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Conferenza di P. Andre Brustolon omv sugli Esercizi Spirituali nella vita del P. Pio Bruno Lanteri e dei primi OMV: |
_______________________________ Anno 2009: 250° anniversario della nascita del Annotazioni sulla spiritualità lanteriana Conferenza fatta a Pinerolo Conferenza fatta a San Vittorino Quadro storico del tempo del P. Lanteri Omelia del Rev.mo P. Patrice Veraquin |
SETTIMANA LANTERIANA 2012 La fede nel ven. P. Pio Bruno Lanteri CITAZIONI • S. Agostino • S. Francesco di Sales • S. Maria Maddalena de’ Pazzi
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SACRA RITUUM CONGREGATIO
Section historica
S. Hist. n. 63
PINEROLIEN.
Beatificationes et canonizationis servi dei
PII BRUNONIS LANTERI
Fundatoris Congregationis Oblaturum M. V. (†1830)
––––––––––––––––
POSITIO
super introductione causæ et super virtutibus ex officio compilata
typis polyglottis vaticanis mcmxlv
DOCUMENTA
_________
PREMESSA
Per dare alla ricca ma frammentaria documentazione relativa alla vita del Servo di Dio Pio Brunone Lanteri una certa unità logica, abbiamo creduto opportuno dividerla in sei parti, ognuna delle quali si riferisce ad un aspetto speciale della vita e dell’attività del Servo di Dio. In ciascuna parte i documenti verranno disposti in ordine cronologico.
Diamo subito l’indice di queste sei parti, con l’indicazione del loro contenuto e dei Documenti compresi in ciascuna di esse:
PARS TERTIA: Documenta quae ad fundationem Congregationis Oblatorum M. V. spectant, annis 1816-1830: Doc LIV-LXV.
PARS QUARTA: Excerpta e scriptis servi Dei, annis 1782-1822: Doc. LXVI-LXIX.
PARS QUINTA: Documenta quae tum ad vitam Servi Dei cum praesertim ad eius famam sanctitatis referuntur qua eque post eius mortem composita fuerunt, annis 1830-1870: Doc. LXX-LXXXVIII.
PARS SEXTA: Excerpta e Processu ordinaria auctoritate constructo in Curia Pineroliensi annis 1930, 5 aug. – 1931, 16 iun: Doc. LXXXIX.
PARS PRIMA
DOCUMENTA QUAE AD VITAM SERVI DEI
PII BRUNONIS LANTERI SPECTANT, ANNIS 1759-1830
(Doc. I-XIX)
______________
In questa prima parte abbiamo raccolto i documenti che contengono dati biografici o comunque brevi accenni alla vita del Servo di Dio in genere.
DOC. I
TESTIMONIUM BAPTISMATIS Servi Dei, anno 1759, 12 maii. – Ex copia authentica in archivo Postulationis O. M. V. asservata, S. I, 1443.
Dell’attestato di battesimo del Servo di Dio Pio Brunone Lanteri esiste tuttora l’originale nei registri parrocchiali di Santa Maria della Pieve in Cuneo (Liber X Bapt., 1748-1775, f. 80v). La Postulazione ne ha allegato al Processo ordinario una copia autentica rilasciata nel 1824, probabilmente in occasione del tentato ingresso del Servo di Dio nella Compagnia di Gesù, e vidimata dalla Curia Vescovile di Cuneo il 1° dicembre dello stesso anno. Da questa copia abbiamo desunto il testo che qui riproduciamo.
Prendiamo occasione dalla pubblicazione di questo attestato per dare un cenno sulla famiglia del Servo di Dio. Suo padre, Pietro Lanteri, apparteneva ad un’onorata famiglia di Briga (oggi Briga Marittima, provincia di Cuneo) nel territorio della Contea di Nizza, ed era medico. Da Briga egli si trasferì nella città di Cuneo, ove acquistò fama di ottimo cristiano e di integerrimo professionista; la sua carità era così grande e i benefìci che recava agli ammalati poveri così segnalati, che veniva chiamato «Padre dei Poveri» (cfr. P. Gastaldi, Della vita del Servo di Dio Pio Brunone Lanteri, fondatore della congregazione degli Oblati di Maria Vergine, Torino 1870, pag. 18). Di lui si conserva ancora una pubblicazione di carattere scientifico intitolata: Febris epidemicae, quae Cunei anno MDCCLXXIV et LXXV grassata est, historia, Nizza 1776. Unitosi in matrimonio con Margherita Fenoglio, sua remota parente, il 2 luglio 1746 (Liber Matr., 1746, f. 31V della parrocchia di S. Ambrogio in Cuneo), ebbe dieci figli, dei quali diamo qui l’elenco:
1. Maria Caterina, nata il 3 settembre 1747 (Liber Bapt., 1747, f. 1, della parrocchia di S. Ambrogio in Cuneo), morta in giovane età.
2. Pietro Ambrogio, nato il 6 dicembre 1748 (Liber Bapt., 1748, f. 10, ibid.), morto in giovane età.
3. Giacomo Raffaele, nato il 24 ottobre 1749 (Liber Bapt., 1749, f. 190, ibid.), morto in giovane età.
4. Maria Angelica Luisa, nata il 2 gennaio 1751 (Liber Bapt., 1751, f. 60, della parrocchia di S. Giacomo a Beinette, Cuneo), morta il 21 luglio 1802 (Liber Mort., 1802, vol. V, della parrocchia di S. Ambrogio, Cuneo).
5. Anna Maria Teresa, nata il 28 ottobre 1752 (Liber Bapt. 1752, f. 75, della parrocchia di S. Giacomo a Beinette), morta il 10 maggio 1776 (Liber Mort., 1776, f. 7. della parrocchia di Santa Maria della Pieve, Cuneo).
6. Giuseppe, nato tra il 1753 e il 1759, cresimato il 3 maggio 1766 (Liber Confir., 1766, n. 38, della parrocchia di S. Maria della Pieve), entrato fra i Minori Conventuali nel 1770 (cfr. Biancotti, Doc. LXXXI); non si conosce la data della sua morte.
7. Pio Brunone, nato il 12 maggio 1759, morto il 5 agosto 1830; è il nostro Servo di Dio.
8. Agostino Luca, nato il 28 agosto 1760 (Liber Bapt., 1760, f. 88, della parrocchia di Santa Maria della Pieve), morto in giovane età.
9. Margherita, nata nel 1762, morta il 24 maggio 1764 (Liber Mort., 1764, f. 77, ibid.).
10. Giuseppe Tommaso, nato il 19 luglio 1763 (Liber Bapt., 1763, f. 106, ibid.), entrato fra i Barnabiti dopo il 1783, poiché gli Stati d’anime della parrocchia di Santa Maria della Pieve, 1780, 1783, lo chiamano «clericus»; il Biancotti (Doc. LXXXI) lo fa entrare fra i Barnabiti già nel 1773, ma ciò non sembra possibile. Giuseppe Tommaso morì nell’agosto 1823 (cfr. Lettera del Sac. Eula al Lanteri, 21 agosto 1823, archivio della Postulazione O. M. V., S.I., 525)
Margherita Fenoglio, madre del Servo di Dio morì il 19 luglio 1763, dopo aver dato alla luce l’ultimo figlio Giuseppe Tommaso; Pietro Lanteri, il padre, sopravvisse lungamente e morì il 31 ottobre 1784 (Liber Mort., 1763, f. 75, 1784 f. 40, della parrocchia di S. Maria della Pieve).
In libro baptizatorum Ecclesiæ parrocchialis S.Mariæ de Plebe Civitatis Cuneensis sub Anno Domini millesimo septingentesimo quinquagesimo nono legitur ut infra.
Anno Domini 1759 die duodecima maji R.dus D. Bernadinus Falcus Vice-curatus baptizavit Infanem natum hora vigesima ejusdem diei ex D. D. Petro Lanteri, et Margherita, filia quondam Josephi Fenolii ejus coniuge, cui impositum fuit nomen Pius Brunus pancratius. Patrini fuere Dns Pious Eula et Dna Lucia uxor Dni Josephi Riboletti. In originali subscriptus Maurtius Dalmatius Murena Archipresbyter et Parochus.
In quorum fidem rogatus hanc dedi sigillo parocchiali munitam. Datum Cunei die 1 decembris 1824.
(l.s.) Pr. Aloysius Arena, V. Curatus
Amedeus Brunus Comes a Samono Dei et apostolicæ Sedis gratias Episcopus Cuneensis. – Universis et singulis præsentes Nostras inspecturis fidem facimus et testamur admodum Rev.dum D.num Aloysium Arena qui restroscriptam fidem exaravit esse vere vicecuratum Ecclesiæ Parrocchialis Sanctæ Mariæ de Plebe huius Civitatis ejusque in prædicto suo munere attestationibus et subscriptionibus adhiberi fidem in judicio et extra.
Datum Cunei ex Palatio Episcopali
Die 1 decembeis 1824
DOC. II
TESTIMONIUM CONFIRMATIONIS Servi Dei, anno 1772, 28 novembris. — Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. osservato, S. I, 1446.
Il registro dei Cresimati della parrocchia di Santa Maria della Pieve in Cuneo, ove trovasi annotato anche il nome del Servo di Dio, esiste tuttora. Qui riproduciamo l’attestato autentico che ne diede il viceparroco della parrocchia, il 26 settembre 1780, probabilmente in vista delle sacre ordinazioni che il Lanteri doveva ricevere in Torino. Il Servo di Dio fu cresimato all’età di 13 anni nella parrocchia di Santa Maria della Pieve, il 28 novembre 1772, da Mons. Giovanni Ignazio Gautier, vescovo di Iglesias (Sardegna), a ciò delegato dal vescovo di Mondovì da cui dipendeva allora la città di Cuneo. Non ci fu possibile rintracciare la data della prima comunione del Lanteri, ma secondo l’uso del tempo, la dovette ricevere press’a poco contemporaneamente alla Cresima.
Fidem facio Ego infrascriptus Vicecuratus Parrocchialis Ecclesiæ Sanctæ Mariæ Civitatis Cunei Diœcesis Montisregalis D. Clericum Brunonem Lanteri fiulium perillustris D. Medici Petri fuisse ab Ill.mo et rev.mo D.D. Joanne Ignatio Gautier Episcopo Ecclesiensi et Comite, ex delegatione Ill.mi et rev.mi D. D. Michælis Casati Episcopi Montisregalis Collegiata insigni B. M. V. ad nemora, anno Incarantionis Dominicæ millesimo septingentesimo septuagesimo secundo, die vigesima octava Novembris: Patrino adhibito Ill.mo D. Francisco Beltrando; uti legere est libro secundo Confirmatorum fol. 20 pag.a 2.da. idcirco hoc veritatis testimonium propria manu exaratum et Parrochiali sigillo firmatum dedi, Cunei, die 26 septembeis 1780.
(l. s.) Franciscus Antonius Bruni V. Curatus
DOC. III
FACULTAS Servo Dei ab episcopo Montis Regalis in Pedemontio concessa induendi habitum ecclesiasticum, anno 1777, 17 septembris. — Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I., 10.
Sappiamo dal Biancotti (cfr. Doc. LXXXI), uno dei primi biografi del Servo di Dio, che il diciasettenne Lanteri, sentendosi chiamato allo stato religioso, entrò nella Certosa di Chiusa di Pesio (1776), posta nelle vicinanze di Cuneo. Il volenteroso giovane non potè tuttavia effettuare il suo progetto a causa della troppo delicata complessione fisica, e il superiore lo dovette rinviare a casa dopo soli otto giorni. Fu allora che il Lanteri venne nella determinazione di dedicarsi al Signore nello stato ecclesiastico secolare. Chiese ed ottenne infatti dal Vescovo di Mondovì, suo Ordinario, la facoltà di vestire l’abito ecclesiastico (17 settembre 1777). Subito dopo si recò a Torino per frequentare il corso di teologia che allora veniva impartito nella Regia Università.
Michæl Casati Congregationis Clericorum Regularium, Dei et Apostolicæ Sedis gratias Episcopus monits Regalis, et Comes. – Dilecto Nobis in Christo D. Pio Bnrunoni Lantwei filio D. Medici Petri in Civitate Nostræ Dioec. Natuo Salutem in Domino – Requisitioni tui parte Nobis hodierna die factæ benigne annuente, ut habitum Clericalem sumere, induere, et in eo incedere possis, et valeas, attento quod Nobis satis constat de tuis legitimis natalibus, sufficienti Doctrina, morum honestate, ac pio desiderio laudabiliter progrediendi in statu ecclesiastico, harum serie facultatem facimus, et licentiam impertimur in Domino. – Dat. Monteregali ex Palatio nostro Episcopali die XVII mensis Septembris Millesimo septingentesimo septuagesimo septimo.
(l. s.) † Michæl Episcopus
Bassus Cancellarius
DOC. IV
TESTIMONIUM quo Pius Bruno Lanteri servum perpetuum B. M. V. sese declarat, anno 1781, 15 augusti. — Ex originali archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 1b.
Il 15 agosto del 1781, nella imminenza della sua ordinazione al suddiaconato, avvenuta il 22 settembre dello stesso anno, il giovane levita Pio Brunone Lanteri si consacrò irrevocabilmente a Maria Santissima con un caratteristico atto di schiavitù. Non si tratta dell’atto di schiavitù istituito e praticato dal B. Grignion de Montfort, il cui Traité de la vrai dévotion a la Sainte Vierge non fu pubblicato che nel 1842. L’atto del Lanteri si ispira a quell’indirizzo spirituale che, da S. Francesco di Sales, al Bérulle, al Boudon, al Grignion de Montfort, e al Liguori, portava i fedeli a consacrarsi totalmente a Maria Santissima in modo da dirsi e considerarsi come suoi veri schiavi. Può darsi che siano state le opere ascetiche di S. Alfonso Maria de’ Liguori, largamente diffuse dal Padre de Diessbach (cfr. Doc. LXIX, intr.) intimo del Lanteri, a suggerire al Servo di Dio l’idea di consacrarsi come schiavo di Maria (cfr. S. Alfonso M. de’ Liguori, Visite al Santissimo Sacramento e a Maria Santissima per tutti i giorni del mese, 3a edizione, Napoli 1749, Orazione preliminare e visita XXXI; Id., Le glorie di Maria, Napoli 1750, cap. I, §§ 1, 3; II, § 3; IV, § 1, la preghiera; ossequio VII).
Comunque l’atto di cui abbiamo parlato non è che il riflesso della tenera devozione che il Servo di Dio nutriva verso Maria Santissima, alla quale era stato consacrato dal suo padre sin dall’infanzia. È noto infatti che il Lanteri soleva spesso ripetere: «che egli non aveva altra madre, fuori di Lei», cioè di Maria Santissima (cfr. Doc. LXXXI).
Sulle origini dell’atto di schiavitù cfr. Mons. Laveille, Le B. Grignion de Montfort, 1673-1716, d’après des documents inédits, Paris 1906, pag. 379; P. Pourrat, La spiritualité chrétienne Paris, vol. III (1927), pp. 498-499, vol. IV (1928), pp. 398-399; J. -M. Le Bail, La S. Vierge et l’ècole française: le saint esclavage de Jésus en Marie selon le B. L.-M. Grignion de Montfort, in Les cahiers thomistes, 1931, pp. 7-30, 69-92.
SCRITTURA DI SCHIAVITUDINE
Cuneo, li 15 Agosto 1781.
Sappiano tutti coloro nelle mani delle (sic) quali capiterà questa mia scrittura, che io sottoscritto B[runo] mi vendo per ischiavo perpetuo della B. V. Maria N. S. con donazione pura, libera, perfetta della mia persona, e di tutti i miei beni, acciò ne disponga ella a suo beneplacito come vera, ed assoluta Signora mia. Siccome mi riconosco indegno d’una tal grazia prego il mio S. Angelo Custode, S. Giuseppe, S. Teresa, S. Giovanni, S. Ignazio, S. Francesco Saverio, S. Pio, S. Bruno, acciò mi ottengan da Maria SS. che si degni ricevermi tra suoi schiavi. In confermazione di ciò mi sottoscrissi
Pio Bruno Lanteri
DOC. V
LITTERÆ TESTIMONIALES de ordinatione sacerdotali a Servo Dei suscepta, anno 1782, 25 maii. — Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 13.
II Servo di Dio ricevette la Tonsura e gli Ordini Minori tra l’ottobre 1780 e il settembre 1781 (cfr. atto di costituzione del patrimonio ecclesiastico, 30 settembre 1780, conservato nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 133 e Doc. LXXXI); non ci è stato possibile precisare maggiormente le date. Fu poi promosso successivamente al suddiaconato, il 22 settembre 1781, al diaconato, il 22 dicembre dello stesso anno (cfr. Lettere testimoniali, conservate nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 11-12), al presbiterato, il 25 maggio 1782, con tredici mesi di dispensa dall’età canonica (cfr. Breve di Pio VI, 22 gennaio 1782, conservato nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 135a). Dei diversi documenti citati nella presente introduzione, diamo soltanto le lettere testimoniali dell’ordinazione sacerdotale.
Victorius Cajetanus Balthassar Maria Costa de Arignano Divina Miseratione, et Apostolicæ Sedis Gratias Archiepiscopus Taurinensis et Magnus S. R. M. Eleemosynarius.
Dilectum Nobis in Christo R.dum D. Lanteri Pium Brunonem vivitatis Cunei, diœcesis Montiregalis, in sacro Diaconatus ordine costitutum, super defectum ætatis 13 mensium vigore Brevis apostolici diei 22 ultimi elapsi mensis januarii pontificia auctoritate dispensatum, ac legitime dimissum, vita, moribus, ætatis, doctrina, ceterisque per sacrum Concilium Tridentinum requisitis idoneum habitum fuisse qui promoveretur, et ordinaretur; ea propter ad sacrum Ppresbyteratus ordinem promovendum atque ordinandum duximus, ac promotum, et ordinatum esse a Nobis die vigesima quinta mensis maii, sabbato quatuor Tenporum post Pentecostem, anno millesimo septingentesimo octogesimo secundo, indictione Romana quintadecima, Taurinorum Augustæ in archiepiscopali publica nostra ad archienpiscopales hædes nostras eclesia, Deiparæ Virgini Immaculatæ Conceptæ sacra, sacros Ordines in Domino celebrantes, hisce consignatis litteris universis testatum facimus, ac pronunciamus. Adfuerunt ad hæc vocati ac rogati testes adm. R. R. D. D. Prior Petrus Hieronymus Soleri Nobis a cæremoniis ac Joseph Dominucs Mazzocchi, cappellani nostri familiares. – Datuma Taurini anno, mense, die, indictione, et loco citato, ut supra,
† V. Cajetanus Archiep.us Taurinen.
Casetti Cancellarius
DOC. VI
MANEAT ab Archiepiscopo Taurinensi Servo Dei concessum, anno 1782 23 novembris. — Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 137.
II Servo di Dio, conseguita la laurea in sacra Teologia nell’Università di Torino il 13 luglio 1782 (cfr. Diploma originale, conservato nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 1463) e col previo consenso del suo Ordinario di Mondovì, ottenne dall’arcivescovo di Torino, Mons. Costa di Arignano, di poter rimanere in quella città. Fra i diversi «Maneat» e «Exeat» concessi al Servo di Dio e conservati nell’archivio della Postulazione (S. I, 136-141), diamo qui soltanto il primo rilasciatogli il 23 novembre 1782 dall’arcivescovo di Torino. Dal medesimo arcivescovo il Lanteri ebbe pure la prima patente di confessore, il 22 ottobre 1785. Le patenti di confessore, ottenute dal Servo di Dio in Torino ed altrove, sono tuttora conservate nell’archivio della Postulazione (S. I, 154-165).
Victorius Cajetanus Balthassar Maria Costa de Arignano.
Divina Miseratione et Apostolicæ Sedis gratrias, archiepiscopus Taurinensis, et magnus S. R. M. Eleemosynarius.
Dilecto Nobis in Christo ad. R. D. Pio Brunoni Pancratio Lanteri, presbytero civitatis Cunei, diœcesis Montisregalis. S. T. D. salutem in Domino.
Quoniam ex illustrissimi, ac Reverendissimi Ordinarii tui litteris commendatitiis veniam tibi datam constat degendi extra fines diœceseos; nos petentem, ut in nostra versari tibi fas sit, facile suscipientes, hanc tibi potestatem factam volumus ad [il tempo non fu indicato] modo a sac. Conc. Trid. Decreris, synodalibus Taurinen. Costitutionibus, et iis omnibus, et singulis, quæ proxime per Litteras Pastorales ediximus, ne latum quidem unguem discedas. Propterea per Nos addictus ecclesiæ parocchiali, in cuius territorio moraberis iis sedulam operam navabis, in quavis æde Monialium Sacra non facies, et ab iis omibus, quæ Cleri, et Sacerdotii nomini, ac dignitati minus consentanea videantur, longe abhorrebis. Quarum quidem rerum omnium Nobis, ubi libuerit, a curato, vel rectore ecclesiæ adferes testimonium.
De Taurini, die vigesima tertia mensis novembris, millesimo septigentesimo octogesimo secundo,
Cautionem præstitit in personam ad. R. D. Julii Sineo a Turri Palleria, presbyteri Taurinen., die 16 huius mensis novembris
Octavius Burghesius, provic. generalis
A. Davichius, pro canc.
DOC. VII
TESTIMONIA de bonis moribus Servi Dei, annis 1785 et 1787.
Il primo di questi attestati fu rilasciato al Servo di Dio dal Parroco di S. Tommaso in Torino nella cui parrocchia egli aveva dimorato per cinque anni. Il suddetto attestato va messo, con ogni probabilità, in relazione con il conseguimento della prima patente di confessore, ottenuta dal Servo di Dio due giorni dopo, cioè il 22 ottobre 1785.
Il secondo attestato fu concesso dal Vescovo di Losanna in occasione del breve soggiorno che il Servo di Dio fece, nel 1787, in Svizzera.
1
Testimonium de bonis moribus Servo Dei concessum a parocho S. Thomæ Augustæ Taurinorum, anno 1785, 20 octobris. – Ex originali in archivio Postulationis O.M.V. asservato, S. I, 6.
Adomodum Reverendum D. Pium Brunonem Cuneensem Sacerdotem, huius Parœciæ quinquennio incolam, singulari morum probitate, pietate, exemploque jugiter præfulsisse subscriptus ego prudens, sciensque testor. – Ex S. Thoma Apostolo – Taurini die 20 8bris 1785.
F. Ireneus M. Bonardelli, curatus S. Thomæ Apostoli.
2
Testimonium de bonis moribus Servo Dei concessum ab episcopo Lausannensi, anno 1787, 19 maii. – Ex originali in archivio Postulationis O.M.V. asservato, S. I, 7.
Bernardus Emmanuel de Lenzburg. Dei et Sanctæ Sedis Apostolicæ Gratia, Episcopus ac Comes Lausannensis. S. R. I. Princeps, et Appas Infulatus Monast. B. M. V. de Altaripa Ord. Cisterc, etc. etc.
Hisce notum facimus et attestamur Perillustrem ac R.dum D.num Lanteri Dioœsis Montisregalis oriundum, qui in hac nostra aliquandiu commoratus est, esse bonæ vitæ, conversationis, famæ et doctrinæ, nulloque quod sciatur, censuræ ecclesiasticæ vinculo innodatum, propter quod a confectione vel perceptione Sacramentorum arceri possit. Unde illum, tum propter disciplinæ ecclesiasticæ studium, tum propter compositos et inculpatos mores omnibus prælatis ecclesiasticis, aliisque quibuscumque personis enixe cupimus commendatum. In quorum fidem etc. – datum Friburgi Helvetiorum, die decima nona mensis maii, anno millesimo septinegentesimo octogesimo septimo.
(l. s.) † B. E. M. Ep. Lausannensis
DOC. VIII
TESTIMONIA ADLECTIONIS Servi Dei inter varias pias societates, annis 1790-1809. — Ex originalibus in archivo Postulationis O. M. V. asservatis, S. I, 166-172.
Fra le carte appartenute al Servo di Dio e conservate oggi nell’archivio della Postulazione degli Oblati di Maria Vergine vi sono vari biglietti che comprovano la sua aggregazione a diverse Pie Società o Unioni non solo di Torino, ma anche di Besançon, di Pisa e di Roma. Li pubblichiamo tutti in questo documento, perché sono altrettanti testimoni della pietà del Servo di Dio.
Del terzo e del quinto biglietto, daremo solo l’estratto che si riferisce al Lanteri.
1
Biglietto di aggregazione ad una Pia Unione di Besançon.
«Jésus triste jusqu’à la mort» – L’heure de M. Pie Bruno Lanteri prêtre pour la conversion des pécheurs, sera depuis… (Douleurs intérieures de J. C.)… Enregistré au livre de l’association pour le mercredi 5 … à Besançon 1790. – Sœur Hugon sacristaine des religieuses du Refuge.
2
Aggregazione alla pia Unione del Sacro Cuore di Gesù, canonicamente eretta in Roma nella Venerabile Chiesa di S. Maria in Cappella per tutti i fedeli in qualunque parte del mondo si trovino.
Io Brunone Lanteri per accrescere sempre più la Gloria di Gesù morto in Croce per Noi e dell’infiammato suo Cuore, che arde di amore verso di noi nel SS.mo Sacramento dell’Altare, e per riparare le offese, che a lui si fanno in questo Sacramento di amore, mi unisco cogli altri Divoti Aggregati a questa Pia Unione, onde partecipare ancora delle sacre Indulgenze, che vi sono, e godere del bene spirituale, che si fa in essa, in soddisfazione de’ miei peccati, ed in suffragio delle Anime Sante del Purgatorio… Fu aggregato nel dì 11 del mese di settembre dell’anno 1803.
(l. s.) Sodalitas S. Pauli Ap.li.
L. Felici Regolatore Primo dell’Unione di S. Paolo Apostolo — Reg. L. — Num. degli Aggregati 73613 — in Roma 1803.
3
Elenco (a stampa) degli ascritti alla Pia Società della B. M. V. delle Grazie nella Chiesa di S. Tommaso Apostolo della città di Torino…
al n. 42: Lanteri Bruno Teologo (1805).
4
Biglietto d’accettazione nella Confraternita di Maria Santissima Ausiliatrice.
Io sottoscritto Deputato, ed Agente della Confraternita di Maria SS.ma Ausiliatrice, eretta in Pisa, dichiarata unita a quella di Monaco di Baviera per Breve della S. Mem. del Sommo Pontefice Pio VI, sotto il dì 15 febbraio 1799, ricevo in vigore di questo certificato ed accetto in questa Confraternita il M. R. Sacerd. Sig. Pio Bruno Lanteri per essere partecipe di tutte le grazie, ed altri beni spirituali concessi a questa Confraternita.
Dato a Pisa il 26 del mese di aprile l’anno 1809.
P. E. Giovanni Braccelli, Deputato.
5
Biglietto di aggregazione all’Associazione del S. Piagato Cuore di Gesù, nella Chiesa delle M. RR. MM. della Visitazione in Torino…
Sig.r D. Pio Bruno Lanteri — S’invitano tutte le anime divote del Sagro Cuore di Gesù a ritrovarsi in ispirito ciascun giorno in questo Cuore Santissimo a 3 ore prima di mezzo dì, nel mezzo dì, e tre ore dopo, per rendergli così raccolte, ed unite riverentissimo omaggio, e vivi ringraziamenti di tutti i di lui benefizi, con una breve elevazione di mente, e compire all’Adorazione del 3° Venerdì di ottobre dalle ore 8 sino alle 9 [senza data].
DOC. IX
EPISTOLA Servi Dei ad sacerdotem Augustinum Eula circa oratorium Sancti Jacobi apud «Briga», Taurini anno 1800 11 julii. — Ex originali (minuta) in archivo Postulationis O.M.V. asservato, S. II, 23.
Il Lanteri esercitava il diritto di patronato sulla cappella di San Giacomo del Fontano situata nel territorio di Briga, paese d’origine di suo padre. Non potendo da Torino, dove risiedeva occuparsi direttamente di ciò che riguardava tale cappella, il Servo di Dio aveva dato al suo cugino, sacerdote Agostino Eula, l’incarico di occuparsene. La lettera che qui pubblichiamo documenta la cura posta dal Lanteri nell’adempimento dei suoi doveri come patrono. Nell’archivio della Postulazione esiste soltanto la minuta di questa lettera.
Stimat.mo Sign.re e Cugino Car.mo,
Sono ben sensibile alle attenzioni che si è sempre preso e si prende tuttora a riguardo della Cappella di S. Giacomo, e gliene rendo distintissime grazie. Approvo affatto l’elezione da lei fatta del Cappellano nella persona del Signor D. Giovan Battista Arnaldi, quale prego riverire per parte mia, godendo sentire da V. S. che compie in tutto agli obblighi annessi, cosa che, sommamente gli raccomando unitamente alla manutenzione di detta Cappella. Mi rallegro che tra breve il Cugino D. De Medici, nipote di D. Pietro sarà ordinato Sacerdote, e tanto più mi rallegro perché ne ho sentite ottime informazioni, onde mi farò sempre un piacere di potergli giovare in qualunque cosa io possa. Scusi se ho tardato tanto a rispondere allo stimatissimo di lei foglio; le mie occupazioni e la mia assenza da Torino ne furono la cagione. E con particolare stima ed affetto mi protesto
Di V. S. Car.ma e Stim.ma
Torino, li 11 luglio 1800.
L[anteri].
DOC. X
DOCUMENTA quae pertinent ad relegationem Servi Dei in domo sua rustica decreto publicae auctoritatis Napoleonicae, annis 1811-1816.
II 10 giugno 1809, Pio VII scomunicava Napoleone il quale aveva decretato scaduto il dominio temporale dei Papi. Nella notte del 5 al 6 luglio seguente, l’Imperatore, rispondeva alla scomunica facendo rapire e trasportare in Francia, com’è noto, l’inerme Pontefice, il quale dopo 41 giorni di strapazzi veniva ricondotto in Italia e relegato nel palazzo vescovile di Savona (16 agosto), dove, privato di tutti i suoi consiglieri, ebbe anche la proibizione di comunicare con qualunque chiesa e qualsiasi suddito dell’Impero (14 gennaio 1811).
In Torino si venne subito formando un accurato servizio segreto di assistenza per l’Augusto Prigioniero di Savona e per i Cardinali, i Prelati e i Sacerdoti imprigionati — in particolare nel forte di Fenestrelle — da Napoleone. Tra i membri addetti a questo servizio troviamo intrepidi sacerdoti, come il Lanteri, il Daverio, il Guala ecc. e valorosi e pii laici, come il Marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, il banchiere Gonella, il Cav. Renato d’Agliano ecc.
Per quanto ci è dato sapere il Lanteri era l’anima di tutto questo intenso e segreto lavoro di assistenza: egli incominciò dapprima col difendere il Pontefice divulgando scritti personali ed opere di altri autori che trattavano dei diritti e delle prerogative del Papa (cfr. Doc. XLVII; LXXII; LXXVII; LXXIX; P. Gastaldi, op. cit., pag. 200); quindi gli fece pervenire vistose somme di denaro, perché non avesse a dipendere dal Principe oppressore (cfr. Doc. LXXII; P. Gastaldi, op. cit., pp. 200-201), e preziosi documenti che gli servirono per preparare importanti lettere e brevi a Cardinali e Vescovi (cfr. Doc. LXXIX; P. Gastaldi, op. cit., pag. 203). Fra i documenti trasmessi all’Augusto Prigioniero meritano di essere ricordati gli Atti del concilio di Lione (1274), che il Cav. Renato d’Agliano, ammesso al bacio del piede del Pontefice, riuscì a nascondere nelle di lui vesti; atti che servirono a Pio VII per il Breve del novembre l8l0 sui vescovi e vicari capitolari e che l’Imperatore dichiarò poi, il 25 gennaio 1811, contrario alle leggi dell’impero e alla disciplina ecclesiastica.
La storicità dei fatti relativi all’attività del Servo di Dio in favore di Pio VII è fuori dubbio, perchè narrati da tre sacerdoti vissuti per lunghi anni col Lanteri, cioè il Loggero (Doc. LXXIX), il Ferrero (Doc. LXXII) e il Craveri (Doc. LXXVII).
Sull’attività di questo servizio segreto di assistenza per il Pontefice, i Cardinali, i Prelati e i Sacerdoti imprigionati da Napoleone, organizzato in Torino, le notizie sono rare e sparse; oltre i documenti sopra ricordati e quelli che verranno pubblicati qui appresso, cfr. B. Pacca, Memorie storiche del ministero, de’ due viaggi in Francia e della prigionia nel forte di S. Carlo in Fenestrelle, 2a ediz. Roma 1830, parte II, cap. V, pp. 227-228; Marchesa Cristina Morozzo d’Azeglio, Il Marchese Cesare d’Azeglio, cenni biografici sul suo marito, editi e annotati da A. G. Tononi, in La Rassegna Nazionale, vol. XVII, Firenze 1884, pp. 702-703 e nota a pp. 712-715; Massimo d’Azeglio, I miei Ricordi, ediz. integra, Firenze 1920, cap. VIII, pp. 99-100; G. Colombero, Vita del Servo di Dio D. Giuseppe Cafasso con cenni storici sul Convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1895, pag. 43.
Tanta attività in pro del Pontefice non poteva sfuggire all’esosa polizia napoleonica: il nome del Lanteri fu infatti trovato tra le carte di un certo Bertaud du Coin di Lione, anch’esso occupato nell’assistenza segreta del Papa. Il Lanteri fu interrogato e poi confìnato in una sua piccola casa di campagna, detta la Grangia, tra Superga e Gassino (25 marzo 1811), sia perché sospetto di segreta corrispondenza con Savona, come perché «fanatique très prononcé» (n. 4), a causa dei suoi sentimenti ultramontani. La relegazione durò tre anni, cioè fino alla restaurazione della Monarchia, avvenuta nel maggio del 1814. Durante questo tempo il Servo di Dio continuò ad occuparsi per iscritto di varie questioni dottrinali e a tenersi in relazione con i suoi «Amici», tanto sacerdoti che laici.
In questo documento pubblicheremo tutto l’incartamento della polizia relativo alla relegazione. Questi pezzi, uniti alle testimonianze dei tre sacerdoti poc’anzi ricordati, i quali hanno vissuto col Servo di Dio, portano anch’essi il loro contributo per documentare l’attività del Lanteri in favore di Pio VII. Non osta il fatto che il Lanteri dichiari di non aver consegnato nulla al signor Bertaud du Coin (n. 2), di non conoscer nessuno a Savona e di non aver scritto personalmente nessuna lettera (n. 5), poiché egli aveva i suoi fidi agenti e segretari, tra i quali il Cav. Renato d’Agliano e il Sac. Giuseppe Loggero.
L’incarto della polizia, ora conservato nell’Archivio Nazionale di Parigi (N. 1621, S. 2, Du Coin, Turin, Lanteri et Daverio, les abbès; la Postulazione ne possiede copia fotografica), comprende 8 pezzi, disposti e numerati arbitrariamente. Nella nostra edizione abbiamo però ridato ad ognuno il suo vero posto. Vi abbiamo poi inserito, sempre secondo l’ordine cronologico, altri pezzi che si riferiscono alla relegazione del Servo di Dio e cioè:
1° una lettera del Ministro dei Culti all’Arcivescovo di Torino (n. 4);
2° una lettera dell’Arcivescovo al Ministro dei Culti (n. 5);
3° due lettere dell’Arcivescovo di Torino al Lanteri (nn. 11,13);
4° una lettera dell’Arcivescovo al Direttore della Polizia, Sig. d’Auzers (n. 12);
5° un attestato di buona condotta rilasciato dal Lanteri al Loggero, quando questi desiderava entrare nella Compagnia di Gesù (14).
Tutti i documenti aggiunti sono conservati nell’archivio della Postulazione e della Curia Arcivescovile di Torino.
1
Minuta di una lettera del Ministro della Polizia Generale al Direttore della Polizia dei dipartimenti «au-delà des Alpes», circa l’arresto del Sig. Bertaud, Parigi 1811, 19 gennaio. — Dall’originale conservato nell’archivio Nazionale di Parigi, N. 1621, série 2ème.
Il Ministro della Polizia Generale francese annuncia con la presente lettera al Sig. d’Auzers, direttore della Polizia nei dipartimenti d’Italia, di aver fatto arrestare un certo Bertaud du Coin di Lione, perché si era recato a Savona ed aveva rimesso e ricevuto corrispondenza dal Pontefice, e di aver trovato fra le sue carte una lista di indiziati. Fra questi figura anche il Lanteri. Il Ministro inviava copia della lista e ordinava che si procedesse all’interrogatorio e, nel caso, all’arresto degli indiziati.
II Ministro pensava che fra Torino e Savona dovesse esistere una regolare linea di corrispondenza; il sospetto era veramente fondato, come lo dimostrano varie testimonianze dell’epoca.
Le perquisizioni e gli interrogatori ordinati dal Ministro furono eseguiti, e nella famiglia Cordero di Montezemolo di Mondovì si conserva ancora memoria delle noie ch’ebbe a soffrire il loro avo Demetrio (uno degli indiziati che figura nella lista), dalle quali fu poi liberato per le sue amichevoli relazioni col Generale Sérrurier (cfr. Memorie manoscritte raccolte dal Generale Vittorio Cordero di Montezemolo; gli estratti che c’interessano sono conservati nell’archivio della Postulazione, S. I, 1492a.b).
La lettera che qui pubblichiamo non è firmata, essendo la semplice minuta; l’originale doveva però portare la firma del Ministro della Polizia, Duca di Rovigo, come si vede dalla risposta del Direttore della Polizia (n. 2).
N° 1621, srie 2
Paris, le 19 janvier 1811.
Monsieur le Directeur de Police à Turin.
Je viens,[1] Monsieur, de faire arrêter le Sr Bertaut du Coin de lyon.
Cet homme a fait, en 9bre dernier le voyage à Savone, près du Pape, envoyé par quelques prêtres factieux et brouillons.
Il a vu le Pape, a remis et reçu des dépêches et est revenu à Lyon où il à eté arrêté.
Il est convenut du fait, et de l’objet du voyage, mais sans vouloir expliquer quels ont eté les moyens, et conséquemment quels sont les intermédiaires de cette corrispondence, mais j’ai trouvé dans ses papiers la pièce don’t je vous envoie copie. Je ne doute nullement que ce ne soient les principaux agents placés sur le différents points de la ligne depuis Savone jusqu’à Turin.
Je vous charge expressément de vérifier mes soupçons à cet égard en faisant interroger avec le plus grand soin ces personnes en commençant par M. Conrade et ensuite tous les autres, dan le même temps autant que possible.
Vous chercherez à connaître particulièrement tous le autres agents de cette ligne de corrispondence que j’ai lieu de croire être montée depuis longtemps avec beaucoup de soin; ils devront pareillement être interrogés. Il conviendra conséquemment d’examiner soigneusement les papiers de chacun, et de ne négliger aucune des indications qui peuvent faire connaître: 1° les circostances et lìépoque du voyage de Berthaud du Coin; 2° si lui ou quelqu’autre agent n’en aurait pas fait antérieurement et 3° si cette même ligne n’à pas servi à d’autres communications, ou à des transmissions de dépêche scrètes entre Savone et la France.
Je vous recommande de mettre dans cette opératione toute l’attention que son importance exige.
Vous maintiendrez en détention jusqu’à ma détermination ultérièure ceux dont les explications ne vous auront pas paru franches et sincéres, ou dont les interrogatoires ou les papiers auraient fourni quelques preuves de complicité dans les manœuvres don’t il s’agit.
Agréez, je vous prie, Monsieur, les assurances de ma considération la plus distinguée.
In un foglio a parte trovasi l’elenco degli indiziati:
M. René Galleani d’Aglian
M. l’abbé Brunon Lanteri
M. ò’abbé Daveri
M. Démétrius Cordero de Montezemo [Montezemolo] a Mondovì
M de Sinsan
M. Conrade ingénieur des ponts et chaussées à Turin.
2
Lettera del Direttore della Polizia dei dipartimenti «au-delà des Alpes» al Ministro della Polizia Generale, circa gli interrogatori fatti ad alcuni imputati, tra cui il Servo di Dio, Torino 1811, 29 gennaio. — Dall’originale conservato nell’Archivio Nazionale di Parigi, N. 1621, sèrie 2ème.
Il Signor d’Auzers, Direttore della Polizia dei dipartimenti «au-delà des Alpes», notifica al Ministro della Polizia Generale a Parigi che ha adempiuti gli ordini ricevuti nella lettera precedente, e che ha sottoposto a interrogatorio e a perquisizione i sei indiziati indicati nella lista.
Interessantissima è la parte che si riferisce al Lanteri, che sappiamo essere stato perquisito ed interrogato lo stesso giorno, 29 gennaio 1811, in cui fu scritta la lettera al Ministro (cfr. Doc. XXXII). Il Direttore della Polizia si sofferma più a lungo sul caso del Servo di Dio che su quello degli altri, mettendo in rilievo l’alta stima che il Lanteri godeva allora in Torino. Il d’Auzers accenna poi all’attività di una certa associazione di Sacerdoti e di chierici di cui il Lanteri era a capo; si tratta con tutta evidenza — il bravo Direttore della Polizia non ne aveva naturalmente capito nulla — dell’Amicizia Cristiana e forse anche dell’Amicizia Sacerdotale e dell’Aa, di cui tratteremo nella seconda parte. Merita anche di essere messa in rilievo la subdola proposta del d’Auzers di far sospendere dalle confessioni il Lanteri al quale si rivolgevano per direzione molte persone dell’aristocrazia Torinese.
Della lunga lettera del Direttore della Polizia, come delle annotazioni fatte in margine all’originale da impiegati del Ministero, abbiamo creduto opportuno dare il testo completo, perché costituisce il documento più importante di tutto l’incartamento.
Cabinet
N° 729
(B. 8, février)
Turin, le 29 janvier 1811
Monseigneur,[2]
Je n’ai reçu que le 26 de ce mois, la lettre que Votre Excellence m’a fait l’honneur de m’écrire en me faisant connaîtrel’arrestation qui vient d’être opérée à Lyon, du sieur Bertaut du Coin, et de me transmettettant une liste de six individus qui a été trouvée sur lui.
Votre Excellene m’ordonne, en même temps, de chercher à découvrir s’ils ne sont pas les agents de differents points de la ligne, pepuis Savone jusqu’à Turin, pour une corrispondance de quelques prêtres factieux et brouillons.
Je me suis occupé de suite de cette affaire, avec l’attention que son importance exige. J’ai interrogé moi-mêeme M. Conradi, ingénieur des ponts et chaussées à Turin, l’un de ceux qui étaient sur cette liste.
Il m’a déclaré n’avoir vu qu’une fois le sieur Bertaut du Coin; que ce fut par hasard, à déjeûner chez M. le Commissaire des guerres Jujardi qui le connaissait, mais non pas dans le mois de novembre dernier; car il était alors en mission de son administration à Rome (ce qui est vrai); qu’il croyait que c’était, il y a à près un an.
Il est donc positif que le sieur Bertaut a fait plus d’un voyage à Turin.
J’ajouterai, Monseigneur, que M.l’ingénieur Conradi est entièrement occupé des devoirs de sa place; qu’il ne se mêle en rien d’affaires politiques et encore bien moins d’affaires religieuses que c’est un jeune homme au caractère ouvert, ne sachant pas ce que c’est que l’intrigue, l’un de individues, en un mot, qu’on peut le moins soupçonner d’être un agent secret. D’aprés ces considerations, je pense qu’on peut ajouter toute confiance à sa déclaration.
Quant à M. le Commissaire des guerres Jujardi, je ne puis rendre de lui les même comptes. Cet homme, d’un caracteère atrabilaire et concentré, a manifesté, dans le premières années de la révolution, des prinpipes de liberté exaltés; il a été connu, sous ces rapports, à Aix et a Brignole sa patrie (Brouche du Rhône). Quelques années aprés, ses idées changèrent entièrement; j’en ignore les motifs. Il donna avec la même force dans l’excès contraire, c’est-à-dire, dans une dévotion exagérée. C’est sous ce derniern point de vue qu’il s’est montré à Turin, pendant les deux ans – peu près, qu’il y a exercé les fonctions de Commissaire des guerres. Il doit être maintenant – Toulon où son traitement de rèforme est payable.
