli ha voluto anche darci un esempio. Io ho desiderato ardentemente – disse ai suoi Apostoli – di mangiare questa Pasqua con voi (Lc 22,15). È per la stessa ragione che i santi Padri, quando ci invitano alla s. Comunione, si servono dei luoghi della Scrittura dove si parla di fame e di sete: O voi tutti assetati, venite all’acqua (Is 55,1). Venite, voi che avete sete, venite a bere quest’acqua salutare: Beato chi ha fame e sete di giustizia (Mt 5,6). Con questa parola «giustizia» essi intendevano misticamente il Verbo incarnato. S. Agostino disse espressamente che l’uomo interiore deve avere fame del pane celeste per mangiarlo. Questa disposizione era comune con i primi fedeli al punto che chiamavano l’Eucaristia «l’oggetto di tutti i loro desideri». Da tutto ciò è facile concludere che un cristiano non può prepararsi meglio a riceverla con l’abbondanza di grazie che questo Sacramento comunica, come quando può indirizzare al Signore queste parole del Profeta: La mia anima anela a te di notte, al mattino il mio spirito ti cerca (Is 26,9).
3. Ma cosa occorre fare per eccitare in noi il desiderio? Due cose: primariamente, occorre conoscere i vantaggi che si trovano nella s. Eucaristia per liberarci dai nostri mali e per acquistare i veri beni. Perché il desiderio è l’amore per un bene assente: è un movimento dell’anima per mezzo del quale, persuasi dell’utilità di un bene di cui siamo privi, aspira alla fortuna di possederlo e di giorne. È per questo che se voi volete infiammare il vostro cuore di questo desiderio, occorre leggere con attenzione, occorre meditare spesso tutto ciò che, nella prima parte di questo Trattato, abbiamo esposto dei meravigliosi frutti di questo adorabile mistero, e dei grandi disegni che il Signore si è proposto istituendolo. Non è possibile che un’anima che è presa dall’amore per la propria santificazione, non senta subito un estremo ardore accostandovisi. È quello che s. Agostino ci insegna quando egli dice che «noi mangiamo con avidità questo cibo divino, se noi ripassiamo dolcemente nella memoria tutto ciò che Gesù Cristo ha fatto e sofferto per noi».
4. Il secondo mezzo per eccitare in noi un grande desiderio della s. Comunione, è, come dice la Scrittura, di unire il digiuno all’orazione, cioè, la mortificazione dei sensi alla meditazione delle grazie che questo Sacramento comunica. Perché la gioia del piacere diminuisce le forze dell’anima e la rende meno capace di desiderarne un altro, e, finché il cuore è occupato da soddisfazioni umane, non desidera che debolmente i beni soprannaturali. Al contrario, quando si priva dei divertimenti frivoli, poiché non può vivere senza piaceri, si getta con tutta l’energia delle sue potenze nel sentiero che gli si apre davanti: la meditazione e la dolcezza che troverà nella s. Eucaristia.
5. Le principali figure dell’Eucaristia, la manna e l’agnello pasquale, ci insinuano questa pratica, e la condotta della Chiesa ci porta a convincerci della sua utilità. Il popolo d’Israele non si accontentò della dolcezza della manna e coloro che desiderarono di mangiare i cibi ordinari, non finirono di reclamarli che le quaglie piombarono sul terreno e diedero loro morte al posto della vita: Mangiarono e furono ben sazi, li soddisfece nel loro desiderio. La loro avidità non era ancora saziata, avevano ancora il cibo in bocca, quando l'ira di Dio si alzò contro di essi, facendo strage dei più vigorosi e abbattendo i migliori d'Israele (Sal 78,29-31).
Riguardo all’agnello pasquale, perché bisognava mangiarlo con i fianchi cinti (cf Es 12,11); perché bisognava mangiarlo con erbe selvatiche e amare (cf Es 12,8), se non perché noi apprendessimo da questi segni simbolici della mortificazione, quanto fosse vantaggioso per accostarsi con fame all’Eucaristia, prepararsi con esercizi di penitenza? Infine, quando si è ridotta la s. Comunione, dapprima quotidiana, alle domeniche e alle feste di Nostro Signore e degli Apostoli, si guarda questa pratica tanto più volentieri in quanto questi giorni sono preceduti da giorni di astinenza e di digiuno [come era uso ai tempi dell’Autore]. E quando la Chiesa ha comandato di comunicarsi almeno una volta all’anno, ha scelto come tempo quello della Pasqua, come se avesse voluto rimarcare così che occorre niente di meno che un digiuno di quaranta giorni per preparare alla s. Comunione i peccatori che si comunicano così raramente. E una volta li obbligava ugualmente a confessarsi all’inizio della Quaresima, affinché essendo riconciliati con Dio, digiunando e ascoltando la predicazione durante quaranta giorni, potessero ricevere la s. Comunione con più ardore e, conseguentemente, con più profitto. Questo costume parse così utile al card. Bellarmino che voleva ristabilirlo.
Non è con questo che io voglio approvare il sentimento di coloro che ancora oggi vogliono allontanare i peccatori dalla sacra mensa, finché non hanno perfettamente soddisfatto la giustizia divina per i loro peccati. Giacché, oltre che papa Alessandro VIII con il suo decreto del 7 dicembre 1690 ha condannato coloro che ritengono che questa soddisfazione perfetta sia necessaria disposizione per comunicarsi; una volta che la Chiesa, sempre saggia, sempre guidata dallo Spirito Santo, non hai imposto più queste lunghe penitenze, con quale diritto lo possiamo esigere noi? D’altronde, applicandoci nella s. Comunione il Signore i suoi meriti, possono diminuire le pene in cui siamo incorsi con i nostri peccati. Infine, come possiamo noi sapere in modo certo in quale momento abbiamo pienamente soddisfatto le pene per i nostri peccati? E come potremmo mai comunicarci, dunque, se una tale condizione fosse necessaria?
6. Vedete, ora voi sapete in che cosa consiste la fame spirituale dell’Eucaristia, conoscete quali sono i mezzi per farla nascere nelle vostre anime e con quali pratiche potrete attizzare nei vostri cuori questo ardente desiderio. Ma qual ‘ il motivo che deve portarvi ad impiegare questi mezzi per disporvi alla s. Comunione? Oh! Com’è potente, anime cristiane, com’è pressante questo motivo! Eccolo in una parola: questo desiderio è la misura delle grazie che voi riceverete comunicandovi. Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia che saranno saziati (Mt 5,6). Il desiderio apre il cuore e lo dilata a misura che sia più o meno ardente. Del resto, per grande che possa essere il nostro cuore, per ampia che possa essere la capacità che questo desiderio gli dona, esso sarà riempito, esso sarà saziato: Ha colmato di beni gli affamati (Lc 1,53). È ciò che s. Girolamo spiega mirabilmente trattando di un versetto del Salmista: Apri la tua bocca, la voglio riempire (Sal 81,11). «Volete voi – dice questo Padre – ricevere il nutrimento del Signore? Volete voi mangiare vostro Signore Lui stesso, vostro Dio e vostro Salvatore? Ascoltate quello che Lui vi dice: Apri la bocca e Io la riempirò, perché Egli è il nostro Dio e il nostro pane, nello stesso tempo che ci esorta a mangiare, si dona a noi per essere nostro cibo. Aprite, dunque, la bocca del vostro cuore, perché ne riceverete in proporzione di quanto l’aprirete. Questo il Signore vi dice: la misura dei beni che voi riceverete non dipende da Me, ma da voi; se voi volete, voi Mi riceverete tutto intero. Pesa, amico mio, queste parole: la misura delle grazie che tu riceverai dipende da te. Helà! È dunque colpa mia se io ricevo poco frutto da questo Sacramento».
Ma, cosa occorre ancora fare per ottenere queste grazie? Niente di più facile: non si deve che desiderarle, e se io desidero di ricevere Gesù Cristo tutto intero, se io lo desidero unicamente, se io non desidero altro con Lui, se io lo desidero con tutte le forze della mia anima, del mio cuore, io lo riceverò tutt’intero, gusterò tutta la sua dolcezza e mi unirò perfettamente a Lui e sarà interamente trasformato in Lui. Se Mi volete tutto intero, prendete! Perché, dice s. Eusebio, non è immaginabile l’ardore e la bontà con cui Gesù Cristo viene in un’anima che desidera appassionatamente ricevere l’Eucaristia, e con quale gioia Egli vi riposa, tanto questo desiderio gli è gradito! Chi potrà mai deplorare abbastanza l’insensibilità dei cristiani per questo adorabile mistero? Chi potrebbe impedire di concepire una giusta indignazione contro la tiepidezza con la quale ci si accostano? Hela! Voi desiderate invano i piaceri, le ricchezze e gli onori del mondo, voi non ne gioirete per il fatto solo che li desiderate, eppure non sono essi l’oggetto di tutte le vostre speranze? Al contrario, voi non avete che da desiderare la s. Eucaristia per essere i figli di Dio e gli eredi della sua gloria, per possedere il cielo con tutti i beni che racchiude, e invece voi non avete che del disgusto!
Cosa posso pensare, o mio amabile Salvatore, della tua bontà che colma di grazie e di liberalità tutti coloro che le desiderano? In verità, essa è eccessiva. Apri la tua bocca che la voglio riempire. Ma, helà!, che devo anche pensare di quelle anime indolenti che non vogliono avere neanche la pena di desiderarle per ottenerle? S. Bonaventura (De præpar. Ad Miss.) ha ragione di dire che essi devono essere o morti o malati gravi. Perché non c’è che la morte o una profonda indolenza che possa produrre una simile insensibilità. Uscite dunque, anime cristiane, uscite da questo assopimento, aprite gli occhi per considerare i vantaggi che sono contenuti nella s. Eucaristia, e per desiderarli; e, al fine di perfezionare questo desiderio, distaccatevi dai piaceri della terra. Per ottenerli bisogna desiderarli, e voi li riceverete con tanta più abbondanza quanto più il vostro desiderio sarà ardente. «Vedete – dice s. Giovanni Crisostomo (Homil. LX ad popul. Antioch.) con quale gioia i bimbi prendono il nutrimento dalla mammella della mamma, con quale ardore lo succhiano? È così che noi dobbiamo avvicinarci alla sacra mensa e bere al calice spirituale. O piuttosto noi dovremmo, come piccoli bimbi, succhiare con ben più avidità e entusiasmo la grazia dello Spirito Santo in questo mistero; e la privazione di questo cibo divino dovrebbe essere l’unica causa della nostra tristezza e del nostro dolore». Infine, come dice s. Anselmo, più voi amate questo cibo celeste, più voi ne mangiate, e più lo mangiate, più lo amate; l’amore e la fame di questo cibo celeste si perfezionano a vicenda. Voi ne mangerete in proporzione di quanto lo amate e voi lo amerete in proporzione di quanto lo mangerete.
7. Ma, nondimeno, voi mi direte, quando io non sento questo desiderio, non dovrei comunicarmi, perché se ne deve mangiare quando se ne ha fame. Per chiarire ogni dubbio, rimarco due cose in questo desiderio. La prima è che l’essenza di questa fame spirituale, la seconda non è che, per così dire, un accessorio. L’essenza consiste in un desiderio sincero di rimediare ai nostri peccati e di crescere nelle virtù. L’accessorio è un ardore sensibile che si esperimenta nella parte inferiore dell’anima e che si riflette anche nel corpo. Questo ardore sensibile non è necessario per ricavare il grande frutto della s. Comunione; è sufficiente desiderarla come un mezzo efficace per santificarci. Ma al fine di rispondere con più chiarezza su questa materia, distinguo tre categorie di persone che possono non sentire questo ardore e queste sensazioni nel comunicarsi. I primi sono i mondani attaccati ai piaceri e alle ricchezze della terra. I secondi sono persone che, dopo aver condotto una vita mondana o fortemente rilassata, si sono convertiti a Dio, e vogliono sinceramente servirLo, ma non hanno ancora distrutto le loro antiche abitudini. I terzi, infine, sono delle anime sante, di cui alcuni che hanno vissuto sempre nell’innocenza, e altri che, dopo una sincera penitenza, hanno fatto grandi progressi nelle virtù.
8. Non bisogna meravigliarsi che i primi non sentano alcun desiderio di comunicarsi. Perché il desiderio della s. Comunione suppone un desiderio sincero e vero di santificazione, e una conoscenza dell’aiuto che si trova nell’Eucaristia per la nostra santificazione. Ora, le persone attaccate al mondo non hanno né l’uno né l’altra. Essi vivono in una grande indifferenza per le cose del cielo, e in una ignoranza penosa del mistero dell’Eucaristia. Se si avvicinano ad essa è troppo spesso per rispetto umano, per consuetudine e per buona usanza esteriore. La gente di questo genere farebbe benissimo a cominciare ad eccitare nel proprio cuore il desiderio della propria salvezza come il principale affare da sbrigare, e istruirsi sul perché il Signore abbia istituito questo augusto mistero e degli effetti che esso ha sulle anime. È questo il saggio consiglio che dà Luigi di Granada e di cui è prudente servirsi. Perché senza questo questa gente potrebbe mancare delle disposizioni necessarie per comunicarsi. Ma, una volta che essi si siano così disposti, non mancheranno certamente di desiderare di fare la s. Comunione; e, benché questo desiderio non fosse sensibile, la s. Comunione non cesserà di essere loro utile. L’Eucaristia è, per queste persone, come la medica per i malati. La voglia di guarire, conosciuto l’utilità di questo rimedio, è sufficiente per spingerli a prenderla, senza che il poco gusto che ne provano sia di impedimento agli effetti di essa.
9. Coloro che sono già iniziati alla pratica delle buone opere e che lavorano seriamente per la loro salvezza, quantunque siano ancora fortemente imperfetti, possono avere dei grandi vantaggi dalla s. Comunione, quantunque non avessero delle grandi sentimenti nel comunicarsi. Come abbiamo paragonato i primi ai malati, vogliamo paragonare questi secondi ai convalescenti. Quando un uomo è reduce da una grande malattia, non cessa di mangiare, anche se non trova gusto negli alimenti, quantunque mangia senza appetito, non cessa di fortificarsi. Solamente, è bene che questi cristiani imperfetti, avvicinandosi alla sacra mensa per rinnovare le proprie forze, si purificano sempre più con qualche esercizio di penitenza. L’Eucaristia li fortificherà negli esercizi di pietà faticosi, e questi esercizi di pietà li aiuteranno a ritrovare il gusto dell’Eucaristia e a concepire un grande desiderio di comunicarsi.
10. Quando succede che delle persone, per di più virtuose, non sentono affatto questo ardente desiderio di avvicinarsi alla sacra mensa, saranno molto felici di apprendere in quale maniera devono comportarsi. Occorre prima di tutto ricercare la causa di questa mancanza di fervore. Qualche volta è una punizione, qualche volta è una prova. È una punizione, quando queste anime hanno commesso qualche mancanza più volontaria e più considerevole del solito; per esempio, se hanno seguito delle inclinazioni puramente naturali, quantunque innocenti in apparenza che li hanno portati a dissiparsi in occupazioni esteriori, quantunque esse stesse necessarie e sante. Perché queste mancanze che, nelle persone imperfette, non vengono considerate affatto, feriscono la delicatezza dello Sposo divino che non può soffrire la minima macchia nelle sue spose. Ma se, dopo un attento esame, queste anime pie non si scoprono colpevoli di nulla, esse devono credere che sia una prova, che Dio, cioè, vuole svezzarle dalle dolcezze sensibili e condurle per un puro sguardo di fede che mostra loro nel Sacramento la sorgente di ogni grazia; cosa sufficiente a loro per avvicinarsi. Quando è una punizione, occorre accettarla come mezzo per scontare i propri peccati, quindi occorre entrare nei sentimenti del Signore, mettersi dalla parte sua e aiutarLo a fare giustizia di noi stessi, aggiungendo qualche altra mortificazione a quella con cui Egli ci sta punendo. Quando è una prova, occorre sottomettersi volentieri, e abbandonarsi alla Provvidenza del Signore con una cieca confidenza, per lasciarsi condurre secondo i suoi disegni. L’esperienza ci dice che quando ci si comporta così, senza per nulla diminuire la preparazione alla s. Comunione, si ritrovano, con sovrabbondanza, comunicandosi, le dolcezze di cui si era stati privati e, ugualmente, delle grazie spirituali ancore più solide.