D’après cette mobilité de caractère, il ne serit nullement surprenant que M. Jujardi ait eu des rapports particuliers avec le sieur Bertaut, chargé de missions près du Pape. Ce Commissaire a quitté Turin, depuis l’été passé: ce n’est donc pas dans le dernier voyage du Sieur Bartaut ici, au mois de novembre, qu’il l’a vu.
J’ai interrogé également M. le Baron de Sinsanm Préfet du Palais de S. A. 1. Le Prince Gouverneur général, également porté sur la note. Il a eu assez de peine à se rappeler le nom du Sieur Bartaut du Coin. Il ne l’a, dit-il, jamais vu. Il croit, cependant, avoir reçu à peu près au mois de novembre, une lettre où on lui recommandait cet individu, mais d’une manière vague, c’est-à-dire, pour lui être utile, pendant son séjour à Turin. M. de Sinsan, m’a ajouté qu’il nìavait pas reçù cet individu, étant malade à cette époque, ce qui est positif ayant été retenu dans son lit, et pendant prè de six mois, par des coliques néphrétiques.
J’ai demandé alors à M. de Sinsan, s’il se souvenait qui lui avait écrit cette lettre de recommandation: il m’a répondu croire être assuré qu’elle venait de m. l’abbé Rey, chapelain de M. l’Evêque de Chambery, qu’il avait connu aux bains d’Aix, en Savone.
Votre Excellence pensera peut-être qu’en faisant interroger ce Chapelain, à Chambery, on en tirerait plus de lumières; car on pourrait savoir sous quels rapports il a connu le Sieur Bertaut du Coin.
Au reste, Monseigneur, je dois rendre justice à M. le Baron de Sinsan. C’est un jeune homme trés estimable, dévoué au gouvernement, d’une grande sagesse et prudence, plein d’honneur, incapable, je crois, de manquer jamais à ses devoirs. Il a son fils ainé, page de S. A. I. le Prince Gouverneur général, et il a sollicité cette place comme una très grande faveur.
Quant à M. l’abbé Brunon lanteri, porté aussi sur la note, je l’ai fait interroger avec le plus grand soin, ayant des motifs de suspicion sur son compte. Cet ecclésiastique qui passe ici pour très pieux et très honnête homme, m’était cependant signalé, par un agent secret, comme n’ayant pas une opinion très favorable au Gouvernament particulièrement depuis les difficultés avec le Pape. Cependant, comme il est très prudent dans ses disscours et dans ses démarches, je n’avait obtenu aucune preuve; mais, je faisais exercer sur lui une surveillance secrète.
J’avais découvert qu’il existait autrefois à Turin, c’est-à-dire avant l’occupation de ce pays par les Français, une espèce d’association de prêtres et de clercs des Jésuites, après leur suppression. Ces associés s’obligeaient à tenir secret, même à leur confesseurs, ce qui se discuterait ou déciderait dans ces assemblées.
M. l’abbé Lanteri était le chef de cette réunion qui correspondait encore à Vienne, en Autriche, il y a huit ans, par l’intermédiaire d’un prêtre Piémontais, nommé Virginio, établi depuis 10 ans, dans cette ville, mais qui est mort, il y en a trois à peu près.
Elle correspondait également à Paris, par le moyen d’un autre prêtre Piémontais établi également dans cette ville, depuis longtemps, appelé l’abbé Sinico. Ce prêtre à dû se rendre à Rome, il y a quelques années: j’ignore ce qu’il est devenu depuis, n’étant jamais retourné en Piemont. Cette societé était peu nombreuse et il parait que, depuis quelque temps, elle a cessé sess correspondances.
J’ai cru, Monseigneur, devoir sommettre tous ces détails à Votre Excellence. Quoiqu’ils n’aient pas un rapport direct avec l’affair don’t il s’agit, ils donnent la mesure du caractère et des mpyens de M. l’abbè Lanteri.
L’interrogatoire que je lui ai fait subir, n’a pas produit de grandes découvertes. Il a toujours persisté à soutenir qu’il n’avait vu qu’une fois ou deux le Sieur Bertaut, qui était venu se confesser à lui, et que même, étant malade alors, il ne se rappele pas s’il a pu accomplir ce ministère; qu’il ignore les motifs du voyage du Sieur Bertaut; que celui-ci lui a dit, il est vrai, qu’il allait à savone, ni pour ailleurs, quoique le Sieur Bertaut lui en ai fait la demand: qu’il ne lui a été recommandé par personne.
Aussitôt après son interrogatoire, j’ai fait proceder à la visite de ses papiers. Il n’y a été rien trové de suspecte que la copie d’une lettre du Pape, datée de Rome, le 10 juin 1809[3]. J’ai l’honneur de las transmettre à Votre Excellence, ainsi qu’une traduction des paragraphes les plus marquants, afin qu’elle puisse voir, au premier coup d’œil, dans quel esprit elle à été écrite, et ce qu’on doit penser de l’opinion politique de celui qui conserve chez lui de tels manuscrits. C’est cette même bulle don’t j’ai découvert déjà, il y a un an, des exemplaires, et que j’avais envoyée au Ministère de la police générale.
Je ne dois pas dissinuler, Monseigneur, que M. l’abbé Lanteri a une grnade influence ici par le moyen de la confession. Il est un des plus courus dans la ville. Quoiqu’il soit d’une très mauvaise santè depuis plusieurs mois, ce qui le force de garder sa chambre, une grande quantité d’individus, même dans la classe marquante, l’ont conservé pour leur directeur spirituel.
Il serait convenable, je pense, que M- l’Archevêque de Turin reçut l’ordre de lui ôter ses pouvoir spirituels pour la confession. Le délabrement de sa santé ne permettrait peut-être pas qu’on le transférat bien loin.[4] Cependant, il serait avantageux de l’envoyer soit à Coni [=Cuneo] lien de sa naissance, soit dans sa maison de campagne peu distante de Turin, avec défence de revenir dans cette ville, jusqu’à nouvel ordre, sa precence pouvant être fàcheuse, sous le point de vue des fausses directions qu’il peut donner aux consciences.
M. l’abbé Daveri (porté aussi sur la note) a été interrogé en même temps: il s’est tenu dans une dénégation adsolue, affirmant toujours qu’il avait vu par hasard le sieur Bertaut deux fois chez l’abbé Lanteri son ami, mais qu’il avait toujours ignoré les motifs de son voyage, et n’était entr dans aucune espèce de communication avec lui. Je ne sais jusqu’à quel point Daverio a les même opinions exagérées, en fait de religion, que son ami l’abbé Lanteri, et il était anciennement membre de la même societé, pour perpetuer la morale des jésuites. On a procédé, ensuite, à l’examen de ses papiers, mais, il ne s’y est rien trouvé de suspect.
Je pense que M. l’Arcevêque devrait lui interdire également la confession. Quant à sa translation hors de Turin, elle paraît difficile à effectuer dans ce moment, étant dans son lit, depuis trois mois, à cause d’un violent crachement de sang, don’t il est probable qu’il ne guérira pas.
M. Reno Galliani d’Aglian n’est pas à Turin dans ce moment. (Il est aussi sur la liste). A son retour, je l’entendrai également et prendrai toutes le mesures le plus convenables.
Quant à M. Démétrius Cordero de Montesemolo, j’ai pris des dispositions pour qu’il fût interrogé à Mondoi, ses papiers examinés et toutes les recherches faites avece soin. Aussitôt que j’aurai obtenu ces derniers détails, je m’empresserai de les soumettre à Votre Excellence.
Je suis avec respect
Monseigneur,
de Votre Excellence
le très humble et très obéissant serviteur
le Directeur de la Police des dép. Au-delù des Alpes
D’Auzers.
A S. Ex. Monseigneur le Duc de Rovigo
Ministro de la Police génerale.
3
Minuta di una relazione del Ministro della Polizia Generale all’imperatore Napoleone, in cui si propone il confino per il Lanteri, Parigi 1811, 27 febbraio. ― Dall’originale conservato nell’Archivio Nazionale di Parigi, N. 1621, série 2ème.
Ricevuto il precedente rapporto del Direttore della Polizia di Torino, il Ministro della Polizia Generale, Duca di Rovigo, presentò a Napoleone una relazione sul caso Lanteri e Daverio, proponendo di confinare il primo a domicilio coatto e sotto sorveglianza nella sua casa di campagna, fuori di Torino. Questa casa detta La Grangia, si trovava a mezz’ora dal più vicino villaggio, Bardassano, e a circa venti chilometri da Torino.
Il Lanteri è presentato all’Imperatore come capo di una società gesuitica e come animato da profondi sentimenti ultramontani, espressione, che nel linguaggio del tempo, significava ardente difensore dei diritti e delle prerogative del Romano Pontefice. Il Ministro, seguendo il suggerimento del Direttore della Polizia di Torino, far pur all’Imperatore la proposta «d’enganger» l’Arcivescovo dell’anzidetta città a togliere al Lanteri e al Daverio la facoltà di confessare.
Il rapporto non reca la firma del Ministro, perché si tratta della minuta.
1ére Division
Paris, le 27 février 1811
Rapport à Sa Majesté l’empereur et Roi[5]
Sire,
Parmi les papiers saisis chez le Sieur Bertaut Du Coin, de Lyon, agent et commissionnaire des prêtres factieux arrétés, il s’est trouvé sur une liste de plusieurs noms, ceux de l’abbé Lanteri, et de l’abbé Daverio de Turin. Pour connaître jusqu’à quel point ces deux ecclésiastiques pouvaient avoir parteipé aux manœuvres don’t il s’agit, je les ai fait interroger.
Le Sieur Lanteri est convenu qu’il avait vu le Sieur Bertaut Du Coin à son passage à Turin, lorsqu’il se rendait à Savone; qu’il l’avait confessé deux fois.
M. Lanteri a été chef d’une Societé Jésuitique; depuis les événements qui ont eu lieu à Rome, il a manifesté des opinions ultramontaines très prononcées. Quoique malade depuis plusieurs mois, il reçoit chez lui beaucoup de personnes qui s’y rendent pour se confesser et sur lesquelles il parait exercer une grande influence.
Quant à l’abbé Daverio, il a prétendu n’avoir vu que par hasard le Sieur Bertaut Du Coin chez l’abbé Lanteri, et n’être entré dans aucune espèce de communication avec lui. On m’a donné sur ce prêtre les même renseignement lié et don’t il parait partager les opinions.
J’ai l’honneur de proposer à Votre Majesté d’ordonner que le Sieur Lanteri sera éloigné de Turin, et envoyé à une maison de campagne qu’il possède à quelque distance de cette ville où il sera placé en surveillance.
Quant au Sieur Daverio, comme il est dans ce moment retenu au lit par une maladie qui paraît grave, je ne propose pas sa translation hors de Turin, mais j’ai donné les ordres convenables pour le faire surveiller avec soin.
Je prie Votre Majesté d’examiner s’il ne convient pas de charger S. Ex. le Ministre des Cultes d’engager M. l’Archevêque de Turin de retirer à ces deux ecclésiastiques leurs pouvoirs pour la confession.
Je suis avec le plus profond respect
Sire
de Votre Majesté Impériale et Royale
le très humble et très obéissant serviteur et fidèle sujet.
4
Lettera del Ministro dei Culti all’Arcivescovo di Torino, in cui ordina di sospendere dalle confessioni il Lanteri, Parigi 1811, 9 marzo. ― Da una copia del tempo conservata nell’archivio della Postulazione O.M.V., S. I, 238a.
Il precedente rapporto del Duca di Rovigo all’Imperatore con la proposta di confino per il Lanteri fu approvato da Sua Maestà e rinviato per l’esecuzione al conte Bigot de Préameneu, ministro dei Culti. Questi trasmise all’Arcivescovo di Torino la decisione imperiale, con l’ordine di sospendere dalle confessioni il Lanteri e il Daverio e di notificare al primo l’ordine di recarsi nella sua casa di campagna.
La presente lettera non appartiene all’incartamento della Polizia, perché emanata da un altro dicastero; l’abbiamo però inserita a questo punto a ragione del suo contenuto. L’originale non è stato trovato, ma l’archivio della Postulazione ne possiede una copia del tempo, quella stessa, a quanto sembra, che l’Arcivescovo di Torino comunicò al Servo di Dio. La copia doveva essere accompagnata da una lettera dell’Arcivescovo, che non è stata trovata.
Copie
Paris, le 9 mars 1811
Monsieur l’Archevêque,
D’après un rapport de S. Ex. le Ministre de la Police génerale qui ma été renvoyé par ordre de Sa Majesté, il paraît que les Sieurs Lanteri et Daverio, ecclésiastiques, résidents à Turin, se trouvent compromis dans les intrigues qui ont eu lieu pour la correspondance secrète avec Savone. Ces deux ecclésiastiques sont d’ailleurs représentés comme fanatiques très prononcés. Le Sieur Lanteri reçoit chez lui beaucoup de personnes qui s’y rendent pour se confesser. Dans les circonstances actuelles il est important que de semblables fonctions ne puissent être remplies par des ecclésiastiques animés d’un mauvais esprit. Je vous engage donc à retirer les pouvoirs de confesser à MM. Lanteri et Daverio, et d’engager en même temps le premier à se retirer à une maison de campagne qu’il possède à quelque distance de Turin, afin qu’il prévienne par cette démarche les mesures que la police pourrait prendre à son égard.
Agréez, Monsieur l’Archevêque, l’assurance de ma consideration la plus distinguée.
Le Ministre des Cultes
Comte Bigot de Préameneu.
5
Lettera dell’Arcivescovo di Torino al Ministro dei Culti, in cui dichiara aver tolto le facoltà al Lanteri, Torino 1811, 21 marzo. ― Dal «Registro delle lettere di S. Ecc. Rev.ma Monsignor Giacinto Della Torre, Arcivescovo di Torino: Ministres des Cultes», pp. 317-319, conservato nell’archivio della Curia arcivescovile di Torino.
Alla precedente lettera del 9 marzo l’Arcivescovo di Torino Mons. Giacinto Della Torre, rispondeva in data 21 dello stesso mese assicurando il Ministro dei Culti di aver tolto la giurisdizione per le confessioni al Lanteri e al Daverio e di aver indotto il primo a ritirarsi nella sua casa di campagna. Segue però una lunga giustificazione dell’operato di ambedue e in particolare del Lanteri. Per questa parte l’Arcivescovo si è servito indubbiamente, copiando talvolta ad litteram, di uno scritto fornitogli dal Lanteri, dietro sua richiesta, e che si conserva ancora nell’archivio della Postulazione (S. II, 117).
Per esempio si confronti il primo alinea con questo passo dello scritto del Lanteri: «Le T[héologien] L[anteri] à l’honneur d’assurer V. E. qu’il n’a jamais eu aucune connaissance à Savone, qu’il n’était pas même capable depuis un an et demi environ d’aucun commerce de lettres à cause de sa mauvaise santé, n’en ayant en effet écrit depuis cet intervalle que 5 à 6 par nécessité pour ses affaires propres, ainsi il ne comprend pas comme on le puisse suopçonner compromis dans aucune correspondance de cette nature».
21 marzo 1811
A Son Excellence le Ministre des Cultes
Prêtres Lanteri et Daverio
A peine j’ai reçu la lettre de V. E. en date du 9 mars courant, que je me suis [fait] un devoir de retirer de MM. Lanteri et Daverio prêtres le pouvoirs de confesser les fidèles de mon diocèse, en engageant le premier à se rendre de suite à sa maison de campagne; ce qu’il a exécuté sans la moindre hésitation pour obéir aux ordres du Gouvernement. Mais si V. E. me permet de lui dire franchement la vérité j’ai l’honneur de l’assurer que le Théologien Lanteri n’a jamais eu aucune connaissance à Savone, et qu’il n’est pas même d’aucun commerce de lettres n’en ayant en effet écrit depuis cet intervalle que cinq à six par nécessité pour ses affaires de famille.
C’est aussi à tort qu’on l’a dénoncé comme fanatique très prononcé. Tous ceux qui le connaissent peuvent attester que non seulement il ne s’est jamais mêlé d’aucune affaire politique, mais que, de toute sa vie n’a jamais été répandu dans aucune société. Son caractère étant au contraire celui d’un homme solitaire, très réservé, et de très peu de paroles, ce qui l’a toujours éloigné des affaires.
Il en est de même à l’égard de l’accusation qu’on porte contre lui de recevoir chez lui beaucoup de personnes pour se confesser. Cette accusation est tout à fait gratuite, et ne peut lui être imputée à delit; puisque s’il est vrai qu’il confessait autrefois beaucoup de personnes, surtout du sexe, et même quelques français à cause qu’il connaissait leur 1angue, il n’est pas moins vrai que tout s’est passé en règle, c’est-à-dire en public et à l’église, et fort peu chez lui, n’étant ordinairement occupé qu’à visiter des malades.
Il est aussi très positif que cet ecclésiastique depuis un an et demi environ est habituellement attaqué à la poitrine, et qu’il souffre de violents attaques de nerfs, ce qui a porté les médecins dès cette époque à lui faire défense de s’occuper de son ministère. Depuis lors M. Lanteri n’a p1us été en état d’aller à l’église pour confesser, ayant même été forcé à renvoyer l’ordinairement les personnes qui venaient à cet effet le trouver chez lui, où il n’en a confessé depuis dix-huit mois qu’un très petit nombre. D’ailleurs je dois assurer V. E. que si l’on veut juger de ses principes d’après la conduite de ses pénitents, on ne pourra certainement pas les soupçonner animés d’aucun mauvais esprit.
D’après tout cela, la peine d’être privé des pouvoirs d’administrer le sacrement de pénitence retombe plutôt sur les personnes respectables et très édifiantes qui ont de la confiance en lui, que sur lui-même qui a réellement besoin de repos. Mais ce qu’il trouve bien dur et pénible, ce qu’il me paraît n’avoir point mérité, c’est d’être rélégué dans son état actuel d’infirmité à sa campagne, laquelle bien loin d’étre seulement à quelque distance de la ville de Turin, en est en effet très éloignée pour un malade qui a souvent besoin de prompts secours de médecins et de remèdes qu’il ne saurait se procurer dans ces environs qui en sont tout à fait dépourvus.
Dans cet état de choses comme il s’est empressé d’obéir sans délai aux ordres de V. E. qu’il a reçu par mon organe, il n’a pu arranger ses affaires doméstiques et il aurait en conséquence besoin de revenir à Turin après Pâques pour une quinzaine de jours.
C’est la grâce que j’ose Vous demander, Monseigneur, sur ma propre responsabilité, en Vous assurant que le prêtre Lanteri n’est pas méchant ni capable de se compromettre dans aucune correspondance contraire au Gouvernement.
Quant à l’autre Théologien prêtre M. Daverio je puis également assurer V. E. que ses qualités personnelles sont assez bonnes et louables surtout à l’égard sa réserve à ne point se mêler des affaires politiques. J’ajoute que sa santé étant encore en plus mauvais état de celle de M. Lanteri il a dû renoncer depuis trois ans au confessionnal dans l’église, et à un petit emploi qu’il avait dans le ministère. Depuis le 2 novembre 1810 jusqu’au 12 du courant il a été retenu dans son lit à cause d’un crachement de sang très obstiné, qui ensuite est passé en un vomissement très dangereux, de sorte qu’on a été obligé de l’administrer, les médicins craignant qu’il allait finir ses jours; pendant tout ce temps là M. Daverio a été hors d’état non seulement le lire ou écrire, mais encore de parler et de recevoir aucune personne ehez lui, et lorsqu’on est allé lui faire la perquisition, on le trouva dans son lit et dans un état pitoyable. Du reste je n’ai trouvé en lui aucune résistance à obéir aux ordres du Gouvernement, et à s’abstenir de confesser le petit nombre de personnes qui avaient de la confiance en lui, lorsque il était encore capable de s’acquitter du saint ministère.
Voilà, Monseigneur, ce que je dois Vous dire au nom de la vérité et de la justice à l’égard de ces deux prétres qu’on s’est plu à dénoncer à la police comme animés d’un mauvais esprit et même comme fanatiques très prononcés. Plût à Dieu que tous mes prêtres fussent aussi réservés, aussi sages, aussi soumis et obéissants aux lois comme ces deux accusés.
6
Lettera del Ministro dei Culti al Ministro della Polizia Generale circa l’esecuzione del mandato contro il Lanteri, Parigi 1811, 10 aprile. ― Dall’originale conservato nell’Archivio Nazionale di Parigi, N. 1621, série 2ème.
Il Ministro dei Culti dà comunicazione ufficiale al Duca di Rovigo, Ministro della Polizia Generale, che ha partecipato all’Arcivescovo e questi al Lanteri l’ordine di confino, e che il Lanteri è partito per il suo domicilio coatto. Domanda il parere del Duca circa il permesso, chiesto dall’Arcivescovo per il Lanteri, di farlo rientrare per 15 giorni a Torino. Sappiamo che il Lanteri era partito per Bardassano il 25 marzo 1811 (cfr. Doc. XXXII).
Questo documento, come i seguenti sino al n. 10, appartiene all’incarto della Polizia.
Ministère des Cultes
Paris, le l0 avril 1811.
Secrétariat
Bureau – Enreg.t N°
Monsieur le Duc, Votre Excellence avait fait à Sa Majesté un rapport relativement aux Srs Lanteri et Daverio ecclésiastiques de Turin, animés d’un mauvais esprit. Vous concluiez à ce que la confession leur fût interdite et que le Sr Lanteri se retirât à une maison de campagne qu’il possède à quelque distance de Turin. Ce rapport me fut renvoyé par Sa Majesté, et j’écrivis de suite à Mr l’Archevêque de Turin qui me répondit le 24 mars qu’à la réception de ma lettre il a relevé à ces deux ecclésiastiques les pouvoirs de confesser, et que le Sr Lanteri s’est empressé de se rendre à sa maison de campagne. Mais Mr l’Archevêque ajoute que cette maison de campagne est très éloignée de Turin pour le Sr Lanteri qui, à raison de sa maladie, a besoin des secours prompts et fréquents des médecins.[6]
Monsieur l’Archevêque demande sous sa responsabilité qu’il soit permis au Sr Lanteri de retourner après Pâques à Turin pour une quinzaine de jours.
Je prie Votre Excellence de me donner son avis sur cette demande.
Agréez, Monsieur le Duc, l’assurance de ma haufe considération.
Le Ministre des Cultes
Cte Bigot de Préameneu.
S. Ex. le Ministre de la Police.
7
Nota della Segreteria del Ministero dei Culti al Ministro della Polizia Generale per sollecitare la risposta alla precedente lettera, Parigi 1811, 27 aprile. – Dall’ originale conservato nell’archivio Nazionale di Parigi, N. 1621, série 2ème.
Dopo 17 giorni dalla precedente lettera, non avendo ricevuto il parere con essa richiesto al Ministero della Polizia, la Segreteria del Ministero dei Culti, a nome del Ministro, sollecita una decisione.
1ère Division.
Paris, le 27 avril 1811
Note pour S. Ex. le Ministre de ht Police Générale de l’Empire.
Monseigneur,
Votre l’Excellence a, le 27 février der soumis à Sa Majesté un rapport relativement à deux ecclésiastiques de Turin (les Srs Lanteri et Daverio) reconnus pour avoir eu des relations ave c le Sr Bertaut Du Coin, agent de prêtres factieux, lorsqu’il passa, en 9bre der à Turin pour se rendre à Savone près du Pape.
Votre rapport a été, par ordre de l’Empereur, renyoyé pour l’exécution à S. Ex. le Ministre des Cultes qui vous informe que conformément aux conclusions que vous avez prises, les pouvoirs de confesser ont été retirés à ces deux ecclésiastiques, et que le Sieur Lanieri a quitté Turin et s’est rendu au lieu fixé pour sa surveillance.
Son Excellence observe que cet abbé aurait besoin d’aller passer une quinzaine de jour à Turin pour y consulter des medecins sur sasanté délabrée et pour terminer quelquesaffaires. Sa demande est appuyé par M. L’Archevêque de Turin qui se porte garant de sa bonne conduite pendat son séjour dans cette ville.
On ne voit pas d’inconvénients d’après cette garantie d’accorder la permission pour les 15 jours seulement. On propose en conséquence à Votre excellence de donner à M. le Directeur de la Police au-delà de Alpes les instructions convenables, et de prévenir Son Excellence le Ministre.
Ci-joint les deux lettres à cet effet.
8
Minuta di una lettera del Ministro della Polizia Generale al Ministro dei Culti contenente il parere favorevole per il ritorno temporaneo del Lanteri a Torino, Parigi 1811, 27 aprile. ― Dall’originale conservato nell’Archivio Nazionale di Parigi, N. 1621, série 2ème.
Ricevuta la nota di sollecitazione, il Duca di Rovigo rispose lo stesso giorno al conte Bigot de Préameneu, Ministro dei Culti, dicendo che non vi è difficoltà per la concessione al Lanteri di quindici giorni di licenza, e che perciò a disposto in conseguenza.
1ère Division
N° 1621, Srie 2ème
Paris, le 27 avril 1811
A S. Ex. le Ministre des Cultes
Monsieur le Comte,[7]
J’ai reçu la lettre que Votre Excellence m’a fait l’honneur de m’écrire le 10 de ce mois relativement à l’abbé Lanieri qui a fait l’objet d’un rapport que j’ai soumis à l’Empereur le 17 [leggi 27] février der, et qui vous a été renvoyé par Sa Majesté. D’après la garantie qu’offre Mr l’Archevêque de Turin, je ne pense pas qu’il puisse y avoir cl’inconvénient à ce que le Sr Lanteri puisse passer 15 jours à Turin pour y consulter les médecins sur sa santé. Je préviens en conséquence de cette autorisation M. le Directeur cle la Police clans les Dépts au-delà des Alpes.
J’ai l’honneur d’offrir à Votre Excellence les nouvelles assurances, etc.
9
Minuta di una lettera del Ministro della Polizia Generale al Direttore della Polizia dei dipartimenti «au-delà des Alpes» in cui gli notifica la concessione fatta al Lanteri, Parigi 1811, 27 aprile. ― Dall’originale conservato nell’Archivio Nazionale di Parigi, N. 1621, série 2ème.
Conforme all’impegno indicato nella nota precedente, con questa lettera scritta lo stesso giorno, il Ministro della Polizia Generale notifica al Direttore della Polizia di Torino che il Lanteri può rientrare in Torino per quindici giorni, e che quindi lo faccia sorvegliare dalla Polizia e ne controlli il ritorno.
1ère Division
N° 1621 Srie 2ème
Paris, le 27 avril 1811
A Monsieur le Directeur de la Police
des Dépariernents au-delà des Alpes à Turin
Le Sr abbé Lanteri, Monsieur, qui a reçu de M. l’Archevêque de Turin l’ordre de se rendre à sa campagne près Turin, demande à venir passer quinze jours dans cette ville pour consulter des médecins à raison de sa santé délabrée. Je ne vois pas d’inconvénients à lui accorder cette permission pour quinze jours seulement. Vous ferez surveiller sa conduite pendant son séjour et vous veillerez à ce qu’il retourne au lieu fixé pouI’ sa résidence à l’expiration du délai qui est fixé.[8]
Agréez, je vous prie, Monsieur, les assurances, etc.
10
Lettera del Direttore della Polizia dei Dipartimenti «au-delà des Alpes» al Ministro della Polizia, in cui dichiara aver eseguito i suoi ordini, Torino 1811, 1° maggio. ― Dall’originale conservato nell’archivio Nazionale di Parigi, N. 1621, série 2éme.
Il Signor d’Auzer riferisce al Ministro della Polizia Generale che ha comunicato all’Arcivescovo il permesso concesso al Lanteri, e che eseguirà gli ordini di sorveglianza su di lui.
Cabinet 1621, S.rie 2
N° 1099 Turin, le 1er mai 1811
Monseigneur,
Je viens d’annoncer à M. l’Archevêque de Turin que Votre Excellence, prenant en considération la demande de M. l’abbé Lanteri, veut bien permettre qu’il se rende dans cette ville, pour quinze jours seulement, afin de consulter sur sa santé.
Je surveillerai les démarches de cet ecclésiastique, pendant son séjour, et rendrai compte à Votre Excellenee de son départ pour la résidenee qui lui a été assignée.
Je suis, avee respect,
Monseigneur,
de VotreExeellenee,
le très humble et très obéissant serviteur
le Directeur G.al de la Poliee des dépts au-delà des Alpes
D’Auzers.
A S. Exc.ce Monseigneur le Duc de Rovig
Ministre de la Police générale.
11
Lettera dell’Arcivescovo di Torino al Servo di Dio, in cui annuncia che gli è stato concesso il permesso di ritornare a Torino, Torino 1811, 1° maggio. ― Dall’originale conservato nell’archivio della Postulazione O.M.V., S.I, 238b.
L’Arcivescovo trascrive la lettera ricevuta dal Direttore della Polizia, d’Auzers, annunziando al Servo di Dio il permesso di rientrare per quindici giorni a Torino.
L’originale della lettera è presso l’archivio della Postulazione, e non fa naturalmente parte dell’incartamento della Polizia.
Torino, li primo maggio 1811
Preg.mo Sig. Teologo,
Dal Sig. D’Auzers ricevo lettera intorno alla persona di V.S. Stimat.ma che mi fo una vera premura di trasmetterle qui trascritta ed è del seguente tenore:
Cabinet
N. 1098 Turin, ce 1er mai 1811
Monseigneur,
J’ai l’honneur de vous prévenir que S. Ex. le Ministre de la Police Générale prenant en considération la demande qui lui a été faite par M. l’abbé Lanteri à qui vous avez donné ordre de se rendre dans sa maison de campagne près Turin a permis que cet ecclésiastique se rende dans cette ville pour quinze jours seulement.
Je vous prie d’en donner avis à l’abbé Lanteri, et 1orsque son délai sera expiré de me faire connaître le jour où il retournera dans sa maison de campagne.
Agréez, Mons.r, l’assurance de ma considération la plus distinguée.
Le Directeur Général de la Police
des départements au-delà des Alpes
Signé: D’Auzers.
Resta, dunque, a mio parere, in pieno arbitrio di V. S. M.to R.da lo scegliere per qui recarsi ad accudire ai suoi interessi nella quindicina di giorni, che più le aggrada, sol che si compiaccia di darmene un breve cenno. Assai mi dispiace, che per ora non siasi potuto ottenere grazia maggiore, mi lusingo però, che questo suo allontanamento dalla Metropoli non sarà di lunga durata, ed ai Suoi S. Sacrifizi raccomandandomi, con ben distinta stima, e considerazione mi professo
Di V. S. M.to R.da
Aff.mo per servirla di Cuore
† Giacinto Arc.vo di Torino.
A Monsieur
M. le Th. Lanteri
A la Campagne
12
Lettera dell’Arcivescovo di Torino al Direttore della Polizia dei Dipartimenti «Au-delà des Alpes», in cui dà notizia che il Lanteri è rientrato a Torino, Torino 1811, 16 maggio. ― Dal «Registro delle lettere di S. Ecc. Rev.ma Mons. Giacinto della Torre, Arcivescovo di Torino: Différentes Autorités», pag. 207, conservato nell’archivio della Curia arcivescovile di Torino.
Con la presente lettera, l’Arcivescovo fa sapere al Direttore della Polizia che il Lanteri è giunto a Torino in virtù del permesso concessogli; chiede inoltre per il Servo di Dio un prolungamento di soggiorno per provvedere agli urgenti bisogni della sua malferma salute. L’interessamento dell’Arcivescovo è degno di essere messo in rilievo.
La presente lettera non fa parte dell’incartamento della Polizia.
Turin, Le 16 mai 1811
A M. Dauzers Directeur Général de la Police
M. le Théologien Lanteri
Je m’empresse de vous annoncer que le prêtre Théologien Lanteri en profitant de la permission que vous lui avez accordée de se transférer de sa maison de campagne à Turin pour arranger ses affaires, y est arrivé hier au soir. Mais, comme il a été nouvellement attaqué l’autre jour d’une forte oppression à la poitrine, et de quelque autre incommodité particulièrement à un bras, il lui faudrait un espace de temps proportionné pour s’entretenir à Turin afin de pouvoir consulter les médecins et les chirurgiens pour se rétablir en santé, et pour ètre à mème de se rendre de suite à la maison de campagne suivant les ordres du Gouvernement.
C’est pourquoi j’ose le recommander de nouveau à vos bontés en vous assurant qu’il n’abusera pasdes permissions qu’il vous plaira de lui accorder, et qu’il se fera un devoir d’exécuter les déterminations sitôt que sa santé le lui permettra, et qu’il aura sistémé (sic) ses affaires.
Je vous prie en attendant, Monsieur le Directeur Général, [d’agréer] les sentiments de ma reconnaissance, et de la parfaite considération.
13
Lettera dell’Arcivescovo di Torino al Servo di Dio, in cui gli dimostra un affettuoso interessamento, Torino 1811, 17 maggio. — Dall’originale conservato nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 238b.
L’Arcivescovo dimostra un affettuoso interessamento per il Lanteri, in favore del quale, come già sappiamo, aveva richiesto al Direttore della Polizia un prolungamento di soggiorno in Torino.
Anche di questa lettera l’archivio della Postulazione conserva l’originale; essa, come la precedente, non appartiene all’incartamento della Polizia.
Torino, li 17 maggio 1811
Pregiat.mo Sig.r Teologo
Per mezzo della virtuosissima Sig.ra Contessa Mathis ho ricevuto il foglio di V. S. Preg.ma de’ 16 corrente, in cui porge l’avviso d’esser giunto in Torino approfittando della licenza, che le venne accordata. Dal medesimo rilevo con sommo mio rincrescimento, che sia stata nuovamente sorpresa da un forte attacco d’oppressione al petto con l’aggiunta d’un nuovo incomodo in un braccio. Nel dare perciò notizia del di Lei avviso al Signore D’Auzers, Direttore Generale della Polizia, con mia lettera di ieri, mi sono fatto un premuroso dovere di rappresentargli i suoi incomodi, e il bisogno, ch’Ella avrebbe in conseguenza d’un maggiore spazio di tempo per trattenersi qui in Torino, affine di consultare i medici, e i chirurghi, e ristabilirsi in sanità, e quindi ritornare alla sua casa di campagna, assicurandolo nel tempo stesso, ch’Ella non si sarebbe in verun modo abusato delle licenze, che Le verrebbero concesse dal Signor Direttore suddetto, li cui riscontri non mancherò di tosto
comunicarle per Sua regola.
Le Prego intanto dal Signore un perfetto ristabilimento in salute, e con sentimenti di vera stima, e della più affettuosa considerazione passo a raffermarmi
Di V. S. Preg.ma
Aff.mo di cuore per servirla
† Giacinto Arciv.o di Torino.
A Monsieur
Monsieur l’abbé Pie Bruno Lanteri
Docteur en théologie
Turin.
14
Attestato di buona condotta rilasciato dal Servo di Dio al sacerdote Giuseppe Loggero, Torino 1816, 12 luglio. — Dall’originale conservato nell’archivio della Postulazione O. M. V., S.II, 119.
Il Loggero da giovane era commerciante in Torino e penitente del Servo di Dio. Sentendosi chiamato alla vita ecclesiastica fu dal Lanteri guidato anche negli studi; dopo la sua, ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1809, egli convisse regolarmente col Lanteri e ne divenne suo segretario. Gli fu quindi compagno anche durante tutto il tempo della relegazione alla Grangia. Ritornato il Servo di Dio in Torino, dopo la restaurazione monarchica nel 1814, il Loggero credette di essere chiamato alla vita religiosa nella Compagnia di Gesù che si stava allora riorganizzando; a questo scopo egli fece pratiche per potervi entrare, ma senza esito (cfr. epistolario del Loggero conservate nell’archivio della Postulazione O. M. V., S I, 539 e ss.).
Fu in tale occasione che il Servo di Dio gli rilasciò l’attestato che qui riproduciamo come utile appendice ai documenti sul confino, perché ci offre dati preziosi in proposito.
L’attestato fu indirizzato, a quanto sembra, al Padre Montesisto, provinciale dei PP. Gesuiti in Genova, dove si pensava di aprire un noviziato (1815-1816). L’originale è rimasto nell’archivio della Postulazione.
Attesto io infrascritto, che il Sacerdote Giuseppe Loggero da più di dodici anni in qua si è sempre settimanalmente confessato da me.
Che essendo io stato esigliato da Bonaparte in una mia deserta campagna come sospetto di segreta comunicazione con il S. P. in Savona, e di cattivi principi contro il governo d’allora, il suddetto sacerdote superando ogni diceria e difficoltà, spontaneamente si esibì, e volle venir meco in detta solitudine per tenermi compagnia, ed assistermi, siccome fece pel corso di tre anni che durò il mio esiglio; ciò che mi fu sommamente grato, massime essendo io molto cagionevole di salute.
Che non avendo ancora fatto allora che un anno di studi teologici (ordinato però già sacerdote con le debite dispense, stanti le critiche circostanze de’ tempi) riprese in detta solitudine i suoi studi su autori classici e gesuitici, che io gli somministrava, massime contro le eresie e gli errori correnti de’ Giansenisti, Richeristi, Febronianisti, tanto più che non vi era mezzo altrimenti di studiare la teologia senza pericolo di cattivi principi.
Che in seguito, dopo la liberazione da Bonaparte, essendomi io ristabilito in Torino, continuò il medesimo ad abitar meco ed attese a comporsi un corso abbondante di meditazioni per gli Esercizi spirituali, esattamente secondo il metodo di S. Ignazio, a tenore di quanto io gli andavo suggerendo, con somministrargli abbondantemente libri opportuni, e continua di presente a lavorare per comporsi il suo corso d’istruzioni per tal effetto.
Che frattanto non lasciò di attendere al confessionale nella chiesa di S. Francesco di Torino e di visitare, confessare, predicare e catechizzare assiduamente con molto zelo nelle prigioni e negli ospedali, e dettò più volte in pubblico le meditazioni, dando gli esercizi di S. Ignazio con grandissimo frutto, godendo sempre un’ottima salute.
Che finalmente, riguardo alla sua vocazione, io l’ho sempre conosciuto amantissimo della Compagnia di Gesù ed ansiosissimo di entrarvi, nè io saprei trovarvi alcuna cosa in contrario a tale vocazione, fuorché la perdita che io ne faccio.
Questo è quanto posso io attestare per amore della verità.
Torino, li 12 luglio 1816.
Teol. Pio Brunone Lanteri
Affezionatissimo alla Comp.a di Gesù.
DOC. XI
EXCERPTA E DUABUS EPISTOLIS P. Aloisii Prosperi Taparelli d’Azeglio S. I., quibus agitur de Servo Dei et de eiusdem P. Aloisii vocatione, Romae annis 1814, 18 septembris, 1816, 3 ianuarii. — Ex originali (n. 1) et e copia contemporanea (n. 2) in archivo Postulationis O. M. V. asservatis, S. I, 459, 463.
Il notissimo Padre Luigi (Prospero) Taparelli d’Azeglio della Compagnia di Gesù crebbe in Torino nella scuola spirituale del Lanteri, di cui anche il padre, Marchese Cesare, era amicissimo.
Diamo qui due lettere scritte dal Padre Luigi, una prima di entrare nel noviziato, l’altra dal noviziato di Sant’Andrea in Roma. La prima, che doveva, a quanto pare, essere indirizzata al Lanteri come si ricava dalle parole poste in capo al foglio, poi cancellate: «Revmo Sig. Teologo e Padre carissimo in Gesù Cristo», e dalla prima frase della lettera che accenna alla malattia agli occhi del Servo di Dio, fu invece scritta e spedita al sacerdote Luigi Gianolio. In essa egli parla di due Gesuiti Irlandesi che si recheranno a Torino e prega il Gianolio e il Teologo Guala che facciano conoscere loro il Servo di Dio.
Nella seconda, che conosciamo solo da una copia del tempo senza indicazione del destinatario, ma che tutto porta a credere sia stata indirizzata al Lanteri, espone la sua gioia di trovarsi nel noviziato romano di Sant’Andrea, ricorda il salutare ritiro fatto cinque anni e mezzo prima (1810), al termine del quale si decise per lo stato ecclesiastico, e chiede la sua benedizione. Sappiamo che il giovane Prospero, in compagnia dei fratelli Massimo ed Enrico, fece nell’estate del 1813, un corso di Esercizi spirituali nel Santuario di S. Ignazio presso Lanzo, sotto la direzione del Teologo Guala (cfr. Massimo d’Azeglio, I miei Ricordi, ediz. Barbera, Firenze, 1920, cap. VI, pag. 78); questi esercizi però non sono evidentemente da confondersi con quelli accennati nella lettera di cui trattiamo e che ebbero luogo tre anni prima.
Le due lettere che qui riproduciamo sono già state pubblicate dal Padre Pirri in Carteggi del P. Luigi Taparelli d’Azeglio della Compagnia di Gesù (Biblioteca di Storia Italiana recente, 1800-1870, della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, vol. XIV, Torino, 1932, pp. 63, 75).
Roma, 18 settembre [1814] [9]
Gianolio Carissimo Fratello in G. C.[10]
Attende tibi ne incidas.
Val meglio che scriva a te questi pochi versi; gli occhi del Signor Teologo non gli lascerebbero leggere i miei caratteri e con quest’occasione intanto parlerò teco un momento. Dirai al Signor Teologo Guala che un tale ex-cappuccino a lui noto, ch’egli ha raccomandato a Monsignor Morozzo, mi commette d’interrogarlo se ha riscossa la sua pensione… Ho indirizzati allo stesso Signor Teologo certi Gesuiti Irlandesi: son persuaso che non potranno non essere gratissimi, e perciò di nuovo li raccomando a lui e a te per far loro conoscere Torino e specialmente il T[eologo] L[anteri]… Pregate tutti sempre per me, con tutto il possibile fervore: mi raccomando al Signor Teologo. Addio, son breve malgrado mio.
Tuo Aff.mo Fratello in G. C.
[Luigi Taparelli d’Azeglio]
Al M.to R.do Sacerdote Sig. Sig. P.ron Col.mo
il Sig. D. Luigi Gianolio
a S. Francesco di Torino
2
Pax Christi
Voleva scriverle giorni fa, ma ho dovuto aspettare fino adesso per mancanza di tempo. Il Sig. Padre mi ha detto, che le ha già scritto ch’io sto perfettamente, ed ho messo fuori in pochi giorni un par di gote che non hanno invidia a quelle ch’io teneva in Firenze; mi ha pure assicurato ch’ella ha ricevuto la mia del mese scorso. La nostra quiete e la contentezza cresce ogni giorno col crescere dell’ordine, e colla piena osservanza in cui siamo dell’antiche nostre regole e consuetudini. Veramente bisogna esserci per conoscere davvero la profondità e perfezione dell’Istituto di S. Ignazio, e quanto se ne può dire non potrebbe mai darne un’adeguata idea. Ella sa quanto lo stimava quand’era in Torino, e quanto bramava d’esserne a parte: ora però m’accorgo della differenza che passa tra il sentir dire e il provar per isperienza… Io dal porto di sicurezza, ove l’infinita Misericordia di Dio mi ha tratto, non cesso di pregare per questi…[11] la sventura e il pericolo dei quali non fa che penetrarmi, a confronto dello stato di felicità e di quiete, in cui mi trovo per divina bontà. Veramente quando mi fisso in questo pensiero, resto confuso, nè trovo altro modo di spiegare una vocazione sì sublime, se non ricorrendo all’infinita bontà di quel Dio, che sa creare dalle pietre dei figli d’Abramo. Mi ricordo i miei deliri passati, le idee di vanagloria, i sogni che mi faceva, non son più di 5 anni e mezzo, sul mio futuro stato nel mondo, sui piaceri, le commodità, i divertimenti, la bella figura che mi destinavo nel mondo, nelle conversazioni, nel millittare (sic), ed in mille altre simili sciocchezze; e non intendo, se non per mezzo d’un miracolo della grazia, come abbia talmente cangiato modo di pensare e come l’aspetto di questi oggetti tanto abbia variato nel mio capo. Mi ricordo nel triduo che feci… [12] dopo tre giorni di meditazioni, io mi trovava collo stessissimo modo di pensare, pieno delle stesse frascherie, degli stessi oggetti; alla sera ultima nel confessarmi mi svanì per così dire il sogno, e mi risolsi in un momento allo stato Ecclesiastico, e sentii fin d’allora germogliarmi in cuore i semi della vocazione in cui adesso mi trovo. Ne ringrazio di cuore Iddio, e La prego di ringraziarlo Ella pure, perché veramente ogni giorno il mio stato diviene più felice.
La prego di darmi la sua benedizione, che mi ottenga da Dio la santa perseveranza. Mi protesto di tutto cuore con filiale venerazione ed affetto.
Roma da S. Andrea a Monte Cavallo, 3 [gennaio] 1815.
Umil.mo Obb.mo Figlio in G. C.
Luigi Prospero Taparelli della Compagnia di Gesù.
DOC. XII
TESTIMONIUM civilis Auctoritatis de Servi Dei bonis moribus, anno 1815, 10 maii. — Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 9a.b
II seguente certificato di buona condotta rilasciato al Lanteri dall’Autorità civile, non sappiamo a quale occasione, è importante per i dati fisici che ufficialmente ci attesta riguardo al Servo di Dio, confermati e completati da un allegato del Governo napoleonico, di data anteriore non precisata, perché l’impiegato ha lasciato in bianco lo spazio destinato alla indicazione dell’anno. Entrambi gli originali sono in possesso dell’archivio della Postulazione.
Per ragione di chiarezza, riproduciamo in corsivo le parti scritte a mano, in tondo quelle stampate che costituiscono il modulo.
Certificato di buona condotta in esecuzione delle Regie Patenti delli 13 Luglio 1814.
N. 596
Noi, Vicario, e sovr’Intendente Generale di politica e pulizia (sic) della presente città, suoi borghi e territorio per S. S. R. M., sulla deposizione delli Signori sacerdote Giacomo Andreis del fu Sig. Nicolao nativo di Dronero, e Giuseppe Perrone del fu Sig. Michele nativo di Bricherasio, negoziante, ambi nella presente Città residenti, testimoni cogniti e dabbene, appiè del presente sottoscritti, certifichiamo sulle deposizioni di cui sovra che il Molto Illustre e Riverendo Sig. Teologo Pio Bruno Lanteri fu Sig. Pietro nativo di Cuneo, e residente in Torino, i di cui connotati trovansi qui contro descritti, è persona proba e di buoni costumi.
In fede del che li abbiamo spedito il presente valevole per due mesi. Rilasciato in Torino dall’Uffizio del Vicariato, li dieci maggio 1815.
Segnature: Del richiedente: T. Pio Bruno Lanteri. Dei testimoni: D. Andreis Giacomo, Giuseppe Perrone – Varrotti assistente vicariato, Chiocca, segretario. Vidimato li 10 maggio 1815 dal Capitano Comandante i Carabinieri Reali stazionati in Torino, Richeri di Montrichorj. Connotati: Età d’anni 56; Statura oncie 39; Capelli bianchi; Ciglia idem; Occhi biggi; Fronte alta; Naso grosso; Bocca ordinaria; Mento rotondo; Barba biggia; Viso ovale; Colorito naturale; Corporatura mediocre.
ALLEGATO:
Signalement du porteur: Taille de 1 mètre, 705 millimètres; Cheveux gris; Sourcils chàtains; Front grand; Yeux bruns; Nez épaté; Bouche moyenne; Menton fourchu; Visage ovale. Le 13 thermidor an… [rimasto in bianco]. Signature du Porteur: Pio Brunone Lanteri.
DOC. XIII
EXCERPTA EX EPISTOLA Aloisii Grianolio ad Servum Dei e qua magna eius existimatio erga eumdem Servum Dei elucet, Romae anno 1815, 29 decembris. — Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 487.
II sacerdote Luigi Gianolio (1791-1869), torinese, crebbe da chierico come membro dell’Accademia (cfr. infra, pag. 159) e da sacerdote quale aggregato alla Pia Unione di San Paolo (cfr. Doc. XXXVII) nel fervido ambiente spirituale creato in Torino dal Lanteri. II Gianolio entrò poi nel 1815 nella Compagnia di Gesù; dal noviziato romano di Sant’Andrea scrive al Servo di Dio, manifestandogli tutta la sua gratitudine per il bene ricevuto, benché fosse stato diretto dal Teologo Guala, come consta chiaramente da una lettera che indirizzò al Lanteri il 27 agosto 1816, in cui fra altro dice: «Mille lodi a V. S. molto Illustre e molto Reverenda, da cui il mio caro Sig. Teologo Guala succhiò latte sì dolce in tanta copia, onde allevare anche me dalla più tenera mia infanzia» (Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 89).
M.to Ill.re M.to Rev.do Sig. Pr.one Col.mo,
II Signore mi ha consolato, e ne ho anche tutta l’obbligazione a V. S. molto Illustre e molto Reverenda qui me progenuit in Filio suo. Ora sono a Roma, e sono accettato tra i novizi della Compagnia di Gesù da quei venerabili vecchi, che paiono altrettanti Teologi Lanteri, pii, affabili, devoti, e santi, che spirano devozione il solo mirarli. E si potrebbe partire fino da di là del mondo per venirli a vedere. I novizi poi tutti composti, allegri, paiono un coro di santini, nè si può averne idea alcuna, e vorrei bene che li seminaristi e i chierici di Torino li potessero vedere e copiarli, perché la sola presenza del loro diportamento sarebbe un’edificazione per tutti… La prego di presentare e accettare i miei più profondi rispetti per sé e per tutti quei della pia Unione, di cui presto Don Reynaudi ne scriverà qualche cosa… Scusi se non ho eseguito come si sarebbe aspettato le pregiatissime sue commissioni, ma ne dia la tara, essendo io un mostro di grosseria, che mi raccomando alle sue orazioni e colla più alta stima e profonda venerazione umilmente Le bacio le mani.
Di V. S. M.to Ill.re e M.to Rev.da
Umil.mo e Devot.mo Servitore
Don Luigi Gianolio.
Roma, 29 dicembre 1815.
Al M.to Ill.re M.to Rev.do Sig.r Sig.r Pr.one Col.mo
II Sig.r Teol.go Pio Brunone Lanteri – Torino.
DOC. XIV
EPISTOLA Servi Dei ad Episcopum Novae Aureliae in Luisiana provincia (U. S. A.) circa missionarios ad suam dioecesim mittendos et circa Societates Biblicas, Aug. Taurinorum anno 1816 17 septembris. — Ex originali (minuta) in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 33.
La lettera, che qui pubblichiamo dalla minuta autografa del Servo di Dio fu indirizzata al Vescovo della Luisiana nell’America, Mons. Ludovico Guglielmo Dubourg (1815-1826). Questa lettera è preziosa perché ci mostra due lati dell’operosità del Lanteri: il suo interessamento cioè per le Missioni nella Luisiana e le sue iniziative contro le versioni dei Libri Sacri della protestante Società Biblica di Londra. Sul pericolo che costituiva questa Società egli ritorna poi in uno studio intitolato: Idea della Società Biblica ed osservazioni sulla medesima, conservato nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. II, 158-161, e indirizzato, a quanto sembra, al medesimo Vescovo della Luisiana. A Mons. Dubourg dovettero pure pervenire buona parte dei diecimila volumi inviati dall’Amicizia Cattolica (cfr. Doc. XLIX; Doc. LII) in America, ove era molto sentita la mancanza dei buoni libri, specie nella Luisiana, come ne fanno fede le richieste del Servo di Dio Felice De Andreis (cfr. R. Ricciardelli, Vita del Servo di Dio Felice De Andreis, fondatore e primo superiore della Congregazione della Missione negli Stati Uniti d’America, Roma 1923, pp. 377-378).
Torino, li 17 settembre 1816.
Al sommo mi spiace di non poter inviare di questo autunno i quattro sacerdoti da V. S. Ill.ma Rev.ma scelti per la Missione della sua Diocesi, e questo non per alcuna difficoltà fatta dall’Ill.mo e Rev.mo Sig.r Vicario nostro Capitolare, poiché in seguito alla sua lettera rimessagli si dimostrò pronto di accordare gli «exeat» richiesti, neppure per difetto di buona volontà in tutti i soggetti, ma per circostanze impensate così disposte dalla Divina Provvidenza.
Poiché primieramente il Sig. D. Valesano non vedendo giungere alcuna risposta da V. S. Ill.ma e Rev.ma in quel frattempo s’impegnò con un parroco, onde presentemente non è più in libertà, nè so se lo sarà per la ventura primavera, o se ne avrà ancora la stessa buona volontà. 2° II Sig. Avvocato Destefanis è stato per lungo tempo travagliato da febbre terzana, appena adesso comincia ad esserne libero, egli è ancora molto debole e temerei che ne venisse nuovamente assalito in un così lungo viaggio, onde sarebbe a mio giudizio vera imprudenza il lasciarlo partire in tale stato, sebbene egli si faccia coraggio sia disposto a viaggiare anche ora e da solo. 3° II Sig. D. Paschetti vedendo il suo amico indivisibile presentemente inabilitato, credette spediente d’aspettare ancor lui questa primavera. 4° II Sig. D. Arnaldi non mancò di scrivere subito al suo Vescovo di Nizza per avere 1’«Exeat» richiesto ma trovandosi il Vescovo in visita della sua Diocesi, non potè finora averne risposta alcuna, egli si tiene per altro sicuro d’ottenerla, ed è pronto a partire anche solo, e in qualunque tempo, disposto a procacciarsi frattanto in Bordeaux la sua qualunque sussistenza o coll’operariato, o con dar lezioni, ecc., finché giunto sia il tempo di partire per l’America. Arnaldi e Destefanis sono due soggetti a mio parere eccellenti, dei quali io sono particolarmente contento.
Conviene dunque per necessità rimettere questa partenza dei tre o quattro soggetti sovrannominati alla ventura primavera, a tenore di quanto si compiacque significarmi V. S. Ill.ma e Rev.ma. Rimane ora soltanto a sapere il tempo preciso della loro partenza se debba cioè prefìggersi in principio di marzo, per imbarcarsi, m’immagino, in principio di aprile per l’America, o quando meglio Ella giudicherà ed avrà la bontà di indicarmi, affinchè possano per tempo disporre le loro cose, e procacciarsi i necessari passaporti, essendo essi ansiosissimi di sapere presto il loro destino; nè mancheremo di far visare i suddetti passaporti dall’Ambasciatore di Francia, come opportunamente ci ha suggerito il Pregiat.mo Sig. D. Luigi Bighi. Sarebbe pure opportuno volesse significarmi per mia regola la somma del denaro poco a presso necessaria per caduno pel viaggio, onde possa procurar loro la cambiale da V. S. Ill.ma e Rev.ma suggeritami, per cui spero trovar denaro in imprestito, in supplemento del piccolo fondo rimasto perciò presso di S. E. il Sig. Marchese d’Azeglio, e delle 300 lire milanesi indicate dal Rev. Sig. D. Bighi, che finora non ho ancora ricevuto dal P. Pianca Barnabita milanese.
Il Sig. D. Loggero, sensibilissimo alla memoria e tratti di bontà che V. S. Ill.ma e Rev.ma volle dimostrarci, mi lascia di presentarle i suoi più umili ossequi, e testificarle i suoi più vivi sentimenti di gratitudine, e del continuo rincrescimento di non poterla seguire: egli è accettato pel noviziato di Genova che presto si aprirà.
Se la mia età e i miei incomodi non mi fossero d’ostacolo, m’esibirei io ben volentieri, e mi crederei felice di poter rimpiazzare i soggetti mancanti in questa spedizione; ma non essendo capace di tanto, mi contenterò di esibirmi pronto sempre che vorrà onorarmi de’ suoi pregiatissimi comandi. E colla massima considerazione e col più profondo rispetto le bacio umilmente le mani, e mi protesto.[13]
Finora non c’è niente di nuovo riguardo all’edizione del Nuovo Testamento progettata dal Sig. Conte Grimaldi, a cagione di vari incidenti occorsi, però non vi si è ancora rinunciato affatto. Abbiamo letto a questo proposito: Notice sur la Société de la Bible, Genève 1815, la di cui entrata nel 1814 dice che oltrepassava due milioni di franchi, che il numero degli associati era più di 50 mila, e il numero degli esemplari in circolazione ascendeva a 3 milioni e più.
Quello poi che più dispiacque si è quanto leggesi poi alla pag. 22: «persuadés comme nous l’étions que leur lecture est interdite au peuple chez les Catholiques, nous voyons non sans regret que les Chrétiens, qui en si grand nombre professent ce culte, ne tireraient aucun avantage des efforts bienveillants de la Société. Heureusement plusieurs lettres de la correspondance nous ont détrompés à cet égard». Ma ci ha consolato il vedere frattanto che non sanno citare che una sola lettera di un prete cattolico, di massime più protestanti di quelle del medesimo ministro protestante a cui scrive, siccome appar chiaro dalla stessa lettera. Nè più si fa menzione in tutto l’opuscolo di alcun’altra persona cattolica se non quando soggiunge, alla pag. 38: «la Louisiane se distingue dans ce zèle si général. L’Evéque, et les principaux membres du Clergé Catholique y ont déclaré, non seulement qu’ils ne s’opposaient pas à la circulation des Saintes Ecritures, mais qu’ils étaient disposés à concourir aux vues de la Société». Siamo persuasissimi essere questa un’impostura solenne solita de’ protestanti, fatta o alla rispettabilissima persona di V. S. Ill.ma e Rev.ma, o alla memoria del suo Antecessore, la quale vorrei bene che si potesse far ritrattare.
È vero che risulterà alla fin fine da una tale società una innondazione e confusione di Bibbie piene di alterazioni, falsità e di contraddizioni che si attireranno mentamente il disprezzo dovuto e si aumenteranno ad un tempo gli argomenti di autenticità e genuinità della nostra Volgata, ed apparirà sempre più chiara la necessità di un Tribunale Supremo, come è quello della Chiesa, sola legittima custode e interprete infallibile della Scrittura, senza di cui non si potrà mai avere una Bibbia fedele e autentica; si vedrà che solo dalla Chiesa e non dagli eretici deve riceversi la Sacra Scrittura e l’intelligenza come dice Bossuet; si manifesterà la saviezza dei regolamenti fatti d’ordine del Concilio di Trento, ove si proibiscono le versioni d’autori eterodossi, e le versioni in volgare anche d’autori cattolici senza annotazioni, e solo si permettono le versioni con annotazioni ed approvate dalla S. Sede. Servirà in sostanza quest’impresa di trionfo per la Chiesa; ma non lascierà di recare però grandissimo danno ai fedeli.
P. S. – II Sig. D. Luigi Arnaldi ha ricevuto di quest’oggi il suo «Exeat» dal Vescovo di Nizza. Si adopera presentemente a procacciarsi il passaporto visato dall’Ambasciatore di Francia, onde partirà li 21 del corrente, al più tardi li 24, per giungere a Bordeaux li 30 corrente, al più tardi li 3 del venturo mese.
II Sig. Marchese d’Azeglio mi dice che gli somministrerà il piccolo fondo che ha, il quale si farà ascendere a 300 franchi, somma creduta necessaria per le spese del viaggio, e così non occorre più munirsi d’alcuna cambiale. Intanto quando riceverò da Milano le 300 lire milanesi dal P. Pianca Barnabita, le ritirerò per conto d’un altro soggetto per questa primavera, onde non rimarrà più che a provvedere per uno o due soggetti al più, se anche il Sig. D. Valesano sarà disposto a partire in compagnia del Sig. Avv. Destefanis, e del Sig. D. Paschetti.
A Monsignor Dubourg
Vescovo della Luigiana
Au Séminaire de St-Sulpice
Rue Pot-de-Fer. Paris.
DOC. XV
DOCUMENTA pertinentia ad facultatem Servo Dei concessam, in oratorio privato Eucharistiam retinendi, anno 1818.
Nel 1818 il Servo di Dio chiese al Santo Padre Pio VII la conferma in scritto del privilegio, già ottenuto a voce, di conservare il Santissimo Sacramento nel suo oratorio privato (n. 1). La petizione fu accolta da Pio VII con una concessione a vita, ma vivae vocis oraculo, perché il Papa non voleva aprire la porta, con un formale rescritto, a concessioni del genere. Tanto si rileva dalla lettera del canonico Barrera (n. 2), amico del Lanteri, costretto a vivere in Firenze, il quale ricevè il documento comprovante la concessione della Grazia per mezzo della Marchesa d’Azeglio e lo trasmise al Servo di Dio. Da notare nella Supplica, l’accenno espresso, da parte del Lanteri, della sua relegazione nella casa di campagna, perché accusato di corrispondenza con Sua Santità (cfr. Doc. X).
1
Supplex libellus Servi Dei ad Papam Pium VII missus, anno 1818. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 155.
Beatissimo Padre,
II Teologo Pio Bruno Lanteri nativo di Cuneo, domiciliato in Torino, il quale durante il Governo Francese soffrì tre anni di esilio per sospetto di corrispondenza colla Santità Vostra in Savona; ottenne dall’Arcivescovo di Torino la facoltà di ritenere il SS.mo Sagramento nella privata Cappella della sua casa di campagna situata nelle vicinanze di Bardassano, diocesi suddetta, per il tempo, che ivi trovavasi ad abitare, in vista delli abituali incommodi di salute, che fìn d’allora soffriva, della lontananza dalla Parrocchia, e delle strade fangose per il medesimo impraticabili. Subito che la Santità Vostra fu in libertà, si diresse per mezzo del Marchese di Azeglio all’Em.mo Pacca, onde ottenere la conferma della suddetta Grazia, ed ebbe per risposta in scritto, che la grazia era fatta, ma, che il Rescritto si sarebbe mandato a commodo, non potendosi per allora, attesi li viaggi della Santità Vostra. Se ne rinnovarono le istanze prima a Genova, poi in Roma, dove fu anche rinnovata la memoria, ma il Rescritto non si è mai ricevuto, ed intanto il supplicante ha continuato e continua a ritenere il SS.mo Sagramento nella suddetta privata cappella, affidato all’assertiva della Grazia verbalmente ottenuta. Desiderando per altro di perfettamente tranquillizzare la sua coscienza, direttamente ora ricorre alla Santità Vostra, onde ottenere il bramato Rescritto. E della grazia ecc.
Alla Santità di Nostro Signore
Pro gr[ratia] in voce ad vitam[14]
C. Orengo[15]
2
Epistola canonici Theodori Barrera ad Servum Dei, anno 1818, 28 septembris. — Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 694.
Caro e rispettabile amico,
Profitto dell’occasione di partenza d’un militare Nizzardo mio amico che ritorna costà al suo Reggimento per trasmetterle, con ricapito alla Sig.a Contessa di Valperga, la Grazia di tenere il SS.mo, che ella domandò a Roma per mezzo della Marchesa di Zeij [ =d’Azeglio]. Da essa la ricevo, giacché il Marchese suo Consorte era per viaggio alla volta di Roma, dove lo sento già da alcuni giorni arrivato.
Ella sarà stupito di vedere la sua Supplica senza attergo di Grazia: ma osservi a tergo in fondo un picciolissimo carattere di pugno dell’Emo Sig. Card. Galeffi, Segretario dei Memoriali, ivi leggerà «pro gratia in voce ad vitam». Perché, dirà Lei, non si è fatto il Rescritto nelle solite forme? Perché il S. Padre non ha voluto che si facesse un Rescritto formale per non introdurre un esempio che possa servire ad altri a dimandare la stessa grazia: tanto mi scrive il Canonico Orengo, che vede nominato a’ pie della Supplica al di fuori. Nel ricevere e nel dar corso a questo foglio per lei interessante provo un grandissimo piacere, avendo così una ben grata occasione di ricordarmi all’ottimo mio Teologo Lanteri, che mi fu, e sarà sempre assai caro.
Svelto da una Patria che mi era sì cara, e condotto dagli avvenimenti a rimanere in questa Città così piacente pei forestieri, nulla quasi più so degli amici antichi, e delle cose ecclesiastiche di costà: solo mi è noto che la nostra Sede Arcivescovile rimane ancor vuota, e Dio sa con quanto pregiudizio spirituale! Oh quanto sarebbe stato bene di avere colà Mgr. Cardinale Morozzo! Forse era quella una circostanza impellente al mio ritorno in Patria. Ma Iddio non volle, ed egli fa un gran bene nella Diocesi di Novara. Pare però oramai deciso che codesta Sede sarà presto coperta, e, sento, da Mgr. Leardi attual Nunzio di Vienna, personaggio prudente, dolce, e che sa bene il conto suo, onde spero, che la scelta sarà felice per codesta Diocesi.
Come stiamo a salute? Sono ormai tre anni che io non ho più la sorte di vedere il mio Teologo Lanteri, e mi sovvengo di averlo lasciato in uno stato assai cagionoso; eppure son certo, che Ella farà più delle sue forze per giovare alla Chiesa; me felice se potessi contare la centesima parte dei meriti e dei servigi che Ella ha reso e rende nella vigna del Signore!
Che fa il buon Teologo Guala, di cui da gran tempo non so più nulla per colpa massimamente del Marchese Zeij [=d’Azeglio], al quale per istrappar una lettera ci vorrebbe gli argani inventati dallo Zabaglia per elevare la piramide Sistina?
Vedendolo gli faccia tanti miei saluti, e mi raccomandi alle di lui preghiere, come io mi raccomando alle sue e delle sue anime devote.
Come vanno le cose della nostra Diocesi? La mia Chiesa naturale e primitiva mi è sempre cara e ciò che la riguarda vivamente m’interessa.
Io vivo più spesso incomodato e in varie guise; forse farei qualche poco di bene, ma è delitto per me inespiabile l’essere forestiero, l’essere stato raccomandato a questo Sovrano dalla bocca del S. P., e di essere stato vittima dell’onore della Chiesa Fiorentina, e perciò sono tenuto lungi e dagli onori e dall’opera; mi tranquillizza alquanto il pensare che delle cariche non ottenute niun conto dovrò rendere a Dio; almeno fossi capace di giovare a questa chiesa nel circolo ristretto a cui mi hanno ridotto le idee degli uomini, e le circostanze dei tempi! Se avessi potuto avere costà qualche collocamento che corrispondesse a ciò che sono attualmente fuor di patria, forse avrei immaginato di fare qualche maggior bene in essa; ma quando un solo o pochi individui accumulano sulla loro testa molti onorevoli impieghi, di cui uno avrebbe a me bastato, convien dire che Iddio dispone altrimenti di me.
Comunque sia, ella si ricordi di un suo antico amico, e preghi perché io abbia lo spirito ecclesiastico fedel compagno nelle mie funzioni, dovunque io mi trovi, e mi creda sempre quale col più vivo affetto e colla più distinta stima mi pregio di rassegnarmi
Firenze, li 28 settembre 1818.
Suo Dev.mo Affez.mo Servitore Amico
Canonico Teodoro Barrera.
DOC. XVI
FACULTAS missam in honorem B. Alphonsi Mariae de Ligorio celebrandi a S. Rituum Congregatione Servo Dei concessa, anno 1824, 23 nov. — Ex originalibus in archivis S. Rituum Congregationis: fondo pratiche ordinarie, an. 1824 (n. 1), et Postulationis O. M. V., S. I, 156 (n. 2), asservatis.
Il Servo di Dio, oltre l’indulto riferito al Doc. precedente, ottenne a più riprese dalla Santa Sede varie facoltà e privilegi, dei quali si trovano i relativi documenti nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 142-154 e che giova qui elencare:
1. Licenza «ad vitam» di leggere i libri proibiti, 20 dicembre 1784.
2. Facoltà di poter fare erigere la «Via Crucis» nella sua abitazione, concessa dal Ministro Generale dei Minori, 12 ottobre 1789.
3. Indulto dell’altare privilegiato per il suo oratorio privato, 29 maggio 1797.
4. Indulto ai commensali di poter soddisfare al precetto della messa nelle domeniche e nei giorni festivi «non tamen solemnioribus» nel suo oratorio privato di campagna, 29 maggio 1797.
5. Facoltà «ad vitam» di poter impartire la benedizione apostolica «in articulo mortis», 10 aprile 1802.
6. Facoltà di poter fare celebrare la messa, in caso di necessità, nel suo oratorio privato da un altro sacerdote, 12 aprile 1802.
7. Concessione dell’indulgenza plenaria ai fedeli che faranno otto giorni di santi Esercizi sotto la sua direzione, 13 settembre 1802.
8. Concessione dell’indulgenza plenaria «in articulo mortis» per sè e per i suoi, 24 novembre 1807.
9. Facoltà di benedire mille corone, crocifissi e medaglie con l’applicazione delle indulgenze concesse dal Papa, 24 novembre 1807.
10. Facoltà di assolvere i Massoni, dal 1808 in poi, spesse volte rinnovata.
11. Facoltà di benedire 500 corone, crocifissi e medaglie con l’approvazione delle indulgenze, 8 gennaio 1808.
12. Indulto della messa «de Beata» e dei defunti a causa della debolezza della sua vista, 26 marzo 1808.
13. Facoltà di poter commutare la recita del Divino Ufficio con altre preghiere a causa della debolezza della sua vista, 26 aprile 1808.
14. Privilegio di conservare la Santissima Eucaristia nell’oratorio privato, rinnovato nel 1818 (cfr. Doc. XV).
Pubblichiamo qui i documenti relativi alla concessione di celebrare la Messa votiva del B. Alfonso Maria de’ Liguori, richiamando l’attenzione su questa particolare devozione del Servo di Dio verso il grande Dottore della Morale Cattolica, cosa a quel tempo, non ordinaria, e che si connette con tutto il lavoro che il Lanteri fece per la divulgazione della teologia di S. Alfonso, contro le tendenze rigoristiche del tempo a sfondo giansenistico (cfr. int. al Doc. LXIX). Il Servo di Dio aveva chiesto la facoltà di poter celebrare tale messa nei giorni in cui son permesse le messe votive (n. 1); la S. Congregazione dei Riti gliela concesse invece solo per il 2 agosto (n. 2).
Un anno dopo questa concessione, la regina di Sardegna, Maria Cristina di Borbone, ispirata dalla scuola Liguorina esistente allora in Torino e che contava fra i suoi più convinti e zelanti maestri il Lanteri e il Teologo Guala, chiese al Santo Padre Leone XII l’ufficio e la messa del B. Alfonso Maria de’ Liguori per tutti i suoi Stati. II Santo Padre annuì solo in parte e concesse la Messa del Beato da celebrarsi il 2 agosto nella sola chiesa principale di ogni città e paese, «non omissa tamen missa conventuali de die», dove ne esisteva l’obbligo, con aggiunto l’onere di recitare in privato il vespro del giorno, qualora si fosse cantato quello del Beato (cfr. Supplica della regina e relativa concessione, conservati nell’archivio della S. Congregazione dei Riti, fondo pratiche ordinarie, an. 1825).
Sulle questioni sorte in Roma a proposito di questa concessione e della propaganda che si faceva in Torino in favore della dottrina e delle opere di sant’Alfonso, si vedano i documenti pubblicati da Pietro Savio, Devozione di Mons. Adeodato Turchi alla Santa Sede. Testo e DCLXXVII documenti sul giansenismo italiano ed estero, Roma 1938, pp. 627 ss.
1
Beatissimo Padre,
II Sacerdote Pio Bruno Lanteri, dottore in S. Teologia della città e diocesi di Torino, umilmente implora dalla S. V. la facoltà di poter celebrare la Messa Votiva del B. Alfonso de Ligorio siccome si trova nel messale napoletano, nei giorni ne’ quali sono dalla S. C. permesse le messe votive; e ciò per soddisfare alla sua particolare divozione verso di quel glorioso vescovo. Che ecc.
Alla Santità di N. S.
Leone papa XII.
2
Taurines
SS.mus D.nus Noster Leo XII pont. Max. humillimis annuens precibus Sacerdotis Pii Bruni Lanteri Civitatis Taurinen, ad mei infrascpti sacræ Rituum Cong.nis Secretarii relationem, attentis expositis, et ex speciali gratia in exemplum non afferenda, indulsit, ut quotannis in posterum die secunda Augusti, dummodo non fuerit impedita, officio potiors ritus, celebrare valeat missam propriam approbatam pro Congregatione SS.mi Redemptoris in honorem B. Alphonsi Mariæ de Lugorio, servatis tamen Rubricis. Contrariis non obstantibus quibuscumque.
Die 23 novembris 1824
Iulius M. Cardinalis Episcopus Ostien. De Somalia,
S. Ecclesiæ Vice-Cancellarius et S. R. C. Præfectus
(l. s.) I. A. Sala, S. R. C. Secretarius Coadiutor
DOC. XVII
EXCERPTA EX EPISTOLIS Servi Dei P. Ioannis Roothaan S. I. ad suum Praepositum Generalem P. Aloisium Fortis, circa Servum Dei Pium Brunonem Lanteri, Augustae Taurinorum annis 1824-1825. — Ex opere: Epistolae Ioannis Phil. Roothaan Societatis Iesu Praepositi Generalis XXI, Romae [1935], vol. I, pp. 252-279.
Dopo il primo scioglimento della sua Congregazione, avvenuto nel giugno del 1820 (cfr. Doc. LXI), al Servo di Dio parve un giorno sentirsi chiamato a entrare nella Compagnia di Gesù. Si occupò della domanda e della sua accettazione il Servo di Dio Giovanni Filippo Roothaan, di cui è in corso la causa di Beatificazione, allora superiore dei PP. Gesuiti in Torino. Le lettere del Roothaan, riferentisi a questo affare, sono conservate nell’archivio della Compagnia di Gesù e furono pubblicate per la prima volta dal P. Alessandro Monti nella sua opera: La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri 1915, vol. III, pp. 273-277, e ultimamente nel primo volume dell’epistolario del P. Roothaan. Di queste lettere, nelle quali si tratta anche di altre cose, diamo qui soltanto gli estratti che interessano il Lanteri, unici documenti da cui è noto tale episodio, e da cui risulta l’alta stima nutrita dal P. Roothaan verso il Servo di Dio. Nella lettera del 14 maggio 1825 (n. 5) ci vien pure riferito il desiderio del Teologo Guala, intimo del Lanteri, di entrare nella Compagnia di Gesù; ma ne l’uno ne l’altro potè effettuare tale pio desiderio.
1
Torino, li 20 ottobre 1824
Molto Reverendo in C.to Padre,
1 – II buon Teologo Lanteri giubila di gaudio per la risposta favorevole e graziosissima datagli da V. P. M. R., e non cessa di ringraziare di tanto favore prima il Signore e poi V. P., per cui mezzo gli vengono tante beneficenze del Signore. Ora, per mettere in opera l’affare, egli quanto a sé non bramerebbe altro che di portarsi quanto prima al Noviziato, o in qualunque altra Casa, che V. P. si degnasse di assegnargli; ma come il dar sesto a tutte le sue cose e relazioni, che sono molte e moltissime, e tutte unicamente rivolte a fare il bene alla maggior gloria del Signore, come ciò, dico, domanda tempo, e così verrebbegli la grazia troppo differita, io sono per proporre a V. P. M. R., se il Teologo non possa essere annoverato già fra i nostri, ancorché stia ancora in casa sua, facendo ivi certi esercizi e trattando spesso o con me, o con chi si compiacerà V. P. di assegnargli. Già in primo luogo egli ha sempre menato una vita da Gesuita; Poi conosce già molto delle nostre cose, occupato come fu sempre, finché gli reggesse la salute, in dare gli Esercizi spirituali, ne’ quali è versatissimo, e l’ha imparato dal nostro P. Diessbach, cuius memoria in benedictione; ha menato veramente una vita apostolica ed ha formati operai molti, bravissimi ed inconfusibiles, e per se stesso ha fatto otto giorni d’esercizi poche settimane sono. Egli dunque: 1° poco a poco incomincierebbe a sbrigarsi delle varie faccende, che potrebbero impicciarlo dall’esser libero affatto; 2° farebbe in casa i nostri ordinari esercizi di Pietà (e credo non avrà gran cosa da aggiungere a quello che faceva già prima); 3° si metterebbe a leggere le cose del nostro Istituto, dando principio, a mio parere, dall’Esame del N. S. P. e dalle Regole, e conferirebbe con quello dei nostri, che fosse di gradimento di V. P., finalmente potrebbe anche di tanto in tanto andar passare alcuni giorni a Chieri. Questo sarebbe il progetto che io proporrei per ora a V. P. Si dovrà, manco male aver gran riguardo alla sua salute, che è fiacca molto; ma in questi ultimi giorni ha guadagnato molto in salute ed ha potuto fare, alla gloria del Signore, una cosa, che, avuto riguardo al suo stato ed alla scarsezza di tempo in cui l’ha compita, può meritamente parere un miracolo. Osservo ancora che la sua presenza qui è molto utile alla gloria del Signore e per noi di molta importanza. Ma temo d’esser già stato troppo lungo in questo affare, conoscendo molto bene V. P. le cose di questo Teologo, ed anzi forse meglio di me.[16]
2
Torino, li 17 novembre 1824.
M.to Rev.do in Cristo Padre,
3 – Riguardo al Teol. Lanteri, due sono le difficoltà che egli trova per andare a fare la prima probazione in proprio luogo. La prima si è la stagione già rigida in queste parti, ma a questa si troverebbe forse anche a Chieri qualche riparo. La seconda poi si è che il suo andare a Chieri in questa stagione ecciterebbe subito i sospetti e le ciarle, che non converrebbero così presto. Egli pertanto prega umilmente V. P. M. R., se è possibile, di incominciare il biennio qui in casa sua, differendo la sua gita a Chieri sino alla primavera. Del resto egli è dispostissimo a tutto e ringrazia sommamente V. P. M. R. del favore che Ella con tanta carità si dispone a fargli. S. Francesco di Paola si troverebbe molto fortunato dell’acquisto d’una tal persona. Sulla domanda del Teologo aspettiamo la risposta di V. P. per eseguire i suoi comandi.
3
Torino, li 7 dicembre 1824.
Molto Rev.do in Cristo Padre,
1 – Col caro nostro Teologo temo, dall’ultima pregiatissima di V. P. M. R., che non vadano le cose in lungo e non vengano differite a non so quando. Esso è infermuccio; in S. Francesco di Paola potrebbe sì esser d’aiuto co’ suoi consigli e col sentire confessioni; altro non so che farebbe. Già da parecchi anni non può più predicare o dare degli esercizi; poi ha moltissime relazioni e faccende da aggiustare, e finalmente i colori da trovarsi pel suo passaggio! Non gli ho ancora comunicata l’ultima risposta di V. P. Vedrò di parlargli prima di chiudere questa lettera, cominciata per tempo, per non mancare poi di tempo. 5 – Ho veduto il Teol. Lanteri. Il pover’uomo non vede troppo come poter eseguire così presto ciò che V. P. M. R. propone. Il dover dar sesto ad un’infinità di cose, oltre la stagione rigida, non gli permetterà dunque di goder così presto del favore offertogli. Siccome V. P. insiste sulla necessità di un anno intero di Noviziato, spererebbe ben egli di poter far quell’anno intero dopo un anno. Non sarebbe egli possibile che, incominciando fin d’ora il biennio, quell’anno intero fosse il secondo del biennio, invece del primo ? Non si differirebbe tanto l’adempimento delle sue ardenti brame.[17]
4
Torino f. de’ BB. MM. Giapponesi 1825.
Molto Reverendo in Cristo Padre,
4 – Il caro Teol. Lanteri ringrazia sommamente V. P. M. R. Si tratterà adesso di combinare il modo di questi primi principii. Quando avremo combinato al meglio, non mancherò di dar conto a V. P. di tutto.
5
Torino, 14 maggio 1825.
Molto Reverendo in Cristo Padre,
2 Il nostro Teol. Lanteri è andato a Chieri per farvi otto giorni di esercizi spirituali. Così si adempie il desiderio di V. P. M. R., che egli desideroso di essere con noi, incominci a Chieri e gli serva una tal gita come di prima probazione. Riguardo a lui e alla sua vocazione il Teol. Guala mosse un dubbio, se, considerate le circostanze, sia di maggior gloria di Dio, o che il Teol. Lanteri resti come è, o che faccia quel che brama tanto ardentemente? 1° La sua salute è cagionevole assai ed ha bisogno di riguardi particolari. Benché non sia la sua età che di 65 anni, e peraltro spossato di forze, e spesso in tal grado da non poter far nulla. 2° La sua presenza qui è di gran vantaggio, per la estesa cognizione che ha degli errori correnti e dei raggiri del partito, che ha fatto qui come altrove tanto male e non cessa di far maneggi, per la cognizione anche dei libri buoni e delle ragioni da opporsi ai falsi ragionamenti. 3° Chi sa se il cambiamento di vita non sia per accelerare il termine della sua vita, preziosa certo, anzi inestimabile? Dall’altra parte: 1° Chi sa se appunto questo cambiamento di vita non sia per essere utile anche alla sua salute? Adesso a Chieri sento che sta bene, eppure era molto debole il giorno prima di partire da Torino. 2° Ha bisogno di riguardi particolari: ma questi si possono anche usare nella Compagnia, ne ad un tal uomo si addossano degli uffizi incompatibili con tale salute. 3° Sarebbero forse le sue cognizioni più utili ancora nella Compagnia, per es. a Roma, dove l’aria forse gli sarebbe propizia, come suole a’ vecchi. Il Teol. Lanteri, vedo, si porterebbe ben volentieri a Roma. Io qui a S. Francesco di Paola non credo che possa star bene, essendo il nostro locale poco felice, per non dire infelicissimo, massime nell’inverno. Desidereremmo di sapere cosa ne pensi V. P. M. R.da. – Anche il Teologo Guala è nello stesso desiderio per sé, cioè di darsi alla Compagnia; ma io ho creduto di dovergli dire che, per adesso, fa più ad m. D. g. dove è; almeno tale essere il mio sentimento. Ma la mia decisione non è poi irrefragabile. (Il T. Guala, che ho veduto in quest’ora, sentendo da me quel che aveva scritto, ne ha avuto piacere per la sua tranquillità).
6
Torino, 8 giugno 1825.
Molto Reverendo in Cristo Padre,
2 Sul Teologo Lanteri. Ma qui la cosa ha cangiato aspetto. Considerando egli a Chieri negli esercizi spirituali, in qual modo, nelle sue circostanze di salute, potrebbe più servire alla gloria di Dio, giacché nella Compagnia sarebbe piuttosto, come pare a lui, e forse sarà vero, d’aggravio; gli è venuto in mente di formare una Casa di Oblati, i quali si impiegherebbero a far missioni e a dare gli esercizi spirituali alla gesuitica. Questa idea la prosegue adesso ed ha speranza di riuscirvi. Sarebbe certo un gran bene, e supposta la riuscita, della quale io dubito, ma supposta la riuscita, lo crederei anch’io più gran bene ad maiorem Dei gloriam, che il suo entrare in tale età e con tal salute nella Compagnia. Veda V. P. e si degni di dire su di ciò il suo sentimento, da comunicarsi al Teologo, o solo per mia regola.
DOC. XVIII
EPISTOLA Servi Dei ad Sac. I. Loggero qua refert de colloquio habito cum Sac. F. Lamennais et de variis rebus ad Congregationem O. M. V. pertinentibus, Pinerolii anno 1828, 20 iunii. — Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 76.
La presente lettera, di cui è conservato l’originale autografo del Lanteri, è importante per varie notizie, particolarmente per quella della visita del Lamennais al Servo di Dio in Pinerolo e delle sempre cordiali relazioni col Teologo Guala. Da una lettera indirizzata da Torino il 28 settembre 1828 al Lamennais da un tale che si firmava Notus (certamente sacerdote), sappiamo che il Lamennais trattò, mentre si trovava in Torino, della scottante questione, della Teologia Morale. È evidente che i due corrispondenti sono decisi avversari del rigorismo (cfr. P. Dudon, Amis Italiens de Lamennais, in Gregorianum, XVIII, 1937, pp. 104-106).
Arcicar.mo in G. C.
Ieri mattina abbiamo avuto la visita del Sig. Abate Lamennais; il Rev.mo Sig. Can. Vicario Gen.le volle venir seco, gli fu compagno indiviso, e stettero qui più di due ore. Doveva partir di nuovo ieri dopo pranzo per Torino, ove disse che si sarebbe ancor trattenuto per due settimane, né sarebbe più ripassato qui.
P. Reynaudi ha il progetto di prender due vetture e condur a Carignano i Novizi per pagar loro la festa di S. Giambattista, io gli ho detto che approvava piuttosto questo che condurli in case particolari, come era quella della Signora Marchesa ecc. Non so se effettuerà questa partita, quando ciò fosse, questo sarebbe nell’entrante settimana, perché domenica conta d’andare dalla suddetta Marchesa. Temo oggi d’averlo offeso, perché accidentalmente il Sig. Curato di S. Maurizio mi disse che domenica scorsa aveva fatto nella sua parrocchia il discorso di S. Antonio, ed io l’ho fortemente disapprovato perché era cosa apertamente contro le nostre Regole. Aveva il suddetto D. Reynaudi un po’ di voglia di invitare il Canonico Triulzi per dar gli esercizi agli Ecclesiastici, non sarebbe bene che l’interpellaste voi se sarebbe a ciò disposto, oppure se il T. Guala avesse tanto coraggio?
Il Sig. D. Golzio trovò sua madre sacramentata, ma scrisse nello stesso tempo che la credeva fuor di pericolo. A giorni avremo qui il suo nipote Teologo, che brama di far con noi un triduo o i S. Esercizi.
Vedete un po’ dal Sig. Marietti se ci rimettesse in tempo della prima Associazione, in cui il 1° Volume verrebbe a costare solo L. 6, perché ne prenderessimo una o due dozzine; ma se convenisse pagarlo L. 7,50 allora ne prendereste soltanto circa 3 o 4 copie, voglio parlare del Rodriguez che stampa.
Tanti cordiali saluti al Car.mo Daverio, T. Zorgniotti, dite al T[eologo] G[uala] che l’abbraccio, e gli manderò presto la sua scatola inviatami. E caramente abbracciandovi vi sono
Pinerolo, li 20 giugno 1828.
P. S. – Dite a M. Gonella che ho veduto l’altro ieri in Parlatorio sua figlia Monaca che stava passabilmente bene. Fategli tanti cordiali rispetti, e a tutta la sua degna Famiglia. Prenderò dunque il vostro consiglio di non andar peranco a Torino.
T. V. Aff.mo in G. C.
P. B. L[anteri].
Al M.to Rev.do Padre P.n Col.mo
Il Padre Giuseppe Loggero – Oblato di M. V.
Torino
DOC. XIX
EPISTOLAE duae Marchionis Michaelis de Cavour ad uxorem, circa Servum Dei, Pinerolii anno 1829, 20-23 Aprilis. ― Ex opere: I Giansenisti Piemontesi e la conversione della Madre di Cavour, auctore F. Ruffini, Torino 1929, pp.133-135.