PARTE SECONDA – CAPITOLO TERZO
Del cibarsi dell’Eucaristia
1. Come, per nutrire il proprio corpo, non basta avere fame, ma occorre anche mangiare, parimenti, non è sufficiente per assecondare il mirabile disegno del Signore, di desiderare ardentemente l’Eucaristia, occorre anche cibarsene. Ma per comprendere meglio questo, distinguiamo, con il Concilio di Trento, diversi modi di prendere questo divino nutrimento. S. Tommaso ne segnala tre. Egli chiama la prima manducazione puramente sacramentale, la seconda puramente spirituale, e la terza sacramentale e spirituale insieme. Mangiare sacramentalmente Gesù Cristo, è far passare nelle nostre viscere il suo corpo e il suo sangue nascosti nelle specie del pane e del vino. MangiarLo spiritualmente, è unirsi a Lui per grazia e per gli atti di fede, di speranza e di carità. Ma, mangiarLo in maniera sacramentale e spirituale allo stesso tempo, è riunire insieme gli altri due modi. I peccatori, dice s. Tommaso, che comunicano in stato di peccato mortale non ricevono che sacramentalmente il Signore; i giusti, prima della istituzione dell’Eucaristia, se ne sono nutriti in una maniera puramente spirituale; i cristiani che comunicano degnamente mangiano il Signore in entrambi i modi. Possiamo dire, seguendo questo santo Dottore, che i primi mangiano Gesù Cristo senza mangiarLo. Essi Lo mangiano dato che fanno effettivamente passare il suo corpo e il suo sangue nelle loro viscere, ma siccome non ne hanno alcun frutto, è come se non Lo mangiassero. Dei secondi possiamo dire che, benché essi non ne mangino, tuttavia ne mangiano. Perché sebbene non Lo ricevono realmente, essi non trascurano di unirsi a Lui per mezzo della grazia. E possiamo dire dei terzi, che essi mangiano e che sono mangiati. Mangiano, perché ricevono il Sacramento, e sono mangiati, perché mangiando sono incorporati in un modo speciale al corpo mistico di Gesù Cristo.
2. Ma occorre bene rimarcare che si può, secondo s. Tommaso, ricevere l’Eucaristia sacramentalmente e spiritualmente in due modi, in riferimento alle disposizioni di chi la riceve. Questo grande dottore chiama una manducazione «abitualmente spirituale» e l’altra la chiama «attualmente spirituale». In tutte e due si riceve realmente Gesù Cristo in stato di grazia, ma nella prima Lo si riceve senza esercitare alcun atto di virtù, e nella seconda, invece, si producono ricevendolo, degli atti di fede, speranza e carità. La prima è senza dubbio manducazione inferiore alla seconda. La prima è sufficiente per aumentare la grazia santificante, ma la seconda è necessaria, secondo s. Tommaso, per gustare la dolcezza di questo Sacramento. Gesù Cristo ci ha comandato la prima, quando dice: Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo (Mt 26,26); e sembra raccomandarci la seconda quando aggiunge: Tutte le volte che farete questo, fatelo in memoria di Me (Lc 22,19), che è come se dicesse: Pensate a Me, credete e sperate in Me, amate Me. È di questa seconda manducazione sacramentale fatta in stato di grazia, e accompagnata da una attenzione rispettosa, e l’esercizio delle virtù cristiane, che noi parliamo qui, essa è la più adatta ad assecondare il disegno del Signore e a partecipare con abbondanza ai frutti di questo adorabile Sacramento.
3. Per chiarire questa materia e spiegare meglio la natura di questa manducazione attualmente spirituale, faccio notare, come la Scrittura ci insegna, che gli spiriti si nutrono alla loro maniera. L’angelo Raffaele disse a Tobia che egli sembrava che mangiasse un cibo materiale, ma ciò era solo apparenza e che in realtà non mangiava quel cibo (cf Tb 12,19). E il Signore disse Lui stesso ai suoi Apostoli che prendeva un cibo che loro non conoscevano (cf Gv 4,32). Infine, s. Agostino disse espressamente che il Verbo, che ci serve da nutrimento nell’Eucaristia, serve anche di nutrimento agli angeli del cielo. Ed è per questo che la Chiesa canta che l’uomo mangia in questo Sacramento il pane degli angeli; ma, aggiunge questo Padre, gli angeli si nutrono per mezzo della chiara visione di Dio, e noi per mezzo della fede. Tenete presente, in secondo luogo, che mangiare è agire, e poiché non conosciamo nessun altro atto proprio agli spiriti che quelli dell’intelletto e della volontà, ne segue che gli spiriti non possono nutrirsi che per gli atti di queste due potenze, e che quindi si nutrono degli oggetti contemplandoli e amandoli. Vediamo anche che l’analogia di questi due modi di nutrirsi ha dato modo di esprimere le azioni spirituali degli spiriti con delle metafore tratte dal nutrimento materiale. Se si dice di avere gusto per gli alimenti, si dice anche di aver gusto per l’eloquenza e per la poesia, e si gusta la verità come si gusta un cibo. Si dice ruminare, l’azione degli animali che rimasticano le erbe che avevano già inghiottito; e si dice pure ruminare qualcosa quando lo si ripassa più volte nello spirito. Si dice digerire un discorso, come si dice digerire un cibo. Come il corpo cresce mangiando, parimenti lo spirito si perfeziona con la lettura e la meditazione. È assimilando il cibo che il corpo cresce, analogamente, è assimilando gli oggetti, che gli spiriti si perfezionano. Infine, come la manducazione corporale sostiene e fortifica la carne, la speranza e l’amore sostengono lo spirito, gli danno forza e gli ispirano ardimento e coraggio.
4. È facile allora comprendere cosa i Padri e i teologi intendono per manducazione spirituale della s. Eucaristia e perché ci esortano ad aggiungerla alla manducazione sacramentale. Essi ci esortano a non accontentarci di comunicarci in stato di grazia, ma a produrre anche, comunicandoci, degli atti di fede, di speranza, di carità e delle altre virtù. Ci esortano ad adorare Gesù Cristo, a umiliarci alla Sua presenza, a fermarci con Lui chiedergli il soccorso di cui abbiamo bisogno. Ecco in cosa consiste questa manducazione spirituale, così utile per profittare di tutte le grazie che il Signore ci elargisce ricevendo questo Sacramento. Perché la s. Eucaristia non solo aumenta la grazia santificante, ma ci procura ancora da se stessa una molteplicità di grazie attuali per credere, per sperare e per amare. Quando Gesù Cristo entra in un’anima ben disposta, Egli irradia su di lei i suoi raggi di luce, come dice s. Giovanni Cristostomo, la colma della sua unzione, la sollecita a amarLo, gustarLo, abbracciarLo; ed è principalmente per la fedele corrispondenza a queste grazie, che lei Lo gusta, che lei Lo abbraccia, che lei si unisce a Lui, che lei si disgusta del mondo, che cambia condotta, che fa così grandi progressi nel cammino della virtù, e che si fortifica per lavorare, conseguentemente, con più allegria e più efficacia nella sua santificazione. Anche il Saggio, parla dell’Eucaristia in profezia, dice che essa è il pane della vita, il pane della conoscenza, e la bevanda della saggezza, per farci comprendere che occorre mangiare spiritualmente per mezzo degli atti propri del dono dell’intelletto e della sapienza, per mezzo degli atti di fede e per mezzo di santi slanci affettuosi (cf Sir 15,3).
5. Questa spiegazione della manducazione spirituale ci fa capire il discorso che il Signore tenne su questo mistero agli abitanti di Cafarnao. Come Egli parlava di darci il suo corpo da magiare e il suo sangue da bere, quel popolo grossolano prese le cose alla lettera e non pensò che ad una manducazione corporale e ne furono tutti scandalizzati (cf Gv 6,53). Il Signore, per istruirli rispose: Le parole che Io vi dico sono spirito e vita, la carne no serve a nulla (Gv 6,63). Come a di re: Quando vi ho promesso di nutrirvi del mio corpo, io non pretendo che serva a conservarvi la vita del vostro corpo, la mia carne non servirà affatto per questo. Ma la mia intenzione è di nutrire spiritualmente le vostre anime con il mio corpo. Perché, se il mio corpo, contro la natura dei corpi ordinari, può salire al cielo come se fosse un puro spirito, perché non si potrebbe mangiare in un modo spirituale? È ancora questo senso che dobbiamo intendere certe affermazioni dei Padri di cui gli eretici hanno abusato per combattere la presenza reale del Signore nel Sacramento dei nostri altari. Giacché quando parlano di mangiare spiritualmente il corpo del Salvatore, non volevano affermare che non fosse veramente presente, ma che, per ricerverLo con più frutto, occorre nutrirsene alla maniera con cui se ne nutrono gli spiriti, cioè occorre esercitare degli atti interiori di virtù, affinché il Signore si unisca a noi e ci comunichi la sua vita. è in questo senso che s. Agostino disse (Tract. XXVII in Joan.) ciò che i Calvinisti fanno suonare alto per appoggiare i loro errori: Credete e voi avete mangiato.
6. Ritornando al nostro soggetto , i Padri ci esortano a questa manducazione spirituale come al principale mezzo di sperimentare gli ammirabili effetti dell’Eucaristia. Perché, se occorre essere in stato di grazia per comunicarsi, se occorre avere fame di questo celeste nutrimento, il tutto è per il mangiare, e la manducazione è come il fine delle due disposizioni precedenti. «Prendete – dice s. Agostino in più di un luogo – il pane della vita non solamente con la bocca del corpo, ma ancora di più con la bocca del cuore». Il pane della vita, secondo Didimo, è il Verbo di Dio, che ha la capacità di nutrirci. «Noi Lo mangiamo – disse questi – per mezzo degli atti delle virtù, e noi Lo beviamo per mezzo della contemplazione. Noi beviamo l’acqua viva alla sua sorgente, e il vino della vigna che rallegra il cuore dell’uomo. Questo pane di vita ci sazia, e questa bevanda estingue la nostra sete». «Coloro – dice Teodoro d’Eraclea – che ricevono la carne di Gesù Cristo con un’anima pura e che gustano spiritualmente questo mistero, producendo atti di fede e che eccitano il loro cuore con santi affetti, mangiano spiritualmente la carne di Gesù Cristo, partecipano per mezzo della fede ai meriti del Suo sangue e prendono possesso dell’eredità della vita eterna» «Quando voi ci avvicinate all’altare tremendo per nutrirvi del cibo e della bevanda di salvezza – dice Eusebio d’Emesse (Hom. de Pasch.), considerate con gli occhi della fede il corpo sacro del vostro Dio, onorateLo e ammirateLo, toccatelo con il vostro spirito, ricevetelo con le mani del vostro cuore, e soprattutto bevete interiormente il Suo sangue». S. Bernardo adopera lo stesso linguaggio nel suo secondo sermone sul Cantico dei Cantici, e s. Tommaso aggiunge che, come si gustano gli alimenti che si masticano nella bocca, ci sono coloro che mangiano spiritualmente il corpo di Cristo per mezzo di pie considerazioni e con i loro pii affetti ne gustano la dolcezza.
7. Da tutto ciò che abbiamo detto, concludete, o anime cristiane, che una delle principali ragioni per cui tante persone approfittano così poco della s. Comunione è che non mangiano affatto spiritualmente il corpo adorabile del Salvatore; e capite nello stesso tempo che il modo sicuro e infallibile di ricavarne dei grandi frutti, è quello di esercitarsi, quando Lo si riceve, in atti di fede e di amore. Ma, poiché gli atti della volontà seguono naturalmente agli atti dell’intelletto, cominciate, quando vi comunicate, considerando tutte le meraviglie contenute nell’Eucaristia. Non accontentatevi proprio di credere in generale che possedete Gesù Cristo, ma immaginatevi le sue perfezioni, così come i santi Padri ce ne hanno parlato. E ecco, di seguito, qualche testo dei Padri che potrebbe esservi utile.
8. «Quando – dice s. Giovanni Crisostomo (Omil. XXIV in 1Cor), vedrete il corpo di Gesù Cristo sui nostri altari, dite a voi stessi: Per mezzo del questo corpo io non sono più cenere e polvere, non sono più schiavo, io sono libero, ho oggetto di sperare il cielo e tutti i beni ivi racchiusi, una vita immortale, la compagnia degli angeli e la visione di Gesù Cristo. Il sole non poté vedere questo corpo appeso alla croce senza oscurare i suoi raggi. Il velo del tempio, come pure le rocce si spaccarono dal dolore e tutta la terra tremò. È da questo corpo tutto lacerato e trapassato da una lancia che fuoriuscirono le sorgenti salutari del sangue e dell’acqua.
Volete poi conoscere da altri testi fino a dove giunge la sua potenza e la sua virtù? Interrogata l’emorroissa che fu guarita toccando, non il suo corpo, ma il suo vestito, non tutt’intero, ma solo il bordo; interrogate il mare che Lo ha visto camminare sui suoi flutti; chiedete al demonio che da Lui ha ricevuto una ferita mortale, è stato spogliato delle sue forze e fatto schiavo, ha visto inutili tutti i propri sforzi ed è dovuto scappare. Egli vi risponderà che è questo corpo che gli ha spaccato la testa, e che ha trionfato sulla sua potenza. Domandate alla morte sulla quale Egli ha innalzato il suo vessillo e l’ha vinta in modo che anche i fanciulli possono disprezzarla, lei che era temuta anche dai re e dagli stessi giusti, lei vi dirà che è il corpo di Gesù Cristo che ha operato tutte queste meraviglie». In verità, se noi ci facessimo delle immagini della grandezza della bontà di Colui che riceviamo comunicandoci, come potremo fare a meno di essere penetrati da sentimenti del più profondo rispetto e del più tenero amore?
9. Questi pensieri di s. Giovanni Crisostomo si riferiscono al corpo del Salvatore, prima della morte, ma lo stesso santo, nella terza omelia sulla Lettera agli Efesini, ce Lo mostra così com’è nella sua gloria: «Finché noi siamo in questo mondo – dice questi – il mistero dell’Eucaristia cambia per noi la terra in paradiso. Salite dunque – aggiunge – fino alle porte del cielo, o piuttosto fino al più alto di tutti i cieli, guardate attentamente e io, quindi, vi mostrerò sui nostri altari ciò che voi avete più ammirato in paradiso. Perché, come nei palazzi, non sono tanto le tappezzerie e le decorazioni che si guardano quanto il re seduto sul suo trono, io non mi fermo a mostrarvi nel cielo gli angeli e gli arcangeli, ma il Signore e il Re degli angeli e degli arcangeli, e voi Lo avete qui sulla terra. Tenete presente dunque, quando vedete l’Eucaristia, che è il corpo e il sangue di Colui che abita nel più alto dei cieli e che gli angeli adorano con rispetto; Colui che è assiso presso il Dio immortale e onnipotente. Ma pensate nello stesso tempo che voi bevete il suo sangue e mangiate il suo corpo». Se voi avrete cura di occupare il vostro spirito con questi pensieri durante la s. Comunione, non potrete fare a meno di esclamare con questo santo (De Sacr. Alt., lib. V): «O miracolo! O bontà! Colui che è assiso alla destra del Padre si lascia abbracciare da tutti coloro che lo desiderano ricevere!».
10. Questi testi di s. Giovanni Crisostomo ci mostrano la grandezza e la maestà del Salvatore, ed eccovi adesso un altro, che tratta della Sua bontà e del Suo amore, tratto da s. Lorenza Giustiniani (De casto connubio, n. XXII): «Per ciò che riguarda – dice questo Padre – l’eccellenza della carità che Gesù Cristo ci testimonia in questo Sacramento, nessuno può pensare di spiegarla degnamente se non è uno spirito incredulo, che non crede che il Signore sia lì realmente presente, o un cuore duro, che non ne ha mai esperimentato la dolcezza. Giacché chi non ne sarà sorpreso, stupito, riempito di gioia e di ammirazione pensando che il Re della gloria ha voluto non solamente nascondersi così, ma riposarsi nel cuore dell’uomo? Quando Egli non accordasse questo favore che ai giusti, esso sarebbe ugualmente grande, ma che diciamo noi del fatto che Egli ugualmente non si rifiuta agli empi, la cui condotta Lo disonora continuamente? Egli non è stato tradito e venduto che una sola volta nella sua vita mortale, mentre Egli viene tradito e venduto mille e mille volte in questo Sacramento. Egli non è morto che una volta sola sulla croce, ma è immolato ogni volta che si celebra la s. Messa. O memoriale di salvezza, o sacrificio singolare, o vittima infinitamente gradita a Dio! O pane di vita, dolce nutrimento, delizioso convito di cui l’agnello senza macchia e la manna non erano che imperfette figure. Chi potrà riceverTi e lodarTi degnamente, comprenderTi perfettamente e onorarTi con affetti abbastanza puri e desiderare cose che uguagliano i beni che Tu racchiudi? Io mi sento mancare quando penso a Te, la mia lingua diventa muta quando voglio parlare di Te e sono incapace di esaltarTi quanto io vorrei. Dammi, dunque, o mio Dio, uno spirito illuminato e una lingua eloquente per far conoscere le meraviglie del tuo Sacramento, giacché lo spirito umano e ugualmente tutta l’intelligenza degli angeli non possono né comprenderle né spiegarle. Tu solo, o mio Dio, che hai voluto e hai potuto fare tutti questi così grandi prodigi, li conosci. Ma, ancorché i grandi santi non siano capaci di lodarTi degnamente, non occorre per questo che i peccatori cessano di farne le lodi».
11. Servitevi, anime cristiane, di queste considerazioni, leggetele, meditatele spesso per riempirne la vostra memoria e sperimentare infallibilmente, quando vi comunicherete, tutte le tenere affezioni che esse producono. Ma benché questo Sacramento sia un tesoro dove Dio ha racchiuso tutte le sue ricchezze, occorre chiedere quelle di cui più voi avete bisogno, cioè dovete fermare a considerare e a desiderare la virtù che più vi è necessaria. La s. Eucaristia è un grande e magnifico banchetto dove ci vengono presentati un’infinità di alimenti deliziosissimi. Tutte le virtù del Salvatore sono come altrettante pietanze che vi vengono servite. Nondimeno, come in un sontuoso convito non si può mangiare di tutto, ma ciascuno sceglie ciò che è più di suo gusto e appropriato alla sua salute, ugualmente tra questa moltitudine di grazie che il Signore vi offre, occorre considerare quelle che, in rapporto alla disposizione in cui vi trovate, sono per voi le più necessarie. Se voi siete orgogliosi, considerate l’umiltà del Salvatore; se voi siete collerici e prepotenti, considerate la sua dolcezza; se voi siete dissipati, considerate il suo raccoglimento in cui Egli è sempre con suo Padre che adora continuamente. Considerando le Sue virtù, voi vi affezionerete ad esse, le domanderete e le otterrete. È così che voi otterrete nuovi frutti dalle vostre s. Comunioni.