Il Marchese Michele di Cavour, padre del celebre Ministro Camillo, fece in Pinerolo, sotto la direzione del Lanteri, un corso di Esercizi spirituali di dieci giorni nell’Aprile del 1829. Durante il ritiro, egli scrisse alla sua consorte, Adele de Sellon, due lettere che ci offrono dati importanti sullo stato di salute e sulla figura morale del Servo di Dio. Queste lettere furono pubblicate dal Senatore F. Ruffini nel suo lavoro: I Giansenisti Piemontesi e la conversione della Madre di Cavour (estratto dagli Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, vol. LXIII-LXIV). L’editore le attribuisce alla Settimana Santa del 1826, benché non vi siano indicazioni d’anno né di mese. Non crediamo dover sottoscrivere a questa datazione, per la ragione che gli Oblati figurano riuniti in Congregazione a Pinerolo, il che in Settimana Santa del 1826 era ancora in votis. Difatti la Congregazione degli Oblati non potè essere eretta che dopo l’Exequatur Regio (12 giugno 1827) del Breve di Leone XII Etsi Dei Filius del 1° settembre 1826, con cui il Pontefice approvava la Congregazione. Quindi le due lettere in questione devono essere state scritte dopo il giugno del 1827. Ora, siccome ivi è detto che la prima lettera fu scritta un lunedì di Pasqua e che gli Esercizi dovevano terminare un lunedì 27; e siccome tra il 1827 e il 1830, anno della morte del Lanteri, soltanto nel 1829 il lunedì che segue quello di Pasqua cade un 27 (Pasqua cadde il 19 aprile, il lunedì di Pasqua il 20, il lunedì seguente il 27); ne consegue che le due lettere risalgono al 1829 e non al 1826. Da notare che Michele di Cavour era stato iscritto alla Massoneria (cfr. Ruffini, op. cit., pp. 119-120).
1
Lundi de Pàques 15 h. 1/2 du matin [20 aprile 1829].
Ma chère Adèle,
Ma chambre donne du côté de Supergue, et à cette heure, après avoir pensé iL Dieu, je pense à vous. Cette vie de retraite semble me plaire tout à fait. D’abord, par goût, j’aime mieux obéir que commander: ici l’obéissance est vers un homme très doux. Le corps reçoit tout ce qui lui est nécessaire; on est mieux qu’à Vaudier, et je sens que ce séjour me fera plus de bien que celui de Vaudier. Il y a aussi exercice physique, car nous allons dix fois dans la journée à l’église; c’est donc dix fois que je pense plus particulièrement à vous tous. Nous avons un orateur des plus distingués que j’aie entendu, Don Renaudin, qui sortant d’une fluction de poitrine fait trois méditations raisonnées par jour. Le supérieur, père Lanteri, est bien doux; sa santé est on ne peut plus mauvaise, mais j’ai préféré m’adresser à Lui parce qu’il a assisté grand’maman dont le souvenir dans ses derniers moments est sans cesse présent à mon souvenir. Je suis logé près de lui et je cause avec lui les deux heures de récréation après dìner et après soupé; le reste clu temps on a le silence, je l’aime encore.
Je préfère penclant le diner la lecture de Bartoli à ces discussions politiques dans lesquelles on met de l’entètement el de la taquinerie d’un còté, de l’ironie, de la margue, des personnalités de l’autre. M.e Noirol vous enverra le mandement de Monseigneur Rey, il me semble toucher très bien l’article de l’ouvrage Lamennais. Victoire m’écrivait de m’occuper aussi un peu des affaires temporelles; heureusement il n’en reste pas le temps. – jl faut même en demander la permission – j e l’ai pour m’occuper de vous tous les moments qui ne sont pas destinés à Dieu. Bon jour, tendre Adèle, bonne maman, cher Franquin, mes enfants, je prierai pour vous et je contribuerai à votre bonheur en obtenant la tranquillité. Je vous embrasse tous.
2
Commencée mercredi [22 aprile 1829].
Ma chère Adèle,
J’ai reçu ta lettre; il est de règle pendant ces dix jours de suspendre toutes les correspondances étrangères à celle du grand œuvre dont on doit s’occuper. Pour cela même les supérieurs permettent 1es correspondances qui, loin de distraire de ce but, le vivifient, l’animent, l’encmuagent. Je ne t’ai pas répondu avec la plume parce que j’avais des occupations p1us importantes; mais je t’ai répondu de cœur car Dieu ne défend pas que je joigne à l’idée de me rapprocher de lui celle d’être uni à toi dans une éternité pour le glorifier, le bénir et le remercier de nous avoir créés. Ces exercices finissent le lundi 27, jour de l’ouverture de la foire. J’en sortirai pour dìner chez la marquise Rora. Le lundi soir je voudrais aller à Santena, je voudrais encore une matinée de calme. Si le temps était beau et tes dents bien sages, tu pourrais peut être y venir le lundi soir 27; nous en reviendrions le mardi soir où mercredi matin à ton choix. Pour cela il faudrait que Pinnot vint coucher le dimanche au soir 26 à Pignerol, et qu’il vint prendre mes ordres le 27 aux Oblati à huit heures du matin. Il serait bien qu’il mette le coffre derrière le boguet, pour ne pas que j’imite Pierre, qui oublie toujours quelque chose. Au reste je ferai ce que tu m’indiqueras; tu peux m’écrire lundi par Rora, avec lequel je dìnerai chez sa mère. Il vient à la foire pour y vendre cinq chevaux, et je le verrai de bonne heure. L’évêque vient assister à quelques méditations; il a prêché peu, et ce n’est point nécessaire, car D. Renaud est aussi éloquent que Lui à mon avis. c’est un homme très instruit, qui a beaucoup voyagé.
Les Oblati sont une diramation des Jésuites; ils sont sectateurs de Saint Ignace. Ils ont cette doctrine douce qui permet d’espérer que Dieu recevra dans sa miséricorde les gens de toutes les religions qui l’ont bien servi selon les lois de la nature et avec un grand amour du bien. Pour moi je t’annonce que je suis bien content de l’abbé Lanteri; j’ai passé bien du temps avec lui; je le trouve doux, persuasif et surtout fort complaisant. Dieu lui donne assez de souffle pour entendre et expliquer très bien les choses.
Sul medesimo foglio segue un poscritto:
Un mot bien vite, ieudi à 9 heures [25 aprile 1829].
Je reçois ta lettre, celle de maman; j’ai une occasion pour te répondre, je t’envoie ce que j’avais écrit. J’ai versé des larmes ce matin. La méditation de hier au soir était effrayante: l’éternité. Celle de ce matin bien douce: l’enfant prodigue, le retour de l’àme à Dieu. J’étais bien ému lorsque j’ai reçu ta lettre. J’ai été chez l’abbé Lanteri lui demander la permission de la lire. Je l’ai trouvé plus bas que les autres jours; il m’a dit: lisez tant que vous voulez, les sentiments plaisent à Dieu; mais des larmes coulaient de ses yeux, il pouvait à peine respirer. La lampe s’éteint, m’a-t-il dit. La tranquillité était sur sa figure, Il regarde le ciel dans ses attaques et prononce le paradis avec tant de foi, que cela remue toutes les entrailles. C’est cette mort si bien peinte de Don Cristoforo. Il ne voulait avoir d’autre pénitent que moi. Un des missionnaires lui porte une note de quelqu’un qui le demande. Il lui répond: je n’ai plus que peu de respiration, je la réserve toute pour vous, èn me regardant. Le missionnaire lui répond d’une voix ferme et à demi sévère: si Dieu a permis qu’une seconde âme vous réclame, c’est qu’il a établi de vous donner encore assez de souffie pour la ramener à lui. Qu’il est doux, mon Adèle, de verser de ces larmes! j’en ai beaueoup versé à ces mots. Je ne crois pas que l’abbé Lanteri soit si près de sa fin, mais il est comme la femme de Raconis.
[1] In margine: «Exp [èdiée]»
[2] «Au Bulletin: En reprenant la lettre à laquelle celle-ci répond».
«Il faudra interroger lìabbé Rey et visiter ses papiers».
«Bulletin: On pourra ensuite écrire au Ministre des Cultes sur les 2 prêtres don’t il est question et faire une note pour envoyer à sa campagne l’abbé Lanteri; signaler à Toulon M. Jujardi; écrire à Chambéry pour faire interroger l’abbé Rey sur les recommandations qu’il a données à Berthaut du Coin qui se rendait à Savone et faire visiter ses papiers»
«Au Bulletin: En reprenant la lettre à laquelle celle-ci répond».
[3] Si tratta della lettera contenente la scomunica lanciata da pio VII contro Napoleone, usurpatore del potere temporale dei Papi.
[4] In margine trovasi la seguente postilla del Ministro: «Il est juste, faire un rapport à S. Majesté. D.»
[5] Nella parte superiore del foglio un’altra mano ha scritto quanto segue: «On rende compte à Sa Majesté des résultats de l’interrogatoire de l’abbé Lanteri et de l’abbé Daverio, de Turin.
On propose à Sa Majesté d’ordonner que l’abbé Lanteri sera éloigné de Turin et de charger le ministre des Cultes d’engager M. l’Archevêque de Turin de retirer à ces deux ecclésiastiques leurs pouvoirs pour la Confession».
[6] In margine si leggono le seguenti postille del Ministero della Polizia: «Me donner la lettre écrite à ce sujet à la première Division pour me rappeler pourquoi cette mesure a été prise, et répondre au Ministre des Cultes. Faire une note très courte à S. Ex. On ne pense pas qu’il puisse y avoir d’inconvénient pour 15 jours. On donnera à M. le Directeur les instructions. Faire la lettre en conséquence pour S. Ex le Ministre des Cultes et pour Turin».
[7] In margine: «expédiée».
[8] In margine: «expédiée».
[9] Desumiamo l’indicazione dell’anno da una nota d’archivio posteriore, ma antica, posta sul retro dell’originale;
[10] In capo al foglio si trova scritto, poi cancellato: «Revmo Sig. Teologo e Padre carissimo in G. C.».
[11] I puntini esistono nell’originale.
[12] I puntini esistono nell’originale.
[13] Ad onta di questa conclusione la lettera continua.
[14] Annotazione del Card. Galeffi.
[15] Si tratta dell’agente di curia.
[16] Nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 815, si conserva copia della risposta del P. Fortis alla presente lettera: eccone il passo più importante relativo al Lanteri: «Roma 9 nov. 1824… Vengo al Teologo L[anteri]. Amerei molto, che almeno la prima probazione potesse farla in proprio luogo (sotto altro pretesto però) cioè a Chieri, e di là si prendesse mossa al biennio nel quale vivendo sotto l’ubbidienza di V. R. e la direzione di lei in tutto. Amerei anche che dentro il 1° anno potesse esternare col fatto le sue risoluzioni e farsi veder vestito da Gesuita, e passare ad abitare aiutando la gran barca in S. Francesco di Paola. Se v’avranno difficoltà in ciò che amerei nella esecuzione, V. R. mi scriva e si vedrà di agevolare tutto».
[17] Abbiamo ricercato con l’aiuto del Rev.do P. Teschitel, S. I., archivista generale della Compagnia di Gesù, le risposte del P. Fortis alle altre cinque lettere del P. Roothaan: il risultato fu scarso, poiché ne venne in luce una sola, già nota al Monti, op. cit., pp. 275-276, scritta in risposta alla lettera del Roothaan del 7 dicembre 1824. Ecco il passo che si riferisce al Lanteri: «Il Teologo desioso di essere nostro procuri di star bene, e a questo studi: sbrigate le sue faccende potrà fare il suo anno con vera libertà santa e spirituale profitto; ma affari, cure, imbrogli di cose temporali massimamente con noviziato virile o per meglio dire senile, e che spiri il nostro spirito nel cuore di chi umiliasi a farlo diventando un fanciullo è cosa che senza somma violenza non si può combinare. Onde ordine inverso il primo anno non sarebbe né primo né secondo. Con tutto ciò pur che non si facciano i voti dopo il prim’anno, neppure di devozione e segreti, ma si facciano dopo il secondo di vero noviziato e in cotesto primo vivasi sotto ubbidienza, e si faccia quel più che si può, penso così si potrebbe permettere». Questa lettera fu scritta al Roothaan, rettore in S. Francesco di Paola, in Torino, il 26 gennaio 1825 (Archivio della Compagnia di Gesù: Epist. R. P. N. Aloisii Fortis. Lib. 3, pars 1, 1825, n. 438, pag. 966).
PARS SECUNDA
DOCUMENTA QUAE SERVUM DEI MODERATOREM VEL FUNDATOREM QUARUNDAM PIARUM SOCIETATUM RESPICIUNT ANNIS 1780-1829
(Doc. XX-LIII)
In questa seconda parte della nostra documentazione raccogliamo tutti i documenti che si riferiscono all’attività esercitata dal Lanteri nella direzione di varie pie Società, alcune delle quali da lui fondate. Vi si troverà quindi la documentazione relativa all’attività del Lanteri per le seguenti Società:
I. Amicizia Cristiana, indicata nelle fonti con le iniziali A. C.
II. Aa, società spirituale segreta.
III. Amicizia Sacerdotale, indicata nelle fonti con le iniziali A. S.
IV. Pia Unione di San Paolo.
V. Convitto ecclesiastico di Torino.
VI. Amicizia Cattolica, indicata nelle fonti con le iniziali A. C.
I – Documenta quae ad Piam Societatem Amicitiae Christianae pertinent, annis 1780-1826
(Doc. XX-XXXIII)
1. Le Società segrete cattoliche nei secoli XVII e XVIII.
Nei secoli XVII e XVIII sorsero in varie regioni d’Europa diverse società segrete cattoliche, a scopo di apostolato e di personale santificazione. Il segreto preservava gli associati dagli intrighi e dai sarcasmi dei nemici e permetteva loro di lavorare alla propria e all’altrui santificazione senza adombrare chicchessia. Tali furono ad esempio nei secoli XVII e XVIII, la Compagnia del Santissimo Sacramento e l’Aa in Francia, e, verso la fine del secolo XVIII, gli Oblati del Santissimo Redentore, fondati da S. Clemente Hofbauer e largamente diffusi in Polonia e nei paesi di lingua tedesca.
L’Amicizia Cristiana fu una di queste società segrete. Essa si proponeva di raccogliere in ogni grande città un piccolo gruppo di uomini e di donne, scelti fra l’élite cattolica del luogo, e di costituire così altrettanti centri propulsori di apostolato, per arginare, a mezzo specialmente della buona stampa, l’irreligiosità del secolo e la dilagante corruzione dei costumi.
2. Il Padre de Diessbach fondatore dell’Amicizia Cristiana.
L’idea geniale di questa nuova forma di apostolato è dovuta al dotto e zelante padre gesuita Niccolò de Diessbach (cfr. Doc. XX). Questi nel suo libro: Le Chrétien catholique inviolablement attaché à la religion par la considération de quelques unes des preuves qui en établissent la certitude, Turin 1771, vol. III, pp. 370-378, propose una unione fra tutti gli amici della religione cattolica per difendere la morale e il domma mediante la diffusione della buona stampa. L’idea si concretizzò nel 1776 con la istituzione di una «Pia Associazione» fra Cattolici Italiani, avente per scopo di contribuire alla stampa e alla diffusione dei libri sani ed istruttivi. La sua sede era in Svizzera, a Friburgo, ma le sottoscrizioni si ricevevano presso ben trentun librai di altrettante città italiane. La prima distribuzione dei sei volumi annui, cui dava diritto la sottoscrizione, fu fatta solo nel 1778 (cfr. l’avviso a stampa contenente le norme della «Pia Associazione» pubblicato nel 1779 e conservato nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 190).
Da questo primo tentativo, venne in mente al Padre de Diessbach un altro progetto, quello cioè di creare una vera Società di apostolato, che, oltre la diffusione della buona stampa, cercasse la gloria di Dio e la santificazione delle anime. La nuova Società, chiamata Amìtié Chrétienne o Amicizia Cristiana, nelle fonti indicata quasi sempre con la sigla A. C., ebbe origine in Torino tra gli anni 1778-1780 e in meno di un ventennio essa era diffusa e lavorava segretamente in varie città d’Italia, in Svizzera, in Austria, in Baviera e nella Francia.
Per detta Società, il Padre de Diessbach preparò particolareggiati statuti, tuttora conservati in varie copie nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. II, 207) e un Direttorio conservato nell’Archivio Segreto Vaticano (Nunziatura Savoia II) ai quali ci siamo largamente ispirati per trattare della natura e dei mezzi di apostolato dell’Amicizia Cristiana. Atteso che il Lanteri fu membro di questa Società fin dai suoi primordi, e vi spiegò un’attività larghissima, crediamo utile fermarci alquanto sulla natura, l’ordinamento e la diffusione di essa.
3. Natura e ordinamento dell’Amicizia Cristiana.
L’Amicizia Cristiana aveva per primario scopo di cooperare alla gloria di Dio facendo regnare nei cuori dei suoi ascritti, e, per quanto dipendeva da essi, nei loro prossimi, le tre virtù teologali che maggiormente onorano Iddio. Per raggiungere sì nobile scopo si sarebbero adoperati due mezzi: l’istruzione e la persuasione, e ciò in particolare mediante un’opportuna ed intelligente diffusione di buoni libri.
Detta Società si componeva di 12 membri: sei uomini (sacerdoti e laici) e sei donne, che si chiamavano fra loro Amici. In casi eccezionali è prevista l’aggiunta, dopo il regolamentare anno di prova, di qualche membro soprannumerario, il quale non avrà voce nè attiva nè passiva, finché rimarrà tale. Per l’esplicazione del loro apostolato, ciascun membro poteva e doveva cercare fra i suoi conoscenti uno o due «Ricercatori» o «Ricercatrici», specie di collaboratori. Tutti poi indistintamente, i membri e i collaboratori dovevano essere persone di una certa cultura, di carattere docile ed animate da vero zelo. Ogni membro effettivo aveva una mansione specifica: vi era il primo Bibliotecario, che fungeva da vero capo dell’Amicizia e che doveva avere una profonda conoscenza della produzione letteraria e libraria; il secondo Bibliotecario che si doveva occupare di tutta la parte amministrativa dell’Amicizia; il Promotore cui incombeva la parte disciplinare, la vigilanza delle nuove fondazioni dette «Colonie» e la distribuzione dei libri; il Segretario; l’Istruttore, che doveva curare la formazione degli Aspiranti, sia a membro effettivo come a membro soprannumerario, durante l’anno di prova (per le donne quest’unico era riservato, secondo una prima redazione degli Statuti, ad una Istruttrice); il Missionario, cui erano commesse le esecuzioni degli ordini dell’Amicizia e la diffusione della medesima. Le sei donne non avevano cariche speciali, ma fungevano da consultrici, una per ogni carica. L’Associazione dell’Amicizia Cristiana, secondo una saggia disposizione del Direttorio, doveva durare inizialmente per soli due anni.
Per raggiungere il suo scopo, ossia la gloria di Dio, l’Amicizia cercava innanzi tutto la santificazione personale dei suoi membri, in modo che ognuno di essi potesse ripetere a se stesso: «je n’ai aucun désir libre et réfléchi plus fort, ni même assez fort, que celui de faire régner Jésus-Christ dans mon âme et dans celle des autres hommes par la foi, l’espérance, la charité» (Les lois de l’Amitié Chrétienne, § 10, in Archivio della Postulazione O. M. V., S. II, 207). A questo fine essi dovevano accostarsi ai sacramenti almeno due volte al mese, ciò che per il tempo era già molto; dedicarsi quotidianamente, almeno per una mezz’ora, al pio esercizio della meditazione e della lettura spirituale; fare ogni anno i santi Esercizi per otto giorni o almeno per tre, ed anche, se la cosa era possibile, ritirarsi per qualche giorno in una solitudine; digiunare in determinate occasioni; avere una profonda divozione al Sacro Cuor di Gesù, a Maria Santissima, a S. Giuseppe e a S. Teresa; conoscere profondamente i libri buoni; osservare esattamente le regole dell’Amicizia.
4. Mezzi adoperati per attuare il programma dell’Amicizia Cristiana.
Per attuare questo programma di vita spirituale e per espletare al tempo stesso l’apostolato proprio della Società dovevano servire come mezzi specifici: i Voti, le Assemblee e la Biblioteca.
a) I voti. – I voti erano annui ed ognuno s’impegnava:
1° a non leggere libri proibiti dall’autorità ecclesiastica. Quelli che ne avevano avuta la facoltà si obbligavano a non adoperarla. (Questo primo voto era diverso per gl’intellettuali i quali s’impegnavano a comporre o a tradurre qualche opera di sani principi);
2° a fare, per un’ora alla settimana, letture spirituali, usando libri approvati dall’Amicizia;
3° a obbedire ai Superiori della medesima.
b) Le assemblee. – Le assemblee, della durata di due ore, erano, nei tempi normali, dapprima settimanali poi quindicinali e si dovevano tenere dai primi di novembre a tutto giugno. Vi si trattavano tutte le questioni attinenti all’Amicizia, premettendovi sempre una lettura spirituale ed alcune preghiere. Le decisioni erano prese per via di suffragio segreto. Di tanto in tanto avevano luogo le Assemblee, dette di Carità, alle quali prendevano parte anche tutti gli aderenti ed iniziati, ma in tali assemblee non veniva presa alcuna decisione. Si erano perfino prospettate delle Assemblee ecumeniche, cui dovevano participare tutte le Amicizie, ma non sappiamo se ebbero mai luogo.
c) La biblioteca. – La biblioteca, il cui locale doveva essere pulitissimo e decorato con gusto, costituiva il centro propulsore dell’Amicizia, poiché in essa tenevansi ordinariamente le adunanze e trovavansi le armi che gli Amici dovevano saper maneggiare per la propria e l’altrui santificazione. I libri riservati agli Amici, distribuiti in tre categorie: polemici, ascetici e letterari, formavano la Biblioteca, detta Inamovibile. Nel locale della Biblioteca potevano accedere anche altre persone, sacerdoti e laici, sempre che fossero degne di fiducia. Nel linguaggio convenzionale la Biblioteca veniva chiamata la «spezieria».
Secondo lo spirito del fondatore la grande arma di apostolato dell’Amicizia doveva essere la stampa. Già nel 1771 egli aveva dato in appendice al terzo volume della sua opera, già ricordata, Le Chrétien catholique, un saggio di repertorio di libri buoni: «Titres de quelques ouvrages propres à inspirer des sentiments de religion et de vertu ou à les cultiver». Costituita l’Amicizia, il lavoro venne ripreso e adattato alle finalità della nuova Società. Si ebbe così il Catalogo, riservato ai soli Amici, dal quale erano assolutamente proscritti tutti i libri condannati dalla Chiesa o comunque ingiu riosi al Principe. Vi erano ammessi solo quelli che contenevano principi puramente cattolici. Ogni aggiunta al Catalogo doveva essere discussa in Assemblea e poi approvata dai teologi dell’Amicizia, ossia dai sacerdoti facenti parte di essa. Dopo il 1791 si stabilì che per l’ammissione di un’opera al Catalogo, si dovesse richiedere inoltre il parere di tutti i Bibliotecari delle Amicizie. In seno poi ad ogni Amicizia si era anche provveduto alla istituzione di una specie di commissione giudicatrice chiamata Accademia, che doveva discutere sul valore dei libri ed allacciare rapporti con autori cattolici.
Nel Catalogo i libri erano distribuiti in otto classi:
1a per le persone che dubitano della religione per difetto di istruzione;
2a per quelle che ne dubitano in seguito a letture cattive;
3a per quelle che lottano contro lo spirito del mondo e le passioni;
4a per le scrupolose e le scoraggiate;
5a per quelle che aspirano alla perfezione;
6a per ispirare il gusto per la buona lettura;
7a per quelle che non si conoscono sufficientemente;
8a per quelle che si dedicano agli studi.
A questo Catalogo generale, seguivano due altri speciali dei «fortissimi» e degli «squisiti», che contenevano i libri «scritti con maggior gusto in materia di controversia e di pietà» (Doc. XXVII). Nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. II, 188-193) sono tuttora conservate alcune copie del Catalogo generale.
I libri destinati al prestito costituivano invece la Biblioteca detta Amovibile, che era formata da doppioni della Inamovibile. Esistevano inoltre depositi di libri da distribuirsi gratuitamente. Il prestito e la distribuzione avvenivano per mezzo degli Amici, i quali si servivano a questo scopo di Ricercatori e Ricercatrici di anime, persone che lavoravano secondo lo spirito dell’Amicizia. La distribuzione gratuita era anche fatta per il tramite di persone affatto estranee all’Amicizia, come i missionari e i predicatori di santi Esercizi, i confessori e i parroci. Gli ospedali e le prigioni ne beneficiavano pure largamente. Oltre al prestito e alla distribuzione gratuita, l’Amicizia provvedeva pure alle spese della stampa di certe opere buone.
5. Opere varie di apostolato.
L’Amicizia Cristiana, oltre all’apostolato precipuo della buona stampa, si prefiggeva anche un altro apostolato quanto mai utile, quello di coltivare i chierici, viventi fuori dei seminari, con assemblee di pietà; i giovani sacerdoti, con scuole di predicazione per esercizi e missioni; i giovani confessori con agapi cristiane; e i secolari con forti e continue «coltivature» ossia visite. L’Amicizia faceva grande assegnamento sulle persone «influenti», cioè su quelle che «per loro autorità, credito, aderenze, impieghi ecc. determinano per sè o presso i Sovrani, i Ministri, il bene da farsi» (cfr. Raccolta di notizie ed appunti sull’A. C. in parte autografa del Lanteri, conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. II, 208, pag. 9). A questo fine ogni Amicizia doveva badare a comporre la sua «carta geografica», elenco di persone, col loro relativo indirizzo, con le quali si avrebbe potuto in seguito intrecciare relazioni sia per portarle all’Amicizia come per farle lavorare secondo lo spirito della medesima.
Oltre a queste forme di apostolato si pensava ad altri possibili sviluppi e a tal uopo si compose un Plan de bonnes œuvres, cioè un repertorio di tutte quelle opere cui gli Amici avrebbero potuto dedicarsi, a seconda delle possibilità, come favorire la pratica degli Esercizi spirituali presso ogni ceto di persone, visitare gli ospedali, le prigioni, ecc.
6. Come si provvedeva alla diffusione dell’Amicizia Cristiana.
L’Amicizia Cristiana non doveva rimanere chiusa in Torino, ma espandersi ed estendere altrove la sua benefica influenza. Della sua diffusione dovevano occuparsi il Missionario e i Viaggiatori. Il Missionario doveva intraprendere, dietro mandato dell’Amicizia, sia dei viaggi di osservazione per conoscere le persone e l’ambiente di una determinata città, come dei viaggi di fondazione di «Colonie» che devono essere considerate come vere Amicizie con vita ed attività proprie. Le «Colonie» mantenevano rapporti epistolari con l’Amicizia madre, il che praticamente significava rimanere in contatto con l’uno o l’altro dei tre massimi esponenti di tutta l’organizzazione, cioè Padre de Diessbach (cfr. Doc. XX), Don Virginio (cfr. Doc. XXII), e il Teologo Lanteri. Tra loro i capi dell’Amicizia si servivano di un cifrario per la corrispondenza onde sfuggire alle ricerche della Polizia e alle indiscrezioni dei non iniziati. La chiave del cifrario è tuttora conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. I, 193).
7. Lo spirito di adattamento dell’Amicizia Cristiana.
Perché l’Amicizia Cristiana potesse largamente diffondersi, il Padre de Diessbach seppe infonderle uno spirito di grande adattabilità: c’erano è vero degli Statuti e un Direttorio ai quali dovevasi naturalmente dar peso, ma qualora le esigenze dell’ambiente lo richiedessero, se ne doveva osservare solo lo spirito. Il Padre de Diessbach soleva dire: «que ni le nombre, ni les emplois sont nécessaires pour constituer une Amitié Chrétienne, qu’elle peut exister là où il n’y a qu’un seul Ami Chrétien » (Doc. XXIX, 2, pag. 132). Questa agilità di movimenti e questa facilità di adattamento sono largamente documentate nei pochi superstiti resoconti delle Assemblee dell’Amicizia, in cui troviamo modificati o adattati or questo or quell’altro punto degli Statuti.
8. Il segreto imposto ai membri dell’Amicizia Cristiana.
La vita e il successo dell’Amicizia furono garantiti per lunghi anni mediante il segreto da cui erano vincolati tutti i suoi membri. Questa misura precauzionale era usata in quel tempo da altre società tanto buone che cattive per sfuggire al controllo della Polizia, agli intrighi e alle indiscrezioni dei non iniziati e dei nemici. La segretezza non era stata prevista per ecclissarsi totalmente alle autorità giustamente inquirenti, poiché nel Direttorio stabilivasi che «s’il arrivait que nos Supérieurs légitimes soit ecclésiastiques, soit séculiers cherchassent à s’informer de ce qui nous concerne, nous leur remettrions immédiatement les Lois de l’Amitié Chrétienne et cet écrit-ci, et nous leur rendrions compte avec toute notre sincérité possible de toute notre conduite dans cette entreprise» (Direttorio intitolato: Suite des Lois de l’Amitié Chrétienne, in Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura Savoia 11).
9. Diffusione dell’Amicizia Cristiana e le sue iniziative d’apostolato.
Ora che conosciamo la struttura dell’Amicizia possiamo vedere quale ne fu la sua diffusione e come ogni singola Amicizia realizzò il programma tracciato dal suo fondatore.
La prima Amicizia è quella di Torino, costituita tra il 1778 e il 1780: seguono poi quelle di Milano, Friburgo in Svizzera, Parigi, Vienna, Augusta in Baviera, Firenze, Roma, Varsavia, quelle fondate nella Bretagna, in alcune altre città della Francia e della Svizzera, di cui i documenti non ci hanno conservati i nomi. Probabilmente anche a Genova e a Chambéry dovette esistere un’Amicizia Cristiana.
Di nessuna conosciamo con precisione la data di fondazione: quella di Torino, come si è detto, risale agli anni 1778-1780; (quelle di Milano, Friburgo e Parigi agli anni 1783-1790; le altre agli anni 1790-1803.
Come ogni altra istituzione, anche l’Amicizia ebbe i suoi momenti di prosperità e di stasi, questi ultimi causati talvolta dalla mancanza di soggetti o dagli avvenimenti politici del tempo. Dalla documentazione che possediamo si può dire che l’Amicizia di Torino fu sempre la più attiva e la più costante; il fatto si spiega facilmente se si tien conto ch’essa ebbe la fortuna di contare per molti anni, sebbene saltuariamente, come soci i tre fautori dell’organizzazione e in modo fisso il nostro Servo di Dio, che dedicò sempre tutto se stesso per la prosperità dell’opera. L’Amicizia di Torino operò un gran bene tanto per mezzo della sua ricca biblioteca, quanto favorendo la stampa di libri buoni e altre opere di religione e di assistenza morale. Fra le altre, quelle che si distinsero maggiormente furono le Amicizie di Parigi, Firenze, Milano e Vienna. L’Amicizia di Parigi lavorò intensamente nell’immediato periodo prerivoluzionario e rivoluzionario favorendo la lettura e la diffusione di libri di sani principi e aiutando materialmente e spiritualmente i sacerdoti, i religiosi e le religiose, vittime dei provvedimenti rivoluzionari. Gli Amici parigini avevano dato origine anche a una stamperia con dei magnifici statuti organici, tuttora esistenti e conservati nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. II, 218). Una relazione attribuita a Don Virginio accenna poi al fatto consolante che alcuni membri dell’Amicizia di Parigi ebbero l’onore, durante la Rivoluzione, di versare il sangue per la causa di Cristo (cfr. Relazione conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V. S. I, 196).
L’Amicizia Fiorentina con l’annessa Accademia Cattolica mantenne in vita per quattro anni (30 agosto 1803 – 31 luglio 1806) un giornale mensile religioso letterario dal titolo L’Ape, scelta d’opuscoli letterari e morali estratti per lo più da fogli periodici oltramontani (cfr. Collezione completa nella Biblioteca Vittorio Emanuele, Roma); la Milanese, nella persona del suo membro più influente, il Conte Pertusati, pubblicò varie opere originali o traduzioni dovute allo stesso Pertusati; la Viennese si rese benemerita con la sua Biblioteca diretta dal Barone Penkler, ricordata anche nelle lettere di S. Clemente Hofbauer (cfr. G. Hofer, Saint Clément-Marie Hofbauer (1751-1820), versione francese di R. Kremer, Lovanio 1933, pag. 105).
10. Parte avuta dal Servo di Dio nell’Amicizia Cristiana.
Dopo aver veduto l’origine, la natura e la diffusione in genere dell’Amicizia Cristiana, è il momento di chiederci quale fu la parte che vi ebbe il nostro Servo di Dio. Diciamo subito ch’egli ne fu un entusiasta sin dai primordi. Lo vediamo occupare il posto di secondo Bibliotecario sin dall’anno 1783. Praticamente egli, benché allora giovanissimo, si trovava spesso nella necessità di doverla dirigere da solo, dato i frequenti viaggi e soggiorni all’estero del Padre de Diessbach, primo Bibliotecario. Non sappiamo esattamente quando il Lanteri divenne primo Bibliotecario, può darsi che lo sia stato già vivente il Padre de Diessbach, comunque lo fu certamente dopo la sua morte, avvenuta in Vienna il 22 dicembre 1798. Da questo momento egli condivide l’ardua opera della direzione di tutta l’opera con Don Virginio. Ma alla morte di questi (dicembre 1805), il Lanteri si trovò solo al comando: tutte le Amicizie si rivolsero allora a lui come a uomo «sur lequel repose maintenant l’esprit du Père de Diessbach» secondo la bella espressione del Barone Penkler (cfr. Doc. XXIX, 2, pag. 133).
Sotto la sua direzione l’Amicizia Cristiana attraversò vittoriosa, pur in mezzo a difficoltà d’ogni genere, tutto il burrascoso periodo rivoluzionario e napoleonico, e finì col dare origine ad un’altra società non più segreta, ma pubblica, chiamata Amicizia Cattolica più adatta ai tempi nuovi. L’autorità civile non doveva però permettere a questa benemerita Società, unicamente dedita alla diffusione della buona stampa, una lunga esistenza; ma il Servo di Dio nella oculatezza del suo zelo, aveva già pensato da tempo a perpetuare per mezzo di una Congregazione canonicamente eretta, il magnifico programma di apostolato, ideato dal Padre de Diessbach e piano piano sviluppato e adattato ai tempi, sotto la sua direzione. Così che si può dire che la fondazione degli Oblati di Maria, aventi per scopo loro proprio quello di predicare i santi Esercizi secondo il metodo Ignaziano, di formare buoni sacerdoti e parroci, di diffondere la buona stampa e di lottare contro gli errori correnti, si deve considerare come il coronamento naturale dell’arduo lavoro compiuto dal Servo di Dio in seno alle varie Amicizie, cioè la Cristiana, la Sacerdotale, la Cattolica e l’Aa, alle quali egli consacrò le sue migliori energie.
DOC.XX
NOTA BIOGRAPHICA P. Nicolai Iosephi Alberti de Diessbach S. I., auctore Servo Dei. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 19.
Premettiamo alla documentazione relativa all’Amicizia Cristiana una breve notizia biografica del suo fondatore Padre de Diessbach S. I., scritta dal nostro Servo di Dio, che si considerava suo discepolo e figlio spirituale. La notizia è molto schematica e forse si tratta di semplici appunti in previsione di una nota biografica più dettagliata. Non vi è alcuna indicazione cronologica che permetta di stabilire una data certa allo scritto del Lanteri.
Attesa l’importanza che ebbe per la vita spirituale del Lanteri l’incontro e la consuetudine col Padre de Diessbach, crediamo opportuno di completare le poche note del Servo di Dio con notizie desunte da altre fonti note.
Niccolò Giuseppe Alberto de Diessbach nacque a Berna il 15 febbraio del 1732 da famiglia patrizia calvinista e fu battezzato il 25 dello stesso mese. Verso i 15 anni entrò a far parte di un reggimento di Svizzeri al soldo del Re di Sardegna, comandato da suo zio. Mentre si trovava a Nizza si convertì al cattolicesimo (1754); ma l’abiura ebbe luogo a Torino. Venuto a conoscenza del fatto, il Re Carlo Emanuele gli affidò il comando di un reggimento sardo e l’istruzione militare di suo figlio Vittorio Amedeo III. Nella casa del de Saint-Pierre, console di Spagna a Nizza, il brillante ufficiale de Diessbach trovò con la fede anche una sposa (1755), la figlia dello stesso Saint-Pierre, la quale però venne ben presto a mancargli (1758), lasciandolo solo con una bambina. Il de Diessbach, affranto dal dolore, affidò la piccola creatura alle Monache della Visitazione di Nizza e decise di consacrarsi al Signore entrando nel noviziato della Compagnia di Gesù in Genova (1759).
Terminato il noviziato e gli studi, il de Diessbach fu ordinato sacerdote da Mons. de Montenach, vescovo di Losanna e Ginevra, il 22 settembre del 1764. Un mese dopo lasciava la Svizzera per recarsi a Milano, come gli era stato ingiunto dai Superiori. Nel 1771 si stabilì a Torino ove rimarrà anche dopo la soppressione della Compagnia (21 luglio 1773). Intanto alla sua missione di predicatore aggiunse quella di scrittore e di organizzatore dei Cattolici per cercare di arginare, mediante la buona stampa, i nefasti progressi della produzione letteraria atea ed irreligiosa. L’elenco dei suoi scritti generalmente di apologetica e di ascetica, è assai copioso e lo si trova nella Bibliothèque de la Compagnie de Jésus del Sommervogel (vol. III, col. 56-57). Per la diffusione della buona stampa, egli fondò nel 1776, come abbiamo detto, una Pia Associazione fra Cattolici Italiani, che in seguito trasformò e perfezionò per mezzo dell’Amicizia Cristiana, sorta tra il 1778-1780. L’intenso lavoro nonché varie infermità e il dolore provato in occasione della morte di sua figlia († 9 febbraio 1777), da un anno professa nel Monastero della Visitazione del Santissimo Crocifisso di Torino, logorarono la sua forte fibra. Ciò malgrado, in occasione del Viaggio di Pio VI a Vienna (1782), egli corse in quella città, accompagnato dal nostro Servo di Dio, per preparare gli animi alla venuta del Pontefice. Tra gli anni 1782 e 1798 il de Diessbach fu assai di frequente in viaggio, ora per l’Amicizia Cristiana ed ora per altre delicate mansioni. In quest’ultimo periodo della sua vita si fermò di preferenza a Vienna, ove per mezzo dell’Amicizia Cristiana era riuscito a raccogliere attorno a sé un eletto stuolo di cattolici Viennesi, in gran parte intellettuali, da lui guadagnati ben presto all’apostolato della buona stampa. Da questo gruppo di cattolici nacque il noto movimento letterario cattolico Austriaco del primo Ottocento, che fu denominato Romanticismo Austriaco. Al de Diessbach torna il merito di questo movimento, perché è proprio lui che ne formò i futuri dirigenti, come Franz Schmid, confessore di S. Clemente Hofbauer, e Hofbauer stesso, che doveva poi coordinare in modo così geniale le attività spiccatamente personali dei grandi autori ed artisti, Schlegel, Müller, Brentano, «Maler» Müller, Veith ecc. Non si sa esattamente in quale anno il de Diessbach conobbe il giovane Clemente Hofbauer; alcuni pongono il loro primo incontro verso il 1782, il che è probabile. Sappiamo però positivamente che dal 1795 in poi anche Hofbauer appartenne al circolo diretto dal de Diessbach.
Nel 1796 il Padre de Diessbach si vide offerta la sede vescovile di Losanna e Ginevra, ma vi rinunciò. Due anni dopo (1798), trovandosi in Friburgo al momento dell’invasione francese, egli lavorò molto per venire in aiuto dei poveri feriti, ma durante l’esercizio della pietosa sua missione, alcuni soldati francesi lo spogliarono e lo percossero barbaramente. Riavutosi da siffatto indegno trattamento, riprese per l’ultima volta la strada di Vienna, ove moriva il 22 dicembre dello stesso anno. Il Barone Penkler fece trasportare la salma nel cimitero di Maria Enzersdorf, dove vollero poi essere sepolti tutti i grandi Romantici Austriaci, compreso lo stesso S. Clemente Hofbauer. II nostro Servo di Dio conobbe il Padre de Diessbach nel 1779 (cfr. Doc. LXVIII, 2). A lui egli deve gran parte della sua formazione spirituale e da lui apprese ad amare l’apostolato della buona stampa, gli Esercizi di S. Ignazio, le opere e la teologia di S. Alfonso de’ Liguori. Sul Diessbach si possono consultare: C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, Bruxelles 1892, vol. III, col. 56-57; E. Winter, P. Nicolaus Joseph Albert von Diessbach S. J., in Zeitschrift für Schweizerische Kirchengeschichte, 1924, pp. 22-41, 282-304; Mgr Jaquet, Le P. Nicolas-Joseph-Albert de Diessbach, in Semaine catholique de la Suisse Française, 1927, pag. 460 e segg. (sette puntate); P. Gastaldi, Della vita del Servo di Dio Pio Brunone Lanteri, Torino 1870, pp. 40-58; T. Piatti, Il Servo di Dio Pio Brunone Lanteri, 2a edizione, Torino 1934, pp. 24-29.
Il Padre Giuseppe de Diessbach, Patrizio del Cantone di Berna, nacque di genitori calvinisti in Berna, educato dai medesimi nella setta di Calvino.
Dotato di grandi talenti, aveva ricevuto ottima educazione. Ancora giovanetto profittò nelle dogmatiche di sua setta.
Era capitano nel reggimento di Berna d’infanteria, che apparteneva al suo zio Diessbach. Aveva un fratello colonnello delle Guardie Svizzere al servizio della Francia.
Leggeva molto, e da calvinista divenne incredulo. Detestava i preti ed frati, e al solo vederli si commoveva internamente dicendo a se stesso: «Ecco que’ impostori che ingannano tutto il popolo». Questo lo raccontò più volte egli stesso; però non fu mai apostolo di empietà.
L’origine di sua conversione fu in Nizza ove era di guarnigione. La cagione ne fu la lettura d’un libro (credesi Les égarements de la raison) trovato in casa del console di Spagna S. Pierre, che egli frequentava, ed ove era ben veduto per le sue ottime qualità, ma compianto per essere eretico; libro postovi ad arte per aver rimarcata la sua avidità di conoscere e legger libri.
Era uomo riflessivo che non si decideva senza ben riflettere; si recò pertanto da un Gesuita per esporre le sue difficoltà. Questi lo consigliò a prendere congedo per due mesi, e andare a Torino per poter far ivi l’abiura con minore difficoltà.
Giunto in Torino, e recatosi al collegio dei Gesuiti, fu sorpreso delle buone maniere colle quali venne ricevuto per fin dal portinaio. Ivi trovò chi pienamente lo soddisfece in tutte le sue difficoltà.
Fece in seguito la sua abiura, si confessò e ricevette dalle mani di Monsignor Arcivescovo la Santa Comunione e il sacramento della Confermazione.
Fatto Cattolico, cangiò reggimento ed entrò capitano nel reggimento di Zietten [Ziethen], poscia detto Brem, indi Royal Allemand coll’uniforme di Zietten. Carlo Emanuele III, Re di Sardegna, pregiavasi nella di lui persona [come di] un abile generale.
Si maritò colla figlia del suddetto S. Pierre console di Spagna, la quale morì essendo egli di guarnigione in Alessandria. Visse quindi da fervente cattolico.
Morta la moglie si consacrò a Dio nella Compagnia di Gesù, dicendo che, siccome dopo Dio doveva la sua conversione a Casa S. Pierre indi ai Gesuiti, così pensava aver soddisfatto verso tutti alla sua riconoscenza.
Fatto Gesuita, coltivando i suoi talenti a Dio caro si rese ed agli uomini, fece gran bene nelle Missioni in Piemonte, e gran bene in Svizzera, convertì moltissima gente, anche tra i protestanti, fece conversioni segnalate.
Predicava talvolta nello stesso giorno in diverse chiese in italiano, in francese, e in tedesco. Era eruditissimo, e al corrente di tutti gli avvenimenti, osservando subito il rapporto che avevano colla gloria di Dio. Aveva il dono della parola, e il suo conversare era dolce, manieroso, cordiale, riservato, e prudente. Sapeva guadagnarsi i cuori di tutti, onde tutti lo ricercavano e lo gradivano.
Profittava poi di tutte le occasioni per impedire qualche offesa di Dio, nè aveva requie finché fosse venuto nel suo intento, esponendosi talvolta ad insulti per tal effetto, come infatti talvolta questo seguì.
Ebbe per molti anni una gamba tutta piaghe, per cui non poteva reggersi in piedi e dir messa, con tutto ciò non lasciava d’accostarsi alla sacra mensa, e se occorreva qualche ammalato che avesse bisogno di lui, in qualunque ora, anche di mezzanotte, subito si alzava per andarlo assistere.
Qualunque occasione fosse occorsa di procurare la gloria di Dio, non tralasciava alcun mezzo per profittarne. Intraprendeva viaggi lunghissimi anche in cattivo stato di salute, o senza denaro, fidandosi onninamente alla Divina Provvidenza, dalla quale veniva mirabilmente assistito.
Trovossi un dì in un’osteria del Piemonte, ove ancora ufficiale protestante aveva fatto cessar di cantar le litanie di Maria Vergine, solo perché questo l’annoiava. Ivi fece richiamare i padroni dell’osteria che aveva perciò fortemente sgridati, chiese loro perdono dello scandalo, e si diede una forte disciplina per ripararlo.
Istruì la Principessa di Savoia Carlotta, figlia del Re Vittorio. ammogliata col Principe di Sassonia, l’anno ottavo della Rivoluzione, [1] e la premunì con un suo scritto contro gli errori dei protestanti, il quale non si sa se sia stampato.
Andò più volte a Parigi, ove era in relazione con le persone più colte e zelanti: il suo oggetto principale era la conversione del suo fratello, colonnello nelle Guardie Svizzere, e vi fece del bene, come ne faceva dovunque andasse.
Ebbe in cura d’istruire nella fede cattolica Elisabetta di Wittemberg [Württemberg], prima moglie di Francesco Arci duca d’Austria, poscia Imperatore.
Non solo il volgo, ma persone d’alto grado, Prelati, Cardinali, Principi, ed anche Sovrani, si reggevano coi suoi consigli.
Andò più volte in Germania. La prima volta si portò a Vienna passando per Wittemberg [Württemberg], poiché era molto in conoscenza del Principe Luigi, fratello dell’allor Regnante, e che regnò anch’egli in seguito, sebbene per poco tempo; [2] indi si restituì in ritorno nel Piemonte nel 1788. Vi ritornò poi, richiesto per l’Arciduchessa Elisabetta, prima moglie di Francesco Imperatore, nel 1791, ma la trovò morta pochi giorni prima. Vi ritornò la terza volta nel 1798, e vi morì ai 23 [è il 22] dicembre di quell’anno in concetto di santità e [vi] fu sepolto.
II conoscere i libri buoni in ogni materia di Religione, e adoperare tutti i mezzi per promuoverne presso ogni classe di persone la lettura, era, dirò così, la sua passione, massimamente memore del gran bene che ne ricavò egli stesso. Vastissima era la sua erudizione in questo genere, e finissimo il suo criterio, con una grande memoria.
DOC. XXI
VOTUM quo Servus Dei actuositatem suam in favorem Societatis Amicitiae Christianae dedicat, anno 1780, 16 iulii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 1a.
Abbiamo già veduta la dichiarazione di schiavitù verso la Santissima Vergine (Doc. IV), scritta dal Lanteri nel 1781 su un piccolo pezzo di carta, da portarsi probabilmente in dosso. Sullo stesso pezzo di carta, nel lato opposto vi è la dichiarazione del voto di impegnarsi per l’ Amicizia Cristiana. Si tratta di un voto personale che mirava ad assicurare un’attività concreta per la Società: non è quindi da confondersi con i voti richiesti dagli Statuti. Il voto, fatto per un biennio, porta la data del 16 luglio 1780.
Seguono in basso, sempre di mano del Servo di Dio, due sigle con due date; le sigle si riferiscono indubbiamente all’abate de Diessbach (Ab. D. D.) e all’abate Luigi Virginio (Ab. L. V.), ma non è possibile specificare a cosa si riferiscano le due date. Rappresentano forse il ricordo di eguale voto emesso dai due sopradetti?
Io B[runone] fo voto a Dio d’impiegarmi a favore della Società detta dell’Amitié Chrétienne per lo spazio di due anni da incominciarsi dal giorno d’oggi, qualunque volta ciò sarà stimato dai miei due compagni cosa necessaria, e che non vi sarà nessuno de’ miei doveri che vi si opponga.
Ai 16 luglio 1780.
Ab[ate] D[e] D[iessbach] 29 giugno 1780 J. M.
Ab[ate] L[uigi] V[irginio] 2 luglio 1780
DOC. XXII
EPISTOLA Sacerdotis Ludovici Virginio ad P. Nicolaum de Diessbach de Christiana Amicitia, anno 1783, 1 aprilis. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 395.
Questa lettera, scritta da Don Luigi Virginio il 1° aprile del 1783, non porta indicazione nè del luogo da dove fu scritta nè del destinatario; però dal suo contenuto si arguisce che fu spedita da Milano al Padre de Diessbach. Essa ha la sua importanza nella nostra documentazione, perché getta un raggio di luce sull’attività del Lanteri in seno all’Amicizia Cristiana, allora in pieno fervore di iniziative apostoliche. Vediamo infatti ch’egli tiene la cifra, che ha cura dei Cataloghi e che è in rapporto con l’Aa, di cui parleremo a suo tempo.
Don Virginio si era recato da Torino a Milano in viaggio di osservazione, esplicando così la sua mansione di Missionario dell’Amicizia Cristiana.
II nome di questo degno sacerdote ricorrerà spesso nella documentazione relativa all’Amicizia Cristiana e Sacerdotale e all’Aa, perché fu col Padre de Diessbach e col Lanteri uno dei loro principali apostoli ed animatori, onde stimiamo opportuno farlo conoscere brevemente. Don Luigi Virginio nacque in Cuneo, il 5 luglio del 1756 (Reg. Bapt. di Santa Maria della Pieve, vol. X, f. 60v), nella stessa parrocchia del Servo di Dio, del quale fu poi intimo amico (cfr. Doc. XXIX, 3). Alla scuola del Padre de Diessbach divenne un sacerdote zelantissimo e S. Clemente Hofbauer lo teneva in alta considerazione (cfr. A. Innerkofler, Der hl. Klemens Hofbauer, 2a edizione, Ratisbona 1913, pp. 149, 164, 210, 360). Dopo la morte del Padre de Diessbach, diresse l’Amicizia Cristiana di Vienna, ove fu anche rettore della chiesa degli Italiani. Si occupò molto anche dell’Aa, come ci attestano diverse lettere dell’Aa di Chambéry a quella di Torino, conservate nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. I, 372 e ss.). Morì a Vienna nel dicembre del 1805, in seguito a malattia contratta curando i soldati feriti, vittime della campagna che Napoleone stava allora svolgendo contro gli Austro-Russi. Il pio Barone Penkler lo seppellì nel cimitero di Maria Enzersdorf, ove già riposava il Padre de Diessbach (cfr. G. Hofer, Saint Clément-Marie Hofbauer 175l-1820, versione francese di Kremer, Lovanio 1933, pag. 189).
Don Virginio, fu, come il Padre de Diessbach, gesuita. Dai Cataloghi brevi degli anni 1772 e 1773 della Provincia Milanese della Compagnia (Archivio Generale della Compagnia di Gesù: Med. 18, catalogi breves Prov. Mediolan., ff. 106, 133; notizia gentilmente fornitaci dall’attuale Archivista Generale, P. Giuseppe Teschitel, S. I.) apprendiamo che Don Virginio entrò nel Noviziato di Chieri il 10 aprile del 1771. Siccome mancano i Cataloghi triennali dell’epoca, la data della professione non ci è conosciuta; è però probabile ch’egli emise i primi voti il 10 aprile del 1773 o poco dopo, quasi alla vigilia della soppressione della Compagnia (21 luglio 1773).
Molto Reverendo in Cristo Padre,
Dacché sono giunto in questa città non ho trattato quasi con altri, che con ex-G[esuiti]. Quasi tutte le ore ne vedo qualcuno. Ve ne sono anche alcuni spagnuoli, ed americani. Ma questi sono resi pressoché inutili, massime dall’imperizia del morale del paese e della lingua, e dall’uso introdottosi da qualche mese, od anno di non lasciar travagliare i forestieri. Quelli dunque, che convenga adocchiare, si riducono alli soli naturali del paese. Or questi (lasciando a parte alcuni che si occupano in impieghi semi-profani) parlando in generale sono di singolar probità, attaccamento alla Religione, ecc. Si occupano competentemente a confessare, e predicare; ma poi non si occupan quasi in altri pensieri che dei riguardanti le nuove ed il ristabilimento della Compagnia, e mi paiono un po’ indolenti nel resto. Ciò io penso che provenga: 1° dal clima istesso, come lo confessano in generale quei del paese, ed io medesimo mi sembra di provarlo in me. 2° Dall’attuale intorbidamento degli affari, per cui sono alcuni alquanto intimoriti, e stanno a veder quale piega prenderanno le cose. 3° Da mancanza di notizie degli affari morali dei paesi esteri, di cui in generale si professa somma ignoranza; epperciò non sanno d’onde venga il male, e quali i rimedii. 4° Dall’essere il paese ancora assai bene incamminato, poiché il clero in generale è eccellente, ed il popolo molto religioso. Onde non conoscono quasi altro male, che la scostumatezza, ed il disordinato amor de’ divertimenti. Egli è ben vero che nel clero si è già sentita qualche scossa di Giansenismo, e nella Nobiltà di empietà. Ma queste scosse sono troppo recenti perché possano sentirne tutte le cattive conseguenze al presente, e conoscerne le cagioni, ed i rimedi. Tutto ciò però non impedisce che, qualora vi fosse chi li dirigesse, si potesse da questi ricavare un gran vantaggio, poiché conservando un gran fondo di buona volontà, certamente, almeno alcuni si occuperebbero volentieri in quelle cose buone, che loro si proponessero, e avendo lo spirito retto, e giusto si potrebbero loro far conoscere molte cose assai utilmente.
Nella classe di questi si può collocare un numero molto grande di curati, e preti di grande capacità di cuore, e di spirito, che si occupano assai vantaggiosamente nella vigna del Signore.
L’unico tra quelli, che io conosco, che mi sembri superiore, ed anche di molto, a questa sfera si è l’Abate Argenti. Tra i Cavalieri e Dame che conosce, di spirito colto ed assai amanti della Religione, mi ha nominato il Conte Pertusati [3] e sua moglie, e la contessa Trotti, che desidera molto il suo arrivo, e che per mezzo dell’Abate Argenti mi lascia di riverirla. Mi ha però detto l’Abate Argenti che questa Signora fa una vita assai ritirata, e che i Cavalieri in generale, anche quelli di molta Religione, non osano citire (sic) per timore dei Regii.
L’Abate Bianchi, curato di Corte, mi ha fatto graziosa accoglienza. Mi ha lasciato di riverirla, ed è molto premuroso di vederla qui. È uomo vecchio, alquanto sordo ed assorto dall’Operariato, spira santità.
Ecco quelle poche notizie che io ho saputo finora ricavare; e a dirle il vero, quasi dispero di ricavarne delle maggiori, se non fosse qualche maggiore schiarimento intorno a queste. La ragione si è che io non ho mezzi da introdurmi presso altri generi di persone; e la molta vicinanza del Piemonte e le molte conoscenze di ex-Gesuiti m’impediscono dal praticare certi mezzi straordinari che forse potrebbero essere opportuni qualora mi trovassi in paesi molto lontani per tempo ragguardevole. Per poter fare passi ulteriori a scoprire paese, io non so veder altro che questi due mezzi: cioè, o mi mandino alcune lettere di raccomandazione, o mi permetta che parli chiaro e mostri i Cayers all’Abate Argenti, il quale credo che si impegnerebbe, e mi farebbe fare alcune conoscenze, e queste potrebbero trarne in conseguenza delle altre. Vi sarebbe un altro mezzo più certo, e di cui però dispero, questo sarebbe che ella anticipasse la sua venuta.
Vo quasi tutte le sere ad una ricreazione o radunanza che si fa di quasi tutto il ceto Gesuitico, o «in re» o «in affectu», in casa di un curato. Potrebbe questa radunanza servire per tante cose buone.
La prego a favorirmi di risposta, od almeno ad accusare la ricevuta sì di questa come dell’altra che già le scrissi, almeno per togliermi di pena.
Se mi mandasse lettere commendatizie, invece di permettermi di confidare etc. ut supra, credo che sarebbe meglio, oltre le altre ragioni, anche perché riguardo a questo secondo mezzo non sono ancora tutt’affatto tranquillo.
Ho saputo per canale, credo, certo, che i torbidi nell’America Spagnuola non sono ancora quietati, checché ne dicano le Gazzette. Cusco è perduta, come pure le circonvicine miniere.
Qui acchiusa le invio una cifra per Lanteri. La chiave potrà essere la parola Amen. Sono sempre più persuaso della necessità di questa.
Le invio pure quella lettera che non avevo badato di lasciarle partendo.
II Signor Abate Prati, con cui abito, e che la riverisce distintamente, ha una libreria piuttosto abbondante di libri buoni, massime antichi. Ho cominciato a prendere memoria di quelli che mi sembrano atti «ad rem nostram», e gliela invio qui pure acchiusa. Ma molti dei libri notati hanno bisogno di più accurato esame.
Mi è stato proposto da persona fida di comperare un calice ed una pisside amendue di lavorio fino, e che sono disposti a lasciare al prezzo del valore del metallo, che può importar circa lire 250 verso 300 di Savoia. Qui mi farebbe un buon colpo se lo potessi far esitare; per altra parte potrei farmi un merito con mio fratello. Mi scriva presto il suo parere, ed in caso che non stimi a proposito che io ne scriva a mio fratello affinchè lo comperi, potrebbe, se gli par conveniente, parlarne con Sineo, od altri dell’Am[icizia] Sacerd[otale] se lo vogliano, poiché ciò mi farebbe qui un buon colpo.
Riceverà pure dal latore della presente alcuni libretti favoritimi dall’Abate Argenti.
Io qui sono quasi ozioso, per difetto di conoscenze che mi interessino. Mi occupo qualche poco a prendere memoria di quei libri che le ho detto, ed a trascrivere qualche manoscritto che mi par buono. Per esempio ora trascrivo la relazione della Conversione di Thiulen.
Mi dica se posso mostrare all’Abate Argenti almeno il catalogo. Ciò gli farebbe molto piacere, e sarebbe utile.
Mi favorisca nuove di sua sanità, in specie degli accidenti della gamba; [4] come pure dell’A[micizia] C[ristiana]. Se ella non ha tempo, almeno Lanteri spero che potrà notificarmi i suoi sentimenti; prego pure Lanteri a notificarmi quelle novità pubbliche del paese; giacché ciò potrà pure in qualche modo essermi qui di alcun vantaggio per parlarne con altri.
Prego pur Lanteri a supplire ad una mia mancanza. Questa si è che nella Vita del P. Possevino ho trovati alcuni libri che mi sembrano buoni. Ho fatto una piegatura alla facciata in cui si trovano; ma non li ho ancora notati. Si potrebbe pure prendere memoria di tutte le opere del Possevino, delle quali se ne ritrova copioso catalogo al fine della sua vita.
Si compiaccia di leggere ancora quest’altro foglio.
II P. Prati mi ha dato contezza di un’opera intitolata: Catalogus Bibliothecae Bunanianae, 7 volumi in-4°, Lipsiae. Mi par che mi abbia detto che contiene, oltre una quantità di libri buoni, anche la notizia particolarmente di quantità di vite di Santi e di uomini illustri.
Si compiaccia di dirmi se giudichi a proposito che io mi occupi anche a ridurre il Catalogo in ordine alfabetico, acciò si possa subito vedere se qualche libro, che si desideri sapere, vi entri, ed in quali classi entri. In tal caso Lanteri si compiaccia di mandarmi le aggiunte con le classi a cui appartengono.
Credo che non sarebbe difficile lo stabilire qui l’Aa di Murgerai; in caso che lo stimasse a proposito, si compiaccia di dire a Lanteri che mi mandi i Cayers della Aa.
II P. Fierart aveva composto un Catechismo francese. Questo era stato mandato a Genova per essere stampato; ma non so per quale accidente la stampa ne fu interrotta. Il P. Solar ne conserva in Genova l’originale. Il P. Argenti mi lascia di dirle che se vuole se lo faccia pure mandare dal detto P. Solar, stato suo Maestro di Noviziato. Lo potrebbe portare in Svizzera, e darlo a Piler che se lo stampi. Ed ecco che una sua lettera darebbe la esistenza ad un’opera buona, che senza di ciò facilmente resterà per sempre nel numero delle sole possibili.
Non so se converrebbe che dicessi chiaro all’Abate Bianchi e lo pregassi di farmi far conoscenze.
Per opera del Padre Argenti si stampa l’opera seguente, cioè: Dorevil, Dell’Imitazione della Vergine. Qualora qui se ne desiderasse qualche copia, avvertendomi per tempo, le avressimo a miglior prezzo. Preghi e faccia pregare per me, e mi creda di vivo cuore.
1° d’aprile [17]83.
T. S. L[uigi] V[irginio]
P. S. – Dica a Giulio, che li suoi versi incontrano molto bene e si leggono dappertutto, e mi mandi delli nuovi, se sono stampati.
DOC. XXIII
EPISTOLA Servi Dei ad Sacerdotem Ludovicum Virginio de Christiana Amicitia, Sacerdotali Amicitia atque Aa, Cunei anno 1784, 18 septembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 20.
Questa lettera del Lanteri è autografa, ma non porta indicazione del destinatario; il quale però, come si deduce dal contenuto e da un’antica nota posta in capo al foglio, è da ritenersi Don Virginio. Per il Servo di Dio ha il merito di farci vedere come egli, nonostante il dolore e la preoccupazione per la grave malattia di suo padre, che doveva morire il 31 ottobre seguente, si interessava vivamente all’andamento delle Amicizie Cristiana e Sacerdotale e dell’Aa esistenti in Torino. La lettura della lettera è resa ora difficile dal fatto che, in un secondo momento, per non si sa quale ragione, forse per timore di qualche angheria poliziesca, furono ritagliate a bella posta le sigle A. C., A. S., Aa, ossia Amicizia Cristiana, Amicizia Sacerdotale e Aa, adoperate del Servo di Dio. Nella impossibilità di poter indicare con precisione la sigla usata volta per volta dal Lanteri, le lacune saranno indicate con dei puntini; abbiamo però sempre potuto completare il testo esistente nella parte opposta del foglio con gli elementi sfuggiti all’azione delle forbici.
Amico Carissimo, [5]
Abbiamo avuto la visita di Penchienati, ha ordinati alcuni rimedi interni ed altri esterni per disporre ed attenuare quel rumore fissatosi nei muscoli della coscia di mio Signor Padre, e indi passar all’applicazione d’una specie di vescicante alla parte inferma; aveva dato a sperare di vederne del miglioramento visibile fra una settimana, e di guarirlo fra un mese. Son circa due settimane che si pratica a tenore dell’ordinazione, però non si è ancora venuto all’applicazione del vescicante, ma sinora non si prova neppure il minimo sollievo, ed io umanamente parlando non ho mai avuto, nè ho ancora presentemente speranza alcuna, avendo io sempre avuto occasione di visitarlo più volte al giorno, nè avendovi mai rilevato mutazione sostanziale da tre mesi che si trova detenuto a letto per tale incomodo, nonostante i fortissimi rimedii che si son già applicati; aggiungasi ancora la difficoltà che ha mio padre a lasciarsi applicare detto vescicante, e il pericolo che ne può risultare anche in caso d’applicazione di esso. Tale essendo lo stato delle cose M[adame la] C[ontesse] S[aint] G[eorges] fa mille premure per la pensione del figlio, apprendendo fortemente che abbia da trovarsi ai Santi ancora del tutto sprovvisto, sicché conviene ch’io scriva con tutta premura a Sineo, Botta, P. Baud, Casa Amante, e a chi ho mai potuto sapere per soddisfare detta Signora C[ontessa] S[aint] G[eorges]. L’Abatin però è tranquillo, e sta alla Provvidenza.
Quantunque io non abbia speranza alcuna umana del mio ritorno a Torino (giacché se mio Padre continua in tale stato, mi è affatto impossibile) pure io spero fortemente nel S. Cuor di Gesù, e particolarmente spero nella prossima novena di S. Teresa, in cui farò anche pregare da altri per tale intenzione; il Signore ha mille mezzi a noi ignoti per trarmi d’ogni difficoltà. Se tale sarà la sua santissima volontà. Ma siccome conviene provvedere le cose anche secondo le leggi della prudenza, perciò conviene che P[adre] D[iessbach] e V. S. esaminino lo stato futuro delle cose in caso di mia assenza, moralmente certa parlando umanamente, e quindi pensino a provvedervi, perché S[aint] G[eorges] dovendo prender la licenza, e quindi attendere più di proposito agli studi, non sarà in caso d’attendere a tutte le cose agibili dell…, e quand’anche avesse il tempo non so se sarebbe abbastanza al fatto delle cose, inoltre 1’… correrebbe rischio perché S[aint] G[eorges] per la detta ragione non può comporre, come neppur Botta, il T[eologo] S[ineo] neppure può far l’istesso, come abbiam già sperimentato, nè vi sarebbero altri, perché dei Filippini non si può farne caso, sicché non vi sarebbe che l’… che nonostante spero continuerà a fiorire: da questo, e da altre ragioni che eglino prevederanno meglio di me, ne verrebbe per conseguenza che sarebbevi necessaria la persona di V[irginio]; pure per altra parte capisco che V[irginio] dovrebbe rimaner costì per 1’…; dovrebbe anche recarsi a M[ilano] per 1′.., Eglino esaminino, decidano; ma spero che il S. Cuor di Gesù, e S. Teresa spianeranno ogni cosa. Quanto a me dispongano, decidano ch’io son pronto ad ogni cosa per l’…, quand’anche dovessi andare…
Non ha guari che ho ricevuto lettera da Torti, mi diede nuove della futura… che si spera, mi significa pure che [non] ha ancora ricevuto i libri; ho scritto in seguito a Peila che mi risponde esser essi sicuramente giunti alla loro destinazione, non v’è altro se non che gli scriva a chi sono stati indirizzati dai Signori Peila perché li ripeta da essi. Mi rallegro pure dell’Aa che V. S. introduce costì.
Dal giornale di Luxembourg ricavo che la Storia Ecclesiastica di Bercastel è assolutamente buona, e inoltre che è fuori l’ultimo tomo del Dizionario di Flexier de Reval, vedano se loro è più comodo il procurarlo da quelle parti; finora non ho ancora ricevuta l’accusa della lettera di cambio mandata in pagamento degli altri tomi al principio di luglio. Peila m’assicura pure che ha avuto suo corso, ma avran dimenticato darmene riscontro.
Ho ricevuto nel giornale un biglietto in cui lo stampatore avverte M. Durad essergli debitore di L. 16,10 de France per la soscrizione del Giornale di quest’anno, non so che debba farne, se debbo inviarlo a M. Bocard: mi risponda su questo punto, e mi significhi pure quando P[adre] D[iessbach] pensa di ritornare a Torino. Il Sig. Canonico Rocchetta mi ha imprestato il Capo delle Costituzioni della Compagnia con tutte le Sue Bolle etc. etc. Vol. 4 in-4°; vorrebbe disfarsene, dice che egli ha dato L. 60 per averlo, veda se alcuno volesse comprarlo, altrimenti io non mancherò di prenderlo se potrò averlo a prezzo. M… mi lascia di riverire P[adre] D[iessbach]; ha le febbri, credo che non si sia mai più accostato ai Sacramenti, io posso vederlo ben di rado, ne parli con P[adre] D[iessbach]. Suo Signor Padre sta bene: nè la…, nè io abbiam guadagnato al lotto [ossia Lotteria]; i numeri sono i seguenti in ordine di estrazione: 23150 – 7121 – 26505 – 10406 – 9562 – 20323 – 20408 – 12060 – 66. M[adame la] C[ontesse] S[aint] G[eorges] e l’Abatin mi lascian di fare i lor complimenti; i miei ossequi a P[adre] D[iessbach]; mi raccomando caldamente ai loro S. S. avendone gran necessità per tutti i versi; e di cuore abbracciandola la lascio nel S. Cuor di Gesù.
In fretta. Cuneo, li 28 settembre 1784.
L[anteri]
DOC. XXIV
EPISTOLA P. Nicolai de Diessbach S. I. ad quemdam Sacerdotem in qua suam existimationem erga Servum Dei patefacit, anno 1786, 6 februarii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 396.
II destinatario di questa lettera non ci è conosciuto, ma, come si vede dal contenuto, deve essere un giovane sacerdote appartenente all’Amicizia Cristiana o all’Amicizia Sacerdotale di Torino. Tra lui e il Lanteri, allora giovanissimo, esisteva una relazione spirituale, e il Padre de Diessbach approva pienamente che il giovane sacerdote si affidi al Lanteri. Ciò sta a confermare la stima che il predetto Padre nutriva per il suo diletto discepolo Lanteri.
Amico carissimo in G. C.
Mi ha consolato indicibilmente la tua bellissima lettera in cui ti spieghi così bene. Comandami pure e sappi che ex toto corde prendo interessamento per te; confida moltissimo in Dio. Vedrai che tutto prenderà buona piega di somma e stabile tua consolazione. Inerendo al tuo desiderio invio a Lanteri la stessa tua lettera e, se vuoi, comunica al medesimo anche questa. Dunque ti esorto enixe a fare i santi esercizii. Intenditi, sul modo, con L[anteri] e fagli pacifice, con calma, senza usare penitenze o tenore di vita troppo penoso. Valtiti in essi per la lettura (e falla abbondante) del Personio e del Cattaneo d’amen due i suoi volumi; per meditare o esami Bourdaloue, Retraite, quando però non abbi piacere delle meditazioni dello stesso Cattaneo o Personio. Non confessione generale, ma solo da que 4 o 5 anni indietro. Fatti gli esercizii, ti esorto alle seguenti letture: 1° Santa Teresa; 2° S. Bernardo; 3° il Theatrum asceticum di Neumaïer; 4° la 2a parte di Rogani; 5° l’Asia e l’Inghilterra del Bartoli. Intanto studio forte nel comporre cose predicabili. Sei capace. Usa applicazione. Lo stile della tua lettera è eccellente per cose instruttive. Nello stesso tempo renditi pratico ben bene di spezieria.[6] Finalmente cerca ad essere ammesso a lavorare e lavora enixe e con gran carità. Ecco la tua serie. Se la intraprendi con gran cuore e la prosiegui con costanza troverai grandi aiuti di Dio, gran consolazione e gran pace. Lanteri s’impresterà a tutto, tutto ciò che vorrai da esso, e fidati di Dio, di cui certamente così siegui la voce. Prega per me e credimi di cuore in G.
6 feb. 86 [1786].
Aff.mo Diessbach.
DOC. XXV
EPISTOLA Servi Dei ad Sacerdotem Ludovicum Virginio huiusque adnotationes variae circa Christianam Amicitiam, Aug. Taurinorum anno 1802, 2 septembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 1501.
La presente lettera è senza indicazione del destinatario, ma dal contenuto lo possiamo identificare nella persona di Don Luigi Virginio che trovavasi allora a Firenze, dove il 6 ottobre fondava una «Conversazione Cristiano-Cattolica», specie di società letteraria segreta, anche questa a scopo di apostolato (cfr. Atto di fondazione conservato nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 200). Da questa Conversazione, chiamata in seguito «Accademia Cattolica» e costituita da un gruppo scelto di Amici Cristiani Fiorentini (cfr. Doc. XXVII), ebbe origine il giornale mensile, religioso-letterario, detto L’Ape, che uscì per la prima volta il 30 agosto 1803 e cessò il 31 luglio del 1806.
Da questa lettera apprendiamo che il Servo di Dio, invitato a Firenze nell’autunno del 1802, si scusava di non poter per allora intraprendere tale viaggio che però effettuerà l’anno appresso alla stessa epoca. Interessante in questa lettera è una serie di appunti scritti sul verso del foglio da Don Virginio, probabilmente in vista di una lettera al Lanteri, come si può pensare considerando attentivamente il loro contenuto. Questi appunti sono preziosi per le notizie che contengono circa l’Amicizia Cristiana e circa la collaborazione del Servo di Dio con Don Virginio nella direzione della medesima.
Carissimo,
Ho pensato e ripensato al progettato viaggio, quale non potrebbe essermi di maggior consolazione, ma non so risolvermi ad effettuarlo, essendo troppo duro e crudele abbandonare tante persone nell’ultima desolazione; ne ho ancora parlato col M[archese] Z[ei, ossia d’Azeglio] quale è pure del mio avviso. Dunque altro non rimane se non che vi risolviate voi a passar per queste parti per far il vostro ritorno. Capisco che è una diversione non indifferente, pure mi pare indispensabile, tanto più se vi sta a cuore di parlare a M[archese] Z[ei] quale fino alla metà del venturo non potrebbe rimettersi in viaggio, e ancora ne è dubbioso. Non mi trattengo di più perché il tempo mi manca, tanto più sperando di quanto prima abbracciarvi. O. S. (?) V.
Torino, li 20 settembre 1802.
T. V. Aff.mo
L[anteri].
Nota retroscritta di appunti, redatta di proprio pugno dal Virginio, come ci risulta dal confronto calligrafico con una sua lettera autografa.
Importanza e mezzi di corrispondere par Florence.
Stato d’A[micizia] C[ristiana]: Roma, Vienna, Varsavia, ici
Bisogno che venga 1° Qui: mali, risorse, speranze; bisogno di sostenerle e dilatarle. 2° Mil[ano], non lasciar cadere; speranze di soggetti. 3° Si fieri possit Genova, ibi Conte Balbi e sua moglie, Marchese Grimaldi.
Mandi Utili, Massime Voyageur, di cui Avvocato Verna ha copia. Item addizioni a Catalogo. Item scritti e memorie di P[adre] D[iessbach]. Vicissim si faccia mandare da Z[ei], Utili e Addizioni o copia di nuovo Catalogo.
Formi soggetti Ecclesiastici A[mici] C[ristiani]: 1° per supplirlo in ogni evento; 2° per fornire le altre A[micizie] C[ristiane]; 3° per dilatar sfera di operazioni; 4° per scaricarsi personalmente di operazioni, ed aumentar speculazioni; Per formarli, mandarli anche si expedit a viaggiare nelle A[micizie] C[ristiane]; ma dopo d’esservi stato esso: anche a Vienna (se ha nunc qualche soggetto).
Testamento per me da correggersi.
Mandi istruzioni e casse di missioni.
Vi spedirò libri; ditemi se vi è inconveniente.
Sia o trovi corrispondente di Accademia Cattolica e di Giornale per libri e nuove interessanti la Religione.
Mandi libro d’Aa per le meditazioni ebdomadarie.
Procuri di terminar presto conto di P[adre] D[iessbach].
DOC. XXVI
ORDO RERUM AGENDARUM in coetu Amicitiae Christianae Mediolanensis, anno 1803, exeunte mense novembri. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 209.
Dopo la permanenza a Firenze di oltre un mese (ottobre-novembre 1803), il Servo di Dio si recò a Milano (fine novembre) per visitarvi l’Amicizia Cristiana, fondata tra il 1783 e il 1785 da Don Virginio. Quest’Amicizia annoverava fra i suoi membri vari Signori e signore dell’aristocrazia cittadina ed alcuni sacerdoti; tra tutti meritano di essere ricordati: Don Riva Palazzi, il Teologo Mascarani e il conte Francesco Pertusati (1741-1823), buon letterato e indefesso autore e traduttore di opere ispirate ai principi dell’Amicizia cristiana, col quale collaborava la sua Signora, donna di profondo spirito cristiano. (Sull’attività del Pertusati cfr. G. Baraldi, Notizia biografica sul Conte Pertusati, in Memorie di Religione, di morale e di letteratura di Modena 1823, vol. IV, pp. 303-336). A quanto sembra l’Amicizia Milanese aveva la sua sede in casa Pertusati, ora palazzo Melzi, dove si trovava la biblioteca (cfr Doc. XXVIII, 5 b, pag. 117).
Tra i pochi documenti sinora conosciuti dell’Amicizia Cristiana Milanese, il più caratteristico è quello che qui pubblichiamo. Si tratta di un ordine del giorno per un’adunanza, preparato dal Lanteri e discusso sotto la sua direzione. Tutta la materia sottoposta ad esame è disposta schematicamente ed ogni punto discusso porta accanto la risoluzione presa (cfr. anche Doc. XXVII pag 105 e seg.).
Per noi l’importanza di questo documento sta nel fatto che ci permette di cogliere al vivo un momento dell’attività del Servo di Dio in favore dell’opera cui attendeva con tanto fervore da più di un ventennio.
Per facilitare la lettura abbiamo messo in corsivo le risoluzioni prese.
MODO D’IMPRESTARE I LIBRI.
1° Gl’inamovibili con somma cautela, a soli Amici, e si dovranno restituire in effettivo. Ammesso.
2° I doppi con maggior facilità, e anche con qualche rischio di perderli. Ammesso.
3° Si determini il soggetto che sia il centro a cui si indirizzeranno gli altri Amici per aver libri della Biblioteca, e questi terrà registrato i libri che impresta, e a chi li impresta, scancellando i restituiti. È fissato l’Abate Riv[a] P[alazzi] (quale deve frequentar maggiormente la C[asa] P[ertusati]).
CATALOGO.
Si manderà da L[anteri] un completo: Generale per alfabeto, classificato, de’ squisiti, de’ fortissimi. Ammesso e si starà attento all’occasione.
STABILIR COMUNICAZIONI CON T[orino] E F[irenze] PER QUESTO FISSARNE.
La A[micizia] C[ristiana] col suo indirizzo per il carteggio: Ab. Ri[va] Pa[lazzi], contrada del Monte di S. Teresa n.° 856.
Il Libraio col suo indirizzo per le spedizioni: Giuseppe Bonacina sul Corso di Porta Orientale di contro casa Aresi.
Firenze M. Z. P. R. [Marchese Zei, ossia d’Azeglio e Priore Ricasoli]. Torino L. e T. G. [Lanteri e Teologo Guala].
COMUNICARE LA NOTA DI LIBRI.
Ammissibili a Catalogo per participarla ai Bibliotecari, affinchè ne portin giudizio definitivo di comun consenso. Ammesso.
Tradotti o stampati da qualche A[mico] C[ristiano] per procurarne l’esito favorevole. Ammesso.
FORMAR CARTA GEOGRAFICA A DUE LIBRI.
Delle persone dotate di zelo, pietà, prudenza. Con apporvi a ciascuna qualità il segno: A, se è esimia; a, se è più che ordinaria; b, se è solo ordinaria; niun segno se tal qualità manca o non è abbastanza conosciuta. Ammesso.
PER «L’APE» DI FIRENZE.
Procurar associati, e cooperatori. Procurar notizie religiose, e profane. Ammesso per quanto si può.
PROPORRE SOGGETTI NUOVI.
Conte Andriani. Ammesso, e da cercarsi il modo.
Conte Meleri le jeune. Da coltivarsi per questo, consegnato all’A. T. [Amico Teologo?].
Proposto Nava e suoi fratelli. Non per ora.
Fra i proponibili: Ab. Proti; Curato Sisto; Curato Bonanomi; Marchesa Viani; Donna Teresa Dugnani. Assegnati allo zelo del T[eologo] Mascarani.
NON PERDER DI VISTA LA SACERDOTALE.
Subito che si possa, e per questo sarebbe opportuno l’Abatino Luigi Breme. Ammesso, e L[anteri] mandi lo scritto a questo proposito.
NON DIMENTICARE IL GABINETTO LETTERARIO.
Cura al Teol. Mascarani.
A[micizia] C[ristiana] OGNI PRIMO VENERDÌ.
Senza formalità.
ASSICURARE BIBLIOTECA.
Da prendersi in considerazione in un’A[micizia] C[ristiana].
BIBLIOTECA, MATERIALE ORDINATO, E CLASSIFICATO IN LIBRI.
Ascetici; Predicabili; Storici: sacri p. e. Storia ecclesiastica, Vite, profani o misti; Teologici: polemici contro: gli empi, i giansenisti, gli altri eretici; Scolastici; Moralisti; Canonisti; Poetici; Filosofici, e misti. Ammesso per quanto si può.
N. B. TUTTI I DOPPI A PARTE.
In qualche modo pure classificati. Ammesso ut supra.
MEZZI D’AMPLIARLA.
1° L’osservanza della regola che suggerisce d’espiare con donazione di qualche libro o con altra elemosina per quest’effetto la mancanza alle regole, come lettura, meditazione quotidiana, esercizi ecc. [7]
2° Ciascuno ogni anno (oltre l’importare del fìtto) contribuisca qualche volume, p. es. de’ libri a catalogo; oppure un equivalente a suo arbitrio in denaro, il registro delle quali donazioni si leggerà una volta l’anno in un’A[micizia] C[ristiana]. L’Ab. Ri[va]-Pal[azzi] è pregato ricordarlo ai soggetti.
3° Profittare de’ libri dell’Ab. Pr[oti?] con le seguenti con dizioni:
1° Mettere in libreria que’ soli ammessi a catalogo;
2° appor loro esternamente un segno ben visibile per distinguerli, e quale debba apporsi: Pr. dentro e fuori;
3° imprestarli con somma riserva perché debbono restituirsi in effettivo (eccettuati i rari);
4° restituirli tutti, e smembrarne la libreria quando sia duopo. Ammesso.
DOC. XXVII
SERMO a Servo Dei habitus coram Amicis Christianis, Aug. Taurinorum an. 1804 denuo congregatis, quo indolem et statum Amicitiae Christianae describit, anno 1804. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 210.
Il Lanteri, dopo aver infuso con la sua visita nuove energie vitali nelle Amicizie di Firenze e di Milano, si adoperò attivamente per far risorgere quella di Torino, «disfatta ed annientata» dalle tristi vicende politiche che avevano messo a soqquadro tutto il Piemonte. Durante questi tristi frangenti, cioè l’invasione Francese del 1798, la conseguente caduta della Monarchia e l’aggregazione alla Repubblica Francese nel 1802, l’Amicizia Cristiana dovette trafugare parte della sua biblioteca in Svizzera e parte nasconderla nelle soffitte. Tuttavia non sospese del tutto la sua attività, poiché da un libro di conti per gli anni 1797-1801 (Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 198) vediamo che l’acquisto dei libri continuava. L’Amicizia Cristiana di Torino riprese però soltanto nel 1804 la sua vita normale. A questa occasione il Servo di Dio tenne un discorso agli Amici, nel quale espose i capisaldi dell’Amicizia e lo stato in cui essa si trovava nei vari centri di diffusione.
Questo discorso costituisce il presente documento, il quale, mentre ci offre dati preziosi non altrimenti conosciuti per la storia dell’Amicizia Cristiana, ci discopre sempre più lo zelo di cui era animato il Servo di Dio.
Per facilitare la lettura del documento abbiamo introdotto titoli e sottotitoli; nella trascrizione del testo si è tenuto conto delle numerosissime correzioni dovute allo stesso Servo di Dio.
Giacché il Signore Iddio ci ha fatto la grazia di rinnovarci la nostra Amicizia Cristiana, e rendercela composta per la maggior parte di nuovi Amici Cristiani, io credo opportuno per questa prima volta che abbiamo la consolazione di vederci assieme uniti per così buona causa, dover porre innanzi agli occhi di tutti gli Amici tre punti di vista: 1° in che consista la nostra Amicizia Cristiana – 2° in quale stato si trovi presentemente – 3° di quali cose dobbiamo subito occuparci; tre punti, a mio giudizio, tanto più necessari d’esaminarsi per meglio comprendere ove consista la sostanza e lo spirito dell’A[micizia] C[ristiana], quale solo sembra prudente per ora di seguire, allontanando ogni altra formalità, affinchè così non ne risulti che l’idea d’una semplice e intera amicizia cristiana, siccome veramente si chiama, e non già di alcun corpo dalle sue leggi, impieghi, e formalità, organizzato e composto.
CHE COS’È L’AMICIZIA CRISTIANA
Scopo. – In che consiste dunque primieramente la nostra Amicizia Cristiana? Il suo scopo come ognun sa si è di contribuire per quanto si può perché Dio sia glorificato, e le anime si salvino, con far regnare in noi e negli altri le virtù cristiane, particolarmente le teologali: Fede, Speranza, Carità, come quelle che maggiormente onorano Dio, e necessarie sono alla salute.
Doppio si è dunque lo scopo della nostra A[micizia] C[ristiana] l’avanzamento nostro in primo luogo, in secondo luogo la salute altrui. Si provvede primieramente in essa all’avanzamento nostro spirituale, e questo appunto giusta la sentenza del Divin Redentore: «Quid prodest homini si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?» Mezzi. – Vi si provvede poi con i mezzi più proprii e conducenti a tal fine quali sono, oltre la raccomandata frequenza particolare dei Sacramenti, l’esercizio ancora quotidiano che particolarmente vi si professa, di meditazione e lettura spirituale, quale tanto più fruttuoso ci si rende quanto più scelti e adattati verranno i libri suggeriti dalle cognizioni particolari che nell’A[micizia] C[ristiana] si acquistano.
Aggiungasi l’incoraggiamento grande che giusta l’avviso di S. Francesco di Sales e S. Teresa ci procura l’istessa amicizia spirituale tra di noi contratta, e il così efficace vicendevole buon esempio, senza parlare poi dell’efficacia della vera e tenera divozione così propria degli Amici Cristiani verso il Sacro Cuor di Gesù, simbolo e pegno del suo amore immenso verso di noi, e unica sorgente d’ogni grazia e virtù; come pure della devozione verso Maria Santissima, S. Giuseppe e Santa Teresa, nostri speciali protettori, senza parlare ancora delle altre grazie speciali che per la nostra santificazione si acquistano, annesse alla pratica soda delle opere di misericordia spirituale che sogliono praticarsi nell’A[micizia] C[ristiana], grazie particolarmente fondate su quelle consolanti parole della S. Scrittura che dovrebbonsi tenere sempre a caratteri d’oro impresse nei luoghi delle nostre adunanze: «Qui ad iustitiam erudiunt multos fulgebunt tamquam stellae in perpetuas aeternitates» (Dan. 12), ed altrove: «Qui converti fecerit peccatorem ab errore viae suae salvabit animam eius a morte, et operiet multitudinem peccatorum» (Iac. cap. ult.).
Tanto più poi se s’aggiungono ancora ogni anno i S. Esercizi spirituali, e di più alcuni giorni di solitudine tranquilla per pensare al modo d’animarsi maggiormente nel servizio di Dio, e meglio giovare e contribuire alla salute altrui, siccome vien consigliato ancora nei nostri stabilimenti.
Formazione spirituale degli Amici Cristiani. – Chi non vede come tutti questi mezzi efficacissimi sono per portarci viemmaggiormente alla pratica della più soda e vera virtù, e renderci tali quali ci desidera la nostra A[micizia] C[ristiana], cioè che ognun di noi possa dire con sincerità a se stesso: veramente io non riconosco in me desiderio alcuno più forte, o almeno ugualmente forte, di quello di far regnare Gesù Cristo nel mio cuore e nei cuori di tutti gli uomini del mondo, tanto meglio poi se uno giungesse a poter dire ancora essere in lui questo desiderio divenuto così forte, da esserne diventato la sua passione predominante, onde fosse costretto a esclamare col grande zelatore delle anime nostre: «Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur?».
Tali sono dunque i soggetti che cerca la nostra A[micizia] C[ristiana] di formare e perfezionare sempre più coi mezzi sopra mentovati appunto per meglio riuscire nell’altro suo scopo principale summentovato, di cercar cioè di far regnare Gesù Cristo nel cuore ancora degli uomini di tutto il mondo, poiché se uno non ama Dio ben ardentemente, come potrà essere portato a cercare tutti i mezzi più proprii a dilatare la sua gloria, e farlo amare anche da tutti? Come comprenderà l’importanza dell’oggetto che gli si propone, ed egli abbraccia? Come vorrà consacrarvi tutti i suoi pensieri, tutte le sue azioni, tutti i suoi momenti liberi, tutto se stesso, se egli non è fedele alle leggi del santo amor di Dio che dee infiammarlo?