12. Ci si potrà domandare se, quando non si sente affatto del gusto e della devozione comunicandosi, uno se ne deve astenere e comunicarsi più raramente. Spesso, in effetti, persone che provano grandi dolcezze agli inizi della loro conversione non le sentono più in seguito o le sentono più raramente, e succede anche che le anime più avanzate nella santità ne siano interamente private. Ciò che ho detto riguardo alla fame spirituale e al desiderio, può servire per rispondere a questa questione, giacché le stesse ragioni che impediscono a questo desiderio di farsi sentire sensibilmente, spiegano anche questo cambiamento e queste privazioni. Rileggete quei luoghi. Io aggiungo qui solo che secondo il pensiero dei Padri, la mancanza della devozione sensibile non è una ragione per astenersi dalla s. Comunione. Ecco come s. Lorenzo Giustiniani spiega questa questione: «Che nessun servitore di Dio si ritiri da questo Sacramento, e che nessuno se ne privi, foss’anche mancasse la devozione attuale. Perché la sapienza di Dio produce, in coloro che lo servono, gli effetti delle sue grazie in diverse maniere e non ci è dato di penetrare i segreti della sua condotta che sono inaccessibili allo spirito umano. È per questo che non dobbiamo allontanare dalla mensa del Signore un cristiano dalla vita regolare e virtuosa, che ha umili sentimenti di fede, che si confessa con sincerità, e che si avvicina alla s. Comunione con rispetto, quantunque egli non sperimenti nessuna devozione sensibile. Un uomo di questo genere si nutre del Sacramento in una maniera che non influisce affatto sui sensi e che è tutta spirituale». S. Bonaventura s’accorda perfettamente con questo santo patriarca: «È utile e salutare a tutti – dice questi – di prepararsi sempre il più devotamente possibile a ricevere la s. Comunione, e di conservare la devozione dopo averla ricevuta. Ma i religiosi e coloro che sono consacrati a Dio, devono apporvi ancor maggiore attenzione. Il rispetto che questi devono avere a questo Sacramento, li impegna a condurre una vita più innocente, ad applicarsi più ordinariamente agli esercizi di pietà, a conservare più accuratamente la purezza della coscienza prima di riceverlo e anche dopo averlo ricevuto. Se tuttavia, essi talvolta si sentono tiepidi, si affidino alla misericordia di Dio e si avvicinino con coraggio. Giacché, se da un lato essi se ne giudicano indegni, devono ricordarsi d’altra parte che un malato ha più bisogno di ricevere una medicina quanto più la sua malattia è grave. È ai malati e non ai sani, che è necessario il medico (Mt 9,12), e voi non cercate di unirvi a Gesù Cristo per santificarLo, ma per essere da Lui santificati. Non occorre dunque omettere la s. Comunione, quantunque voi vi sentiate meno devoti sia preparandovi alla s. Comunione, sia ricevendola, o dopo averla ricevuta». Cosa si può dire di più formale per rassicurare quelle anime buone che piangono di essersi comunicate indegnamente allorquando manca in esse la devozione sensibile? Io aggiungo ancora, per la consolazione di coloro che sono privi di quelle consolazioni che sperimentarono agli inizi della loro conversione, che il Signore, dopo averli trattati da bambini nutrendoli di latte, li tratta ora da uomini adulti dando loro un nutrimento più solido (cf 1Cor 3,2). E posso anche applicare ciò che s. Gregorio (Hom. XXIX in Evang.) dice in riferimento ai miracoli, così comuni, alla nascita della Chiesa e oggi così rari. Gli alberi si annaffiano spesso per farli crescere quando sono piccoli, ma quando hanno gettato delle radici profonde, si cessa di innaffiarli. I miracoli erano un mezzo per estendere e affermare la Chiesa ai suoi inizi, ma al presente dato che essa è estesa per tutta la terra ed è bene stabile, non sono più necessari. Dico altrettanto di queste sensazioni e consolazioni sensibili: esse servono a fortificare la virtù ancora debole dei principianti, ma quando essi si sono fortificati, Dio cambia queste grazie in altre, in verità meno gradite, ma molto più vantaggiose.
PARTE SECONDA – CAPITOLO QUARTO
Della cura che dobbiamo avere di approfittare di tutte le grazie ricevute nella S. Comunione, conducendo così una vita più cristiana.
1. Siccome le liberalità di Nostro Signore non si esauriscono nel tempo della s. Comunione, ma Egli viene anche in nostro soccorso dopo per praticare le opere buone e avanzare nelle virtù, noi da parte nostra contraiamo l’obbligazione speciale di servirci degli aiuti che ci presenta e, quindi, di vivere più cristianamente. Non si mangia precisamente per mangiare, né per gustare il piacere che ci danno le pietanze, ma si mangia per mantenersi in vita, per ristorare le forze e per riprendere dopo le proprie occupazioni. Analogamente, noi non ci comunichiamo, noi non mangiamo il corpo di Gesù Cristo per esercitare solamente durante quel tempo qualche atto di virtù, né per esperimentare le gioie spirituali che accompagnano questo atto, ma noi mangiamo questo pane celeste per fortificare le nostre anime, e per lavorare in seguito con più coraggio e zelo per la gloria di Dio e per la nostra santificazione. Questo quarto mezzo di concorrere al disegno del Salvatore non è meno efficace dei precedenti; è per questo che i santi Padri ci esortano spesso a metterlo in pratica.
2. Considerate – dice s. Giovanni Crisostomo – ciò che fecero gli Apostoli dopo la loro prima Comunione. Essi pregano, cantano degli inni e passano una parte della notte ad ascoltare le ammirevoli massime della divina sapienza che il Salvatore spiegava loro. Ecco quello che dobbiamo imitare dopo esserci comunicati». «La manducazione dell’agnello pasquale – dice s. Cirillo – ricordava agli Israeliti il tempo del loro passaggio dall’Egitto al deserto per arrivare in seguito alla Terra Promessa. Ugualmente, l’Eucaristia deve fare ricordare ai cristiani che essi devono fuggire la vita mondana per condurre una vita virtuosa al fine di meritare la felicità promessa a coloro che si comunicano degnamente». «La legge – aggiunge lo stesso santo – ordinava che per mangiare l’agnello pasquale ci si dovesse cingere i fianchi, prendere un bastone in mano, i sandali ai piedi e bisogna mangiarlo in fretta (cf Es 12,9), questo per farci capire che dopo essere stati santificati per aver mangiato il corpo di Gesù Cristo, dobbiamo essere disposti ad andare dovunque Dio ci chiami, che dobbiamo essere né molli né delicati, ma pronti e generosi a camminare sulla strada dei suoi comandamenti. L’ordine che gli Israeliti avevano ricevuto che dopo aver mangiato questo agnello, dovessero per sette giorni mangiare solo pane non lievitato, ci fa capire che, dopo la s. Comunione, le affezioni del nostro cuore devono essere pure e regolate.
3. Ma il Signore stesso ce lo insegna quando disse: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Giacché, sia che voi intendiate, seguendo alcuni interpreti, che noi dobbiamo dopo la s. Comunione, agire per mezzo di quel principio di vita che Gesù Cristo comunica a coloro che mangiano il Suo corpo; sia che voi intendiate, seguendo altri autori, che noi dobbiamo vivere per Lui e conformemente alle sue intenzioni; l’una e l’altra di queste spiegazioni comportano, come voi vedete, un impegno di condurre, dopo aver mangiato di questo pane celeste, una vita più santa di prima. In effetti, ricordiamoci ciò che si è detto nella prima parte di questo Trattato, intorno alle intensioni del Salvatore. Egli si dona a noi sotto la forma di nutrimento, al fine di unirci al suo corpo mistico, e di servirsi di noi per la gloria del Padre. Ci anima del suo Spirito per comunicarci le sue inclinazioni e le sue virtù, e il fine suo principale è quello di stabilire tra noi e Lui lo scambio del più puro e ardente amore. Ora, tutto questo mostra l’obbligo che abbiamo di riformare la nostra condotta, e di applicarci con più fervore agli esercizi di pietà.
4. Sono queste le conclusioni che i santi Padri tirano fuori dalle premesse che noi abbiamo poste. «Quando noi riceviamo nelle nostre viscere – dice s. Gregorio – questo Agnello immolato sui nostri altari, quale altro spirito deve ispirarci se non quello della mansuetudine e della dolcezza?» «Dopo aver gustato un così eccellente cibo alla mensa del Signore – dice s. Agostino – dovrei ancora cercare dei gusti negli alimenti materiali e nel cibo degli animali?» «Poiché voi siete dopo la s. Comunione membri del corpo di Gesù Cristo – aggiunge a sua volta s. Giovanni Crisostomo – portate dunque la croce, perché Lui l’ha portata; soffrite con Lui gli sputi, gli schiaffi e i chiodi. Il suo corpo non ha mai commesso un solo peccato, la sua bocca non ha mai maledetto nessuno, la sua lingua non ha mai detto nulla di indecente, le sue mani erano sempre occupate a fare del bene a tutti, ed Egli ascoltava in silenzio chi lo accusava di essere posseduto da un demonio. Ecco chi è stato Gesù Cristo e l’unione che voi avete con Lui vi impegna ad imitarLo». Infine, Colui che è eterno – secondo s. Gregorio di Nissa – si è dato a mangiare ai cristiani «affinché, dopo averLo ricevuto, essi divengano ciò che Lui è»
5. Ma, come il Signore è nel Sacramento in qualità di vittima, e Egli si immola continuamente per la gloria del Padre e per la nostra salvezza, è soprattutto in questo punto che dobbiamo fare in modo di imitarLo. È questo che il Saggio ci insinua quando dice: «Quando siedi a mangiare con un potente, considera bene che cosa hai davanti; mettiti un coltello alla gola, se hai molto appetito» (Pr 23,1-2). Qual è questa tavola? Domanda s. Agostino, «è quella – risponde egli stesso – dove noi riceviamo il corpo e il sangue di Gesù Cristo e noi imitiamo ciò che Lui ha fatto per noi, sacrificando la nostra vita per l’edificazione dei fedeli, per la conservazione della fede, come Lui ha sacrificato la sua per noi. È per questo che ci comanda di metterci un coltello alla gola, per mostrare che siamo disposti a immolarci per il Suo servizio, come Lui s’è immolato per la nostra salvezza». «Quando il Signore – disse s. Basilio – ci ha raccomandato di far memoria della sua Passione (cf Lc 22,19) comunicandoci, egli ci ha indicato in quale maniera dobbiamo vivere morendo al peccato al mondo e a noi stessi». «Poiché in questi santi misteri – aggiunge s Gregorio – noi celebriamo la memoria della sua Passione, dobbiamo imitare ciò che rendiamo presente nel rito». E s. Bernardo giunge fino a dire che l’Eucaristia non è che un rendere presente la morte di Gesù Cristo e possiamo, propriamente parlando, comunicarci solo in quanto rassomigliamo a Gesù Crocifisso.
6. E se tutti i cristiani dovrebbero industriarsi, dopo la s. Comunione, a diventare delle vittime del santo amore, sull’esempio del Salvatore, questo obbligo è ancora ben più stretto per i preti, per i religiosi e per tutte le persone che si comunicano spesso. «Che il dispensatore dei sacri misteri non li rifiuti a nessuno, ma si renda consapevole di ciò che dovrà rendere». Si chiede molto a chi molto ha ricevuto (Lc 12,48). Se colui che non lavora non dovrebbe mangiare, seguendo ciò che disse Paolo (cf 2Ts 3,10), colui che mangia spesso deve lavorare di più. Pietro de Blois fa mette in risalto che, negli antichi sacrifici,, si riservava ai sacerdoti la pelle della vittima, per indicare che dovevano rivestirsi dello spirito di vittima, e immolarsi continuamente, come un’ostia vivente, al Dio vivente. Teofane di Nizza, nel suo bell’elogio che ci ha lasciato della dignità sacerdotale, dopo aver preferito il potere di consacrare e cambiare il pane nel corpo di Gesù Cristo alla potenza stessa di creare il cielo e gli angeli, conclude che quand’anche i preti donassero tutti i giorni mille volte la loro vita per Gesù Cristo, ancora non avrebbero ricambiato degnamente un così raro favore. E s. Girolamo, interpretando queste parole di Isaia, Si prepara la tavola, si stende la tovaglia, si mangia, si beve. Alzatevi, o capi (Is 21,5), le indirizza ai preti e ai capi della Chiesa. «Bevete – dice loro – il sangue di Gesù Cristo, mangiate il Suo corpo; ma subito dopo, alzatevi, correte alle armi, prendete lo scudo della fede per combattere il demonio e respingere i suoi attacchi». Le persone di vita religiosa che si accostano così spesso a questa sacra mensa devono raddoppiare i loro sforzi per giungere, per mezzo di questo eccellente mezzo, alla perfezione dell’amore alla quale si erano impegnati. S. Benedetto voleva che coloro che chiedevano di entrare in religione, presentassero il pane della s. Messa, per far loro capire – secondo un’interpretazione di un saggio cardinale – che come la materia del sacrificio dei cristiani, la professione religiosa obbliga coloro che l’abbracciano a dare al Signore un perfetto olocausto di se stessi.
7. Del resto, quando dissi che occorre profittare della s. Comunione, non intendevo dire che un uomo deve diventare santo dopo che si sia comunicato una volta. Occorre ricordarsi di ciò che ho spiegato nella prima parte, che, parando in linea generale, ci eleva per gradi ad una alta perfezione d’amore. Così è a sproposito che certe coscienze timorose se turbano, si allarmano, e si astengono anche qualche volta dal comunicarsi, giacché non vedono nella loro vita nessun cambiamento rimarchevole. Purché queste persone conservano ogni giorno il desiderio di donarsi al interamente a Dio, che L’offendono più raramente, che diminuisca la violenza delle loro passioni, che evitino più accuratamente le occasioni di peccare, e che siano più regolari a compiere i loro doveri, le loro s. Comunioni non sono inutili, e sarebbe un’imprudenza diminuirne il numero. Io aggiungo, come ha messo in risalto s. Lorenzo Giustiniani, che gli effetti della s. Comunione non si constatano sempre, soprattutto da parte di coloro la ricevono, perché Dio li nasconde loro per mantenerli in umiltà. Avviene pressappoco come a coloro che sono imbarcati su una nave e che viaggiano sul mare: essi fanno spesso molto cammino senza accorgersene.
8. Non si può concludere meglio questa seconda parte che con le parole di Salomone: La Sapienza si è costruita la casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città (Pr 9,1-3) ad invitare tutti alla sua mensa. Cioè vuole indicare il Verbo, vera Sapienza, che ha preso un corpo e un’anima che ha abbellito delle più solide virtù, che si immola sui nostri altari; il Verbo che ci invita a mangiare il Suo corpo e a bere il Suo sangue sotto le apparenze del pane e del vino, e che non fa questa grazie solo alle persone di una eminente santità, ma anche agli imperfetti. Ma, una volta che L’hanno ricevuto, occorre che più di prima combattano i loro errori e le debolezze della loro infanzia e rinuncino alle folle massime del mondo, per regolare la vita secondo la luce di una vera prudenza: "Chi è inesperto accorra qui!". A chi è privo di senno essa dice: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza" (Pr 9,4-6).
PARTE TERZA
GLI OSTACOLI CHE NOI METTIAMO ALLE INTENZIONI DEL SIGNORE
INTORNO ALLA S. EUCARISTIA
INTRODUZIONE
1. Per conoscere gli ostacoli che noi mettiamo all’intenzione che il Signore ha nell’aver istituito l’adorabile Sacramento dei nostri altari, occorre mettersi davanti quello che noi abbiamo detto nelle altre due parti precedenti, tanto degli effetti che la s. Comunione produce, quanto degli obblighi che ci assumiamo partecipandovi.
I frutti dell’Eucaristia, di cui abbiamo parlato nella prima parte si possono ridurre a quattro. Il primo è l’aumento della grazia santificante e delle virtù infuse; il secondo è il rinnovamento del fervore e la remissione dei peccati veniali; il terzo è quella dolcezza che il Signore ci fa gustare con quelle grazie attuali che diminuiscono la concupiscenza e ci facilitano la pratica delle virtù cristiane; il quarto consiste nel soccorso che il Signore ci dà in virtù di questo Sacramento per conservare la vita dell’anima, per vincere i nostri nemici, e per farci avanzare ogni giorno nella vita spirituale.
Abbiamo detto, nella seconda parte, che per raccogliere tutti questi frutti, dobbiamo da parte nostra fare quattro cose: essere in vita, cioè essere in grazia di Dio quando la riceviamo, avere fame di questa celeste manna; mangiarla spiritualmente e che, infine bisogna, dopo la s. Comunione, essere fedeli nel corrispondere agli aiuti e alle grazie che essa ci procura. È per questi quattro mezzi che noi arriveremo a questa santa e perfetta vita che è il fine di questo adorabile mistero.