Spirito Apostolico degli Amici Cristiani. – Che se egli è fedele, allora sì che si sentirà portato da se stesso (com’è suggerito nell’Analisi de’ sentimenti d’un amico cristiano quale si desidera) a percorrere, dico, con occhio avido ed attento tutta la superficie abitata della terra con desiderio di sommetterla tutta a Gesù Cristo se fosse possibile, anche a prezzo di mille vite, e vedendola così coperta d’errori e di vizi così radicati in tutte le nazioni conosciute, e osservandovi inoltre l’indolenza così letargica in cui giace la maggior parte degli uomini su tutto ciò che riguarda Dio, i lor doveri, l’eternità, ne diverrà sommamente sensibile, e ne gemerà di dolore, lungi però dallo scoraggirsi cercherà per supplire alla propria debolezza dei soccorsi da tutte le parti, e convinto dall’esperienza non esservi in questo genere soccorsi più efficaci che quelli che nascono dalla cooperazione de’ sinceri amici di Dio, e dall’uso de’ libri buoni che contengono la spiegazione o l’applicazione di sua santa parola, tenterà allora d’unirsi sempre più inviolabilmente ai primi perché l’aiutino a dare a’ secondi quel sistematico impulso il quale moltiplicatosi poco a poco in tutte le parti della terra, dovunque cioè si pensa e si legge, faccia conoscere e sentire a tutti gli uomini docili alla grazia di Dio, che il lor più indispensabile dovere, e principale interesse più essenziale del loro vero bene, esigono l’abbracciar la vera fede Cattolica Apostolica Romana, l’osservar la legge santa di Dio e della Chiesa, abbracciar tutti i mezzi per avanzarsi nella pratica delle vere e sode virtù, particolarmente della Fede, Speranza, Carità, che, è appunto come dissi il secondo scopo principale dell’A[micizia] C[ristiana] di cui è duopo ora svilupparne maggiormente i mezzi particolari ch’ella propone e indicarne ancora l’estensione a cui aspira.
Doveri degli Amici Cristiani: conoscere i libri buoni e mettersi in relazione con le persone dabbene. – Ognun vede che per ottenere un tale intento conveniva conoscer i libri buoni, e averne un fondo, conoscere persone dabbene per legare con esse, e servirsene opportunamente, e finalmente aver regole di direzione per la circolazione de’ libri, per facilitare e render più utile che si poteva l’esecuzione di tale impresa. E per tutto questo appunto non potea suggerirci la nostra A[micizia] C[ristiana] mezzi più opportuni ed efficaci, siccome vedremo.
Convien dunque primieramente conoscere i libri buoni, e per questo ci mette in mano alcuni Catalogi opportunissimi: il Catalogo generale assai vasto, che costò non pochi stenti a chi lo compose, disposto in ordine d’alfabeto per trovar più facilmente i nomi degli autori; un altro Catalogo vi è in otto classi diviso secondo i diversi principali bisogni, e le diverse particolari disposizioni de’ lettori a’ quali voglionsi suggerire od imprestare con frutto dei libri; vi è ancora un Catalogo più breve detto de’ fortissimi, e un’altro degli squisiti, ossia de’ libri scritti con maggior gusto in materia di controversia e di pietà, per così averli più facilmente e più presto sotto l’occhio in un bisogno. Ma siccome non basta tal volta saper il solo frontispizio del libro per suggerirlo efficacemente, ma d’uopo è ancora lodarlo, e darne qualche idea per farne venir voglia, per questo uopo era averne qualche notizia più distinta di ciò che trattasi in tal libro, e del modo con cui trattasi, perciò la nostra A[micizia] C[ristiana] c’introduce in una Biblioteca sufficientemente fornita di libri che inamovibili si chiamano, perché tai libri mai non si debbono imprestare che in casi rari ai soli A[mici] C[ristiani] e per brevissimo tempo. Biblioteca ella è questa in più classi divisa, di polemici cioè, ascetici, istorici, poetici, e filosofici, e questo affinchè possano i libri di tal categoria desiderati affacciarsi in un tratto all’occhio, e presentitarsi alla mano di chi li vuole sul luogo esaminare, e consultare, e scegliere tra li esistenti i migliori ancora, per più opportunamente proporli.
Con questi soli due mezzi dei Catalogi cioè sopramenzionati, e della Biblioteca inamovibile, chi non vede con quanta facilità può uno suggerire libri ad ogni ceto di persone e per ogni bisogno opportuni, p. e. Dame, Secolari d’ogni qualità e grado, e fornir ancora ad Ecclesiastici una sufficiente nota di libri eccellenti che forse non sarebber altrimenti mai conosciuti non che letti, onde ciascuno formar si possa una piccola, scelta, ed adattata Libreria, escludendo così senza che s’accorgano i libri cattivi, o men buoni che impedir potrebbero molto bene, cagionar anzi danno immenso, siccome l’esperienza purtroppo cel convince, sicché da ciò solo ognun può arguire il bene immenso che può promuoversi con questi soli due mezzi.
Per conoscer poi le persone dabbene la nostra A[micizia] C[ristiana] propone che comunichi ciascuno le notizie che ha di tutte le persone dabbene le quali sa esser dotate di pietà, zelo, e prudenza, significandone ancora da più a meno i gradi di tali qualità, per formarne quindi una carta geografica universale onde poter profittare all’uopo della prudenza e del zelo di tali persone, consultando assieme nell’occasione il modo di approssimarle, o legar con esse per ottener il nostro intento; ne occorre indicare quivi qual bene immenso possa risultarne anche da questo sol mezzo.
Conosciuti così i libri e le persone, convien aver fondo di libri per imprestarli, e per questo vi ha da essere un’altra biblioteca detta degli amovibili, onde ciascuno Amico Cristiano possa all’occorrenza, e con facilità scegliere secondo i diversi bisogni, e profittarsi di tai libri per imprestarli; suggerisce ancora la nostra A[micizia] C[ristiana] alcune regole di direzione che debbono poi essere alle mani di tutti per riuscir così ad imprestarli con maggior frutto. E questi sono i primi mezzi adottati dall’A[micizia] C[ristiana] efficacissimi come ognun vede per ottener l’intento che si è prefisso, e che ci propone.
Ma è forse contenta, la nostra A[micizia] C[ristiana] di far conoscere i libri che sono ammessi a Catalogo, e tutte le persone dabbene che esistono? No, ma sollecita di perfezionare i suoi mezzi, e le sue viste, cerca ancora di conoscere i libri buoni che escono alla luce, o i vecchi ancora ch’ella peranco non conosce, suggerendo per questo agli amici di girar ogni settimana per le botteghe de’ Librai ed esaminar i loro catalogi e trattener corrispondenza e carteggio con altri paesi, onde arricchire così, e perfezionare maggiormente i nostri; come cercar altresì di formar altre persone dabbene dotate, come si disse di sopra, di pietà, zelo e prudenza, e fissando per questo lo sguardo su tutti i ceti di persone, massime poi sugli Ecclesiastici, e su que’ Secolari che più capaci ne sono e maggiormente influir potrebbero secondo le nostre viste, intraprendere a coltivare i Chierici quando si può con assemblee di pietà, i giovani Sacerdoti con scuole di predicazione, massime della più utile e fruttuosa, come esercizi e missioni, i giovani Confessori con agapi cristiane, i secolari con coltivature forti e continue, a tutti sempre opportunamente imprestando libri, comunicando notizie di altri libri buoni, ispirando l’idea di spargerli anche essi.
Ma è ella forse la nostra A[micizia] C[ristiana] contenta di questo? Tutto questo è secondo le sue viste primarie, abbraccia poi ella ancora secondariamente tutto ciò che può promovere maggiormente la gloria di Dio e la salute delle anime, ond’ella è pronta ad intraprendere ancora tutto il bene che può farsi, a impedire tutto il male che può venir a sua cognizione ed abbracciar tutti i mezzi per riuscirvi come può vedersi in modo più specificato nel manoscritto intitolato: Plan de bonnes œuvres.
L’Amicizia Sacerdotale. – Per dilatar maggiormente la cognizione della dottrina di Gesù Cristo e nella maniera riconosciuta dall’esperienza più efficace, in iscritto non solo ma anche a voce, [un’altro mezzo] è stato subito adottato dalla nostra Amicizia, e si è lo stabilimento della Sacerdotale. Consiste questa in un’adunanza di giovani Ecclesiastici che si sono indotti 1° a comporre un corso d’esercizi spirituali secondo il metodo di S. Ignazio, inducendoli per questo a servirsi de’ nostri libri a Catalogo per comporre sempre meglio; in 2° luogo a dare in ogni adunanza notizia d’un qualche libro buono per incominciar così ad acquistare essi stessi indi spargere poi tale cognizione così interessante di libri buoni negli altri, e renderla tanto più fruttuosa nel loro ministero.
Conclusione. – Questi sono i mezzi di cui sogliamo occuparci abitualmente, ve ne sono infiniti altri de’ quali ci prevaliamo soltanto all’occasione come promovere per esempio esercizi, missioni, stampe, o ristampe di libri, giornali, immagini etc. Proporre ottimi soggetti negl’impieghi etc. Vedi Plan de bonnes œuvres, plan d’imprimerie, instruction pour le voyageur.
Nè queste sue mire così vaste si contenta l’A[micizia] C[ristiana] di estenderle in un sol paese ma volge attentamente lo sguardo per tutte le contrade del mondo, e dappertutto desidera e tenta di far vieppiù conoscere e regnare Gesù Cristo. Perciò suggerisce ella con le opportune istruzioni dei viaggi da farsi per fondar dovunque può delle nuove Colonie, far nuove conoscenze di persone dabbene, o almeno stabilir corrispondenza con esse e con Librai, acquistar notizie riguardanti i libri o qualunque altra cosa che interessar ci possa per perfezionare così maggiormente i mezzi e le viste che abbiamo, a influire ancora dovunque possiamo per promovere ogni sorta di bene, e impedire ogni genere di male, non essendovi nè luogo, nè persona nè cos’alcuna che possa riferirsi alla gloria di Dio e salute delle anime, e quindi interessar da vicino il sacro Cuor di Gesù, che nello stesso tempo non interessi pure un vero Amico Cristiano.
Quest’è l’idea genuina dell’A[micizia] C[ristiana], e questo il suo vero spirito che ci siamo prefissi di seguire e di cui come ognun vede non può esservi oggetto più sublime perché va a secondar così gli stessi disegni dell’Uomo-Dio; più vasto, perché s’estende a ogni bene, a ogni persona, ad ogni luogo; e finalmente più utile alla nostra santificazione e alla salute del nostro prossimo.
STATO DELL’AMICIZIA CRISTIANA NEL 1804
Vediamo ora in quale stato si trovi presentemente questa nostra A[micizia] C[ristiana], che è ciò che ci siam proposti a considerare in secondo luogo.
Già ella vi fu da lungo tempo, e fece per lo passato del bene immenso come può vedersi dal manoscritto: Que faisons nous, e dopo d’essere stata per le presenti calamitose circostanze come disfatta e annientata risorge ora di nuovo per grazia di Dio fornita degli opportuni catalogi, con una considerabile Biblioteca degl’inamovibili, oltre qualche piccolo fondo degli amovibili, e risorge con relazione e corrispondenza già stabilita con alcune principali città dell’Europa con Vienna cioè, con Milano, con Firenze, ove già stabilite erano delle Colonie nostre, come stabilite pure già se n’erano alcune in Francia, prima dei presenti guai.
Amicizia Cristiana di Firenze. – Ed è appunto per ristabilire e stringere maggiormente questa corrispondenza che, unitamente al Signor C[onte] Gr[imaldi], nostro A[mico] C[ristiano], è stato intrapreso quest’autunno scorso il viaggio per Firenze e Milano del quale ne darò qui un succinto ragguaglio perché maggiormente si comprenda lo stato attuale delle nostre cose.
Erasi dunque da lungo tempo progettato questo viaggio, ma per le calamitose circostanze de’ tempi e altre circostanze personali, non si è potuto intraprender prima dell’autunno scorso; e ci toccò per questo di giugnere colà in Firenze in tempo delle solite villeggiature, epperò stante l’assenza della maggior parte degli amici e di altre persone interessanti, da detta villeggiatura cagionata, non abbiamo potuto intraprendere subito cosa alcuna, anzi ebbi il dispiacere di veder partire l’A[mico] C[ristiano] C[onte] Gr[imaldi] che per i suoi affari non potea trattenervisi di più, e dovetti prolungar io la mia dimora fin a tempo opportuno. Frattanto, sulla speranza di stabilir colà in Firenze una Sacerdotale che non c’era ancora, ed era sommamente interessante, ho profittato del tempo per fare uno scritto in cui potessero aver un’idea più chiara di quanto dovevasi praticar nella Sacerdotale uniformemente a quanto si praticava da noi. Finito questo scritto, rimanendomi del tempo, ho intrapreso un altro viaggio di alcuni giorni fino a Montepulciano; mio scopo era di tentare presso quel Vescovo così degno, e così zelante, amico intimo di alcuni nostri amici, qualche stabilimento riguardo massimamente ai Chierici, e giovani Ecclesiastici relativamente alle nostre viste, ma vano riuscì ogni mio tentativo per difetto di soggetti, sebbene non sia rimasto affatto fuori di speranza di riportarne ancora qualche frutto, perché dopo d’avermi dimostrato egli tutto il più vivo rincrescimento di poter niente effettuare nella sua Diocesi, mi promise di comunicare al Vescovo di Cortona, Prelato di sommo merito, e di gran zelo, e suo intimo amico, i miei progetti, e non disperava di riuscir colà qualche cosa.
Frattanto giunsero Tutti i Santi in cui quasi tutte le villeggiature furono finite, ed ho avuto la consolazione di veder subito colà incominciare e stabilirsi la Sacerdotale, ed ho potuto intervenirvi ancora a tre adunanze che non potean desiderarsi meglio formate e ordinate; i soggetti erano al numero di otto, parte Chierici, parte Sacerdoti novelli, e ve n’eran già altri in vista. Si trovano tutti sotto la direzione d’un nostro amico C[ristiano], Teologo Saccardi (?), di sommo merito, che unisce ad una somma dottrina, pietà, zelo e prudenza, la confidenza anche di tutti, ma la cui gracilissima sanità ci fa ben soventi temerne la perdita che sarebbe purtroppo di somma conseguenza, sicché non posso a meno di raccomandar un sì prezioso soggetto al l’orazione di tutti perché il Signore ce lo conservi lungamente. Di questa nuova Sacerdotale ebbi pochi giorni sono la consolazione di sentire per lettera, che continuava con tutto l’impegno di prima.
Nello stesso tempo poi che si stabiliva questa Sacerdotale ho pure potuto assistere in una campagna d’un nostro A[mico] C[ristiano] non lungi da Firenze tre altri A[mici] C[ristiani] ne’ loro Santi Esercizi di otto giorni, il che mirabilmente giovò per legar sempre più seco loro, e stabilir più stretta corrispondenza. Quanto poi all’A[micizia] C[ristiana] di Firenze, ella è molto bene ordinata, si radunano comunemente ogni settimana ed è composta di eccellenti soggetti che erano già in perfetta e continua corrispondenza con l’A[micizia] C[ristiana] di Vienna, e presentemente lo sono anche con noi, e con Milano e per loro mezzo è stata pure stabilita colà una Società Letteraria che chiamasi Accademia Cattolica, composta di parecchi soggetti eccellenti il di cui scopo si è ora particolarmente di lavorare un eccellente giornale religioso, per promovere così più facilmente i buoni principi, e la cognizione dei buoni libri che escono o sono già usciti alla luce, giornale che in pochissimo tempo divenne già ricercato anche da lontani paesi, e che dobbiam ancor noi essere solleciti di promovere per questo stesso fine. Amicizia Cristiana di Milano e di Vienna. – Appena poi mi è stato fattibile di pensar al mio ritorno che l’ho eseguito, avendo massimamente in mira di fermarmi alcuni giorni a Milano, ove grazie a Dio in pochissimo tempo si sono pure ordinate più cose essenziali nell’A[micizia] C[ristiana]; si è stabilito di riordinare la loro biblioteca poco presso secondo la nostra, si è trovato il modo di aumentarla notabilmente, si sono stabiliti gli inamovibili e gli amovibili, si è trovato il modo di facilitare l’imprestito di questi, sono stati accettati due nuovi soggetti, si sono proposti alcuni altri; si è stabilita la corrispondenza tra essi, Vienna, Firenze, e Torino; finalmente si era determinato d’incominciar nelle prime adunanze la loro carta geografica, e di non perder di vista lo stabilimento di una Sacerdotale, alla quale ebbi la consolazione ultimamente di sapere per lettera essersi già dato qualche principio. Siccome poi i nostri amici erano affatto sprovvisti dei debiti Catalogi, questo è quello che si è pensato di provveder loro subito al mio arrivo qui in Torino, siccome è già stato eseguito. Questo è quanto mi occorreva dover ragguagliare i nostri amici relativamente al noto viaggio nell’Italia, quale io spero diverrà col tempo sempre più utile e interessante mediante le mentovate stabilite corrispondenze; e questo è anche in sostanza lo stato attuale della nostra A[micizia] C[ristiana] e di quella di Firenze e di Milano; senza parlare di quella di Vienna che è pure molto in vigore per quanto mi si scrive dal nostro amico Virginio. [8]
COMPITO DEGLI AMICI CRISTIANI DI TORINO
Sicché resta ora da vedere nel terzo punto di quali cose conviene subito occuparci per dare alla nostra A[micizia] C[ristiana] tutta l’energia di cui è per ora suscettibile, e per tal fine propongo le viste seguenti.
Siccome prima di tutto ci è sommamente necessaria la riflessione e la preghiera propongo in primo luogo che ciascuno sia provvisto della meditazione, orazione, e carattere e si faccia come è detto ogni settimana; 2° vedere chi dee caricarsi della corrispondenza e registrazione de’ risultati dell’A[micizia] C[ristiana]; 3° chi del materiale, spese e conti [della] Biblioteca; 4° chi della cognizione di libri nuovi, cioè girar librerie; 5° cominciar subito nelle prime adunanze carta geografica; 6° ciascuno abbia subito che si possa e come, catalogi per conoscere i libri; scritto di direzione per imprestarli opportunamente; 7° soprasseder da formalità, si eseguisca lo spirito; 8° ciascun proponga; 9° ogni quindici giorni A[micizia] C[ristiana].
DOC. XXVIII
DOCUMENTA quae relationem illustrant quam Servus Dei habuit cum Amicitia Christiana Florentiae instituta, annis 1803-1826.
Raccogliamo sotto questo titolo alcune lettere del Servo di Dio e dei Marchesi Ricasoli, le quali mettono in rilievo l’interessamento e l’opera svolta dal Lanteri per l’Amicizia Cristiana di Firenze. Essa fu fondata da Don Virginio nell’autunno del 1802 o poco prima.
Il maggior esponente dell’Amicizia Cristiana di Firenze fu il Marchese Pietro Leopoldo Ricasoli Zanchini (1778-1850) Priore dell’ordine di Santo Stefano (cfr. L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Ricasoli, Firenze 1861, pp. 109-110), il quale la sostenne entusiasticamente sin dalle sue origini e ne promosse l’incremento e le varie attività. Difatti egli figura fra i primi membri della «Conversazione Cristiano-Cattolica» detta in seguito «Accademia Cattolica» e costituita da membri scelti dell’Amicizia Cristiana che ebbe proprio origine in casa sua il 6 ottobre del 1802; si occupa attivamente del giornale L’Ape; ospita a casa la biblioteca dell’Amicizia e crea infine una piccola tipografia per l’Amicizia Cristiana. II Marchese Ricasoli conobbe personalmente il Lanteri nell’autunno del 1803, quando questi venne a Firenze. D’allora in poi i rapporti fra i due divennero sempre più intimi e cordiali come è dimostrato dalla loro corrispondenza, conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V. (35 lettere sono state donate alla Postulazione, nel 1937, dalla Compagnia di Gesù) e in quello della Famiglia Ricasoli-Firidolfi in Firenze. C’è di più: il Ricasoli, alla morte di Don Virginio (1805), suo padre spirituale, si mise sotto la direzione del Lanteri, dimostrando così di avere per lui un’altissima stima.
1
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli circa ephemeridem cui titulus: L’Ape, Placentiae anno 1803 20 novembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 1505.
Il viaggio a Firenze, da lungo tempo progettato dal Servo di Dio (cfr. Doc. XXVII, pag. 104), ebbe luogo solo nell’autunno del 1803. Con questo viaggio il Lanteri si propose di stabilire rapporti diretti fra l’Amicizia di Torino e quella di Firenze, la quale era in relazione quasi esclusiva con quella di Vienna perché fondata da Don Virginio, capo dell’Amicizia Viennese, e di preparare il terreno per la fondazione dell’Amicizia Sacerdotale (cfr. Doc. XXVII. pp. 104-105); fondazione che riuscirà ad effettuare prima di lasciare Firenze (cfr. Doc. XXXV, 3).
Delle varie lettere che il Servo di Dio inviò allora al Ricasoli, qui ne pubblichiamo una sola, scritta durante il suo viaggio di ritorno, perché le altre si riferiscono più particolarmente all’Amicizia Sacerdotale.
In questa lettera il Servo di Dio dimostra un grande zelo per il giornale L’Ape, pubblicato per interessamento dell’Amicizia Cristiana di Firenze dai membri dell’Accademia Cattolica.
Piacenza, li 20 novembre 1803.
V.J.
Monsieur,
Essendo, grazie a Dio, felicemente giunto a Parma la sera dei 18, ed opportunamente fermatomi buona parte della mattina seguente, ho comodamente potuto eseguire l’incaricatami commissione dell’Ape, ho dunque presentata al Sig. Abate Andres la copia rimessami, e mi ci sono trattenuto seco lui tempo notabile quasi sempre parlando di questo soggetto, io l’ho trovato molto freddo a tale riguardo; dicendomi 1° che nei due primi numeri che aveva veduti fin’allora non ci trovava niente d’interessante, non essendo che una compilazione e traduzione degli altri giornali che già si leggevano; 2° che bisognava inoltre stare attendendone l’esito, giacché parecchi di simili giornali furono anche ultimamente altrove progettati, i quali poi cessarono dopo pochi mesi, cosa che disgustò molti, ed alcuni di questi appunto per questo stesso motivo ricusarono d’associarsi all’Ape; 3° che si trattava pur anche attualmente in Parma di stabilire un giornale consimile, ma egli credeva che neppure sarebbe riuscito. Io ho ben tentato di rispondere a tutte le difficoltà addotte, e dargli un’idea giusta del nostro Ape, e delle intenzioni e dello scopo di chi lo dirige, con tutto ciò, come l’ho ritrovato, l’ho pure lasciato quasi ugualmente freddo.
Mi sono in seguito presentato da S. E. il Conte Cesare Ventura per, rimettergli la lettera di V. S. Stimat.ma ed in Xto Car.ma, ed ho pure trovato questi «au premier abord» freddo a tal riguardo come il Sig. Abate Andres, e poco presso imbevuto delle stesse ragioni, se non che questi aggiugneva con dispiacere che non ne aveva ricevuto fìn allora che il primo o tutt’al più il 2° numero, e che non poteva sapere a chi doveva rimetterne il prezzo. Io ho procurato di rispondere a tutte le sue difficoltà, e spiegargli bene il fine d’un tal progetto, ed ebbi alla fine la consolazione di vederlo impegnato non solo a procurare altri associati, ma anche a stimolare l’Abate Andres a concorrervi con qualche sua produzione; mi soggiunse ancora che per lui, e per i suoi associati poteansi mandar i numeri per la posta. Ecco il mio operato in Parma; mi rincresce che non abbia avuto esito più felice. Aggiugnerò ancora che l’Abate Andres si dimostrò curioso di sapere chi fosse Ottavio Ponzoni, e gli risposi che era persona che non amava di essere conosciuta, ma che non aspirava ad altro che a promovere buoni princìpi, ne avrei saputo dare altra risposta a simil genere di letterati (i quali io trovo in questa parte piuttosto curiosi) anche affinchè non facciano ulteriori indagini, seppure se ne potranno astenere.
Mi permetta poi che le significhi ad un tempo, che non mi è stato fattibile far prendere al P. Priore di S. Giovanni di Dio il danaro della mia pensione, dicendomi che n’era proibito; io non dubito punto da chi sia venuta questa proibizione, ne certo faceva d’uopo a tante prove così singolari d’attenzione e di cortesia, che ricevetti da lei aggiugnervi ancor questa. Indelebile ne sarà sempre la mia riconoscenza, e ringrazio mille volte Iddio di questo mio viaggio che mi procurò la sorte di conoscere persona così degna per ogni titolo, conoscenza che legherà sempre più la nostra amicizia cristiana, e che spero ridonderà sempre a maggior gloria di Dio.
La prego compiacersi far gradire i miei più distinti ossequi alla degnissima di lei Consorte, alii M[archesi] Z[ei, ossia d’Azeglio], al Sig. D[on] B[ucelli] e a chi altri stimerà, mentre ch’io con particolare rispetto, e considerazione e colla più viva riconoscenza mi protesto in fretta
Di V. S. Ill.ma e Dilett.ma in G. C.
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Serv.re ed A[mico] C[ristiano]
Pio Bruno Lanteri.
A Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli Zanchini
Prieur des Chevaliers de St Étienne. Florence.
2
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli de rebus gestis ab Amicitia Christiana cum Pius VII e Gallia rediens per civitatem Taurinensem transiret, Aug. Taurinorum anno 1805, 23 aprilis. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 1514.
In una lettera del 28 novembre 1804 (Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 1513), il Lanteri annunciava al Ricasoli che, in occasione del passaggio per Torino del Pontefice Pio VII, recantesi a Parigi per incoronare Napoleone, aveva avuta «la consolazione di baciare i piedi a Sua Santità il quale si dimostrò ben soddisfatto della pietà che riscontrò in questo popolo».
Dalla presente lettera, scritta alla vigilia dell’entrata in Torino del Pontefice di ritorno dalla Francia, apprendiamo che l’Amicizia di Torino fece tradurre e divulgare un opuscolo per risvegliare negli animi i sentimenti di amore e di rispetto per il Pontefice. Nel postscriptum il Lanteri accenna di aver potuto parlare a Mons. Menocchio del «nostro affare». Non è facile determinare la natura di questo «affare». Forse si può pensare alla concessione dell’indulgenza plenaria agli Amici; indulgenza che venne poi concessa verbalmente nel 1809 e confermata con regolare rescritto il 20 luglio del 1814 (Doc. XXXI).
M. et très cher A[mi] C[hrétien],
Avendo alcuni de’ nostri Amici, in prova del loro sincero attaccamento verso la S. S., all’occasione del suo ritorno da Parigi, trovato opportuno far tradurre e ristampare la 2a parte del Panegirico di Neuville sulla Cattedra di S. Pietro, per risvegliare negli animi altrui li stessi sentimenti di rispetto, e sommissione, si è pure pensato esser cosa ben fatta il presentarne alcune copie a Monsignor Menochio, e per mezzo suo ancora procurarne a V. S. Ill.ma pochi esemplari. Si è giudicato profittare di questa occasione perché potesse più facilmente V. S., in un con M[archese] Z[ei, ossia d’Azeglio], abboccarsi col medesimo, e trattar seco lui confidentemente del nostro affare, ove l’opportunità si presenti e la prudenza lo consigli.
Non ho tempo di più; mi riserbo scrivere più a lungo in altra occasione, mentre con particolare stima e considerazione mi protesto di V. S. Ill.ma
Torino, li 23 aprile 1805.
Umil.mo Obbl.mo ed Aff.mo Serv.re ed A[mico] C[ristiano]
P[io] B[runo] L[anteri].
P. S. Ci è riuscito parlar del nostro affare a Monsignor Menochio, che parve gustare moltissimo; spero mi riuscirà fargli presentare a S. S. una Supplica per tale effetto. Voglia Iddio benedirci.
A Son Excellence
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli, Prieur de l’Ordre
de St Étienne
Florence
3
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli circa mortem Sac. Ludovici Virginio, Aug. Taurinorum anno 1806, 14 februarii. – Ex originali in archivo Marchionis Ricasoli Firidolfi (Florentiae) asservato, Cassetta VI, 4.
Il Servo di Dio parla in questa lettera della morte di Don Virginio avvenuta a Vienna nel dicembre del 1805 e vi si sente tutto il suo dolore per quella perdita.
Il Marchese Ricasoli, sino allora diretto da Don Virginio, aveva chiesto al Lanteri di prendere il posto del defunto; il Servo di Dio accetta l’invito e prende sotto di sé il figlio spirituale del suo grande ed indimenticabile amico.
Ill.mo Sig.r P.re ed A[mico] C[ristiano] in G. C.
Quanto inaspettata, altrettanto sensibile mi fu la nuova della perdita del più grande amico che avessi mai avuto. O quanto ammiro e ringrazio la Divina Provvidenza d’averne ancora potuto godere e profittare quest’autunno scorso, sebbene per l’ultima volta, siccome mi faceva temere in parecchie sue lettere, per obbligarmi a venire costì. Il solo pensiero che mi consola si è che, siccome giova moltissimo a chi è lontano dal centro e dalla capitale l’aver colà persona fidata, e che s’interessi per promovere i suoi affari privati e comuni, così sommamente pure ci gioverà dal cielo (ove punto non dubito che già vi si trovi per godere il frutto dell’instancabile e insaziabile suo zelo per le anime) e non lascerà di promuovere efficacemente i nostri interessi; ma frattanto sarà sempre vero che la sua perdita lascia un gran vuoto nella vigna del Signore, ed in un tempo appunto in cui più che mai abbisognarne di simili operarii.
Io attendevo da M[archese] Z[ei, ossia d’Azeglio] nuove più circostanziate della perdita di un sì caro amico (motivo per cui ho tardato alcuni giorni a rispondere alla pregiatissima sua) appunto giusta quanto favoriva d’annunziarmi V. S. Dil.ma, ma finora non l’ho ricevuta; ho per altro avuto qualche notizia da Vienna dal B[arone] P[enkler] ma ancora molto scarsamente; bramerei instantemente mi partecipassero tutto ciò che hanno potuto saperne, e particolarmente chi erano i suoi amici più intimi e confidenti, ai quali io possa indirizzarmi.
In quest’ordinario non ho tempo di più, soltanto le soggiungo che ho presa vivissima parte della perdita che lei fece nel suo particolare. Mi rincresce che la sostituzione che vuol degnarsi di fare di me al nostro comune amico non sia tale come sel merita, ma sicuramente mi farò sempre un piacere e un dovere strettissimo di cooperare sempre che potrò al suo avanzamento spirituale. Frattanto io le dirò che non ci trovo inconveniente alcuno che lei lasci la corte, anzi moltissimi vantaggi e suoi privati e dell’A[micizia] C[ristiana] onde prego il Signore che il tutto benedica e faccia riuscire a sua maggior gloria. I miei più distinti rispetti alli M[archesi] Z[ei, ossia d’Azeglio], Dott. B[ucelli] per tutti gli A[mici] C[ristiani] e particolarmente alla M.lla R[igogli?] cui pure mi propongo di scrivere quanto prima, e con particolare considerazione mi protesto di V. S. Ill.ma
Torino, li 14 febbraio 1806.
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Serv.e A[mico] C[ristiano]
T. Pio Bruno L[anteri].
A S. Excellence
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli, Prieur de l’Ordre de St Étienne Florence
4
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli circa proximum iter Florentinum Theologi Guala, Aug. Taurinorum anno 1806, 3 martii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 1516.
Con questa lettera il Lanteri annuncia al Ricasoli il prossimo passaggio per Firenze del Teologo Guala, il quale si doveva recare a Siena per accompagnarvi, a quanto sembra, un figlio del Marchese Celebrini. La lettera è importante, perché documenta la stima del Lanteri per il Teologo Guala, che fu per lunghi anni uno dei suoi più fidi collaboratori.
Monsieur et très Cher A[mi] C[hrétien],
J’espère de vous envoyer une visite de ma part; c’est un ami intime d’A[mitié] C[hrétienne] du pauvre V[irginio]. C’est le Théologien Guala. Je suis fâché qu’il ne pourra faire ici qu’une apparition, mais je l’ai cru bien utile, vous pouvez lui confier votre cœur, c’est un jeune ecclésiastique, mais qui a le zèle, et la prudence d’un homme âgé, le bien qu’il fait ici est inconcevable. Voici comment l’occasion se présenta. J’ai été prié de pourvoir un compagnon de voyage à un enfant qui va au Collège de Sienne, j’ai tout de suite pensé à Guala pour vous en procurer la connaissance.
Jusqu’ici je n’ai plus reçu d’autres nouvelles sur la mort de V[irginio]que je souhaiterais bien de savoir; je vous prie en grâce de me les communiquer si vous en avez. Le temps me manque, je suis avec toute l’estime et la considération possible
Monsieur
Turin, ce 3 mars 1806.
Très humble et ob. Serv. Et A[mi] C[hrétien]
P[ie] B[runo] L[anteri].
A.S. Excellence le Marquis Léopold Ricasoli
Prieur de l’Ordre de St Étienne. Florence.
5
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli circa iter Florentinum Theologi Guala, Aug. Taurinorum anno 1806, 16 martii; et notula ipsius Servi Dei qua negotia varia Theologo Guala committebantur. – Ex originalibus in archivis Marchionis Ricasoli-Firidolfl (Florentiae), Cassetta VI, 4; et Postulationis O. M. V. (notula), S. II, 211, 43-44, asservatis.
Da questa lettera (a) si viene a conoscere lo scopo peculiare del viaggio del Teologo Guala in Toscana, che era di prendere contatto con gli Amici Cristiani di Firenze.
Interessante la nota di commissioni (b) date, a quest’occasione, dal Servo di Dio al Guala, il quale doveva passare anche per Bologna, Parma, Piacenza e Milano. Questi incarichi dimostrano l’intimità del Lanteri col Guala e testimoniano inoltre come il Servo di Dio tenesse dietro e con quanta cura a cose e persone, sempre a scopo di apostolato.
a)
Torino, li 16 marzo 1806.
Monsieur et très respectable A[mi] C[hrétien],
V. J.
Dimani 17 corrente parte il Teologo Guala, come già ebbi l’onore di scrivere a V. S. Ill.ma nell’ultima mia. Egli non potrà fermarsi costì che pochissimo tempo, essendo patteggiato di ritorno col medesimo vetturiere che lo conduce a Siena, onde veda di accordargli tutto il tempo possibile per abboccarsi assieme, unitamente a M[archese] Z[ei, ossia d’Azeglio]. Se si può, procuri la conoscenza del Dr. B[ucelli], e se fosse possibile tenere un’A[micizia] C[ristiana] sarebbe cosa molto desiderabile.
Dal medesimo intenderà come sarebbe opportuno che scrivesse al Marchese Gh[islieri] a V[ienna] per intendere da lui appieno quale sia lo stato dell’A[micizia] C[ristiana] di V[ienna], chi la compone, se ci entri il P. Wagner, confidente di V[irginio], e se questo fosse da V. S. Ill.ma conosciuto, sarebbe pure opportuno che gli scrivesse pel medesimo fine, di mandandogli di più nuove dettagliate dei sentimenti, di V[irginio] nella sua malattia. Oh quanto sarebbe desiderabile, e quale buona opera farebbe ella se potesse fare colà una scorsa; ma non ardisco chiederle tanto perché son persuaso che le sue occupazioni non glielo permetterebbero. Come vedrà mi fanno istanza perché io ci vada, ma confesso il vero che se non mi è affatto impossibile, le difficoltà però e gli imbrogli sono tali che poco ci manca.
Riceverà da Guala: Mitterparcher, Elementi d’agricoltura, vol. 6, commissionatimi ancora dal povero V[irginio] per lei; così farà ella il favore di consegnare a G[uala] nel suo ritorno gli articoli qui dietro notati. È da lungo tempo che sono privo dei suoi pregiatissimi caratteri. Bramerei sapere se siasi veramente dismesso dall’impiego di Corte? se abbia trovato qualche aiuto per li suoi affari di famiglia, se la santa Comunione sia sempre così frequente, se la meditazione riesce bene, se la lettura spirituale sia di suo gradimento e di qual libro si serve ecc. Il tempo mi manca. La prego dell’acchiusa a sua destinazione, e con particolare stima e rispetto mi protesto à la hâte
Umil.mo Dev.mo Obbli.mo Servo A[mico] C[ristiano]
P[io] B[runo] L[anteri].
A Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli
Prieur des Chevaliers de St Etienne
Florence.
b)
[A Firenze]
Dire a M[archese] Z[ei, ossia d’Aseglio] in via Larga, Casa Borghi, vicino alla Biblioteca Marucelliana, che consegni a Guala i libri lasciati a casa sua, particolarmente il Francolinus in folio.
Come pure Novaes, volume decimo e seguenti, con l’importare.
Marchetti, Trattenimenti di famiglia, copie quattro.
Tutti i libri della valigia a M[archese] Z[ei] eccetto Mitterparcher a P[riore] R[icasoli].
La tasca dei biscotti M[archese] Z[ei].
Farsi dare tutte le notizie di V[irginio] e di A[micizia] C[ristiana] di V[ienna]. Le lettere ricevute dal Barone Penkler.
Manifestargli il progetto di mio viaggio a V[ienna], e del vostro, chiedendogli consiglio e notizie.
Al Nunzio o Segretario consegnar la lettera del V. Canaveri, farla leggere a M[archese] Z[ei].
Riverire distintamente il Teologo Barrera, dirgli che ho parlato di quel che sa col Marchese di Cinzano, e che ne ha riduto; onde non ci pensi più.
A[mici] C[ristiani] intimi M. Z., P. R., D.r B. [Marchese d’Azeglio, Priore Ricasoli, Dottor Bucelli].
Libri da provvedere: Favole del Clasio; Compendio della Vita del Liguori, copie 3; Salvatori, Istruzione sulla Confessione, copie 6; Dall’Occa, Institutiones Theologicae, volumi due in 8°; Luca Montone, Meditazioni, copie 6; Fontanini, Arcivescovo d’Ancira, Vita di Paolo Sarpi.
Polvere del Gran Duca, costa molto.
Dire a P[riore] R[icasoli] sul Ponte alla Carraia.
Che non ho ricevuto che il volume 2° delle Lezioni della Natura, copie 10, che difficilmente posso esitare, vedere se stima mandarmi il volume 1° e seguenti.
Che favorisca far consegnare a Guala li seguenti capi: dell’Ape, n.° 1 dell’anno 1°, copie 3; n.° 5 e seguenti dell’anno 3°, copie 10; dell’Almanacco Fiorentino, anno 1°, copie 4; anno 3° cioè il corrente, copie 12; Favole del Clasio, copie 4.
Chiedergli se ha libri da consegnare per T[orino].
Consegnare a P[riore] R[icasoli] Catalogo, e Idea d’Esercizi; di questa pregarlo farne far prima una copia e poi rimetterla a Dottor Bucelli per A[micizia] S[acerdotale].
Chiedere a P[riore] R[icasoli] di quel Canonico che sta avanti la Chiesa d’Ognissanti, se conviene trattar con esso di Aa.
Mitterparcher.
Farsi dar tutte le notizie di V[irginio] e di A. C. d. V. [Amicizia Cristiana di Vienna].
Scriva al Marchese Ghislieri perché dia notizie le più dettagliate di A. C. d. V. [Amicizia Cristiana di Vienna], quale stato attuale, quali A[mici] C[ristiani], quali timori, quali speranze suo viaggio a V[ienna].
Chiedergli se conosce P. Wagner, e se sia bene gli scrivesse.
Milano
Abate Carlo Riva Palazzi, nel Borgo della Fontana, Porta Tosa n.° 129.
Teologo Mascarani A[mico] C[ristiano].
C[onte] P(ertusati[9]) A[mico] C[ristiano], ove c’è spezieria.
Abate Baldassare Montani Sagrestano in S. Sepolcro, uomo zelante, corrispondente di Marchetti, amico di Rivap[alazzi], riverirlo per parte mia.
Parma
P. Panizzoni nel Collegio dei Gesuiti.
Piacenza
P. Biasini ex-Gesuita.
Siena
Proposto di Provenzano, questi deve essere un Parroco vecchio molto zelante.
Bologna
Mgr Luigi Rusconi; D. Casarini Parroco di S. Lorenzo; Abate Mezzofanti; Abate Thiullen, Casa Ranucci, amico di P[adre] D[iessbach] e di V[irginio].
Segue un elenco di Amici Sacerdoti Fiorentini, con a capo il «Dottor Bucelli, Direttore».
6
Epistolae duae Marchionis Leopoldi Ricasoli ad Servum Dei de Christiana Amicitia tractantes, Florentiae annis 1807, 8 decembris, et 1826, 12 octobris. – Ex originalibus in archivo Postulationis O. M. V. asservatis, S. I, 404, 408.
Delle numerose lettere che il Marchese Leopoldo Ricasoli dovette scrivere al Lanteri solo cinque sono pervenute a noi. Ne pubblichiamo due che si riferiscono direttamente all’Amicizia Cristiana; esse mettono anche in rilievo il filiale rispetto che il Ricasoli aveva per il Servo di Dio.
Nella prima scritta nel 1807 si tratta in particolare di una certa somma di denaro lasciata dal Virginio all’Amicizia Cristiana; nella seconda, scritta nel 1826, si parla ancora dell’Amicizia Cristiana, alla quale, dietro suggerimento del P. Luigi Taparelli d’Azeglio, doveva essere iniziato il sacerdote Bresciani, che doveva poi entrare l’anno appresso nella Compagnia di Gesù e diventare quel celebre P. Bresciani che tutti conoscono (cfr. Doc. LXXX).
1
Firenze, 8 dicembre 1807.
Stimatissimo e veneratissimo Padre,
In questo ordinario di posta ho ricevuto da Vienna tre cambiali che [sono] una di francesconi 800: una di francesconi 900: e la terza di francesconi 611 correnti di Augusta. Questo è il valore del denaro lasciato dal buon Virginio per le nostre cose, in seguito delle premure che io gli feci, prima ch’ei partisse di qua, di procurarci qualche abbondante soccorso. Io ho subito realizzate qui in Firenze le suddette cambiali, per il valor delle quali ho ritirato sino da ieri l’altro da questa Banca Borri Lire Fiorentine 7054.6.8.
La lettera di Virginio con la quale egli dispone di detto denaro è in data dei 4 novembre 1805. Io la ricevei il dì 13 agosto 1806: e la conservo presso di me. L’indirizzo diceva così: «A Monsieur, Monsieur le Marquis L. Ricasoli, et en cas de sa mort a Monsieur le Marquis Taparelli d’Azeglio». Il contenuto poi della medesima era il seguente.
«Monsieur mon honorable Ami en J.-C. L’or qu’en cas de ma mort, Monsieur le Comte d’Araldi aura la bonté de vous faire parvenir, est destiné et m’a été confìé pour être employé à de bonnes œuvres; je n’en connais point de meilleure de celle à la quelle vous vous occupé avec M[arquis] Z[ei, ossia d’Azeglio], D[on] B[ucelli] et Ab. Lanteri. Je vous supplie donc d’avoir la bonté de vous en charger et, dans le cas que vous le jugiez à propos, de consulter vos susdits amis sur le meilleur usage à en faire».
Io scrissi al Signor Marchese d’Azeglio; ma ancora non ho ricevuto risposta. Io non sono ancora in grado di mandare la nota di libri, perché ho dovuto sbrattare tutta la biblioteca e portarla altrove tutta in disordine, per lasciar libere quelle stanze ai militari se ne verranno. Si rende sempre più necessario un locale ove mettere in sicuro la biblioteca: io voglio pensarci subito. Lei mi raccomandi a Dio perché mi converta. Mi apra la strada a fare i santi Esercizi sotto di lei.