2. Da ciò è facile concludere che tutto ciò che ostacola la vita dell’anima, tutto ciò che ci disgusta di questo celeste nutrimento, tutto ciò che ci impedisce di mangiarlo spiritualmente e di far un buon uso delle grazie che ci procura, ci priva anche dei frutti che noi potremmo raccogliere dalla s. Comunione.
Ora, non vi è che il peccato che possa produrre questi funesti effetti. Il peccato è dunque l’unico ostacolo al disegno del Signore. Ma, vi sono due specie di peccato: veniali e mortali, inoltre si possono commettere peccati prima, durante o dopo la s. Comunione. Così noi possiamo fare quattro questioni. Possiamo chiederci quali effetti subiscono ostacolo dal peccato mortale; possiamo altresì chiederci la stessa cosa intorno al peccato veniale che si commette prima della s. Comunione e che dimora ancora quando ci si comunica; si può fare la stessa domanda sul peccato veniale commesso nello stesso comunicarsi; infine possiamo chiederci di quali frutti ci priviamo con il ricadere nei peccati, sia mortali che veniali, dopo che ci siamo comunicati. È a queste quattro questioni che andiamo ora a rispondere nei capitoli di questa terza parte.
PARTE TERZA – CAPITOLO PRIMO
Del peccato mortale, primo ostacolo al frutto della s. Comunione
1. Il più grande di tutti gli ostacoli ai frutti della s. Comunione è il peccato mortale quando se ne ha coscienza, tutti sono d’accordo nel dire che esso impedisce, senza eccezioni, tutti gli effetti della s. Comunione. L’Eucaristia è un nutrimento spirituale e, come gli alimenti sono inutili al corpo inanimato ugualmente l’Eucaristia non ha nessun effetto a un’anima priva della grazia santificante. Ma non è tutto qua il malessere di un cristiano che osa comunicarsi in questo stato: egli commette un sacrilegio abominevole e si attira i più terribili castighi. S. Paolo, scrivendo ai Corinti ci insegna tutto questo:
1Cor 11 [23]Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane [24]e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. [25]Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. [26]Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. [27]Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. [28]Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; [29]perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. [30]E' per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti.
L’Apostolo rimarca con le sue parole la gravità e la punizione del peccato che commette colui che si comunica in cattivo stato, ma ci dà nello stesso tempo i mezzi per preservarcene. Mangiare indegnamente e senza discernimento il corpo di Gesù Cristo, ecco il crimine: chiunque ha questa audacia diviene colpevole dell’abuso del corpo e del sangue del Signore, eccone la gravità: per questo egli beve e mangia la sua condanna, ecco la punizione che si merita; se volete evitare un gravissimo crimine e un castigo così tremendo, vi mostrerò le precauzioni che dovete prendere. Date, per favore un po’ più di tempo a studiare questo articolo di una così importante dottrina.
2. Sì, ricevere Gesù Cristo in un cuore attualmente sporcato dalla macchia del peccato mortale, è commetter un nuovo peccato. È anche mancarGli di rispetto, è opporsi alla sua volontà. Egli, infatti, viene a noi per unirsi a noi per amore, e il peccatore, perseverando nei suoi disordini, pone ostacolo a questa unione e L’offende gravemente. «L’ordine – dice Origene (Hom. in Lev., c. XIII) – che aveva dato ad Aronne e ai suoi figli di mangiare in luogo santo ciò che era stato offerto al Signore, è per tutti i cristiani, un comandamento di non ricevere il corpo di Gesù Cristo che in un’anima santificata dalla grazia». «La Chiesa – dice s. Cirillo (in Joan., lib. X, c. V) – ha preso spunto dalla legge che vietava gli incirconcisi di mangiare l’agnello pasquale per allontanare dalla sacra mensa i catecumeni, perché, benché essi abbiano la fede, non sono ancora arricchiti dai doni dello Spirito Santo che inabita solo coloro che, per mezzo del battesimo, sono diventati perfetti cristiani». «Dopo aver considerato – aggiunge s. Giovanni Crisostomo (Hom. III, in Ep. Ad Ephes. E Homil. XIII, in Ep. Ad Hebre.) –, la cura che avevano coloro che partecipavano agli antichi sacrifici, oserete voi con un cuore impuro accostarvi all’Ostia santa che gli angeli ammirano tremando? Scrupolosi nella bagatelle, audaci in un punto essenziale, voi non vorreste comunicarvi senza lavare le vostre mani, e voi avete l’impudenza di comunicarvi con un cuore pieno di sozzure. Non cercate di scusarvi con la vostra ignoranza: s. Paolo vi ha avvertiti del vostro dovere. Non ditemi che non l’avete letto, al posto di giustificarvi vi state condannando da soli». Infine «perché è scritto – si domanda s. Gregorio di Nissa (Homil. In Cant.): Venite amici miei; bevete e mangiate, mie carissimi amici, se non per farci capire che per ricevere l’Eucaristia si deve essere senza peccato e amici di Gesù Cristo».
3. Non solo è peccato comunicarsi non in stato di grazia, ma è commettere un orribile sacrilegio, è rendersi colpevoli del corpo e de sangue di Gesù Cristo, e aver rifiutato la vita. In effetti – dice s. Agostino – il peccatore che si comunica imita l’azione di Erode, che, sotto il pretesto di andare ad adorare il Signore, geloso della sua regalità, voleva ucciderLo. Egli rinnova – secondo s. Giovanni Crisostomo e s. Gregorio (Hom. de prod. Jud.) – l’azione di Giuda che fingendo di dare un bacio al Figlio dell’Uomo per fargli vedere il suo affetto, Lo consegna ai peccatori, suoi più crudeli nemici. Egli crocifigge Gesù Cristo – dice s. Tommaso dopo s. Girolamo –, all’esempio dei Giudei, egli uccide la vita in quanto dipende da lui. Si può immaginare un peccato più orribile che quello che riunisce in sé tutta la malizia e la crudeltà politica di Erode, e dell’infamia perfidia di Giuda e del’esecrabili deicidi dei Giudei? Ecco fino a che punto di abominazione giunge una s. Comunione sacrilega. Che dico io? S. Agostino (Epist. CXXIII) sostiene che il sacrilegio è in qualche caso più grave di tutti gli altri crimini, perché è peccato più grave crocifiggere Gesù Cristo nel cielo che averLo crocifisso sulla terra. Ma quando questo non fosse, pensate solo che Giuda è il primo che si è comunicato indegnamente, come se fosse fallito solo colui che osò per primo fare un simile oltraggio al Signore, fu il più scellerato di tutti gli uomini; pensate quindi che il più scellerato di tutti gli uomini fu il capo di tutti coloro che si comunicano indegnamente. Cosa occorre a voi per farvi concepire un estremo orrore per un simile pessimo gesto?
4. Ecco il crimine: consideratene la punizione. S. Paolo menziona due specie di pene con cui è punito: le une riguardano il corpo e le altre riguardano l’anima. È perché voi vi comunicate indegnamente – dice l’Apostolo – che in mezzo a voi ci sono molti che soffrono malattie e diversi muoiono prematuramente: ecco le pene corporali; mangiando così il corpo di Gesù Cristo voi mangiate la vostra condanna: ecco le pene spirituali. Succede spesso che tanto pubbliche che personali, che si attribuiscono ad altre cause, in realtà sono dovute alle s. Comunioni ricevute indegnamente. Se questi castighi vi paressero pesanti, ricordate quello che dice s. Paolo, come Dio ci castiga da padre che non ci vuol perdere, ma ci corregge e ci obbliga a ritornare ai nostri doveri. Ma fate anche la riflessione ben ponderata di s. Paciano: «Giacché le malattie e le morti stesse non sono tanto dei supplizi quanto dei rimedi per coloro che si comunicano indegnamente, il peccato che commettono deve essere enorme!»
Che dire ora dello stato deplorevole in cui si riducono le anime? Questi peccatori dicono i Padri – diventano sempre più arditi nel commettere i più gravi peccati. Perché, dopo aver trattato con tanto disprezzo il Re della gloria e Dio dell’universo – dice s. Lorenzo Giustiniani –, chi li fermerà? Quale crimine potrà far loro paura? Non è tutto: il demonio li spinge apertamente ai più grandi peccati, e questi si danno ciecamente a tutto ciò che viene loro proposto. Secondo s. Isidoro di Damiette (Ep. CCCXLVI), il demonio non attacca che con precauzione un peccatore che non osa, per rispetto, accostarsi alla sacra mensa, ma quando egli si comunica indegnamente, il demonio non ha più misura con lui, s’impadronisce del suo cuore come quello di Giuda, e guardando una azione così detestabile come l’ultimo grado della follia e della stupidità, esso lo giudica capace di tutto. Considerate a ciò che giunge Giuda – l’osserva s. Cipriano – il demonio non prese possesso della sua anima finché egli non mangiò l’agnello pasquale, ma, nello stesso momento in cui ricevette il pane consacrato, egli fuggì la compagnia del suo Maestro e fu portato come paglia al vento, corse verso la disperazione e verso la morte. E voglio dirsi una cosa che vi sorprenderà ancor di più – è s. Giovanni Crisostomo che parla – è meglio essere posseduto dal demonio che comunicarsi in cattivo stato, tanto è cosa orribile calpestare il sangue del Nuovo Testamento. Questo perché un indemoniato non sarà affatto punito per essere stato posseduto dal demonio, ma colui che si comunica indegnamente sarà consegnato ai supplizi eterni. Infine, come abbiamo visto che questi peccatori imitano Giuda e i Giudei, essi sono anche – secondo i Padri – puniti con la stessa sorte: essi infossano nei loro disordini e cadono nella cecità, soprattutto quando è per malizia e empietà che essi commettono questo sacrilegio. Similmente al sole che con il calore di un suo raggio – dice s. Anselmo (Lib. de Sacr. As. n. 29), fonde la cera e indurisce il fango, così il Signore agisce differentemente secondo le differenti disposizioni di coloro che lo ricevono, intenerire i cuori degli uni con la sua misericordia e rigettando gli altri, li indurisce con la sua giustizia.
5. Soffrite, miei cari lettori, che ora vi dico queste parole di s. Paciano. Considerando l’orrendo comportamento di chi commette sacrilegio e della punizione di chi lo commette, dovreste tremare, non tremate? Colpevoli di omicidio voi sareste infallibilmente condannati e dopo aver oltraggiato così crudelmente Gesù Cristo, voi credete di poter sfuggire alla condanna che s. Paolo ha pronunciato contro coloro che ricevono in un cuore sporco il corpo adorabile del Salvatore? Del resto, quando per rappresentare l’orribile attentato di coloro che si comunicano indegnamente e i pesanti castighi di cui sono minacciati, io mi servo dei neri colori fornitimi dai Padri, io protesto con s. Giovanni Crisostomo, che questo non è per allontanare i fedeli dalla s. Comunione, ma per impedire che vi si accostino in stato di peccato mortale. È con piacere che vi riporto la bella esortazione che s. Agostino (Serm. I de temp.) faceva al suo popolo il giorno di Natale: «Io vi scongiuro di fare, con l’aiuto della grazia, tutti i vostri sforzi per accostarvi con una coscienza pura, un cuore pulito e un corpo casto, all’altare del Signore; affinché voi meritiate di ricevere il suo corpo e il suo sangue, non per la vostra condanna, ma per la guarigione delle vostre anime. Perché la nostra vita è rinforzata in questo sacramento, e come il Figlio di Dio ci assicura Lui stesso, se noi non mangiamo la sua carne, e se noi non beviamo il suo sangue, non abbiamo affatto in noi la vita. Ma che colui che vuol ricevere la vita cambi la sua vita, altrimenti riceverà la sua vita per la sua condanna, lontano da rimediare ai suoi mali, egli li aumenterà, e al posto della vita, egli troverà la morte». È anche questa la conclusione che tira s. Paolo. Dopo aver minacciato di così gravi punizioni coloro che si comunicano indegnamente, non conclude affatto che bisogna astenersi da questo pane celeste, ma che occorre esaminarsi prima di mangiarlo: Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice (1Cor 11,28).
6. Ma cosa intendeva dire s. Paolo quando dice che dobbiamo esaminarci? S. Agostino, citato da s. Tommaso (in cap. XII Ep I ad Cor. lett. VII) diceva che occorre che l’uomo, dopo essersi messo davanti agli occhi l’ultimo giudizio, ne stabilisse uno simile nel suo cuore, e che per esaminare la propria vita e giudicarsi, egli salga contro se stesso sul tribunale: e i suoi pensieri lo accuseranno, la sua coscienza gli deve servire da testimone, e che il suo cuore ferito dal dolore gli faccia versare lacrime, che sono per così dire il sangue dell’anima, sia la sua cattedra; infine, se il suo spirito lo trovasse colpevole, deve pronunciare la sentenza e dichiararlo indegno di partecipare al corpo e al sangue di Gesù Cristo. Ecco da dove cominciare.
Ma per rendersene degni, cosa occorre fare? Il s. Concilio di Trento (sess. XIII, c. VII) risponde che la consuetudine della Chiesa mostra che il comportamento richiesto consiste nel non accostarsi affatto all’Eucaristia quando ci si sente colpevoli di un peccato mortale, qualunque contrizione possa credere di possedere, a meno che prima non si sia confessato. – E se non ci fossero dei confessori e io sia obbligato a comunicarmi? S. Tommaso, e dopo di lui tutti i teologi dicono che in una necessità pressante, tale quale quella in cui si trova uno che deve celebrare la s. messa in un giorno festivo o di domenica, sarà sufficiente avere una perfetta contrizione che implica la volontà di confessarsi appena si potrà.
Ma se si fosse in peccato mortale senza neanche saperlo (essendosi dimenticato di aver commesso un peccato mortale) pur esaminandomi con molta cura? In questo caso, purché si detesti senza riserve con un conveniente dolore tutti i peccati gravi che si sono commessi, sia di cui ci si ricorda o meno, lontano da incorrere nella condanna, si troverà nel Sacramento che si riceve in buona fede, la grazia santificante e pertanto anche il perdono del peccato che involontariamente si era dimenticato. Questo perché il Concilio di Trento non rifiuta la s. Comunione che a coloro che si riconoscono colpevoli di un peccato mortale.
Ma sono obbligato a confessarmi quando io fossi in dubbio di essere in stato di peccato mortale? Se, dopo un esame conveniente, il dubbio persiste, non siete obbligato a confessarvi, perché in questo caso voi non avete la coscienza di aver commesso un peccato mortale. È bello aprirsi al proprio confessore, ma ciò non è un obbligo. Quanto poi alle coscienze delicate e scrupolose che si rappresentano spesso dei peccati leggeri come fossero peccati gravi, che dubitano sempre della validità delle loro confessioni e che non si ritengono mai ben disposti a comunicarsi, occorre che seguano i saggi consigli del Cancelliere dell’Università di Parigi, il celebre Gerson (De divers. tent., lib. III): «Quando un cristiano ha preso la risoluzione di ricevere il s. Sacramento e si presentasse a lui la vista della propria indegnità, sia perché egli non potrebbe mai esserne degno, sia perché pensa di non aver fatto una buona confessione, cosa che può giungere per una suggestione del demonio che vorrebbe privarlo di un così gran bene; ecco il modo in cui deve comportarsi. Che pensi al fatto che potrebbe anche applicarsi cento anni per rendersi degno di ricevere Gesù Cristo, ma non potrebbe riuscirvi senza uno speciale soccorso di Dio e che Dio può, sia al presente come fra cento anni, accordargli questa grazia. Di più, che nessuno può, senza una rivelazione particolare, conoscere in questa vita, con una perfetta certezza il proprio stato di grazia, ma che è necessaria solo una certezza umana e morale e questa è sufficiente per accedere degnamente alla s. Comunione. Per avere questa coscienza occorre raccogliersi, esaminare la propria coscienza e fare ciò che la discrezione e ciò che coloro che ci guidano nella vita spirituale ci ordinano. Quando, dopo aver dedicato a questo esame un tempo adeguato, non ci riconoscessimo colpevoli di un solo peccato mortale, possiamo comunicarci senza paura di commettere un nuovo peccato. E se ci sovvenissero ancora dei leggeri dubbi, come succede abbastanza spesso, occorre vincerli e passarvi sopra». Ecco i saggi consigli che dà questo grande uomo, e che noi possiamo seguire senza nessun pericolo o rischio in una materia così importante.
PARTE TERZA – CAPITOLO SECONDO
Del secondo ostacolo al frutto della s. Comunione, che è il peccato veniale abituale
1. Poiché io scrivo questo Trattato per tutti, meno per i saggi che per coloro che non lo sono, mi occorre dire qui cosa io intendo per peccato veniale abituale. È un peccato che, dopo essere stato commesso, non è stato affatto ritrattato. Occorre dunque ben distinguere il peccato veniale abituale dall’aver l’abitudine al peccato. L’abitudine al peccato è la facilità, la propensione che abbiamo a commetterlo, a causa del numero di volte che noi ci siamo caduti, sia che lo avessimo detestato sia che non lo avessimo detestato.
Il peccato veniale abituale, invece, è il peccato che noi abbiamo commesso e che non abbiamo ancora cancellato con la contrizione e la penitenza, sia che noi l’avessimo commesso una o più volte, sia che noi ne avessimo l’abitudine o non l’avessimo. Si tratta, dunque, di capire se il peccato veniale abituale è un ostacolo a tutti gli effetti della s. Comunione o se esso non ne impedisce che una parte, se quindi la detestazione di tutti i peccati veniali è una disposizione necessaria per comunicarsi degnamente o se essa sia solo una disposizione utile, ma non necessaria.
2. Tutte le opinioni di coloro che pensano essere necessario, prima della s. Comunione, purificarsi non solo dai peccati mortali, ma anche dai peccati veniali, è insostenibile e non è difendibile. Essa si fonda su qualche passaggio dei Padri malinteso. Essi infatti citano s. Giovanni Crisostomo che disse che il momento della s. Comunione, non è quello del giorno di questa o quella festa, ma di quel giorno in cui ci si sente con la coscienza pulita, cioè, come lui stesso spiega, esente dagli affetti disordinati che rendono l’anima peccatrice e negligente. Egli cita s. Agostino, o piuttosto, l’autore dei «Dogmi ecclesiastici», che vuole che cancelliamo con le lacrime della penitenza i peccati veniali prima di comunicarci. Essi s’appoggiano su s. Gregorio e s. Bonaventura, di cui il primo interpreta le parole di s. Paolo: «Che l’uomo esamini se stesso» (1Cor 11,28) riferite agli stessi peccati veniali e insegna così che essi ci privano degli effetti della s. Comunione. Il secondo, s. Bonaventura, aggiunge che comunicarsi con tiepidezza e dissipazione di spirito, è bere e mangiare la propria condanna. A questa autorità dei s. Padri essi aggiungono quella del Concilio di Trento, che chiede una grande santità e un gran rispetto in coloro che si comunicano, parole che sembrano richiedere qualcosa di più oltre l’esenzione dal peccato mortale. Essi poi confermano il loro sentire con l’esperienza di vedere che molta persone che si comunicano senza peccato mortale, non fanno nessun progresso nelle virtù. Da tutto questo essi concludono che il peccato veniale abituale è un ostacolo a tutti i frutti dell’Eucaristia.
3. Coloro, al contrario, che sostengono essere sufficiente, per ritenere qualche frutto dalla s. Comunione, d’essere esente dal peccato mortale, oltre che rispondere facilmente alle prove dei primi, allegano anch’essi i Padri, i papi, i concili e i ragionamenti dei teologi. Tutti i punti fondamentali della loro dottrina possono ridursi a tre. Il primo è che ci sono peccati che non devono allontanaci affatto dalla sacra mensa (sono parole di s. Agostino). Il secondo che la s. Comunione ci libera dai peccati veniali (sono le parole formali di papa Innocenzo III e del Concilio di Trento). Ed ecco, n terzo luogo, come essi ragionano. Poiché il peccato veniale – dicono loro – non è incompatibile con la grazia santificante, ne segue che non può impedirne l’aumento, che è uno degli effetti della s. Comunione. Di più, l’Eucaristia è il pane di tutti i cristiani, e il pane quotidiano. Ora, se occorresse essere esenti da tutti i peccati veniali per mangiarne, quand’è che i più santi oserebbero farlo? Infine, aggiungono, non è uso della Chiesa di rifiutare la s. Comunione a coloro che hanno commesso dei peccati veniali. Questo sentire è vero. Ma per rischiarare la verità e per scoprire il punto fondamentale dell’errore contrario, occorre in primo luogo ricordarsi che la s. Comunione ha più effetti e che essa richiede diverse disposizioni per produrli tutti. Occorre inoltre distinguere diverse specie di peccati veniali abituali, e avere attenzione alle differenti disposizioni di coloro che si comunicano dopo averne commessi.
4. Possiamo rimarcare tre specie di peccati veniali abituali. I primi sono i peccati di attaccamento disordinato, di cui si conserva ancora non solo la tendenza, ma anche l’affetto, con la volontà di continuarli a commettere dopo averli commessi; i secondi sono i peccati di debolezza, che si commettono piuttosto più perché trascinati dalla tendenza della natura corrotta o di una cattiva abitudine contratta, che per una piena e completa volontà; possiamo poi chiamare peccati di necessità la terza specie di peccati veniali. Non intendo con questo dire che si commettono senza libertà, ma voglio solamente dire, con i teologici, che pur essendo vero che non esiste peccato veniale che noi non si possa evitare con l’aiuto della grazia di Dio, ciononostante, a causa della fragilità umana, è moralmente impossibile evitarli tutti, a meno che non si fosse confermati in grazia come lo fu la Vergine Maria che non commise mai alcun peccato, leggero che fosse.
5. le disposizioni delle persone che li commettono sono altrettanto differenti che i peccati stessi. Coloro che commettono i peccati veniali per affezione sono della gente che desidera propriamente salvarsi e che, sotto la scusa che i peccati veniali non conducono alla dannazione per se stessi, non vogliono affatto privarsi di queste piccole soddisfazioni umane che noi non possiamo permetterci senza offendere leggermente Dio e non vogliono scomodarsi per vigilare sulla propria condotta quanto sarebbe necessario per evitarli, né arsi violenza per fuggire le occasioni. Essi li commettono con consapevolezza, deliberazione e senza scrupoli. Essi si lasciano ammaliare da questi sbagli leggeri e si formano una falsa coscienza per riposarvici sopra, persuadendosi che per loro è impossibile vivere altrimenti e che in fondo non rischiano nulla, o poca cosa, avendo un po’ di fortuna. Infine, essi trattano questi peccati come bagatelle, cose da poco, e in coloro che li evitano con cura vedono degli scrupolosi o degli ultra-devoti.
Per questo coloro che commettono dei peccati veniali di debolezza, anche in grande numero, ma che non cessano di avere un vero desiderio d’avanzare nelle virtù e di perfezionarci sempre di più, ma essi sono ancora imperfetti, hanno una grande propensione naturale per i beni sensibili, un temperamento così allergico all’ubbidienza, con passioni così vive, essi hanno contratto delle così forti abitudini, per esempio, di criticare in cose leggere, o di accordarsi mille piccoli piaceri naturali e umani, che, quantunque si applicano seriamente a purificarsi l’anima e a evitare le occasioni prossime alla caduta, le loro virtù sono ancora così deboli che non cessano di cadere spesso, è per questo che chiamo i loro peccati, peccati di debolezza. Ma, dopo tutto, se essi peccano non danno un consenso pieno ai questi peccati, essi li commettono, per così dire, con una mezza volontà, e se ne dispiacciono vivamente, qualche volta anche mentre li commettono.
I terzi sono delle persone sante, di cui alcune, nate con un naturale propensione per la virtù e, prevenute sin dall’infanzia da grazie speciali, hanno vissuto sempre in una grande innocenza; altre che quantunque abbiano naturalmente passioni molto intense che hanno assecondato per molto tempo, tuttavia poi hanno finito per mortificarle con il soccorso della grazia divina e sono arrivati ad un alto grado di virtù. Le une e le altre non cessano di commettere peccati veniali, quantunque siano applicate diligentemente ad evitarli e a fuggirne le occasioni, ma la sorpresa e l’inavvertenza hanno la meglio sulla volontà.
Dunque, ai primi i peccati veniali piacciano e li lasciano regnare piacevolmente nel loro cuore; ai secondi dispiacciono, li combattono, ma spesso senza successo; i terzi ne hanno orrore e se ci cadono, che è cosa rara, hanno cura di liberarsene al più presto.
6. Mi sembra una grande ingiustizia trattare alla stessa maniera questi peccatori: è mancare di discernimento attribuire indistintamente a tutti loro ciò che i Padri dicono sui peccati veniali in relazione alla s. Comunione e di stabilire come massima generale e assoluta, qualche proposizione che non conviene che solo ad una certa categoria di peccatori. Giacché, infine, è evidente che s. Ambrogio, quando dice che occorre comunicarsi tutti i giorni, perché si pecca tutti i giorni, non vuole affatto consigliare la s. Comunione a coloro che commettono dei peccati veniali deliberati e senza scrupolo. Non è meno evidente che s. Bonaventura non pretenda affatto parlare di peccati veniali delle anime sante, i quali sono più di inavvertenza che di malizia, quando dice che i peccati veniali rendono l’anima lassa, negligente e poco disposta alla s. Comunione e che sono Comunioni indegne quelle che vengono fatte in questo stato.
Infatti se così fosse, non solamente i Padri si contraddirebbero gli uni con gli altri, ma essi sarebbero in contraddizione con se stessi. Come accordereste voi s. Agostino con s. Agostino quando dice, da una parte, che ci sono dei peccati che non devono impedirci di accostarci all’altare e, dall’altra parte, che sono una specie di macchia che impedisce l’abbraccio dello Sposo celeste? Come accordereste voi s. Bonaventura con lui stesso quando dice da un lato: «Guardatevi da accostarvi alla sacra mensa con tiepidezza» e dall’altro lato: «Comunicatevi quantunque foste tiepidi, purché abbiate cura di umiliarvi: l’umiltà compenserà il fervore che vi manca»? Io credo, dunque, che non si deve generalizzare ragionando gli ostacoli che i peccati veniali producono agli effetti dell’Eucaristia, ma che occorre parlarne in rapporto ala natura dei peccati, alle disposizioni di coloro che li commettono e ai differenti effetti della s. Comunione. Direi semplicemente ciò che io penso su un soggetto così importante, senza però volere nondimeno fare passare il mio sentire come una regola infallibile.
6. I teologi insegnano che chi commette dei peccati veniali, anche deliberati di proposito, e che si curano poco di correggersi, non cessano di ricevere qualche aumento di grazia santificante comunicandosi. La ragione che apportano è che i Sacramenti operano infallibilmente tutte le volte che il soggetto che li riceve non pone un ostacolo essenziale ai loro effetti. Ora, il peccato veniale, di qualunque natura esso possa essere, non è un ostacolo all’accrescimento della grazia santificante, perché esso può sussistere con essa senza distruggerla. Occorre tuttavia precisare che questi cristiani non ricevono dalla s. Comunione tutti quegli effetti che riceverebbero accostandosi con una disposizione del cuore più perfette. È una verità che è facile dimostrare per poca che fosse la riflessione sui diversi effetti della s. Eucaristia, e sulle disposizioni che richiedono per essere prodotti.
8. In primo luogo l’Eucaristia aumenta, in verità, la grazia santificante, in proporzione alle disposizioni attuali d’amore di chi la riceve, le anime rilassate che si accostano alla sacra mensa con disposizioni fortemente imperfette, senza fame, senza ardore, con un cuore appesantito per gli affetti disordinati che conserva per svariati peccati veniali, riceve ben meno grazia di quanta ne riceverebbe curando di più di purificarsi da questi peccati. Inoltre, benché l’Eucaristia ci dona di per sé delle grazie attuali che rischiarono il nostro spirito e che eccitano i nostri cuori ad esercitare degli atti di virtù, occorre corrispondervi per approfittarne. Ma queste persone tiepide nel servizio di Dio apriranno i loro occhi a queste luci divine? Attaccate a mille affetti naturali, con il gusto infettato, per così dire, dai piaceri sensibili, esperimenteranno la soavità delle gioie dell’anima? Occorre dunque stupirsi se, dopo un gran numero di s. Comunioni, esse sono sempre le stesse, ossia ardenti per i piaceri sensibili e per le comodità della vita per cui pigre ad assolvere i doveri della pietà cristiana? In terzo luogo, è vero che la s. Comunione cancella i peccati veniali, ma affinché essa produca questo effetto tutti i teologi sono concordi nell’affermare che occorre anche sperimentare qualche dolore di averli compiuti e desiderare di non commetterne mai più. Ora questi peccati non dispiacciono affatto a quel genere di cristiani di cui stiamo parlando, i quali non formulano nessun proposito di correggersene. Anzi mettendo ostacolo libero e volontario a questo effetto del Sacramento, essi escono dalla sacra mensa con assai poco fervore.
Infine la grazia che noi riceviamo dai Sacramenti è come il fondamento e il pegno degli aiuti che il Salvatore vuole darci in seguito per arrivare al fine proprio di ogni Sacramento. Il fine dell’Eucaristia, il desiderio del Signore donandoci questo pane celeste, è di farci crescere nel suo amore e di elevarci gradualmente ad una eminente santità. Ma quando un cristiano persiste a voler vivere dopo la s. Comunione la sua vita consueta, senza prestare nessuna attenzione a correggersi dai peccati veniali, egli si rende per questo suo errore, indegno di questi soccorsi, o incapace di approfittarne.
9. Voi vedete, anime lasse e volontariamente negligenti, che ricevete la s. Eucaristia in un cuore colmo di mille piccoli affetti colpevoli, il grande vantaggio di cui vi private e le perdite infinite che subite. O mio Signore, quanto sarei felice se potessi, con ciò che mi accingo a scrivere, liberarle da tutti gli ostacoli che pongono alla tua liberalità! Chiunque voi siate, lettori di questo scritto, se siete di questo numero, siate – io ve ne prego – siate sensibili almeno un po’ ai vostri propri interessi: purificate le vostre anime dagli affetti che conservate per le vanità del mondo, per la stima degli uomini, per mille curiosità inutili, per mille soddisfazioni umane, desiderate solamente di non amarle o, almeno, desiderate di avere questo desiderio, e il Signore, quando entrerà in voi, rischiarerà il vostro spirito con le sue luci, spanderà la sua dolcezza e la sua gioia nel vostro cuore, vi aiuterà a perfezionare questi desideri, a detestare i peccati veniali, vi infuocherà del suo santo fervore, vi concederà dei potenti soccorsi per cambiare la vostra vita e vi renderà facile la pratica delle più eccellenti virtù. Oh! Come allora sarà contento di voi e come voi sarete contenti di Lui! Voi l’amerete con ardore ed Egli vi colmerà di ricchezze e di consolazioni.
Ma se voi non sarete sensibili alle perdite spirituali in cui in incorrete, almeno rendetevi conto del male a cui andate incontro. Giacché, come noi lo mostreremo nell’ultimo capitolo di questa terza parte, non è senza pericolo comunicarsi spesso e condurre sempre una vita fortemente imperfetta.
10. Coloro che commettono ancora svariati peccati veniali, ma per debolezza, troveranno nell’Eucaristia dei grandi soccorsi nell’Eucaristia per correggersi. Costoro hanno fame di questo pane celeste, la conoscenza che hanno sia della loro debolezza che della sua virtù, eccita in loro una ardente desiderio di nutrirsene. Essa produce nelle loro anime gli stessi effetti che gli alimenti ordinari producono sul corpo: li fortifica e li fa crescere nelle virtù. Di loro parla il Concilio di Trento quando dice che l’Eucaristia ci libera dai peccati di ogni giorno, ed è a loro che s. Cirillo di indirizza quando dice: «Se voi vi astenete dal comunicarvi, perché i vostri peccati vi rendono indegni, state attenti che il demonio non vi metta qualche tranello di questa pericolosa devozione. Perché chi conosce tutti i suoi peccati? Riempitevi dunque di buoni pensieri, studiate di vivere santamente, e avvicinatevi alla s. Comunione. Credetemi, non solamente Essa preserva dalla morte, ma guarisce tutte le malattie. Giacché quando Gesù Cristo dimora in noi, egli arresta la concupiscenza, fortifica la pietà, estingue le passioni, senza considerare i peccati in cui siamo; Egli guarisce i malati e gli infermi, e come un buon Pastore che ha dato la sua vita per le sue pecore, ci rialza da tutte le nostre cadute». (In Joan., lib. IV, c. XVII). Ed è ancora a costoro che si rivolge s. Lorenzo Giustiniani (Serm. de Euch.) quando esorta a domandare continuamente questo pane al Padre celeste dicendo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Mt 6,11). Si aggiunge: «oggi», per far capire che tutti i giorni ne avete bisogno. Giacché tutti i giorni Gesù Cristo è immolato misticamente sull’altare per i vostri peccati, non vi deve fare dunque difficoltà di riceverlo tutti i giorni, se non sacramentalmente, almeno spiritualmente, purché non domini in voi l’affetto al peccato. E se voi veramente credete in Lui, se voi l’amate più di tutte le cose, voi lo mangiate spiritualmente, diventate membri del suo corpo, e vivete del suo stesso Spirito.
11. Ma che ne so io – mi direte voi – se desidero sinceramente rinunciare a tutti i peccati veniali? Non può forse scapparne qualcuno dalla mia consapevolezza? Inoltre io sento una grande attrazione verso qualcuno, che mi sembra moralmente impossibile preservarmene. S. Cirillo risponde a questa vostra prima difficoltà, quando dice che nessuno può conoscere perfettamente tutti i suoi peccati, secondo quanto dice il Salmista «le inavvertenze chi le discerne?» (Sal 19,13) e che quindi questa ignoranza non ci deve allontanare dall’Eucaristia. S. Lorenzo Giustiniani risponde alla seconda, quando dice che è sufficiente che l’affetto al peccato non ci domini affatto. Ora, sì grande che sia l’attrazione che sentite per un peccato veniale, esso non vi domina affatto finché voi lo combattete e fate degli sforzi per liberarvene. D’altra parte occorre ben distinguere l’attrazione dall’affezione. L’attrazione è un amore involontario che ci spinge malgrado noi stessi, ma invece intendiamo per affezione un amore e una volontà liberi. Non è l’attrazione, bensì l’affezione che impedisce l’effetto della s. Comunione; l’attrazione ci rende malati, l’affezione ci rende rei e colpevoli: l’Eucaristia guarisce queste malattie involontarie, ma l’affezione volontaria ostacola la vostra guarigione. Inoltre, se voi temete di non avere questo desiderio di liberarvi dei vostri peccati, sperate almeno di averlo e dite con Davide: «Io mi consumo nel desiderio dei tuoi precetti in ogni tempo» (Sal 119,20) e comunicatevi con confidenza e umiltà.