Le bacio umilmente le mani.
Suo Umil.mo Servitore
L[eopoldo] R[icasoli].
A Monsieur Monsieur l’Abbé
Pie Brunon Lanteri
Docteur en Théologie à Turin.
2
Firenze, 12 ottobre 1826.
Rev.mo Signore,
Spero che V. R. avrà ricevuto altra mia, e che al Sig. Teologo Daverio sarà giunta in tempo la lettera che Ella mi lasciò per esso. Il P. Rossini mi scrive nuovamente quanto appresso a suo riguardo: «Ringrazio di cuore V. S. pei gli uffizi prestati a mio riguardo coll’ottimo Signor Professore Lanteri. [10] II Signore mi tolse la consolazione di rivederlo in Roma prima della sua partenza, sia sempre fatta la sua Santissima Volontà».
Col consiglio di cotesto Sig. Marchese d’Azeglio consultai il P. Rettore Taparelli, sul proposito di A[micizia] C[ristiana] relativamente alla persona del sacerdote Sig. Antonio Bresciani che trovasi presso di me. Il detto Padre così si esprime su tal proposito nella lettera scrittami il dì 9 corrente: «Credo il Sig. Abate Bresciani persona attissima all’uopo se avrà chi gli comunichi le direzioni opportune ond’entrare nel vero spirito dell’A[micizia] C[ristiana]». Io sarei di parere di non indugiare a comunicare al suddetto i Cahiers; [11] avendo egli letto con molto gusto il Solitaire Chrétien del P. Diessbach. Gradirò per altro la di lei approvazione.
Ella mi raccomandi a Gesù perocché operi per la maggior Gloria di Dio e perché provveda alla buona educazione del mio Stanislao. Io Le bacio le mani e mi rassegno.
Suo indegnissimo Servo e Figlio in G. C.
Leopoldo Ricasoli.
All’Ill.mo e Rev.do Sig. Sig. Padron Col.mo
il molto Rev.do Sig. Teologo
Don Pio Brunone Lanteri
Torino.
7
Epistola Marchionissae Lucretiae Ricasoli ad Servum Dei circa actuositatem Amicarum Christianarum Florentinarum, Florentiae anno 1808, 2 septembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 409.
La Marchesa Lucrezia Ricasoli, approfittando del viaggio a Torino di suo marito Marchese Leopoldo, inviò al Servo di Dio la lettera che qui trascriviamo. La Marchesa tratta lungamente dell’attività delle Amiche Cristiane Fiorentine, le quali attendevano allora in particolare alla visita degli ospedali. Tale pratica, suggerita loro dal teologo Guala due anni prima, in occasione del suo passaggio per Firenze, faceva parte delle iniziative dell’Amicizia Cristiana di Torino.
Leggendo questa lettera si vede tutto il profondo e filiale riguardo che la Marchesa Ricasoli aveva per il Servo di Dio, il maggior esponente dell’Amicizia Cristiana.
J. M. J.
Firenze, 2 settembre 1808.
Molto Rev.do Padre Lanteri,
Nell’occasione che il Signor Priore si porta, costà, mi prevalgo per inviarle questa mia, per darle ragguaglio, come a Capo della nostra Amicizia Cristiana, delle opere intraprese per la maggior gloria di Dio, nello spazio di due anni e più.
Sappia dunque che fino dal mese di maggio del 1806 la Signora Marchesa Capponi, a insinuazione del Signor Abate Guala, dai discorsi da lui fatti, e molto più ispirata dallo Spirito Santo, principiò andare all’Ospedale degli Incurabili, detto Bonifazio, a servire le malate con gran carità, imboccandole, facendo letti, lavando i piedi, e aiutandole con discorsi buoni per il bisogno delle loro anime, con una pietà tutta edificazione delle suddette, camminando questa Signora a gran passi nella perfezione cristiana, potendo assicurarla di questo per la stretta amicizia che ho con essa, non cercando altro che Dio nel suo operare, e la santificazione propria e quella dei prossimi, non ristretto nei soli ospedali, ma ancora togliendo persone dal peccato con il proprio danaro, e in altra maniera, a Dio e a qualche persona necessaria solo nota.
Mossa dal suo esempio mi sentii inspirata di andare ancora io all’Ospedale, che però dopo varie ripulse del Signor D[on] B[ucelli], alla fine mi accordò di unirmi con essa, con la dipendenza della medesima di andare a detto Ospedale, nell’agosto del suddetto anno. Trovai molta soddisfazione in queste opere di carità, e piaccia al Signore di purificarle con il suo Sangue prezioso, perché temo di avere operato con molto amor proprio.
Per qualche tempo si seguitò a fare queste opere corporali, quando le malate ci pregarono di istruirle nella dottrina cristiana, nel leggerli qualche libro buono, che perciò si pensò di contentarle, e trovando molta ignoranza, e trovandole prive di chi le istruisse si pensò di fare queste altre [cose] per l’anima; che però si messe un sistema, il quale è regolato in questa forma, tolto delle feste, di andare un giorno per una a detto Ospedale.
Alle dieci ci portiamo per essere pronte al pranzo, per imboccare quelle che non possono mangiare da sé, di poi si va con le religiose a rasciugare i piatti delle suddette malate, dopo questo si torna all’Ospedale, dove si fa una mezz’ora in circa di lettura, o di qualche vita di santo, o qualche altro istruttivo di poi gli [si] fa recitare delle orazioni con le Indulgenze, per suffragare le persone morte nel detto Ospedale; dopo gli si fa dire varie giaculatorie, acciò le imparino a mente perché tra giorno si rammentino la presenza di Dio. Dopo questo si va ai letti di chi ci chiama, per esortarle alla pazienza, e dargli quegli avvertimenti che secondo il bisogno ci ispira il Signore. Avanti però si insegna la Dottrina cristiana a quelle che ne hanno bisogno, o che lo richiedono, specialmente sopra la Confessione e Comunione.
Essendo nel detto Ospedale, ci si presentò occasione di togliere delle Persone dal peccato, che perciò formammo l’idea di fare ancora quest’opera. Principiammo a metter su una scuola, ma non essendo riuscita in una casa particolare, come si desiderava, poiché quello che si otteneva nel giorno, si perdeva nel ritornare alle loro case la sera, che però si pensò di serrarle; ed essendovi due Luoghi Pii in Firenze di pochi anni nascenti, si pensò di metterle in questi luoghi, a proposito delle nostre idee, che però otto ragazze per ora abbiamo messe in questi luoghi. Ma siccome noi due sole non si poteva amministrar danaro per tante, e specialmente io che non posso aggravarmi, si principiò a parlare a qualche amica, le quali si sono unite con noi a fare le stesse opere, e quelle che non possono venire si chiamano ausiliatrici, che somministrano soltanto il danaro, e vengono a parte delle nostre opere. Per ora siamo soltanto otto che vengono all’Ospedale, ed una ausiliatrice.
Le circostanze presenti avendo fatto fare delle mutazioni nel detto ospedale, perciò furono costretti i Superiori di mandar 23 malate in altro ospedale, detto di S. Matteo, [di] incurabili ancor questo, ci si è aperto un campo di andare ancora in questo dove ci abbiamo trovato più di 120 malate, dove ci portiamo a fare le suddette opere, distribuendo i giorni ora in quello ora in questo, che perciò quasi ogni mattina, tolto delle feste 1’impieghiamo in queste opere di carità. Tutto sia a maggior gloria di Dio e Maria Santissima, che siano benedetti in eterno.
Si desidera di fare una Congregazione di Dame dove vorremmo ritirarci una volta il mese per fare il ritiro in preparazione alla morte e ritirarci qualche mattina a fare il nostro bene, a uso Compagnia di Uomini; ma questo si vedrà con il tempo, perché ora resta impossibile. Il buon Gesù e Maria SS benedicano le nostre opere, e le purifichino acciò siano solo per Iddio e con Dio.
Eccole in breve dato ragguaglio di quel poco che si fa. Credo che il buon Gesù voglia qualche altro da me, vilissima creatura ingrata a tanti suoi benefìzi. Preghi acciò corrisponda alle sue grazie, e mi faccia conoscere più chiaramente la sua volontà in quello che da lontano e in confuso mi sento ispirata per il mio particolare profitto.
Il Signor Don Bucelli sta male, come sentirà, sicché posso poco e quasi niente profittare delle sue istruzioni; per altro il Signore mi ha fatto la grazia di trovare un altro Direttore che ne sono molto contenta e soddisfatta. Faccia il Signore che faccia profìtto delle sue istruzioni e lumi che mi da. Preghi molto per me che ne tengo molta necessità. Faccia i miei complimenti al Signor Abate Guala, gli dica che mi raccomandi molto a Dio.
E piena di stima e rispetto passo a dirmi
Di V. S. molto Rev.da
Sua, Obblig.ma Serva
L[ucrezia] R[icasoli].
A Monsieur
Monsieur l’Abbé Pie Bruno Lanteri.
8
Epistola Servi Dei ad quemdam Sacerdotem Florentinum circa opera ab Amicis Christianis Florentinis peragenda, anno 1808. – Ex originali (minuta) in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 215.
Dalla precedente lettera della Marchesa Lucrezia Ricasoli, sappiamo che il Marchese Leopoldo stava per partire alla volta di Torino, ai primi del mese di settembre 1808. Questa notizia, atteso che il Ricasoli si trattenne pochissimo in Torino, ci permette di datare alla fine di settembre o al massimo ai primi del mese seguente la presente lettera. Sul foglio della minuta, che sola si conserva, non v’è indicazione del destinatario; dal contenuto però si può pensare ad un sacerdote e membro autorevole dell’Amicizia Cristiana di Firenze, forse il Bucelli, ricordato spesso tanto dal Lanteri quanto dal Ricasoli.
Tra le decisioni prese di comune accordo tra il Marchese e il Lanteri nel breve incontro di Torino, merita un particolare rilievo quella di visitare gli ospedali, secondo una pia pratica passata nelle consuetudini dell’Amicizia Cristiana di Torino. Il suggerimento del Lanteri non doveva riuscire nuovo per il Ricasoli, poiché, come sappiamo dalla lettera della Marchesa (cfr. n. 7), le Amiche Cristiane Fiorentine già praticavano tale opera di carità da due anni circa. Secondo il Lanteri, tale opera doveva in parte supplire alle altre attività dell’Amicizia Cristiana, impedite dalle avverse condizioni politiche del momento.
Il Lanteri suggerì perfino al Ricasoli di istituire in seguito una Società avente per scopo specifico la visita degli ospedali; non sappiamo però se il suggerimento sia stato poi effettuato. Una tale Società ebbe vita, come sembra, in Torino, poiché l’archivio della Postulazione O. M. V. (S. I, 227) ne conserva tuttora gli statuti, nei quali è evidente l’influsso diretto dello spirito dell’Amicizia Cristiana.
Lo zelo del Servo di Dio per le opere di carità e di apostolato traluce chiaramente dal contenuto di questa lettera.
Non saprei esprimere a V. S. Ill.ma quanto ci sia stata preziosa e consolante la visita, o per meglio dire l’apparizione, tanto ella fu così breve, del pregiatissimo Sig.r P[riore] R[icasoli] tanto più poi ci consolò lo zelo che spiegò qui più che mai per la gloria di Dio. Certo che se non conduce seco alcuno di noi, non devesi questo attribuire a difetto d’impegno per sua parte, ma sibbene alle circostanze particolari che ci forzano a far altrimenti, riserbandoci però a migliore occasione di eseguire ciò che per ora non si può, con sommo nostro rincrescimento.
Si sono frattanto convenuti i seguenti punti, quali ho l’onore di specificare a V. S. Ill.ma:
1° II Sig. P[riore] R[icasoli] incomincerà a portarsi da solo per ora secondo il metodo semplice e tra noi conosciuto, una volta la settimana a qualche ospedale, finché abbia trovato qualche soggetto per unirsi a tal uopo e formarne una pia società; intanto questa occupazione sarà uno dei soggetti delle loro conversazioni particolari che terranno assieme sovente tra la settimana colla Sig.ra Luisa Rigogli e P[riore] R[icasoli].
2° Non si perderà però mai di vista l’oggetto primario di conoscere i libri a Catalogo, e cercar occasioni e mezzi da farli circolare, del che almeno ogni quindici giorni se ne farà soggetto particolare di conversazioni tra di loro. Non si terrà però alcuna A[micizia] C[ristiana], finché non si presenti materia interessante per tale effetto, dovendo questa radunarsi ben rare volte in questi tempi; fisso restando ciò che si è anche qui convenuto, cioè che V. S. Ill.ma e P[riore] R[icasoli] siano i due principali sostegni dell’A[micizia] C[ristiana] incaricati particolarmente di esaminare e promuovere tutto ciò che può riguardare il bene dell’A[micizia] C[ristiana] nient’altro più desiderando P[riore] R[icasoli] che di profittare dei savi suggerimenti e consigli di V. S. Ill.ma, quali desidera anzi siano ben efficaci, incombensandomi per tale effetto di pregarnela instantemente d’un tanto favore.
3° Finalmente si è convenuto, quanto alla stamperia, che la medesima non si terrà in attività che una parte dell’anno soltanto e per cose notabili e di facile esito, e così si spera verranno rimediati molti gravi inconvenienti che potrebbero succedere.
Ecco i punti fissati tra noi, che io ho l’onore di presentare a V. S. Ill.ma, perché concorra anch’essa a promuoverne efficacemente l’effettuazione, sperando che il Signore vorrà bene dire simile impresa di gran gloria sua.
E nel presentarle i più distinti rispetti dei nostri A[mici] C[ristiani] e miei, in particolar modo, mi raccomando alle sue orazioni e mi protesto.
9
Epistola commendatitia Servi Dei pro Marchione Ricasoli ad Comitem Pertusati, ut videtur, anno 1808. – Ex originali (minuta) in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S.II, 215.
Sul finire di settembre o ai primi di ottobre del 1808, il Marchese Leopoldo Ricasoli fece ritorno a Firenze passando per Milano. Il Lanteri colse l’occasione per presentarlo agli Amici Cristiani Milanesi, come apprendiamo da due lettere scritte a tale scopo. Di queste due lettere, conservate nella sola minuta, pubblichiamo soltanto quella che reca in capo al foglio il nome del Teologo Mascarani, ma che fu destinata, come sembra, al Conte Pertusati. La minuta non è datata, ma non vi può essere dubbio che sia della fine di settembre o dei primi di ottobre del 1808.
Questa lettera mentre ci fa conoscere i delicati sentimenti che il Servo di Dio nutriva per il Ricasoli, ci discopre sempre più l’attiva collaborazione delle varie Amicizie Cristiane d’Italia sotto le direttive del Servo di Dio.
Abbiamo avuto la sorte di godere, sebben per brevissimo tempo, della [gioia] d’aver tra noi il pregiatissimo Sig. Marchese Ricasoli, Priore dell’Ordine di Santo Stefano.
Quanto ci è stata preziosa e consolante la venuta a T[orino] del nostro pregiatissimo Sig. Marchese R[icasoli], Priore dell’Ordine di Santo Stefano, A. C. di F. [Amico Cristiano di Firenze], altrettanto ce ne rincresce ora l’accelerata partenza. Quello che mi consola si è il pensare che passando costì per ritornarsene a F[irenze] possa procurare a V. S. Ill.ma la conoscenza del principale sostegno dell’A. C. di F. [Amicizia Cristiana di Firenze]. Il suo grande zelo e sincero interessamento che in ogni tempo dimostrò, secondo le nostre viste, per la gloria di Dio, come pure le finezze e graziosità con cui sempre ci accolse, quando alcuno di noi si portò a F[irenze] per le cose di A[micizia] C[ristiana], mi obbligano a particolarmente raccomandarglielo, pregandola di procurargli, se le circostanze lo permettono, la conoscenza della Contessa Biffi, potendosegli confidar ogni cosa. Godo intanto di questa felice occasione per procurarmi la sorte d’aver delle preziosissime nuove di V. S. Ill.ma e della Signora Contessa, cui prego porgere unitamente al Sig. Avv. Torti, i miei più umili ossequi. Coi più vivi sentimenti di rispetto e considerazione mi raccomando alle sue sante orazioni e mi protesto.
10
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli circa Christianam Amicitiam, Aug. Taurinorum anno 1816, 30 ianuarii. – Ex originali (minuta) in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 32a.b.
Il nome del destinatario di questa lettera manca; però il contenuto e il titolo di «Priore» che si legge nell’intitolazione, ci permette con sicurezza di identificarlo nella persona del Marchese Ricasoli, Priore dell’Ordine di Santo Stefano.
II Servo di Dio gli detta alcune norme pratiche per ravvivare l’Amicizia Cristiana Fiorentina, quasi spenta a quest’epoca al pari di tutte le altre, a causa delle avverse condizioni politiche.
Di questa lettera possediamo parte d’una bella copia e tutta la minuta di cui ci siamo serviti per completare il testo della bella copia: tutto è di mano del Lanteri.
Torino, li 30 [gennaio] del 1816.
Ill.mo e Pregiat.mo Sig.r Priore in G. C. Dil.mo
Profìtto dell’occasione del Signor Canonico Barrera per testificarle la consolazione grandissima che mi ha recato il Signor Cav. Luigi Collegno con significarmi le ottime disposizioni di V. S. Ill.ma verso l’A[micizia] C[ristiana], delle quali certamente non poteva dubitarne, ed il rincrescimento, ad un tempo, che vi si incontrino delle difficoltà non piccole da sormontarsi per ravvivarla. Tra queste la principale si è avere dei soggetti quali si desiderano, e perciò converrà primieramente pregar molto il Signore perché c’illumini per la scelta; in secondo luogo è necessario non affrettarsi, ed avanti di fissarne l’elezione, ci farebbe cosa gratissima se volesse compiacersi di manifestarcene i soggetti, potendo questi essere della conoscenza di qualcheduno dei nostri Amici. Abbisogniamo certamente dei soggetti, però non freddi, prudenti sì ma zelanti, che conoscano, o almeno gustino di conoscere i libri buoni, ed abbiano buona volontà e mezzi diretti o indiretti di spargerli, oltre gli altri requisiti che ella ben sa, che però sarebbe bene rileggerli. Onde non sarà mai troppa la cautela che si userà a questo proposito, perché, se si sbaglia in questa scelta, diventano i soggetti piuttosto d’intoppo che di aiuto. Conviene inoltre vedersi qualche volta per riaccendersi di zelo, e comunicarsi i lumi e le occasioni di far del bene. Se in tutti i tempi si può fare per mezzo dell’A[micizia] C[ristiana] grandissimo bene coi soli libri ascetici,[12] ora resta tanto più necessario promuovere inoltre i libri opportunamente per premunire gli spiriti dagli errori correnti, e disingannare chi già ne è infetto, come sarebbe di incredulità, di Giansenismo e Richerismo: nel Catalogo se ne trovano molti, ma sarebbe bene farne un estratto; io ne ho notati alcuni che riguardano particolarmente le massime contro la Chiesa, e gliene trasmetto la qui unita nota.
Credo che saprà che il S. Padre si degnò d’approvare l’A[micizia] C[ristiana] con accordare tre volte la settimana l’Indulgenza plenaria per i secolari e una volta l’Altare privilegiato, ciò che è bene di far noto agli Amici.
Sono poi ansiosissimo di avere delle sue nuove, come sta di coraggio e di confidenza in Dio, se ha poi potuto provvedersi d’un buon Maestro per i figli, rincrescendomi al vivo di non aver mai avuto l’opportunità di poterla servire in questo genere come avrei ardentemente bramato. A proposito «d’Amitié» sarei ansiosissimo di aver delle nuove del nostro B[arone] P[enkler]. Io gli ho scritto più volte all’occasione che gli ho spedito delle lettere inviatemi da Roma al suo indirizzo, destinate per i Gesuiti di Russia, nè mai ho potuto averne alcuna risposta. Mi stanno particolarmente a cuore li manoscritti di P[adre] D[iessbach], di V[irginio], e di A[micizia] C[ristiana].
Oh quanto mi rincresce di non aver fatto il viaggio per colà una volta progettato con V. S. Ill.ma! Non potrebbesi questo progettare un’altra volta, ed eseguirsi veramente? Sento che vi è qui la traduzione del «La Palme». La prego poi ad un tempo di favorirmi delle nuove sue.
DOC. XXIX
DOCUMENTA quae Servi Dei relationem cum Amicitia Christiana Vindobonae instituta illustrant, anno 1806.
Pubblichiamo qui tre lettere che si riferiscono all’Amicizia Cristiana di Vienna, di cui due scritte dal Servo di Dio e una dal Barone Penkler. Dal loro contenuto si vede che il Lanteri s’interessava alle sorti dell’Amicizia di Vienna, e che colà si aveva per lui un’alta stima.
L’Amicizia Cristiana Viennese fu fondata dal Padre de Diessbach non sappiamo esattamente quando, certamente però prima del 1795, perché in detto anno entrò a farvi parte anche S. Clemente Hofbauer (cfr. Saint Clément-Marie Hofbauer 1751-1820 versione francese di Kremer, Lovanio 1933, pag. 104). Il Padre de Diessbach la diresse fino alla sua morte, avvenuta il 22 dicembre del 1798; in seguito, ne prese la direzione Don Virginio, il quale se ne occupò sino al 1805, anno in cui cadde vittima della sua carità.
Tra i membri illustri di questa Amicizia meritano di essere ricordati, oltre S. Clemente Hofbauer, Franz Schmid, fecondissimo autore di opere di pietà e di ascetica, confessore di S. Clemente, e il Barone Giuseppe Penkler (1751-1830), figlio del famoso diplomatico Penkler ed ex-allievo dei Padri Gesuiti. Il giovane Penkler, cattolico convintissimo, consacrò buona parte delle sue energie sia in favore dell’Amicizia Cristiana, come a benefìcio delle opere di S. Clemente Hofbauer. Egli fece pure parte di quell’eletto cenacolo di letterati cattolici Austriaci, di cui già parlammo (cfr. supra, pp. 77-78), i quali vollero poi riposare accanto al Padre de Diessbach, nel piccolo cimitero di Maria Enzersdorf, ove i Penkler avevano la loro tomba di famiglia.
Dopo la morte di Don Virginio (dicembre 1805), il Barone Penkler si trovò a capo dell’Amicizia. Ciò spiega come cercasse subito di mettersi a contatto col Servo di Dio che rappresentava allora per ogni Amico Cristiano i due grandi scomparsi: Padre de Diessbach e Don Virginio. Da alcune lettere del Penkler al Lanteri, conservate nell’archivio della Postulazione O. M. V., vediamo ch’egli si rivolge al Servo di Dio con illimitata fiducia, come a sicuro maestro e vero padre.
1
Epistola Servi Dei ad Baronem Iosephum Penkler de quodam sacerdote Vindobonam mittendo, anno 1806, 10 martii. – Ex originali (minuta) in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 212.
Di questa lettera l’archivio della Postulazione O. M. V. possiede soltanto una minuta incompleta all’inizio, senza data e senza indicazione del destinatario; però dalla lettera che verrà pubblicata al n 2 si ricava ch’essa fu scritta il 10 marzo del 1806 al Barone Penkler. Si noti, per quello che si dovrà dire in seguito, l’elogio che il Lanteri fa del sacerdote Torinese, allora al suo trentunesimo anno di età, che deve essere identificato col teologo Guala, nato appunto nel 1775.
II sacerdote Cafasso, di cui è questione nella lettera, non deve essere confuso con l’omonimo già beatificato. Si tratta di un amico del Lanteri, cappellano nella chiesa degli Italiani in Vienna, il quale, dopo la morte di Don Virginio, entrò nella Compagnia di Gesù e andò missionario sulle rive del Wolga.
Da notare infine che anche il Penkler, come il Marchese Ricasoli, aveva chiesto di essere in corrispondenza di direzione spirituale, come tutto porta a credere, col Servo di Dio.
[Je n’aurais qu’un de mes] amis de qui je ne saurais me priver sans une necessité absolue; et je ne pourrais même le détacher de Turin sans faire crier bien de monde à cause du vide qu’il laisserait, y faisant un bien immense. C’est un jeune homme de 31 ans, plutôt petit de taille, ce qui le fait paraître plus jeune encore, d’un caractère gai, d’un zèle non ordinaire, très actif et prudent, fourni de la doctrine, prudence et expérience nécessaire pour la direction des âmes, mais qui n’étant pas accoutumé, tout comme moi, à traiter avec les grands, peut-être lui manqueraient ces traits aussi polis que desirent ces personnes. En tout cas ayez la bonté de me donner tous les renseignements possibles à cet égard, et indiquer quelle existence [il] pourrait espérer, et surtout s’il pourrait vaquer librement à l’A[mitié] C[hrétienne] et au salut des âmes.
Du reste, je serais trop heureux si vous voulez bien m’honorer de cette correspondance suivie que vous demandez de moi, pouvant être sûr de trouver en moi cette confìance et cette ouverture de cœur qui doit caractériser la vraie amitié, et que l’ennemi fait de tout son possible pour l’empêcher.
Oh que je remercierais bien le Seigneur s’il nous redonnait Caf[asso]. Vous pouvez lui écrire aussi de ma part, qu’il examine bien devant Dieu les circonstances actuelles d’A[mitié] C[hrétienne] pour voir s’il ne serait pas la volenté de Dieu qu’il retourne sur ses pas, pour moi j’en doute beaucoup. A ce propos ne sauriez vous pas me dire s’il a déjà renoncé au petit bénéfice qu’il avait, et s’il est déjà conféré à d’autres, s’il y a encore des places vacantes a l’église Italienne? Ce serait bon de le savoir en cas qu’il se presentât quelque sujet à propos pour vous envoyer. Je finis par me recommander instamment à vos saintes prières et avec toute l’estime, et considération possible j’ai l’honneur d’être.
2
Epistola Baronis Iosephi Penkler ad Servum Dei de Christiana Amicitia Vindobonensi, qua magna quoque eius existimatio erga Servum Dei comprobatur, anno 1806, 20 iunii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 398.
Con questa bellissima lettera il Barone Penkler risponde alla precedente del Servo di Dio. Essa è di sommo interesse per la storia dell’Amicizia Cristiana Viennese, ma per noi quello che più interessa è la profonda stima che troviamo qui per il Lanteri, considerato giustamente come l’unico erede morale del Padre de Diessbach, dopo la morte di Don Virginio. Il Barone Penkler aspettava a Vienna il Lanteri, ma non sappiamo per quale ragione il Servo di Dio non potè mai effettuare tale viaggio, benché ne avesse un ardente desiderio.
Curiosamente la lettera è senza indirizzo e senza firma, però non vi può essere dubbio nè sul mittente nè sul destinatario, come ci vien anche confermato da un’antica nota archivistica, posta sul retro dell’ultimo foglio: il destinatario fu il Servo di Dio e il mittente il Barone Penkler. Quest’ultimo, probabilmente per sfuggire alle noie della Polizia, non usava firmare le lettere che indirizzava al Lanteri, poiché delle sei tuttora conservate nell’archivio O. M. V. non una è firmata.
Très cher Père et ami en J. C.
Après avoir reçu votre chère lettre du 10 de mars, qui m’annonce la réception de mes deux précédentes, j’ai tardé longtemps à vous écrire celle-ci, puisque j’ ai senti le besoin de vous écrire au moins une première fois, bien ouvertement et bien en détail pour me faire entendre plus facilement dans la suite, et que je devais attendre pour cela une occasion bien sûre. Elle s’est enfin présentée cette occasion par le retour dans sa patrie d’un ami très chéri des deux défunts, et avec qui je souhaite que vous puissiez faire connaissanee personnelle. Sa piété solide, ses lumières en tout genre, son expérience de divers temps, de divers pays, sa prudence jointe au talent et à la science, le rendent déjà très recommandable. Outre cela il a saisi l’esprit de l’A[mitié] C[hrétienne] dont il était pénétré avant de la connaître, animé d’un grand désir de coopérer au bien, il peut vous mettre au fait de la carte de notre pays à l’égard des dernières époques dans le cas où votre voyage à Vienne dût éprouver des difficultés ou des délais.
Ce qui m’a le plus charmé dans votre lettre, mon cher Père, c’est de voir que vous agréez que je m’emploie efficacement pour le soutien de l’A. C. de V. [Amitié Chrétienne de Vienne]. Je sens combien je suis peu fait pour soutenir ou achever un édifice élevé à la gloire de Dieu et au salut des âmes; mais je respecte trop les dernières volontés du saint homme, qui m’a donné cette destination, et je vois trop clairement se manifester les voies de la Providence de la manière la plus inattendue pour me croire en droit de m’y refuser, et pour manquer de confiance en l’assistance de Dieu et des SS. Patrons.
Vous désirez, que je vous éclaircisse sur deux choses. Primo: quels sont 1es Amis, et sur quels autres je puis compter, etc. Secondo: quelles sont les raisons, pour lesquelles je veux vous engager de venir.
Ad 1. Des vieux Amis il ne m’en reste que 2 religieux et 2 dames. Les 2 premiers sont excellents ouvriers dans la vigne du Seigneur, et sur lesquels je puis faire compte pour assistance dans toutes les bonnes œuvres qui sont à leur portée et jusqu’à un certain point pour censurer de nouveaux livres. Des 2 dames l’une a de très bonnes qualités, mais étant légère et livrée aux affaires de sa nombreuse parenté, je ne puis en faire aucun usage. La seconde est instruite,. de bon jugement, de bon conseil, attachée de toute son âme au soutien d’A[mitié] C[hrétienne] à la mémoire et aux préceptes de P[ère] D[iessbach]. Je puis compter entièrement sur elle et disposer d’elle pour cet objet.
Des nouveaux Amis il me reste un cavalier italien d’une piété solide, «doctus in divinis humanisque scripturis», d’un excellent conseil et discernement, et prêt à m’assister en tout ce que sa situation élevée lui permettrait, et un jeune cavalier hongrois d’un zèle imperturbable, ne se laissant pas fléchir par aucune vue d’intérêt humain, cherchant à s’instruire; enfin un cavalier étranger s’est ouvert à moi après la mort de V[irginio] sur la communication que ce dernier lui avait faite des cayers peu avant. Comme ce cavalier n’est pas connu dans le public pour être catholique, et que d’ ailleurs il est actuellement absent, je ne sais si je pourrai faire de lui autre usage, que pour son édification particulière.
Dans ce moment-ci je n’ai encore personne en vue sinon un jeune ecclésiastique natif de Bornio en Valtelline ayant beaucoup de talents, grande application, illibatezza di costumi, gran desiderio d’operariato, désintéressement rare, ayant appris l’allemand et le français, qui pourra remplacer Cafasso et le surpasser. Il sera ordonné prêtre dans un mois. Sans avoir du bien de sa maison, il renonce à un canonicat auquel il aurait droit de famille pour se vouer ici à un plus grand bien.
Ad 2. Je sais bien et P[ère] D[iessbach] me l’a dit souvent et positivement, que ni le nombre ni les emplois sont nécessaires pour constituer une A[mitié] C[hrétienne], qu’elle peut exister là où il n’y a qu’un seul A[mi] C[hrétien], aussi ce n’est pas mon embarras.
Outre ceux que je viens de vous nommer j’ai encore l’héritier du défunt pour très bon conseil; mais fussé-je même seul à Vienne, non desponderem animum, et j’aurais la même confiance de pouvoir avec l’aide de Dieu faire tout le bien par les moyens, dont l’ A[mitié] C[hrétienne] enseigne de faire usage. Mais vous sentez bien, que connaissant mon insuffisance je doive non seulement chercher des personnes, qui remplissent avec moi et après moi le but de la sainte entreprise à laquelle je me suis voué, mais que jusqu’à ce que la Providence me fournisse ces collaborateurs, et même encore après, je doive désirer d’être eonstamment dirigé par celui, sur lequel repose maintenant l’esprit du P[ère] D[iessbach].
Or il est naturel, que cela ne peut se faire que très superficiellement avant que vous ayez appris à connaître par vousmême tout ce qui tient à la localité, surtout dans un temps, où la communication par lettres est si extraordinairement gênée.
Outre cela je puis bien faire le triage des papiers: et vous pouvez être très assuré de ma discrétion la plus scrupuleuse dans cette recherche. Je puis même vous en faire et envoyer le catalogue, sur lequel vous puissiez décider ce qui doit vous ètre envoyé; mais vous comprendrez vous-même, que cette décision se fera avec d’autant plus d’assurance, lorsque vous pourrez donner un coup d’œil sur les papiers, même avant leur transport. De même il serait extrêmement utile, que vous vissiez l’état de notre Bibliothèque inamovible, prêts, spolia, agenda, archives etc. item les deux bibliothèques qui n’y sont pas encore réunies, toutes les deux provenant de B.B. dont l’une est venue de Prague et se trouve ici, et l’autre de Fribourg est gardée à Augsbourg, pour me donner vos avis sur bien des points à régler.
Item le catalogue des admissibles est une chose essentielle, et comme la base de tout le reste. Je sais qu’il n’existe nulle part dans sa totalité; peut-être celui de V[irginio] est-il le plus complet. On pourra bien vous en envoyer une copie pour être rectifiée, mais ne vaudrait-il pas infiniment mieux, qu’il fut rectifié par vous-même sur les lieux, pour puis en faire des doubles pour T. M. et Fl. [Turin, Milan et Florence].
Enfin si nous avions l’occasion de nous entretenir de bouche sur quantité d’objets, sur lesquels j’ai besoin de savoir votre sentiment, combien nous serait-il ensuite facile de nous entendre par lettres! Voici les principales raisons, pour lesquelles un voyage que vous feriez à Vienne serait désirable.
Ne pensez pas de vous faire remplacer par un autre, fut-il le meilleur de vos amis. Pas pour les objets, que je viens de vous détailler, car vous sentez bien, que ce n’est que vous seul, qui pussiez en porter le jugement, et il n’y a personne que vous, à qui je pourrais m’ouvrir sur bien des objets, puisqu’il n’y a que vous que je regarde comme tenant place de P[ére] D[iessbach]; mais non plus pour l’organisation future de l’A. C. de V. [Amitié Chrétienne de Vienne] car autant je désire de trouver un ecclésiastique que je puisse mettre à la tête de l’ouvrage, autant je sens qu’il est nécessaire qu’il soit national, ou regardé comme tel. Pardonnez-moi, si je vous cite les tristes expériences du passé pour règle de l’avenir.
Enfin il faut voir par vous-même, avant de rien entreprendre. Si des difficultés insurmontables vous en empêchent dans le courant de cette année, venez l’année prochaine. Mais dans tout les cas je vous prie, pour éviter tous les délais, d’emprunter à T[urin ] ce qu’il vous faut pour venir ici, dont vous seriez remboursé aussitôt en arrivant ici, et de me donner avis à peu près du temps de votre arrivée afin de me trouver certainement à V[ienne] et afin de pouvoir vous envoyer un passeport d’entrée de notre Gouvernement ou à Augsbourg, ou à tel endroit de votre passage que vous m’indiquerez.
Le prêtre, pour lequel je vous ai écrit dans mes précédentes serait pour la direction spirituelle de Béatrice. Celui dont vous avez tracé le portrait paraît trop jeune, même l’àpparence de l’être forme déjà un obstacle.
Vous désirez de savoir, mon Père, ce qu ‘jl y a à espérer de Caf[asso] je ne puis vous dire aujourd ‘hui sinon qu’il est plus que probable, qu’il suivra la nouvelle voie, que la Providence paraît lui avoir tracée, et dans laquelle on peut espérer, qu’il fera d’autant plus de bien qu’il lui en a coûté davantage d’abandonner la première route. Ce n’est qu’au mois d’octobre que j’attends sa renonciation. Alors c’est l’électeur de Würzbourg qui nommera son successeur. Ce bénéfice porte l’obligation journalière de la messe pour la défunte GrandeDuchesse, le catéchisme tous les dimanches pour les enfants des Italiens, et d’aider le Directeur de l’église pour le confessional et la visite des malades. Son revenu consiste en 600 florins d’Allemagne sans autre bénéfice. Outre cela il y a une place de predicatore annuale, qui n’a qu’à faire un sermon de demi-heure tous les dimanches et à aider également pour le confessional et les malades. La congrégation lui donne le quartier attenant à l’église et 300 florins, outre cela l’aumône de la messe lui est fournie tous les jours.
Encore un point: le défunt avait une certaine quantité de monnaies d’or, qui lui avaient été données pour des bonnes œuvres, et pour lesquelles il avait marqué dans la feuille, qu’il avait laissée au P[ère] W[agner] en partant pour Florence contenant des notices pour le cas de sa mort, qu’on devait s’entendre avec l’abbé Lanteri de Turin, et le prieur Ricasoli et le Marquis d’Azeglio qui sont à Florence. Cependant à l’arrivée des français il avait confié cet or au Marquis d’Araldi qui est parti d’ici avec l’Electeur alors de Salzbourg avec une lettre cachetée qu’il l’a prié d’ouvrir en cas de sa mort. Ce cas étant arrivé, il l’a ouverte, et il y a trouvé une lettre cachetée à l’adresse de Ricasoli et en cas de sa mort à d’ Azeglio, et le Marquis d’Araldi est prié de faire parvenir, lorsqu’il en aurait une occasion commode et sûre la lettre et l’or à Ricasoli et en cas qu’il fut aussi mort à d’Azeglio à Florence. En passant par ici pour aller à Würzbourg, il remit tout entre mes mains pour en soigner l’exécution. Je garde l’or en dépôt et j’envoie la lettre par le moyen du porteur de celle-ci; mais j’ai cru nécessaire de vous en avertir; la somme est d’environ 5000 lires piémontaises. J’aurais encore mille choses à vous dire. Mais je dois finir. Priez bien souvent pour moi.
Ce 20 juin 1806.
3
Epistola Servi Dei ad P. Wagner in qua sermo est de P. de Diessbach et de Sac. Virginio, necnon de sue itenere Vindobonensi, anni 1782, anno 1806. – Ex originali (minuta) in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S.II, 213.
Di questa lettera possediamo solo la minuta senza data e senza indicazione del destinatario. Dal suo contenuto però – cui possiamo aggiungere anche un’autentica annotazione posta in capo al foglio – si deduce che essa fu scritta nel corso dell’anno 1806 al P. Wagner († 6 gennaio 1808), erede di Don Virginio.
Da notare la notizia del viaggio fatto dal Servo di Dio a Vienna nel 1782, in compagnia del P. de Diessbach.
M. R. P.
Je sais par B[aron] P[enkler] que vous êtes l’héritier de V[irginio] Si l’amitié entre aussi dans son hoirie, voici un ami inviolable de V[irginio] depuis 30 ans, qui vous appartient entièrement. Vous êtes aussi de plus le dépositaire de son cœur, le témoin de ses derniers moments, et de tous ses sentiments. Ne voudriez vous pas avoir la complaisance [de] nous en faire part, tant de ses derniers sentiments, comme de toutes les moindres circonstances de sa maladie, étant tous ses amis, tout comme moi, bien empressés de les apprendre? Si votre temps est trop précieux pour ne pas pouvoir en employer un instant pour cela, ayez seulement la bonté de 1es manifester an B[aron] P[enkler] que je prie de vouloir bien me les écrire de votre part. Parmi tous les manuscrits de V[irginio] il y a certainement tout plein de choses intéressantes, entre autres choses, des mémoires sur la vie de P[ère] D[iessbach], que je vous prie instamment de vouloir bien vous donner la peine de conserver soigneusement et de les mettre de côté, afin que dans une occasion favorable on puisse s’en servir.
Comme aussi parmi ses livres il y en avait de bien intéressants, même dans quelqu’un de ces livres il y avaient des annotations, et des signes beaucoup signifiants et utiles, faits même encore par P[ère] D[iessbach] que personne ne comprendrait aussi facilement que moi, et que je serais empressé de les avoir. Ayez donc la bonté, M. R. P., je vous en prie instamment, de ne pas vous en défaire de tous ces objets, parce qu’ils peuvent bien contribuer une fois à la gloire de Dieu. Peut-être je m’adresse en votre personne à qui j’ai eu déjà l’honneur de connaître, et de participer de ses bontés, quand j’étais à Vienne avec le P[ère] D[iessbach]. Je serais enchanté d’en renouveler la connaissance, et de lui témoigner mes plus vifs sentiments de gratitude et de respect, avec lesquels j’ai l’honneur d’être.
DOC. XXX
EPISTOLAE quinque Comitis et Comitissae Pertusati ad Servum Dei circa quosdam Amicos Christianos Mediolanenses et circa opera ab eodem Comite edita, annis 1809-1815. – Ex originalibus in archivo Postulationis O. M. V. asservatis S. I, 410, 411, 418a.b., 426a.
Il Conte Francesco e la Contessa Maria Pertusati, due membri dei più influenti dell’Amicizia Cristiana di Milano, furono in relazione epistolare col Servo di Dio, e l’archivio della Postulazione O. M. V. conserva tuttora 20 delle loro lettere (19 del Conte e una della Contessa). Ne scegliamo cinque fra le più caratteristiche: nella prima il Pertusati, a nome della moglie, si scusa di un equivoco in cui era caduto a proposito del Marchese Massimino e da varie notizie circa le pubblicazioni cui attendeva.
Nella seconda, la Contessa Maria Pertusati, donna di profonda pietà e molto stimata, comunica al Servo di Dio la morte della Contessa Cravenna Carcano, Amica Cristiana. La lettera non reca indicazione del destinatario, ma dal contenuto è chiaro ch’essa fu scritta al Lanteri.
Nella terza e quarta il Pertusati dà varie notizie sulle sue pubblicazioni e accenna alle noie ch’esse gli procuravano, come si ricava pure da una notificazione ufficiosa della censura imperiale della stampa, che riproduciamo in nota alla quarta lettera. Si vede anche che il Lanteri doveva essere a quell’epoca assai sofferente. La quarta lettera non ha l’indirizzo, ma il suo destinatario è certamente il Lanteri, come si rileva dal contenuto.
Nella quinta il Pertusati comunica al Lanteri la morte di Don Riva Palazzi, zelantissimo Amico Cristiano.
Queste lettere non contengono elementi diretti per la vita del Servo di Dio, all’infuori di accenni alla sua salute poco florida; esse però, insieme con le lettere dei Marchesi Ricasoli (Doc. XXVIII, 6, 7) e del Barone Penkler (Doc. XXIX, 2), prototipi degli Amici Cristiani di Firenze e di Vienna, mettono bene in luce l’alto concetto in cui si teneva il Lanteri nella sua qualità di capo morale dell’Amicizia Cristiana, al quale tutti si rivolgevano con perfetta fiducia.
1
Milano, 5 ottobre 1809.
Stim.mo e Car.mo in G. C.
Rispondo per conto di mia Moglie, incomodata di salute da lungo tempo più ancora del solito, all’obbligante sua lettera cortesissima dei 19 7bre ricevutasi da noi per il canale della posta solamente oggi 5 8bre e le confesso che sono mortificatissimo perché, giuntami così tardi, ho mancato senza mia colpa, l’occasione di fare la conoscenza del degnissimo Cavaliere ch’Ella c’indirizzava. Egli è stato forse tre volte a questa mia casa; la produzione di un nome per me nuovo, senza lettere che mi facessero fede della identità della persona, gli incontri spiacevoli, che ho avuto in mia propria casa per la troppa facilità di ammettere sotto pretesti, anche i più plausibili, persone ignote, furono la cagione, che mi ritirò dal fare questa conoscenza. Io lo suppongo già partito per Pavia, come la sua pregiatissima mi accenna. Se al suo ritorno e nel suo passaggio per Milano potrò trovarne il conto (sic), mi farò la dovuta premura di esser da lui e di domandargli scusa dell’accaduto.
Brevemente le farò cenno di vari libri per me tradotti e stampati col mio nome dall’anno 1782 fino al presente, e ne darò un cenno in una cartolina, che rinchiuderò in questo foglio. Da questa escludo le lettere di Madama della Vallière, perché stampate in Torino dal Soffietti l’anno 1785, delle quali qui non se ne trova più copia. Di parecchi opuscoli anonimi da me tradotti, tengo ancora più copie di quello che ha per titolo Trattato sopra i mezzi di conoscere la verità nella chiesa di Monsignor Languet, arcivescovo di Sens, e costano L. 1 di Milano per copia. Per la spedizione dei libri da Milano a Torino e viceversa non v’è mezzo migliore che quello dei Librai, quando ve ne siano due in corrispondenza tra queste due piazze, lo che io precisamente non so.