12. Io dico poi, in ultimo luogo, che coloro che peccano venialmente, dopo aver fatto grandi progressi nella virtù, e cadono per la fragilità della nostra natura umana, non devono astenersi dal comunicarsi. Giacché il giusto pecca lui stesso molte volte (cf Pr 24,16), se questi suoi peccati fossero causa di allontanasi dalla sacra mensa, chi potrebbe mai comunicarsi? E se impedissero le comunicazioni più intime di Dio, chi potrebbe sperarne di averne? Si racconta nella vita della beata Maria d’Ognies che un religioso dell’Ordine di Citeaux si era messo in testa di non comunicarsi finché non si fosse purificato da tutti i peccati veniali e da tutti i movimenti della sensualità, si vide scendere nella disperazione, ma indirizzandosi a questa grande serva di Dio e avendo ascoltato i suoi consigli, si comunicò, e si trovò guarito dai suoi scrupoli. Occorre ascoltare Cassiano intorno a questo tema. Dopo aver visto che gli stessi che hanno crocifisso la loro carne con i soui vizi e le sue passioni, che non solamente hanno sbaragliato tutti i vizi del loro cuore, ma che si sforzano di bandire dalla propria memoria qualsiasi ricordo, non lasciano nondimeno di riconoscere con sincerità, che non possono trascorrere neanche un’ora senza cadere in qualche errore, e aggiunge subito: «Ben lontani dall’astenerci dalla s. Comunione, giacché noi ci riconosciamo peccatori, abbiamo una ragione in più per affrettarci ad accostarci, e per ricorrervi con avidità, come alla medicina delle nostre anime e ad un eccellente mezzo di purificazione». Occorre solo qui dare due avvisi a coloro che hanno queste disposizioni. Il primo è di s. Gregorio, e il secondo di Cassiano. «Poiché – dice s. Gregorio (in IIm Reg., lib. X) – gli eletti stessi non possono essere senza peccato, occorre che prima di comunicarsi si sforzino per espiare i falli che la fragilità umana non cessa di esentarli. Giacché, se essi mancano, questi peccati, quantunque molto piccoli, li riempiono poco a poco e li privano giustamente della serenità interiore». Il secondo consiglio, di Cassiano (Coll. II, c. VII), non merita minore considerazione. Egli avverte le anime più sante di ritenersi sempre indegni di comunicarsi. Noi dobbiamo – dice questi – circondare la nostra anima di una così grande umiltà, come una sorte di sicura guardia, tanto che sia come una massima solidalmente stabilita nel nostro spirito che, quantunque noi fossimo nella grazia di Dio, tutto quello che ho detto fino a qui, non arriveremmo mai ad un grado di purezza che possa farci credere che siamo degni di comunicarci». Ma, presa questa precauzione, avvicinatevi anime sante, avvicinatevi il più spesso possibile alla s. Comunione. Che queste cadute di sorpresa e di pura fragilità, che vi rendo più sfortunati che colpevoli, non ve lo impediscono mai. S. Paolo (Eb 4,15) ci assicura che abbiamo un pontefice che sa compatire le nostre infermità, e queste cadute dovrebbero far nascere nel nostro cuore più della pietà per noi stessi che indignazione contro di noi: più esse pesano sul nostro cuore, meno esse rendono il nostro cuore pesante: è per sollevarci da questo fardello, che il Salvatore ci invita ad andare a Lui (Mt 11,28). Qualche volta Egli vuole ben consolare le anime che si affliggono per questo genere di colpe, e qualche altra volta Egli le riprende come se facessero un’ingiuria alal sua misericordia. O Dio d’Israele come siete buono con quelli che hanno il cuore sincero e che ti cercano con sincerità! Quanto è buono il Signore con chi ha il cuore puro! (Sal 73,1).
13. Del resto, anche se è vantaggioso purificarsi da tutti i peccati veniali, ci sono due specie sulle quali bisogna porre una particolare attenzione, e di cui bisogna fare in modo di espiarli fino alle minime macchie perché sono in una speciale opposizione ai frutti di questo Sacramento. I primi sono i peccati contro la carità, e i secondi sono i peccati contro la purezza. Il Signore si dona ai fedeli nell’Eucaristia per riunirli tutti in unità, come membra del suo corpo: voi non potete dunque avvicinarvi con un cuore pieno di risentimento, senza mettere ostacolo al suo disegno. È per questo che i Padri ci raccomandano nient’altro che la riconciliazione prima di comunicarci. «Colui – dice s. Agostino (Serm. XXXVI), che riceve il Sacramento dell’unità senza conservare il vincolo della pace e della carità, ben lontano di profittare di questo mistero, vi trova una testimonianza contro di lui stesso». «Che non sia mai – dice s. Bernardo (Lib. de disp. et præc. III) – che uno si accosti al sacrificio della pace con uno spirito offuscato dalla collera, o di ricevere in discordia con chicchessia il Sacramento ne quale Dio, come la fede mi insegna, riconcilia il mondo con Lui». È da qui che in certe Chiese si gridava in altri tempi: Nessuno contro nessuno: «Chiunque vuole comunicarsi non deve avere né inimicizie né risentimenti contro nessuno». In altri luoghi si gridava: «Chiunque abbia dei processi in corso contro qualcuno si ritiri», è da intendersi dei processi ingiusti, o accompagnati da acredine e da odio. C’è anche qualche Chiesa in cui ogni anno si convocano due concili provinciali per risolvere tutte le controversie pubbliche, uno si teneva prima della festa di Pasqua affinché, diceva il Concilio di Nicea, dopo aver abbattuto tutte le inimicizie, si possa offrire a Dio il dono puro e solenne.
14. I peccati contro la purezza non sono meno contrari, agli effetti della s. Comunione, delle inimicizie. Perché, se il Signore unisce insieme, per mezzo di questo Sacramento, tutti i fedeli, lo fa unendosi Lui stesso ad essi. Ora, non c’è peccato come l’impurità di cui il Signore abbia testimoniato più ribrezzo. Egli permise che Gli potessero fare le più nere calunnie, che Lo trattassero da seduttore, da ubriacone, da bestemmiatore, ma non permise che il suoi più crudeli nemici mettessero in dubbio la sua castità. Al contrario, non ha omesso di rimarcarci quanto questa bella virtù fosse a Lui cara. Infatti, Egli si scelse una Madre vergine, e ha voluto che il suo padre putativo, San Giuseppe e il suo favorito, San Giovanni, fossero tali. Quella bella schiera che si avvicina di più all’Agnello, che Lo segue e L’accompagna dappertutto nel Cielo, non è composta che di vergini; e la Sposa ci assicura che il suo Diletto, non prende il suo riposo né il suo gaudio che in mezzo ai gigli, la cui bianchezza è simbolo della verginità. È per questo che i padri spirituali permettono più facilmente la s. Comunione alle persone che vivono nel celibato che a quelle che sono sposate [chiaramente quest’ultimo pensiero risente della mentalità del tempo]. È per questo che essi esortano le persone sposate a contenersi il giorno in cui fanno la s. Comunione. È per questo che consigliano a coloro che hanno avuto qualche sogno impuro di differire la loro Comunione, quando si può senza scandalo o senza qualche altro motivo che ci obbliga a fare altrimenti [si badi bene che il Vaubert non afferma che non ci debba fare la s. Comunione altrimenti si commette peccato, ma che è meglio differirla, cioè fare la s. Comunione quando si è psicologicamente distaccati dal coinvolgimento con il piacere sessuale; inoltre si tenga conto che a quei tempi la s. Comunione si faceva solo alla mattina e in genere le s. messe erano nella prima mattinata, per cui questi ultimi due consigli non si prendano semplicemente come frutto di un’idea negativa della sessualità, ma dal desiderio del Vaubert che chi si comunica lo faccia con piena attenzione di amore al suo Signore che riceve nel cuore, evitando di avere la mente la mente e i sentimenti ancora presi da quei piaceri, che pur essendo legittimi nello stato matrimoniale, possono distogliere l’attenzione d’amore al Signore che si va a ricevere sacramentalmente].
15. D’altra parte occorre avvertire le anime scrupolose e le coscienze timorate di guardarsi bene dall’altro estremo, e di immaginarsi che ogni pensiero contrario alla castità ci faccia allontanare da questo Sacramento. L’orrore che esse hanno di queste immaginazioni maliziose e il dolore che ne risentono, sono dei segni certi che la natura tutta sola o il demonio ne hanno più parte che la propria volontà. Dal momento che tutte queste miserie continuano a loro dispiacere, che sono veramente per loro un peso, specialmente quando durano dei giorni e delle notti, ben lontano da sbiadire la loro purezza, esse non servono che ad aumentarne lo splendore, e lontano dal diminuire, per questo motivo, le loro s. Comunioni, queste persone devono avere a cuore di aumentarle. Perché il sangue di Cristo essendo un vino che fa germinare i vergini, esso li libererà da questi attacchi importuni del demonio, o darà loro delle forze per mai cadere. Al contrario, astenendosi dalla sacra mensa, per un timore eccessivo e mal compreso, esse faranno trionfare il demonio, che non mancherà di ricorrere spesso a questo inganno per privarle di un mezzo così efficace per conservare la loro innocenza.
PARTE TERZA – CAPITOLO TERZO
Dell’ostacolo che il peccato veniale attuale arreca al frutto della s. Comunione.
1. Intendiamo qui per peccato veniale attuale, quello che si commette nell’atto stesso della s. Comunione, cioè ricevendo l’Eucaristia, e durante il tempo che Nostro Signore dimora realmente presente in noi. Ce ne sono di due specie: gli uni sono peccati di azione e gli altri di omissione. Si pecca nella primo modo, quando, al momento della s. Comunione, ci si lascia andare a qualche sentimento di vanità o di avversione leggera, quando nutriamo il desiderio di mentire o di mormorare in cose di poco conto, in parole povere, quando si commette positivamente un peccato veniale di qualunque genere. Si pecca nel secondo modo quando ci si lascia andare a delle distrazioni volontarie o si manca, per una negligenza colpevole, di dare attenzione d’amore a Gesù ricevuto nell’Eucaristia e di esercitare atti di virtù [fede, speranza e carità] dopo averLo ricevuto. In entrambi questi modi si manca di devozione e di rispetto nei riguardi del Signore e, secondo il sentire di molti teologi, si commette un nuovo peccato veniale. Solamente fate bene attenzione che tutte queste mancanze, per renderci colpevoli, devono essere libere e volontarie. Perché se una distrazione s’intrufola nel vostro spirito senza che ve ne accorgiate, voi non peccate affatto; e se vi sovviene qualche cattivo pensiero, se voi lo combattete, lontano dallo sporcarvi, esso sarà per voi materia di merito. Ma ricordate anche che queste piccole mancanze possono essere volontarie in se stesse o nelle loro cause. Esse lo sono in se stesse quando voi vi cadete con consapevolezza; esse lo sono nella loro causa, quando voi non avete cura nel prepararvi alla s. Comunione, né di custodire i vostri sensi durante un’azione così santa.
Veniamo ora al punto principale che qui trattiamo, considerando a quali frutti dell’Eucaristia questi peccati sono di impedimento.
2. Per meglio comprendere fino a quanto si estendono le perdite spirituali di coloro che offendono Gesù Cristo al momento stesso in cui Lo ricevono, occorre ridire qui che l’Eucaristia ci comunica due generi di grazie: essa aumenta la grazia santificante con le sue virtù infuse [fede, speranza, carità e virtù morali], e ci procura da se stessa delle grazie attuali che rischiarono lo spirito, che rinforzano la volontà infiammandola d’amore, e delle grazie attuali che ci eccitano ad esercitare le virtù. Quanto alla grazia santificante, occorre parlarne come si è fatto parlando dei peccati abituali. Questo aumento è sempre proporzionato essendo sempre proporzionato alle disposizioni del comunicante, colui che è attualmente distratto riceve molto meno grazie di un altro che riceve il suo Signore con un’attenzione rispettosa e di profonda adorazione. Dicasi la stessa cosa, fatta debita proporzione, circa le grazie attuali. Ora, vi sembra che il Signore comunichi le sue più grandi grazie a qualcuno mentre costui Gli manca di rispetto? Egli distribuisce ordinariamente questi suoi favori, con più o meno abbondanza, secondo come le anime Gli sono più o meno gradite, e quale gradimento possono avere ai suoi occhi delle persone che l’offendono attualmente, quando Lui viene a render loro visita, dando loro dei segni così chiari della sua bontà? Essi saranno quindi con giustizia privati da queste grazie speciali che operano così grandi cambiamenti nella vita. Costoro sono proprio da compiangere perché pregiudicano il loro avanzamento spirituale, comunicandosi senza attenzione d’amore.
3. Di più, seguendo l’opinione di qualche teologo che il Suarez giudica probabile, il Signore, durante tutto il tempo che è sacramentalmente presente nei nostri cuori, aumenta tutte le grazie che ci ha conferito in virtù di questo Sacramento a misura che l’anima, prima di riceverLo, perfeziona le sue prime disposizioni. In effetti, io mi immagino Nostro Signore, quando entra in un’anima come un sole levante, che va sempre crescendo e che spande in ogni momento i più belli e vivi raggi. Ma è un sole di giustizia, che non aumenta la sua liberalità che a misura che l’anima se ne rende degna attirandosele per via del suo ardente amore. Così quando un cristiano ha cura di prepararsi a questi nuovi favori e il Signore ha gioia di colmarlo di essi, egli fa in poco tempo dei meravigliosi progressi. Considerate bene questo, anime tiepide, e piangete amaramente le perdite spirituali infinite che voi subito con la vostra volontaria dissipazione di spirito, giacché ben lontani da perfezionare le primitive disposizioni, le rendete ben più imperfette per i peccati che commettete alla presenza di Gesù Cristo.
4. Ma, indipendentemente da questo sentire, non è meno certo che i peccati veniali ci privano della dolcezza che la s. Eucaristie suole produrre nelle anime. Essi sono quelle «mosche morte» – di cui parla il Sapiente – «che corrompono la soavità del profumo» (Qo 10,1) più prezioso. È ciò che s. Tommaso ci insegna nel suo Commentario alle lettere di s. Paolo, dove, commentando 1Cor 11,27, dopo aver detto che ci sono diverse specie di s. Comunioni fatte indegnamente, mette come seconda specie quelle fatte senza devozione: «Il difetto di devozione, non è qualche volta che un peccato veniale, come quando ci si comunica con uno spirito distratto e occupato negli affari del mondo, quantunque si conservi abitualmente il rispetto verso questo Sacramento. Questo peccato non ci rende colpevoli del corpo e del sangue di Gesù Cristo alla maniera in cui l’intende qui s. Paolo, ma ci priva del frutto dell’Eucaristia, che consiste in uno spirituale ristoro». È questo il nome con cui chiamo la dolcezza che il Signore fa gustare in questo Sacramento. Questa privazione è estremamente nociva e possiamo dire che è una delle principali ragioni per cui le anime non avanzano nella vita spirituale. Giacché non c’è niente di più adatto a spogliare i nostri cuori dalle sue voluttà sensuali e a svuotarlo dall’amore delle creature, che queste celesti delizie, che ci rendono tutti gli altri piaceri insipidi, e tutti gli altri beni disprezzevoli.
5. Inoltre si produce anche un altro inconveniente che merita di essere considerato: che i cristiani che si comunicano senza devozione attuale, essendo occupati in tutt’altre cose che della presenza di Gesù Cristo, non producendo nessun atto di virtù e non acquista conseguentemente quelle sante disposizioni o abiti spirituali che contribuiscono a facilitarcene la pratica. Per chiarire questo svantaggio, osservate con Suarez e altri teologi, che ci sono due generi di sante disposizioni o abiti spirituali, le une infuse, che Dio comunica da Se Stesso alle anime, e le altre acquisite, che si contraggono quando mossi da delle grazie attuali, facciamo atti di fede, speranza e carità. Osservate in secondo luogo che le sante disposizioni infuse da Dio, ci danno il potere di effettuare degli atti di virtù, ma non la facilità di effettuarli, perché formalmente di per se stesse esse non mortificano affatto le passioni, non diminuiscono affatto la concupiscenza e non distruggono affatto le abitudini viziose, ma solo ci danno la capacità di realizzare tutto questo. Sono le grazie attuali, cioè queste belle luci e quella dolce unzione che Dio spande nelle nostre anime: queste sono le disposizioni o abiti acquisiti che con questi potenti aiuti, mortificano le passioni e la cupidigia e ci spianano le asperità che si incontrano nel cammino delle virtù. Da cui ne segue ancora che queste anime dissipate durante il tempo della s. Comunione ricevono qualche aumento degli abiti spirituali infusi, ma nondimeno, privati come sono della dolcezza dell’Eucaristia, e non esercitando alcun atto di virtù, esse non contraggono affatto queste belle disposizioni, a tal punto che, dopo aver partecipato ai santi misteri, esse non sono più affatto docili ai movimenti interiori dello Spirito Santo, hanno sempre le stesse difficoltà nella pratica delle virtù cristiane, e continuano a condurre una vita fortemente imperfetta.
6. Riconoscete dunque questo, voi laici, di quale importanza è per voi il distaccarvi, prima della s. Comunione, delle preoccupazioni dei vostri affari, per riempirvi lo spirito dei favori che il Signore spande nelle anime ben disposte; giacché senza questo distacco potrete voi comunicarvi con molta attenzione? Riconoscete, persone consacrate, che avvicinandovi così spesso alla sacra mensa, il vantaggio che è per voi rinunciare ai trattenimenti e occupazioni inutili per darvi al raccoglimento. Uno spirito ordinariamente dissipato non corre egli il rischio di essere ancora nelle sue mancanze comunicandosi? Per convincervene, mettete spesso davanti ai vostri occhi tutti i vantaggi di cui abbiamo parlato. Considerate come il Signore comunica, in un’anima attenta al grande onore che riceve comunicandosi, delle grazie più particolari e più abbondanti e come Egli la riempie di consolazione; considerate come è la buona disposizione con cui si trova l’anima che la rende capace di tutte queste grazie. Ella si umilia profondamente davanti al suo Signore, Lo adora, e disprezza i propri attaccamenti alle creature, produce atti di fede, di confidenza, e della più ardente carità, e da tutto questo ne ha di contrarre delle capacità virtuose che distruggono i vizi.. Ella se ne nutre spiritualmente, e si fortifica per non cadere, con il soccorso del Cielo, nelle sue mancanze ordinarie, e per elevarsi di alto in alto, verso la perfezione con altrettanta facilità e profondità.
7. Un esempio familiare ci aiuterà a farci capire più facilmente questa verità. Se un amico, andando a rendere visita ad un suo amico, va da questi con il cuore pieno di tenerezza, il viso luminoso, le braccia aperte, e subito l’abbraccia e, in cambio, il suo amico lo riceve con aria indifferente e al posto di andare verso di lui, s’intrattiene con altre persone con le quali è occupato per bagatelle di nessuna considerazione, in verità non ci sarà qualcosa al modo di più efficace per scoraggiare questo amico e ghiacciargli il cuore? Ma, al contrario, se colui che riceve la visita risponde alle dimostrazioni di amicizia di colui che gliele fa, gli va incontro con affetto, con gli occhi pieni di amore, lo accarezza e lo abbraccia, qual è la dolcezza che essi gustano quando stanno abbracciati! Il loro silenzio, le loro parole, i loro gesti, tutto influisce ad infiammare maggiormente i loro cuori, e durante questi momenti, quali grazie possono rifiutarsi l’uno all’altro? Ecco un icona di ciò che passa nella s. Comunione. Il Signore è un amico fedele che scende dal Cielo per visitarci. Egli entra nei nostri cuori infiammato d’amore e le mani colme di grazie e benefici. Ma, haimé! con quale indifferenza, con quale freddezza Lo ricevono delle anime, o attualmente distratte e occupate in tutt’altra cosa, o attaccate, con degli affetti volontari, a delle bagatelle e a cose da nulla? Si può dunque stupirsi se una accoglienza così fredda Gli chiude il cuore e Gli ferma le mani? Ma quando Egli trova un’anima attenta e grata all’onore che riceve, tutta presa dal suo amore o dal desiderio di amare unicamente Lui, allora l’abbraccia e la colma dei suoi favori. L’anima ben disposta a corrispondere a queste grazie produce gli atti delle più eccellenti virtù, acquista da questo delle sante disposizioni spirituali, e, grazie a queste disposizioni, grazie alla soavità dei doni che riceve, trova in seguito una mirabile facilità a vivere santamente.
8. Io temo qui di far inquietare alcune buone anime. Infatti, qualcuna mi potrebbe dire: se succede che mi distragga senza volerlo, sarò dunque privato dei svariati frutti della s. Comunione? Giacché io non potrò per via di esse esercitare nessun atto di virtù. Rispondo, per vostra consolazione, in primo luogo, che queste distrazioni che diminuiscono gli effetti della s. Comunione avvengono molto raramente alle persone che desiderano perfezionarsi nell’amore e che hanno cura di prepararsi per fare la s. Comunione, e che invece avvengono ordinariamente nelle persone abitualmente negligenti. In secondo luogo, dico che se succede per caso che queste persone amanti del Signore, siano qualche volta distratte momentaneamente distratte, la presenza del loro Amato riprende presto la loro attenzione. Lui parla, e la dolcezza della sua voce li fa riprendere dal loro smarrimento; Lui bussa alla porta del loro cuore e loro non tardano tanto ad aprirGli. Aggiungo infine che per riparare in qualche modo ciò la vostra distrazione, occorre che quando ritornate in voi stessi, vi prostriate in spirito ai piedi del Salvatore a domandarGi perdono ed esercitare allora tutti gli atti che avreste fatto se non foste stati distratti. Dato che Lui è infinitamente misericordioso, non dubitate affatto che non si comunichi a voi nella sua liberalità, dal momento che voi siete in grado di approfittarne.
PARTE TERZA – CAPITOLO QUARTO
Della ricaduta nel peccato dopo la s. Comunione, quarto ostacolo al disegno del Signore.
1. Ci sono un po’ di persone che, non fanno nessuna preparazione alla s. Comunione. Ci si purifica la propria anima con la Confessione e si cerca di fare in modo di rendersi attenti in un’azione così santa. Ma il disordine più comune è dimenticarsi le grazie che si sono ricevute e la negligenza in seguito ad evitare il peccato. Non so in questo tempo, mio Dio, se c’è qualcosa che si oppone di più al tuo disegno e più capace d’impedirne il successo. È per questo che ti supplico di volermi assistere ancora più particolarmente con le tue luci per presentare ai cristiani tutte le disgrazie alle quali si espongono quando non conducono una vita santa dopo essersi comunicati. Al fine di trattare questa materia con ordine, distinguiamo due specie di persone che dopo aver ricevuto la s. Eucaristia, ricadono ancora nei loro peccati. Gli uni sono i mondani che commettono presto dei peccati mortali. Gli altri sono persone che vivono ordinariamente in una maniera assai regolare, ma che permangono nella loro tiepidezza, e che non vogliono affatto farsi la violenza necessaria per condurre una vita più perfetta. Non pretendo con questo che dopo essersi comunicati si debba essere impeccabili, voglio solo mostrare come non si possa assecondare il disegno del Signore senza apporre tutte le precauzioni di cui siamo capaci, per diminuire il numero e la gravità dei propri peccati e per fuggire le occasioni di commetterli.
2. In effetti, è una vita immortale quella che il Signore desidera donarci per mezzo della s. Comunione: «Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue, vivrà eternamente» (Gv 6,55). Ed è, aggiunge s. Giovanni Cristostomo, per preservarci dalla morte, che Gesù Cristo ci dà da mangiare una carne che non è più soggetta alla morte. Ora, la ricaduta nel peccato mortale ci priva di questa vita, e la ricaduta nel peccato veniale la raffredda. È per l’unione e la rassomiglianza che l’amore si conserva: il peccato ci separa da Gesù Cristo e ci rende dissimili da Lui. Il Signore non ci eleva che per gradi alla perfezione di questa vita, e quando, dopo aver approfittato delle grazie ricevute nella s. Comunione, si ritorna ad accostarsi alla sacra mensa, Egli spande le sue ricchezze con più abbondanza la seconda volta che la prima. Ma quando ci si dissipa o si rende inutile il talento che avevamo ricevuto, secondo la Sacra Scrittura, si distrugge da una parte ciò che si era edificato dall’altra e ci si espone, se non a decadere del tutto, almeno a non fare alcun progresso: «Uno edifica e l’altro abbatte, che vantaggio ne ricava oltre la fatica?» (Sir 34,23). Così, da qualunque punto voi guardiate le cose, vedete come mettete sempre un grande ostacolo al disegno del Signore quando ricadete nel peccato dopo esservi comunicati.
3. Per parlare ora in particolare ai laici che dopo essersi comunicati ricadono spesso ne peccato mortale, io li supplico di considerare attentamente le parole che i santi Padri hanno elevato contro queste ricadute e in quali termini essi hanno indicato l’indegnità e le loro terribili conseguenze. Ritornare, dopo la s. Comunione, ai primitivi disordini è – dicono costoro – profanare il tempio dello Spirito Santo; è disonorare il Corpo Mistico di Gesù Cristo, è – sull’esempio di Giuda – tradirLo e venderLo ai suoi nemici: «Quando avete ricevuto il corpo di Gesù Cristo – dice s. Atanasio – voi siete il suo santuario: Egli dimora preso di voi, che dico? Voi siete divenuto un membro del suo corpo; fateGli onore con le vostre virtù e non tradendoLo come Giuda». In molti luoghi, s. Giovanni Crisostomo, la cui tenera devozione per questo adorabile Sacramento risplende in tutte le sue opere, ha dispiegato la sua eloquenza per raccomandare ai fedeli la purezza d vita dopo la s. Comunione e per far sentire l’enorme speciale contraddizione in cui ci si ritrova ricadendo nel peccato. Ma per meglio entrare nel suo pensiero, ricordatevi che ai suoi tempi i fedeli ricevano la santa ostia nelle mani, e se la portavano loro stessi subito alla bocca. È per questo – egli dice (Hom. XL, ad pop. Ant.) – che una mano che ha toccato una carne così santa, che un bocca che è stata colma di questo fuoco divino, una lingua che è stata bagnata da questo sangue infinitamente adorabile, deve essere più pura dei raggi del sole. E rimproverando subito dopo i cuori induriti e senza pietà per i poveri, dice: «Gesù Cristo vi ha dato il suo proprio corpo da mangiare, e voi rifiutate ai vostri fratelli un boccone di pane?». E subito dopo apostrofando un calunniatore: «Con quale sfrontatezza voi potete osare di usare la stessa bocca per mangiare il Dio d’amore e di bontà, e per rovinare la buona reputazione del vostro prossimo». E ancora si eleva subito dopo contro coloro che conducono una vita mondana assistendo agli spettacoli pornografici: «Voi non temete, non tremate affatto di correre al teatro dove ci sono rappresentazioni infami di adulterio, di guardare maliziosamente una spogliarellista con quegli stessi occhi con cui avete guardato la Vittima santissima dei nostri altari, né di mischiare nei vostri cuori il pane celeste con queste infami passioni? Se voi avete mangiato una pietanza eccellente, vi guardate bene di prenderne un’altra che possa corrompere il gusto della precedente: e voi dopo aver, comunicandovi, ricevuto lo Spirito Santo, partecipate ad un festino preparato dal demonio? Ma, – dirà qualcuno – se si deve digiunare dopo la s. Comunione come si fa prima di riceverla, dovremo sempre digiunare? Io non dico questo – continua il Santo – non è che un simile digiuno non sarebbe molto salutare, tuttavia io non vi obbligo affatto, solo condanno i vostri eccessi. Occorre essere sobri prima della s. Comunione, per rendersi degni di riceverla e, per non rendersi indegni di averla ricevuta, occorre essere sobri anche dopo».
4. E se l’enormità di queste ricadute non vi dà ancora abbastanza orrore, pensate alle disgrazie a cui andate incontro con questi comportamenti. Giacché, dopo la s. Comunione, voi siete il tempio dello Spirito Santo, ed è scritto che Dio distruggerà coloro che profanano il suo tempio (1Cor 3,17). Voi sapete con quale severità fu punito Baldassar (cf Dn 5) che si era servito di vasi sacri per un festino profano. Ora i vasi dei nostri altari sono tutti altrettanto santi che quelli del tempio di Gerusalemme, e i nostri corpi e le nostre anime, secondo s. Giovanni Crisostomo, vengono consacrati dalla s. Comunione, in una maniera senza paragone più eccellente che i vasi d’oro e d’argento che sono incapaci di ricevere la grazia e la santità. Non devono dunque temere coloro che si insudiciano ancora dopo la s. Comunione con la macchia infame del peccato e che si tramutano da membri del corpo di Gesù Cristo in strumenti di iniquità? La loro conversione è allora più difficile e qualche maestro spirituale applica loro la formidabile sentenza che s. Paolo pronuncia quando dice «Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro. Tuttavia se sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia» (Eb 6,4-6).
Per comprendere quanto ciò che dicono questi maestri è veramente giusto, occorre ricordarsi che, nel primo secolo della Chiesa, si davano ai catecumeni, nello stesso giorno, tre Sacramenti: il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia. Per questo la parola illuminati, di cui si serve l’apostolo indica coloro che sono stati battezzati, illuminati era propriamente il nome che si dava loro a quei tempi. Per il dono celeste s’intende l’Eucaristia, e diventati partecipi dello Spirito Santo si intende il Sacramento della Confermazione. D’altronde, la ragione che s. Paolo adduce, della difficoltà della penitenza, conviene proprio ai peccatori di cui noi parliamo. Infatti, dice l’apostolo che essi crocifiggono di nuovo in se stessi Gesù Cristo e l’espongono all’ignominia. Ora, secondo s. Atanasio questa specie di peccatori che ricadono senza fine nei gravi peccati, tradiscono Gesù Cristo, fanno come i Giudei che, dopo aver ricevuto il Signore con grandi manifestazioni di stima e di affetto nella sua entrata solenne a Gerusalemme, non tardano poi a crocifiggerLo. Non è dunque giusto che dopo aver commesso lo stesso peccato si venga trattati alla stessa maniera? È in questo stesso sentimento che s. Giovanni Crisostomo scrive: «Se dopo aver mangiato il corpo e bevuto il sangue di Cristo, noi commettiamo ancora grandi peccati, cosa potremmo offrire a Dio per placare la sua collera e per soddisfare la sua giustizia?».
5. Per guardarvi da una così nera ingratitudine e dal giusto castigo dovutole, imprimete nel vostro spirito un a bella esortazione che s. Giovanni Crisostomo fece una volta a degli adulti il giorno del loro battesimo e Prima Comunione: «Dopo un favore così straordinario, testimoniate al vostro Benefattore la vostra riconoscenza con una vita santa e, per mezzo del ricordo del sacrificio a cui avete partecipato, conservate nella purezza tutte le membra del vostro corpo. Ricordatevi di ciò che hanno ricevuto le vostre mani, guardatevi bene dallo sporcarle con qualsivoglia peccato. Non fate del male a nessuno, non appropriatevi di nulla che non sia vostro e non fate violenza a nessuno. Ricordatevi che con le vostre mani avete portato alla vostra bocca il corpo di Gesù Cristo, non dite più imprecazioni, non bestemmiate più né dite brutte parole né spergiurate: custodite la vostra bocca dalle parole disoneste e dai discorsi disonesti. Pensate quindi che il Signore è passato dalla vostra bocca per andare nel vostro cuore. Non pensate mai di ingannare nessuno, ma conservatevi puri da ogni malizia». Ecco le belle lezioni che questo grande Santo dava ai novelli cristiani, il suo desiderio era quello che tutti fossero ben istruiti.
6. Ma non è ancora abbastanza evitare i grandi peccati, occorre lavorare per correggersi dalle proprie mancanze ordinarie, soprattutto quando se ne commettono tante e deliberate. Coloro che si comunicano spesso e perseverano nella loro tiepidezza abituale, che non fanno progressi nella virtù, che soccombono sempre alle stesse passioni, che vivono infine in una maniera così imperfetta, senza prendere nessuna misura per riformare la propria condotta, non hanno poco da temere. In effetti, se il Signore ha stabilito l’Eucaristia per preservarci dal peccato mortale, come il Concilio di Trento ci insegna, Egli lo ha stabilito anche, secondo lo stesso Concilio, per liberarci dai peccati veniali. Così, quando voi ci cadete abitualmente, abbiate cura e attenzione su voi stessi, voi mettete ostacoli al disegno di Gesù Cristo che vi vorrebbe elevare, tramite questo Sacramento alla perfezione dell’amore. I fanciulli crescono mangiando e, a misura che crescono, la loro condotta è più ragionevole e saggia. Gesù Cristo, donandovi così spesso il suo corpo e il suo sangue per nutrire la vostra anima, attende che voi cresciate in virtù, e che voi mettiate nella vostra vita più santità, e quando voi mancate in ciò, l’offendete sensibilmente. Considerate tutte le meraviglie che Egli opera in questo Sacramento: rimettetevi davanti agli occhi i miracoli della sua potenza, l’eccesso della sua liberalità, l’abbassamento della sua bontà. Credete voi di poter frustrare impunemente il fine che Lui si era proposto donandovi tante così insigne testimonianze del suo amore? Nulla ha più da temere di un amore disprezzato, esso si cambia in furore, e il furore è altrettanto più grande quanto grande e ardente era l’amore, perché il disprezzo è ancora più atroce. Ora, un cristiano che si avvicina spesso alla sacra mensa senza diventare più santo, offende personalmente Gesù Cristo, per via del fatto che Egli è estremamente sensibile. Questo perché si disprezza il più augusto dei Sacramenti, dove Lui ha voluto trovarsi di persona e ha voluto allegare a questo Sacramento dei meravigliosi effetti. Inoltre in questo modo si fornisce ai mondani un specie di pretesto per allontanarsi dalla s. Comunione, infatti chi non è devoto dice a riguardo che se non si cambia affatto a che pro comunicarsi spesso? Potete voi pensare che il Signore lascerà impuniti simili oltraggi? Non è questo il sentimento di s. Basilio che diceva in termini espliciti che non solo colui che si comunica indegnamente, ma anche chi si comunica inutilmente e senza frutto, beve e mangia la sua condanna. Perché, aggiunge questo Santo, se Dio punisce anche solo una parola oziosa, se punisce così severamente il servitore che non ha fatto profittare il talento che gli aveva messo nelle sue mani, quale giudizio eserciterà su un cristiano che non ricava alcun frutto dalla s. Comunione?
7. Voi mi direte che la s. Comunione non è inutile, giacché riceviamo qualche aumento di grazia santificante, e che ci si preserva con questo mezzo dal peccato mortale e inoltre che non si mangia solo per crescere, ma anche per rimanere in vita. io rispondo, in primo luogo che l’effetto proprio dell’Eucaristia, secondo s. Tommaso, non consiste semplicemente nell’aumentare l’abito infuso della carità, ma a farci produrre degli atti di carità e a farci vivere più cristianamente. In secondo luogo, rispondo, che non accade in questo punto come nella vita corporale dove può esservi uno stato di arresto della crescita, nella vita spirituale non è così, la vita spirituale deve sempre perfezionarsi o declina. Il sentiero dei giusti, dice la Scrittura, è simile ad una luce che va sempre crescendo (cf Pr 4,18) e tutti i maestri della vita spirituale stabiliscono come una verità costante che non avanzare nella vita spirituale è regredire. In terzo luogo, rispondo che quantunque la s. Comunione non sarà completamente inutile, nondimeno, se Essa non serve per correggervi, voi rendete le grazie che avete ricevuto tramite Essa, completamente inutili. Del resto, quando s. Basilio dice che non mettere a frutto l’Eucaristia, è mangiare la propria condanna, egli non pretende affatto che si stia commettendo un sacrilegio, come quando ci si comunica in stato di peccato mortale, ma egli vuol dire che una persona che si comunica senza poi cambiare la condotta, merita che Dio la punisca per la sottrazione delle sue grazie, soprattutto se essa si comunica spesso senza nessun emendamento. Giacché io penso bene che durante le prime s. Comunioni che si sono fatte in questo stato, il Signore esorta interiormente questi peccatori ad una vita più perfetta, che se il Buon Pastore cerca la pecorella che si smarrisce, Egli bussa anche al porta del cuore e attende che Gli si apra. Ma se noi facciamo i sordi ai suoi richiami e rifiutiamo i suoi inviti, non dobbiamo forse temere visto che rimaniamo in una tiepidezza che neanche tutto il suo amore riesce a riscaldare? Giacché, infine, come dice s. Bernardo, se nella s. Comunione Gesù Cristo è il nostro nutrimento, noi siamo il suo. Ora il Signore nell’Apocalisse minaccia le anime tiepide di rigettarle come si rigetta un cattivo alimento vomitandolo dalla propria bocca (cf Ap 3,16).
8. Ebbene, conoscete voi le cause del poco frutto che tante persone ritraggono dalla s Comunione? Coi, dunque, preti del Signore, religiosi o laici, che vi accostate così spesso alla sacra mensa, senza pressappoco nessun cambiamento di vita, ricercate, vi scongiuro, qual è l’ostacolo che voi avete messo alla potenza del Sacramento. Sarà forse che vi accostate ad Essa senza ardore con un cuore pieno di peccati veniali? Mancate forse di intrattenervi con Nostro Signore dopo averLo ricevuto? Sarà che non vi impegnate ad usare i mezzi e gli esercizi propri per la vostra santificazione? Perché il languore nella vita spirituale viene certamente da una di queste tre cause, o può anche essere da tutte e tre insieme. Per rimediavi efficacemente, per rimediarvi, rileggetevi di tanto in tanto gli ultimi tre capitoli di questa terza parte. Ricordatevi che s. Bonaventura e s. Tommaso definiscono come indegne questo genere di s. Comunioni. So bene che non volevano affatto dire con questo che si commettesse peccato grave, ma che i Padri qualificano qualche volta con questo nome le s. Comunioni fatte senza devozione a prescindere dallo stato di grazia o meno di chi si comunica. Ma prima di tutto, occorre convenire che questo genere di indegnità vi priva d’una parte dei frutti del Sacramento. Meditate ciò che vi ho riportato di s. Basilio riguardo le s. Comunioni inutili. Ma tu, mio Dio!… senza di cui non possiamo fare nemmeno un buon pensiero, né formulare un buon desiderio, imprimete, ti prego, nello spirito di chi leggerà queste cose, tutte queste importanti verità. E se la vista della tua infinita misericordia non fosse sufficiente a toccarli, che il tuo santo amore li penetri del più sensibile dolore, si riaccenda il loro fervore e li spinga a levare quegli ostacoli che si oppongono alle tue liberalità, e che possono attirare su di essi così terribili sventure.
9. Ma se è così pericoloso comunicarsi senza correggersi dai propri difetti, sarebbe meglio – direbbero loro – non accostarsi affatto alla sacra mensa. Questa conclusione è una perniciosissima conseguenza verso la quale il demonio cerca di portare le persone, per sorprendere le anime buone e dare ai mondani un pretesto per colorare la loro mancanza di devozione. Giacché l’esperienza degli ultimi secoli ci ha convinto che l’allontanamento dalla s. Comunione, non solo introduce un rilassamento nei costumi, ma annienta a poco a poco la fede nella presenza reale di Gesù Cristo nel Sacramento. D'altronde, quando tu non ti comunichi che una volta nella vita, se tu ti comunichi indegnamente e ricadi nei tuoi primitivi disordini, tu avrai molto da temere. Giuda non ha tradito che una volta sola il Signore, i Giudei non l’hanno crocifisso che una volta sola e se anche tu ti accostassi solo una volta alla s. Comunione con il peccato mortale, tu commetteresti un grande sacrilegio. Colui che non si comunicherà affatto morrà di fame per mancanza di cibo, diventerà debole e incapace di resistere ai suoi nemici. Colui che non approfitta della s. Comunione assomiglia a quegli stomaci debilitati che non digeriscono nulla, o che per qualche cattiva disposizione, trasformano in sostanze cattive i migliori alimenti, costui – dico io – non si fortificherà affatto e morirà parallelamente. Se l’Apostolo (cf 1Cor 11,27) minaccia con una così terribile condanna coloro che mangiano indegnamente il corpo di Gesù Cristo, il Signore aveva ancor prima minacciato di morte coloro che non avrebbero mangiato affatto di questo pane celeste (cf Gv 6,50). Sia dunque che tu non ti comunichi affatto o che non profitti della s. Comunione, la morte ti è ugualmente inevitabile. «Maledizione a me – dice s. Bernardo – se io mi comunico indegnamente; ma anche maledizione a me, se io mi astenessi dal comunicarmi!». Così, per ben ragionare su questo articolo, occorre concludere che bisogna comunicarsi spesso, ma con le dovute convenienti disposizioni, e con più riverenza verso questo augusto Sacramento, e quindi impegnarsi a fare un santo uso delle grazie che Esso ci procura. Questa conclusione è giusta e vantaggiosa, ogni altra conclusione contraria è sbagliata e nociva.
APPENDICE
Intorno alla Comunione Spirituale
Non si deve pensare che la Comunione Spirituale sia un’invenzione di qualche anima devota che non abbi nessun fondamento solido. Essa invece è un atto di religione che onora Dio, è una devozione molto utile a tutti coloro che la praticano.
Il Concilio di Trento l’autorizza quando afferma che sarebbe auspicabile che tutti i fedeli si comunicassero non solamente per mezzo di una affezione spirituale, ma realmente a sostenere, tutte le volte che partecipano alla s. Messa. I Padri e i maestri della vita spirituale ce l’insegnano, e s. Lorenzo Giustiniani esorta i cristiani a comunicarsi tutti i giorni, almeno spiritualmente. Questa Comunione si chiama spirituale, perché non consiste che in atti interiori senza ricevere realmente il corpo e il sangue di Gesù Cristo. Occorre lasciarsi attirare dai grandissimi benefici di questo esercizio spirituale. Giacché, come il Signore, nella sua vita mortale guariva i malati, sia toccandoli, sia con una sua parola, e qualche volta anche senza che fossero portati sul luogo dove Lui stava, ugualmente al presente in cui Egli dimora in mezzo a noi nell’Eucaristia, guarisce le malattie e le infermità delle nostre anime, non solamente toccandole per mezzo della reale s. Comunione, ma anche con una sola sua parola o con un atto della sua volontà quando noi Lo preghiamo e, soprattutto quando Lo riceviamo spiritualmente.
In che cosa consiste la comunione spirituale? Consiste essenzialmente in un desiderio sincero di comunicarsi effettivamente. Chiamo desiderio sincero quello di un’anima che è talmente disposta, che se dipendesse da lei, si comunicherebbe realmente dal momento che ne ha così vivo desiderio. Ad esempio, una religiosa partecipa alla s. Messa in un giorno in cui la sua comunità non partecipa all’Eucaristia: alla vista di Gesù presente sull’altare ella forma un desiderio così efficace di ricerverLo, che se le fosse permesso si accosterebbe senz’altro alla sacra mensa. Ecco ciò che chiamo, propriamente parlando, una comunione spirituale. Senza questa disposizione, senza questo desiderio, qualunque atto essa eserciti nei confronti del Signore, con qualsivoglia ardore con cui essa Lo ringrazi o Lo preghi, non si comunica affatto nella maniera in cui ho spiegato poc’anzi.
Giacché, allorquando Dio, per un effetto della sua infinita bontà verso di noi, tenendo conto della nostra buona volontà, ricompensa il desiderio di una santa azione come se noi l’avessimo realmente eseguita, facendo sì che questo desiderio sia efficace, in quanto da parte nostra non manca nulla perché fosse eseguito. È per questo che in realtà raramente le persone che si privano dell’Eucaristia volontariamente quando è permesso loro di riceverla, giungono a fare una vera comunione spirituale. Giacché, come la volontà di digiunare sarebbe fortemente sospetta se essa non digiuni quando sta bene di salute, così la volontà di comunicarsi realmente è fortemente dubbia in una persona che on si comunica affatto quando ella può, si tratta, tutt’al più, come in genere si dice, di una velleità, cioè di un desiderio fortemente imperfetto.
Quale metodo occorre osservare per far bene la comunione spirituale? Pressappoco lo stesso di quando ci si comunica realmente. Cominciate a purificare il vostro cuore detestando i vostri peccati, e soprattutto quelli che avete commesso dopo l’ultima confessione; quindi, dopo aver fatto un atto di fede sulla presenza reale di Gesù Cristo nella s. Eucaristia, adorateLo e pensate al disegno che Lui ha in questo suo nascondimento di spandere nelle nostre anime la ricchezza del suo amore. Queste considerazioni faranno nascere infallibilmente il desiderio di ricerverLo, pregateLo di dire solo una parola per guarire la vostra anima, e di farvi esperimentare, quantunque assente, gli effetti della sua potenza e della sua bontà che non hanno limiti. Infine, pieni della fiducia che Egli vi abbia accordato ciò che Gli avete chiesto, ringraziateLo, e pregateLo di rimanere eternamente con voi almeno per la sua potenza e per il suo Spirito.
Quando possiamo fare la comunione spirituale? In qualunque tempo o ora del giorno, è questo un vantaggio che questa comunione ha sulla comunione sacramentale, in quanto quest’ultima si può fare al massimo una volta al giorno [oggi due volte]. Voi vi potete dunque comunicare spiritualmente tutte le volte che, pensando a Gesù Cristo presente nell’Eucaristia, foste pure fuori di Chiesa o per la strada, voi desiderate riceverLo. Voi, a maggior ragione, potete farla tutte le volte che rendete una visita a Nostro Signore in una Chiesa e non dovete trascurare di farla ogni volta che partecipate ad una s. Messa. Giacché, come Gesù Cristo discende sull’altare per santificare gli uomini, e soprattutto quelli che partecipano attualmente al sacrificio, Egli non desidera altro che comunicare le sue grazie a coloro che Lo riceveranno o che, almeno, desiderano riceverLo. E, come si partecipa alla s. Messa con più frutto quando ci si unisce di cuore e di intenzione con il sacerdote che offre il sacrificio, ugualmente si ottengono grandi frutti dalla comunione spirituale, quando, al momento in cui il prete si comunica, si desidera con ardore di comunicarsi con lui. Sarà altrettanto una pratica vantaggiosa che tutte le volte che ci comunichiamo spiritualmente, in qualunque luogo e in qualunque tempo possiamo essere, pensiamo che in qualche parte del mondo venga in quel momento celebrata l’Eucaristia e vi partecipiamo così in spirito con la nostra comunione spirituale. Giacché i sacerdoti offrono il sacrificio per tutta la Chiesa, cioè per tutti i fedeli, essi offrono dappertutto per voi, e dappertutto Gesù Cristo è disposto a rendervi partecipi delle sue grazie; voi non avete altro da fare che aprire la bocca, e Lui la riempirà; non avete che da desiderare ed Egli soddisferà i vostri desideri: Apri la tua bocca, la voglio riempire (Sal 81,11). È così che Davide, durante il suo esilio, assisteva in spirito ai sacrifici dell’antica legge, e tutto pieno di gioia per le grazie che riceveva, come se fosse presente, cantava i canti delle lodi del Signore: Mi sazierò come a lauto convito, e con voci di gioia ti loderà la mia bocca (Sal 63,6).
Quali sono i frutti della comunione spirituale? Essi sono della stessa natura di quelli della comunione sacramentale. Il Signore aumenta in noi la grazia santificante, ma non nella stessa maniera con cui l’aumenta nel Sacramento; distrugge le cause del peccato; bandisce le tenebre dal nostro spirito; modera le passioni del nostro cuore; perfeziona gli abiti delle virtù cristiane; si unisce moralmente a noi e ci ama, e noi ci uniamo a Lui per mezzo degli atti di fede e di amore che produciamo in quei momenti. Perché, come il desiderio efficace di un’azione santa, davanti a Dio tiene il posto dell’azione stessa come se fosse stata fatta, Egli dà a questo desiderio sincero di comunicarsi, salvata la proporzione, la stessa ricompensa che Egli usa dare alla comunione sacramentale. Ma quando dico che gli effetti della comunione spirituale sono della stessa natura di quelli della comunione reale, io non pretendo di dire che la loro misura sia uguale, né che essi sono prodotti nella stessa maniera. Giacché, supposto che uno facesse e l’una e l’altra con le stesse disposizioni, i frutti della comunione sacramentale sono più abbondanti di quelli della comunione spirituale, e questi non sono prodotti per la grazia stessa del Sacramento ex opere operato [cioè il Sacramento agisce per efficacia sua indipendentemente dalla santità e dalle disposizioni del sacerdote che lo amministra]. Da questo si può capire che non è sufficiente comunicarsi spiritualmente senza cercare di ricevere effettivamente la s. Eucaristia. Giacché, visto che la comunione spirituale consiste in un desiderio di comunicarsi così efficace che nulla può impedire il suo compimento, se non la mancanza del permesso [a quei tempi i confessori autorizzavano o meno i loro penitenti a comunicarsi un determinato numero di volte e quasi mai ogni giorno] o della possibilità stessa di comunicarsi [ad esempio per malattia o per mancanza di s. messe], una persona che non si comunica sacramentalmente quando può farlo, non può comunicarsi affatto in modo spirituale.
Riconoscete così, cristiani, i tesori immensi di grazia e di benedizione che noi abbiamo nella s. Eucaristia e quanto è a noi facile arricchircene, non occorre altro che desiderarli per possederli. Infine, poi, noi possiamo comunicarci spiritualmente cento e cento volte al giorno: non occorre altro che desiderare di comunicarsi effettivamente. A cosa mai pensiamo noi per trascurare un mezzo così sicuro e così facile di crescita nella santità in ogni momento? No, mio Signore, se noi siamo così poveri, così spogli di virtù, non è perché Tu non sia infinitamente liberale, o perché hai reso disponibili a poco costo i mezzi per procurarci i tesori infiniti delle grazie, soprattutto nella s. Eucaristia, ma è a causa di un rovesciamento di condotta che non possiamo non deplorare molto, noi languiamo senza cercare le ricchezze spirituali con quell’ardore con cui ricerchiamo i beni terreni e perituri. Noi siamo come delle cerve assetate che corrono verso acque stagnanti o a delle cisterne secche, allontanandosi così dalla sorgente delle acque salutari, uniche capaci di estinguere le sete che suscita nei nostri cuori la concupiscenza passionale e sregolata e di comunicare alle nostre anime una santità perfetta. Comunicatevi dunque realmente e più spesso che potete, ma giacché potete comunicarvi spiritualmente ogni giorno e tutte le volte che volete farlo, non mancate di esercitarvi in una pratica così facile e vantaggiosa. Con questo mezzo voi vivrete in unione attuale continua con Gesù Cristo, voi farete tutte le azioni insieme a Lui, ed Egli farà tutte le azioni con voi; Egli agirà in voi e per mezzo di voi; voi agirete in Lui e per mezzo di Lui. Oh! L’ammirabile vita di cui Gesù Cristo è l’autore! Oh! Le eccellenti e divine azioni di cui Gesù Cristo è il principio!