Di libri nuovi a mia notizia veramente buoni non saprei che dire. Io sono associato alle lezioni sacre di Giosuè, dei Re, dei Giudici, composti da Marchetti, e ne tengo già 12 tomi, e il nome solo dell’autore è maggior d’ogni elogio. Mi sono associato agli Esercizi di Buganza, opera che sarà in due o tre volumi, e che si sta attualmente stampando in Mantova. Un P. Tommaso Tommasoni, domenicano in Padova, ha stampato in due tomi vari elogi sacri nei quali spicca l’erudizione e la pietà dell’autore, uomo di santa vita, come mi assicura chi lo conosce da vicino; ma sono a mio credere soverchiamente diffusi. Il nostro stampatore Motta ha sotto i torchi un Diario Sacro compilato da un nostro bravo Oblato, il Curato Branca di S. Sepolcro: sarà in due tomi, e riuscirà una eccellente lezione spirituale per tutti i giorni dell’anno, contenente massime, detti, regole, esempi di santi, e maestri i più insigni del vivere cristiano.
Ho in mano per altrui commissione Les sermons de Monsieur l’Abbé Poulle, stampati a Lyon nel 1808. Ne ho appena delibato qualche pezzetto, che mi ha colpito, e se non tradiscono l’aspettazione dovrebbon essere qualche cosa di raro.
Ma come ardisco io di dar goccie al mare, e parlare a Lei di cose, nelle quali ho troppo bisogno di essere da lei istruito? Mi raccomandi al Signore ne’ S. S. S. [santi suoi sacrifici], e meco tutta la mia famiglia, segnatamente la brava Madre di 7 figli, visitata da Dio con molte tribolazioni, e da Lui assistita sempre con grazie particolari. Essa le fa per mezzo mio mille saluti, come io supplicandola a rinnovar le mie scuse al Signor M. Massimini per l’apparente mia inciviltà, e pel ragionevole dispiacere, che ne avrà egli avuto, con perfetta stima, e con vera inalterabile amicizia mi dico
Di V. S. Stim.ma e Car.ma
Div.mo Obbl.mo Servitore ed Amico in G. C.
Francesco Pertusati.
A Monsieur
Monsieur l’Abbé Pie Brun Lanteri
à Turin.
2
Stimatissimo mio Padrone ed Amico in G. C.
Se da lungo tempo siamo reciprocamente mancanti di lettere e di notizie, non è difficile il ritrovarne i motivi ed uno fu anche quello d’essersi noi lusingati da un mese all’altro di poterla personalmente vedere; ora poi memore, che il freddo l’anno passato gli è stato cagione di molto incomodo, bramo sapere di presente come se la passi.
Mi preme anche di parteciparle com’è di dovere la morte seguita ieri della Contessa Carolina Cravenna, nata Carcano.
Ella aveva avuto un colpo epilettico questa estate, ma si era in progresso rimessa mediocremente, e usciva di casa; giorni sono fu presa da male di petto, e ricevuti tutti i Santi Sacramenti passò da questa a miglior vita. Vorrei aver la penna di San Girolamo per tracciarle brevemente la condotta tanto cristiana, e lodevole che ha sempre tenuta questa nostra Amica. La prego far parte di questa notizia alle persone che sono a Lei note, e che le erano amiche. Mio marito ed io per grazia di Dio stiamo bene e così anche la nostra famiglia tutta. Il nostro D. Carlo, rarissime volte lo posso vedere, perché egli è occupatissimo sempre in affari di gloria di Dio. Alla fine del venturo mese sarà perfezionata la stampa della Vita di Nostro S. G. C., tradotta da mio marito, che presentemente ha messa la penna in altra opera, ch’ella le ha fatto avere l’anno passato. Per carità si ricordi di me nelle sue orazioni, e nei Santi suoi Sacrifizii, e mi faccia grazia d’una riga di risposta, sia pur essa di mano altrui per diminuire a Lei l’incomodo, e coi cordiali complimenti di mio marito mi rassegno con vera considerazione quale mi professo
Milano, 6 10bre 1812.
Div.ma ed Obbl.ma Serva e Amica in G. C.
Maria Pertusati.
3
Milano, 17 giugno 1814.
Pregiatissimo ed Amat. mo Amico in G. C.
È lungo tempo che io non ho sue nuove, e che le desidero, come me le auguro, consolanti per riguardo specialmente alla preziosa sua sanità. Ella troverà unito a questa lettera il piccol libro dei Trattenimenti dell’anima con Dio, edizione ottava dopo la prima stampata in Bergamo fin dall’anno 1792 col titolo: Atti delle più eminenti virtù di un cristiano, libro che ella deve conoscere, perché fatto stampare in francese a Fribourg da P[adre] D[iessbach] di santa memoria. Lo spaccio che ebbe tale opuscolo tra noi e nello Stato Veneto, obbligò gli stampatori a replicarne la edizione, fino a contarsi questa del 1813 per la ottava. Ed ecco il perché le ne trasmetto una copia.
Io avrei già posto sotto i torchi l’opera Dei principi della Dottrina Cattolica, la cui traduzione già da qualche tempo ho condotta a compimento, e della quale V. R. Stim.ma ne avrà in dono da me, come già le promisi, cento esemplari: ma motivi prudenziali, ed economici, mi obbligarono a sospenderne la stampa. Per dar mano a questa, e per facilitarne la più pronta esecuzione, mi bisognerebbe fare almeno un piccol fondo di cassa. Se l’operetta dei suddetti Trattenimenti, che forse non sono, o noti, o diramati abbastanza in Piemonte, potesse allettare i Signori Fratelli Scotti, librai in Dora Grossa, a rilevarne una partita di 400, io la rilascerei loro al modico prezzo di centesimi settantasei e millesimi otto, facenti una lira di Milano per ogni copia. Ritenga però V. S. Car.ma che il mio progetto è così libero che ella lo deve riguardare come un progetto di commercio, nel quale i riguardi dell’amicizia non debbono aggiungere sulla bilancia un grano in favore dell’offerente, su di che non mi occorre di aggiungere parola.
Ieri ho veduto D. Carlo Riva Palazzi, che sta discretamente bene e le fa i suoi più affettuosi saluti. Eletto esso già da più mesi a confessore delle nostre Salesiane, e delle moltissime loro educande, desidera che se gli dia un elenco di buoni ed utili libri adattati alla istruzione e cultura delle giovani figlie, ed ella farà a lui, non che alle religiose educatrici, un gran piacere segnandomene in una carta i frontispizi di quelli almeno che V. R. crederà i più opportuni al loro ammaestramento, sì riguardo alla pietà che alla conveniente loro erudizione.
Intanto raccomandandomi con tutto il calore a SS. SS. SS. ho il piacere di confermarmi con pari stima ed amicizia
di V. R. car.ma
Div. mo e Obbl. mo Servitore ed Amico in G. C.
Francesco Pertusati.
A Monsieur
Monsieur l’Abbé Pie Brun Lanteri
à Turin.
4
Milano, 12 agosto 1814.
Stim.mo ed Amat.mo Amico in G. C.
Ricevo con mia singolare soddisfazione la graziosissima di lei lettera dei 24 dell’ora scorso luglio, il ritardo della quale mi teneva in pena, nel timore che Ella potesse essere gravemente ammalata. Piacesse al Signore che V. S. Car.ma fosse in stato di migliore salute, giacché anche da quest’ultima sua rilevo che ella ha molto bisogno di aversi la più scrupolosa cura, ciò che le raccomando colle istanze più vive dell’amicizia.
Per mezzo del solito spedizioniere io le spedisco il pacco delle copie cinquanta dei Trattenimenti, che ella mi commette per graziosità sua e degli amici, e lo dirigerò ai soliti librai in Dora Grossa, al di lei indirizzo. In esso troverà una dozzina di copie di un opuscolo assai interessante, composto da un degno Vescovo della Romagna, col quale io ebbi il bene di legare amicizia nel tempo della sua relegazione in Milano, e da cui ebbi in dono il ms. colla commissione di farlo stampare, lo che eseguii poco dopo la sua partenza di qui. Queste poche copie ella le gradirà in tenuissimo dono da me, e son certo che troverà l’operetta molto opportuna pei tempi che corrono, scritta assai bene, e vittoriosamente ragionata.
Nello sciogliere del pacco le verrà pure alle mani un mio inutil lavoro, che dono a lei e agli amici, perché ne facciano quell’uso che loro piacerà, giacché dopo averlo condotto a fine, io non ne posso fare alcun uso, per la ragione ch’ella troverà espressa nella lettera a me diretta, [13] che inserisco accanto del frontispizio dell’opera da me a costo di lungo studio e fatica volgarizzata. Rimando unita alla traduzione anche l’opera originale affidatami dal degnissimo Sig. Marchese Guarene, al quale la supplico di far gradire le espressioni della mia verace stima e grata amicizia.
II Bollettino inseritemi nella cara sua lettera, riguardante le due epoche 1488 e 1505, non è riuscito nuovo ai nostri antiquarii, presso alcuno dei quali si conservano i monumenti originali.
Significherò a D. Carlo Riva Palazzi, coi di lei affettuosi saluti, la premura ch’ella si dà di favorirlo, rapporto alla commissione dei libri per le aducande.
Intanto raccomandandomi a’ SS. SS. SS. nel desiderio dei suoi particolari comandi, ho il piacere di riprotestarmi con perfetta considerazione ed amicizia
Suo Umil.mo Div.mo e Obbl.mo Serv.e e A[mico] C[ristiano] Francesco Pertusati.
5
Milano, 24 settembre 1815.
Stim.mo ed Amat.mo Amico in G. C.
Con sommo mio dispiacere vengo apportatore al mio amat.mo amico Lanteri d’una triste notizia, della morte cioè del comune nostro incomparabile amico, del sacerdote D. Carlo Riva Palazzi, passato ieri mattina placidamente agli eterni riposi. Visse egli da santo, e da tale morì.
La sua malattia fu di lunghi mesi, e penosissima. Operaio indefesso nella Vigna del Signore, e segnatamente nella coltura della gioventù, fece un bene immenso, e basti dire che il suo oratorio contava 350 giovani animati tutti dallo stesso spirito di fervorosa divozione, sitibondi della parola di Dio, frequenti ai santi Sacramenti, esemplarissimi nella loro condotta. Egli confessore delle Salesiane, egli maestro in casa dei poveri chierici, e li adunava alla sera in casa per abilitarli collo studio al sacerdozio, colla mira di insinuar loro lo zelo della cura delle anime, e massime le più abbandonate di soccorsi, come sono per la più parte i montanari ed alpigiani della vasta nostra Diocesi.
Esso morì povero, non lasciando quanto bastar potesse pel convenevole suo funerale. La sua perdita, compianta da tutti i buoni, lascia un gran vuoto che non sarà così subito rimpiazzato.
Io lo vidi morto, e confesso che il suo volto, conformato a un’aria ridente, inspirava venerazione. L’accompagnamento del suo cadavere al Camposanto va ad essere affollatissimo. Ieri dopo pranzo il nostro valente professore e maestro di disegno nell’Accademia delle Belle Arti, Sig. Luigi Sabatelli, ne avrà per sua speciale divozione ricavato il ritratto. Non fa bisogno che io lo raccomandi ai santi suoi Sacrifizi, e ai suffragi degli amici di costì, bastando a ciò la notizia della sua morte.
È lungo tempo che non ho nuove di lei, e le desidero. Intanto ora pro me et vale. Sono di cuore
Suo Obbl.mo Servitore ed Amico
F[rancesco] P[ertusati].
Monsieur
Monsieur l’abbé Pie Brun Lanteri
à Turin.
DOC. XXXI
PETITIO INDULGENTIAE PLENARIAE pro Amicitia Christiana et rescriptum Papae Pii VII, anno 1814, 20 iulii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 204.
Dal verbale dell’adunanza dell’Amicizia Cristiana, tenuta il 3 marzo 1817, che pubblicheremo nel documento seguente, siamo informati che il Servo di Dio ottenne, nell’aprile del 1809, da Mons. De Gregorio, Delegato Apostolico di Pio VII, la concessione orale dell’indulgenza plenaria, una volta alla settimana, per gli ascritti all’Amicizia Cristiana. Nel 1814, il Marchese Cesare d’Azeglio, Amico Cristiano ed inviato diplomatico dello Stato Sardo a Roma, chiese ed ottenne la conferma di tale privilegio, come ci vien attestato dalla supplica e dal rescritto che qui trascriviamo dall’originale. Dal succitato verbale sappiamo inoltre che Pio VII concesse nuovamente il 6 gennaio del 1816 l’indulgenza plenaria, tre volte alla settimana, per gli Amici Cristiani laici e l’altare privilegiato, una volta alla settimana, per i sacerdoti. Quest’ultimo rescritto non è stato ancora ritrovato.
La concessione di questi favori spirituali fu considerata, non senza ragione, come una vera approvazione pontificia all’attività apostolica dell’Amicizia Cristiana.
Beatissimo Padre,
Una pia unione di Amici Cristiani avendo a cuore tutti i dogmi Cattolici e la pietà più della vita stessa, si sono proposti di attendere a promuovere in sé e negli altri la cognizione, e l’amore di Gesù Cristo, colla pratica delle virtù Teologali, massime per via di libri buoni secondo lo spirito della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana.
I mezzi adoperati per promuovere la pietà in se stessi, sono 1° la frequenza de’ SS.i Sacramenti; 2° la meditazione, e lettura spirituale di libri scelti; 3° la divozione al Sacro Cuor di Gesù, e di Maria SS.ma, a S. Giuseppe, e S. Teresa; 4° fìnalmente impiegare qualche tempo nella solitudine per riflettere al modo di promuovere maggiormente in sé, e negli altri l’esercizio di dette Virtù.
I mezzi adoperati per promuovere negli altri il suddetto esercizio, sono 1° attendere a conoscere i libri esenti da ogni errore condannato dalla S. Sede, e da ogni spirito di partito, affatto uniformi all’insegnamento della medesima, avendo per tale effetto una Biblioteca ordinata; 2° attendere a conoscere persone veramente zelanti per poter così spargere più opportunamente tai libri; 3° adunarsi qualche volta per tal fine.
I Soggetti pertanto addetti alla suddetta Pia Unione detta Amicizia Cristiana prostrati a’ piedi di Sua Santità implorano umilmente per questo la sua Apostolica Benedizione, e la continuazione dell’Indulgenza Plenaria verbalmente accordataci dal Suo Vicario Apostolico una volta la settimana. Che della Grazia ecc.
Die 20 iulii 1814.
SS.mus D.nus Noster Pius PP. VII benigne annuit pro Gratia iuxta petita in omnibus, non obstantibus quibuscumque in contrarium. – Datum Romae ex Secretaria S. Congregationis Indul.
Petrus Maccarani Secretarius.
DOC. XXXII
RELATIO QUA RES GESTAE in duobus comitiis Amicitiae Christianae describuntur, anno 1817, 3 et 22 martii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato S. II, 225a.b.
Con la Restaurazione Monarchica del 1814 il Lanieri potè lasciare Bardassano, luogo del suo confino, e tornare a Torino, dove cercò di riorganizzare le opere di apostolato dovute abbandonare in seguito ai provvedimenti della polizia Napoleonica. Di questa sua attività abbiamo un prezioso testimonio nel documento che qui trascriviamo dall’originale del Servo di Dio, il quale contiene una serie di appunti presi da lui in vista della prima adunanza della risorta Amicizia Cristiana, tenuta il 3 marzo 1817, e i verbali di due adunanze, cioè della prima e della successiva che ebbe luogo il 22 dello stesso mese. Dalla lettura di questi appunti e di questi verbali, redatti con estrema laconicità, traluce tutto l’interesse che il Lanteri portava all’Amicizia Cristiana che per tanti anni era stata nelle sue mani una potente arma di apostolato.
Da notare che questo è l’ultimo documento che contenga notizie dirette sull’Amicizia Cristiana, la quale un anno dopo o poco più doveva cessare la sua gloriosa attività per lasciare libero campo ad una nuova società per la diffusione della buona stampa, detta poi Amicizia Cattolica, della quale parleremo al n. VI.
La prima idea di questa nuova Società apparisce già nell’adunanza del 3 marzo, proposta dal Cav. di Collegno ed approvata dagli Amici Cristiani. Si prevedeva allora la vita simultanea delle due Società, aventi in fondo lo stesso scopo, ma con modalità di verse, essendo per esempio la nuova senza segreto; ormai superfluo nell’atmosfera della Restaurazione. In seguito però l’Amicizia Cristiana venne a cessare e prese difatti il suo posto l’Amicizia Cattolica.
A questa evoluzione non fu estraneo il Servo di Dio, sempre pronto con larghezze di vedute, come vedremo, ad ogni sviluppo o adattamento suggerito dalle mutate circostanze, mirando sempre al fine dell’apostolato della buona stampa.
Il Breve di Savona contro il Vescovo nominato per Firenze, segnato dal S. Padre li 30 novembre 1810, riprovato da Bonaparte li 25 [gennaio] 1811.
Li 29 [gennaio] 1811 visita, giorno di S. Francesco di Sales.
25 marzo detto anno partito per Bardassano.
Questa fu l’ultima volta che l’A[micizia] C[ristiana] si radunò nè più si è potuta radunare per 7 ovvero 8 anni in circa, cioè fino al di d’oggi, cioè li 3 marzo 1817, a cagione delle critiche circostanze che sopraggiunsero.
Poiché il giorno di S. Francesco di Sales nel 1811 T. L. e T. D. [Teologo Lanteri e Teologo Daverio] dovettero subire la visita della Police, la quale credeva trovare presso loro il Breve contro il Vescovo nominato per Firenze, datato da Savona li 30 novembre 1810, sebbene non lo abbia trovato.
Indi il T[eologo] L[anteri] fu esiliato a Bardassano come sospetto di corrispondenza segreta con Savona, per ove partì li 25 marzo 1811, e vi stette più di 3 anni cioè fìno all’arrivo del nostro Re.
Dopo 7 anni in circa d’interruzione dell’A[micizia] C[ristiana] per circostanze or pubbliche or private dovette interrompersi l’A[micizia] C[ristiana], nè ebbe luogo il suo ristabilimento fino alla sera del 3 marzo 1817 alle ore 6 in casa di M[archese] Z[ei, ossia d’Azeglio, ove] ebbe di nuovo luogo il suo ristabilimento.
In quest’adunanza dunque:
1° si sono rinnovate da tutti le proteste. Si è rilevato a questo proposito che non tutti gli A[mici] C[ristiani] erano in situazione di comporre o tradurre qualche opera a gloria di Dio, e si è convenuto che per questo bastava esser disposto a fare almeno qualche memoria qualora fosse richiesto;
2° si è fatto proponimento da ciascuno di rileggere e osservare le Regole.
Per questo si è determinato 1° di far circolare il manoscritto delle Regole e se n’è lasciato una copia a C[onte] P[iobbesi]; 2° di far più copie dell’orazione giornaliera da recitarsi alla S. Messa, e della medesima da farsi settimanalmente da ciascuno; 3° si è partecipato con somma consolazione l’approvazione espressa dell’A[micizia] C[ristiana] ottenuta dal S. Padre li 20 luglio 1814, per cui accorda a tutti li A[mici] C[ristiani] (non obstantibus quibuscumque in contrarium) la sua Apostolica Benedizione, e la continuazione dell’indulgenza plenaria una volta la settimana, già accordataci verbalmente dal suo Vicario Apostolico Mgr. De Gregori all’occasione che passò in Torino nella sua deportazione per Parigi [aprile 1809], grazia veramente speciale da moltissimo tempo sospirata e procurataci da M[archese] Z[ei].
Si lesse inoltre una risposta del suddetto Monsignore ora Card. De Gregori, in data dei 6 [gennaio] 1816 a C[av. di] C[ollegno], il quale ignorando la grazia già ottenuta da M[archese] Z[ei] gli aveva pure scritto a tal proposito; in essa lettera dunque leggesì che il S. Padre accorda l’Indulgenza Plenaria alli A[mici] C[ristiani] secolari tre volte la settimana, agli ecclesiastici l’altare privilegiato una volta la settimana.
4° C[av. di] C[ollegno] espose un suo progetto d’associazione pubblica per promovere la circolazione di libri buoni, come un ramo dell’A[micizia] C[ristiana], da contrapporsi particolarmente alla società così detta Biblica dei Protestanti.
Soci della medesima sono e saranno sempre li A[mici] C[ristiani] secolari, vengono in essa esclusi gli ecclesiastici per riflessi prudenziali. L’A[micizia] C[ristiana] approvò detta Società, e per facilitarne l’esecuzione consentì che le fosse somministrato un fondo di libri sciolti la di cui nota è qui annessa, oltre franchi 450 per la ristampa Pensateci bene.
Si determinò inoltre 1° che non si adottasse in essa alcun libro a Catalogo, il quale o non vi si trovi già nel Catalogo dell’A[micizia] C[ristiana], ovvero non vi sia prima ammesso d’unanime consenso dei Teologi dell’A[micizia] C[ristiana] come è prescritto nei Cayers; 2° esser conveniente che l’A[micizia] C[ristiana] venga informata di quando in quando delle deliberazioni che vi si prenderanno riguardo alla distribuzione dei libri, affinchè non si duplichino le operazioni.
Li 22 marzo vi fu l’A[micizia] C[ristiana] nella spezieria.
1° Essendosi letto nell’adunanza antecedente l’ultimo capo del Chrétien Catholique, in questa si è letto il primo capo del D’Argentan, Considérations sur Dieu.
2° Dopo le solite preghiere si è nuovamente parlato degli impieghi dati nè si fecero ulteriori riflessi, soltanto il primo Bibliotecario chiese C[av. di] C[ollegno] per assistente, e fu convenuto.
3° Si è adottato l’ordine delle A[micizie] C[ristiane] segrete proposto dal primo Bibliotecario nel modo che segue:
dovendo l’adunanza durare non più di due ore, dopo la prima mezz’ora della lettura prescritta, 1° per un quarto d’ora si leggeranno i Cayers, e vi si faranno le riflessioni opportune, e questo finché siansi letti per intiero; 2° per mezz’ora circa si esamineranno le memorie proposte; 3° per altra mezz’ora si tratterà dei libri da esaminarsi o esaminati; 4° finalmente si tratterà della carta geografica. Impiegandosi però in ciascun articolo più o meno di tempo secondo l’esigenza.
In conseguenza di questo ordine adottato 1° si è incominciato a leggere il primo paragrafo dei Cayers; 2° si è trattato della proposizione fatta dalla M[archesa] M[assimino] di fare stampare la vita di Tobia scritta dal Massimi per modello di chi abbraccia lo stato del matrimonio; e si è convenuto: primo, di radunare tutto ciò che si è scritto a tal proposito, come Pellegrini, Ragionamenti su Tobia; Granelli ecc.; secondo di rimettere il tutto al giudicio di C[av. di] C[ollegno]; terzo, di consegnarne la stampa alla Società Eccno (sic) biblica.
Si sono proposte le opere seguenti cioè : Lhomond, A brégé de la Religion avant J. C., fu ammesso a Catalogo; Idem, Abrégé de l’histoire de l’Église, il quale fu rigettato, per lodar troppo la dichiarazione del Clero di Francia e Bonaparte; Saulegar, Principes de la vie spirituelle, fu ammesso a Catalogo; Fondements de la morale, fu parimenti ammesso a Catalogo; Saraza, L’art de se tranquilliser ecc. édition de Turin, in questa edizione si è osservato esservi molti difetti ed errori essenziali, essere insomma perfettamente secondo l’edizione dei protestanti, la quale è espressamente esclusa nel Catalogo; La Forêt, Méthode d’instruction pour les réformes, sopra questo si sono fatte delle eccezioni per non ammetterlo a Catalogo, ma si è rimesso il giudizio in altra sessione; Conversation entre une mère et ses enfants, questo è stato rimesso alla M[archesa] M[assimino] per darne il suo giudizio.
4° Finalmente si è parlato della carta geografica, e si è detto: 1° che ciascuno prendesse nota delle persone da proporsi; 2° che si sarebbe trattato del modo d’eseguirla nella prossima sessione, rimessa a fissarsi nel lunedì di Pasqua in S. Paolo. [14] Vedi Cayers 2 in fine 1a aggiunta. Si desidera però una copia di detto piano per gli archivi.
5° Si è pensato provvedere agli impieghi nel modo seguente:
Primo Bibliotecario: T[eologo] L[anteri]
Secondo Bibliotecario: D[on] L[oggero]
Promotore: M[archese] Z[ei, ossia d’Azeglio]
Segretario: M[archese] M[assimino] unitamente a C[onte] P[iobbesi]
Istruttore: T[eologo] G[uala]
Missionario: C[av. di] C[ollegno]
Si è però sospesa l’ultima sanzione dei detti impieghi per dar luogo ancora ad ulteriori riflessi onde perfezionare la distribuzione.
6° Si è convenuto di adunarsi circa ogni quindici giorni, e per questa volta si è detto che sarebbesi fissato il giorno dell’adunanza dalli A[mici] C[ristiani] all’occasione che si sarebbero veduti la domenica susseguente in S. Paolo.
DOC. XXXIII
FORMULA IURAMENTI ab Amicis Christianis praestandi et excerptum ex explanatione eiusdem a Servo Dei prolata, anno 1817. – Ex originalibus (minute) in archivo Postulationis O. M. V. asservatis, S. II, 227, 217.
L’attaccamento alla dottrina professata dalla Chiesa e la devozione inviolabile al Sommo Pontefice furono sempre le caratteristiche peculiari dell’Amicizia Cristiana. Di ciò abbiamo un’aperta dichiarazione negli Statuti: «Nous professons en qualité de chrétiens catholiques un attachement inviolable pour le Saint-Siège» (archivio della Postulazione O. M. V., S II, 207) e una preziosa testimonianza nel giuramento o protesta di obbedienza al Sommo Pontefice (n. 1), preparata dal Lanteri per i membri dell’Amicizia Cristiana Torinese, ricostituita nel 1817, dopo sette anni di dispersione. Sembra che tale protesta sia stata fatta in occasione della prima seduta, tenuta il 3 marzo di quello stesso anno, come fanno pensare le parole del verbale della seduta stessa dove leggesi che «si sono rinnovate da tutti le proteste» (Doc. XXXII, pag. 147); comunque il discorso di commento al giuramento (n. 2) dev’essere posteriore al 6 gennaio 1816, poiché vi è ricordata la concessione di privilegi spirituali concessi dal Papa a tale data (ibid., pag. 148).
Del giuramento (n. 1) si conservano diverse minute autografe del Lanteri; tra queste abbiamo scelto quella che ci sembra contenerne il testo più elaborato. Del discorso (n. 2) diamo semplicemente un estratto, sufficiente, a nostro parere, per dimostrare come il Servo di Dio intendesse e volesse intesa la protesta o giuramento di obbedienza al Sommo Pontefice.
1
Formula del giuramento di obbedienza al Romano Pontefice
Professo di riconoscere la Santa Cattolica ed Apostolica Romana Chiesa Madre e Maestra di tutte le Chiese.
Prometto e giuro vera obbedienza al Romano Pontefice, successore di S. Pietro, principe degli Apostoli, e vicario di Gesù Cristo.
Confesso che niuno può essere vero Cattolico senza la Comunione colla S. Sede, ossia colla Chiesa particolare di Roma, ne può salvarsi senza un’obbedienza sincera al Romano Pontefice, quale riconosco infallibile nelle sue decisioni ex Cathedra, quale pertanto professerò sempre senza eccezione e restrizione.
Riconosco ancora l’infallibilità del Romano Pontefice nei suoi giudizi dati ex Cathedra, e detesterò sempre ogni novità di dottrina a questo riguardo.
2
«Alcuni brevi riflessi sul giuramento di unione e sommessione al Sommo Pontefice per farlo con piena cognizione di causa».
Tre riflessi sono da farsi sul proposto giuramento:
I° che in sostanza non contiene altro che una semplice professione di fede, quale ogni fedele deve essere sempre pronto di fare se vuole essere cattolico;
II° che se in tutti i tempi ogni fedele deve aver nel cuore questa professione di fede, in questi tempi particolarmente deve esternarla e professarla liberamente, massime poi deve ciò fare un A[mico] C[ristiano].
III° che il modo di far questa professione di fede per via di giuramento è il modo stesso adottato e proposto dalla Chiesa.
Dunque primieramente il giuramento proposto non contiene altro che una semplice professione di fede, e questo risulta dalla stessa costituzione della Chiesa, quale è necessario trattenerci per poco ad esaminare.
Il proposto giuramento non contiene altro che una professione di fede, quale ogni fedele deve sempre essere pronto di fare se vuole essere cattolico.
Perché ogni cattolico deve essere pronto a credere e praticare tutto ciò che la Santa Madre Chiesa insegna e prescrive. La Santa Madre Chiesa insegna: 1° che S. Pietro è stato costituito da Gesù Cristo suo Vicario, con potestà universale e ordinaria; 2° che il Sommo Pontefice è successore di S. Pietro, vicario di Gesù Cristo, che gli è stata da G. C. conferita la piena potestà di pascere, reggere, governare tutta la Chiesa, che gli si deve unione e obbedienza per essere cattolico. Dunque ogni fedele deve credere ed essere pronto a credere e praticare quanto sopra.
Ogni fedele è tenuto a credere tutto ciò che Dio ha rivelato, e propone la Santa Chiesa.
In quelle parole: «Tutto ciò che Dio ha rivelato», si contiene l’oggetto e il motivo primario che è la verità di Dio rivelante.
In quelle parole: «Che propone la Santa Chiesa», si contiene il motivo secondario, che è l’autorità della Chiesa, come condizione sine qua non.
…Che se questa dichiarazione di attaccamento al Romano Pontefice è così necessaria a tutti, quanto più lo deve essere all’A[mico] C[ristiano], essendo questo lo spirito dell’A[micizia] C[ristiana], come consta dai Cayers, spirito espresso nella supplica al Sommo Pontefice, per cui siamo graziati del tesoro dell’Indulgenza Plenaria due (sic) volte la settimana per i secolari, e dell’Altare privilegiato una volta la settimana per gli ecclesiastici.
E se la Chiesa, per assicurarsi della sana dottrina dei Vescovi, Parroci e Dottori, esige da essi il giuramento e promessa di riconoscere la Chiesa Romana Madre e Maestra di tutte le Chiese, e di professare vera obbedienza al Romano Pontefice, successore di S. Pietro, e vicario di Gesù Cristo, perché trascureremo noi un simile mezzo per assicurarci pure dello spirito di ciascun A[mico] C[ristiano] per l’avvenire, e perché non lo esigerebbe pure da noi la Chiesa stessa, ove pubblica fosse la nostra Società, trattandosi pure di spargere la parola di Dio non già colla predicazione, ma bensì per via di libri, ove è sommamente importante di guardarsi, e nell’adottare i libri stessi, e nel promuoverli, di spargere alle volte alcun pascolo velenoso invece del buono, potendo un solo cattivo principio avere funestissime conseguenze per la salute delle anime, come accadde quasi in tutte le eresie, che ebbero sempre origine da un qualche erroneo principio?
Perchè, dico, non ci faremo premura di fare una simile professione, essendo pure importantissimo di provvedere per l’avvenire, perché non sottentri mai in alcun modo ne alcun soggetto men buono nella nostra Amicizia, o s’insinui alcun punto di dottrina, suggerito piuttosto dal nemico infernale, che dalla Chiesa e da Gesù Cristo?
II Documenta quae ad Piam Societatem vulgo dictam «Aa» pertinent, annis 1781-1787
(Doc XXXIV)
1. La Società segreta, detta Aa
Fra le Società segrete sorte in Francia nel secolo XVII, a scopo di apostolato e di personale santificazione, occupa un posto assai importante quella conosciuta sotto la misteriosa sigla Aa, che ancora non è stata spiegata in modo esauriente. Pare volesse indicare I’«Assemblèe des Associés»;[15] oppure come vorrebbero altri «AssociAtion» o «Association des Amis». I biografi del Lanteri probabilmente per analogia con le Amicizie Cristiana e Sacerdotale, indicate con le sigle: A C e A S, hanno creduto volesse significare Amicizia Anonima. Questa interpretazione, sconosciuta al Servo di Dio e ai documenti a lui coevi, venne data nella biografia del Lanteri scritta da Mons. Ceretti tra il 1841 e il 1854 (cfr. Doc. LXXXII). Checchè volessero significare con questa sigla i fondatori della Società, sta di fatto ch’essa è stata indicata con tale sigla sin quasi dalle origini, onde da parte nostra, anziché parlare di Amicizia Anonima, secondo l’uso invalso presso i biografi del Lanteri da Mons. Ceretti in poi, continueremo a designare tale Società con la tradizionale sigla Aa.
2. Origine dell’Aa
Nelle sue origini l’Aa si presenta come una congregazione segreta in seno alle grandi Congregazioni Mariane pubbliche di alcuni Collegi dei Padri della Compagnia di Gesù. La sua storia ha ancora molti punti oscuri, però con l’aiuto dei documenti e degli studi pubblicati di recente[16] è possibile tracciarne le linee fondamentali.
I primi indizi dell’esistenza dell’Aa risalgono al 1632. In quell’anno sei ascritti alla Congregazione Mariana del Collegio dei PP. Gesuiti di La Flèche si radunarono segretamente per cercare i mezzi più acconci per meglio servire Maria Santissima e per osservare più esattamente le regole della Congregazione. Il Direttore della medesima, il celebre Padre Bagot, informato della nuova iniziativa, non ebbe difficoltà ad approvarla.
3. Diffusione e ideale dell’Aa
Nel 1643, uno dei sei primi Congregati di La Flèche venne a Parigi; d’accordo con due dei capi della Congregazione Mariana del Collegio Gesuita di Clermont (Parigi), egli introdusse l’usanza in questa Congregazione di tenere, tra i più volenterosi aggregati, delle adunanze segrete come a La Flèche.
Qualche anno dopo, nel 1650, i giovani studenti del Collegio di Clermont facenti parte di tale accolta segreta, detta «Assemblée» oppure Aa, vera Congregazione segreta, come si è detto, operante in seno alla grande Congregazione pubblica, lasciarono il chiassoso albergo della «Rose Blanche», frequentato dagli studenti del Collegio, per ritirarsi in un ambiente più tranquillo di via «Coupeaux», e ridurvisi a vita comune. Il Padre Bagot, allora direttore della Congregazione Mariana del Collegio di Clermont, dirigeva nelle vie dello spirito quell’eletto stuolo di giovani volenterosi, donde il nome dispregiativo di «Bagotiens» dato dai loro avversari, mentre i simpatizzanti li chiamavano i «Bons Amis». Da notare che l’intima organizzazione della loro vita comune sfuggiva al controllo di chiunque, protetta com’era dal più inviolabile segreto. [17] Tra i «Bons Amis» di via «Coupeaux» trovavasi anche il Bretone Vincenzo de Meur, futuro primo superiore del Seminario delle Missioni Estere di Parigi. Questi nel 1658 fondò tre importanti filiali dell’Aa di Parigi: a Tolosa, a Bordeaux e a Poitiers. A Tolosa ebbe per collaboratore il Padre Giovanni Ferrier, direttore della Congregazione Mariana del Collegio dei Padri Gesuiti di quella città. Per ragioni che ci sfuggono, l’Aa di Tolosa divenne – e rimase fino al secolo scorso – il centro più importante della Società; tale fatto ha contribuito a far credere erroneamente a taluni che il de Meur fosse non solo il fondatore della filiale di Tolosa ma il vero ideatore dell’Aa. Al de Meur l’Aa deve la sua diffusione fuori di Parigi e probabilmente anche un indirizzo meglio determinato, come lo suggerisce l’idea – da altri realizzata – ch’egli aveva di scinderla in due sezioni distinte: una per gli studenti di teologia viventi fuori dei Seminari (l’Aa des clercs); l’altra per i giovani non chiamati allo stato ecclesiastico (l’Aa des laïcs).
Anche così divisa l’Aa continuò a conservare durante tutta !a sua lunga esistenza – circa due secoli – il primitivo ideale ch’era di portare i suoi aggregati ad un alto grado di perfezione, mediante metodiche pratiche di pietà e l’esercizio delle virtù, in particolare della carità. Tra i primi membri dell’Aa ebbe pure un largo influsso l’ideale missionario, tanto che quasi tutti i «Bons Amis» di via «Coupeaux» entrarono a far parte del nascente Seminario delle Missioni Estere di Parigi, di cui fu primo superiore il sopra ricordato Vincenzo de Meur (1664-1668). L’ideale missionario continuò poi ad essere principalmente coltivato dall’Aa di Tolosa.
In quanto alla diffusione dell’Aa, i dati statistici sinora raccolti dai documenti già pubblicati e da quelli che riprodurremo appresso dimostrano ch’essa ha operato in più di 30 città della Francia, del Canadà, d’Italia, della Svizzera e della Baviera.
4 L’Aa degli studenti in teologia e sua introduzione in Torino
La creazione dell’Aa des clercs e di quella detta des laïcs, vagheggiata dal de Meur († 21 giugno 1668), avvenne nel 1676, circa 18 anni dopo la fondazione di Tolosa (cfr. G. Goyau, Les Prétres des Missions Etrangères, Paris 1932, pag. 48). Non sappiamo se il Servo di Dio abbia conosciuto l’Aa des laïcs; però è certo ch’egli fece parte dell’Aa des clercs, introdotta in Torino nel 1781 da un certo chierico Murgeray; probabilmente Savoiardo d’origine, il quale era in rapporti epistolari con l’Aa di Bordeaux (cfr. lettera del 1° dicembre 1781 dell’Aa di Bordeaux al Murgeray, conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 372). Il Servo di Dio era in quel tempo al suo ultimo anno di teologia (si laureò il 13 luglio 1782) e viveva fuori del Seminario come tanti altri chierici di allora. In Torino, i chierici viventi fuori del Seminario dovevano prestare servizio in una determinata chiesa onde stare sotto il controllo dell’autorità ecclesiastica (cfr. l’istruzione di Benedetto XIV del 6 gennaio 1742 ai Vescovi del Regno Sardo per l’applicazione del Concordato tra la Santa Sede e Vittorio Amedeo II: A. Mercati, Raccolta di Concordati su materie ecclesiastiche tra la Santa Sede e le Autorità Civili, Roma 1919, pp. 365-381) e formavano i così detti «cleri» del Corpus Domini, di Santa Maria di Piazza e di San Filippo (cfr. A. Vaudagnotti, II Cardinale Agostino Richelmy, Torino 1926, pp. 68-69). Per quante ricerche siano state fatte non ci fu dato scoprire a quale dei tre «cleri» apparteneva il Lanteri quando venne a contatto col chierico Murgeray.
4. Natura e ordinamento dell’«Aa des clercs»
Dell’Aa des clercs ossia degli studenti in teologia, all’epoca del Servo di Dio, conosciamo assai bene la natura e l’ordinamento, poichè ci sono pervenuti gli Statuti (il cayer secondo il linguaggio convenzionale della Società), in una versione italiana intitolata: Trattato dell’Aa degli studenti in Teologia sotto la protezione di Gesù, di Maria, di S. Giuseppe e dei Santi Angeli Custodi (archivio della Postulazione O. M. V., S. Il, 220). Nella nostra documentazione questi Statuti non figureranno perché non appartengono affatto al Servo di Dio.
Lo scopo specifico di quest’Aa era di stringere in una santa unione, vincolati dal più stretto segreto per sfuggire ad ogni ingerenza di persone estranee, un certo numero di giovani studenti – al massimo venti – che si avviavano al sacerdozio, ma viventi fuori del Seminario, onde formarli allo spirito ecclesiastico e porger loro gli aiuti spirituali necessari ad un chierico. Inoltre essa cercava di esercitare un salutare influsso su tutti quelli ch’erano chiamati al Sacerdozio. «L’Aa – dice infatti una lettera del 1787 dell’Aa di Chambéry a quella di Torino – est une sainte union de cœur, de corps et d’esprit entre des personnes qui veulent sérieusement travailler à leur perfection et contribuer de tout leur pouvoir à la sanctifìcation de ceux qui se disposent a l’état ecclésiastique. Ainsi ce serait une illusion de penser qu’on en retirerait beaucoup de fruit si on se contentait d’assister aux conférences de chaque semaine sans mettre la main à l’œuvre, sans travailler à se corriger de ses défauts, à acquérir les vertus qui nous manquent et sans travailler à se former des sujets qui puissent nous remplacer et continuer l’œvre de Dieu» (Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 374).
Ciò premesso, vediamo ora in base agli Statuti qual’era l’intima costituzione di questa Società segreta; diciamo subito ch’essa era retta da poche e semplici norme direttive.
Si richiedeva che i giovani studenti desiderosi di far parte dell’Aa des clercs fossero dotati d’un carattere docile ed affabile, d’uno spirito giudizioso e costante, e che, professassero un cattolicesimo purissimo. La scelta dei soggetti era fatta con infinite precauzioni, onde evitare di portare in seno alla Società membri nocivi o di poco rendimento.
L’Aa des clercs aveva in orrore ogni genere di novità: professava un attaccamento inviolabile alla Santa Sede, un’intera sottomissione ai Vescovi, e una illimitata carità che doveva costituire la sua caratteristica specifica. Difatti tra i confratelli – così amavano chiamarsi i membri dell’Aa – doveva regnare una assoluta uguaglianza, una santa libertà e una perfetta condiscendenza. La carità era il loro unico vincolo d’unione, giusta il motto Cor unum et anima una (C. U. A. U.), sicché nell’Aa ogni grado gerarchico era stimato inutile; infatti in essa non esisteva carica o ufficio che desse solo l’impressione di superiore o di inferiore.
Gli Statuti accennano però all’esistenza di un Direttore, che doveva essere un sacerdote uscito dalle file dell’Aa, i cui consigli, zelo e prudenza, dovevano mantenere lo spirito di unione tra i confratelli. Egli poteva prendere parte, o no, alle adunanze, ma in fatto di autorità era pari a tutti i confratelli. Per il regolare andamento della vita esterna dell’Aa, per mantenere cioè la corrispondenza, per indire le riunioni o le passeggiate ecc., veniva nominato ogni sei mesi un Commesso che doveva eleggersi un Sostituto. Ognuno poi si sceglieva segretamente un confratello, detto Angelo Custode, il quale aveva la missione di correggere i difetti del suo Custodito.
5. Come I’«Aa des clercs» raggiungeva il suo scopo
I mezzi per raggiungere lo scopo dell’Aa erano gli uni privati, gli altri comuni; fra i privati notiamo: la meditazione, la lettura spirituale, diverse pratiche di pietà e mortificazioni, e lo studio; tra i comuni c’erano ogni settimana: le conferenze di pietà, le visite alle prigioni e agli ospedali, la santa Comunione che si doveva fare più o meno di frequente, secondo il parere del proprio Direttore spirituale. Da notare che l’Eucaristia era considerata come il mezzo più sicuro e più forte che ogni confratello avesse per raggiungere la bramata perfezione. Ogni mese poi c’era una conferenza per trattare gli affari dell’Aa, così pure ogni anno, due volte, veniva fatta la rinnovazione dei «sentimenti» che ognuno aveva provato al momento dell’entrata nella Società. Questa rinnovazione era preceduta da otto giorni di meditazione sullo spirito e sull’importanza dell’Aa e sul finire della cerimonia della rinnovazione dei «sentimenti» tutti i confratelli si abbracciavano ripetendosi l’un l’altro: Cor unum et anima una. Ai mezzi sopra ricordati si devono aggiungere le vicendevoli visite e le passeggiate. Tutti i confratelli dovevano poi avere una tenera devozione a Maria Santissima, considerata come la loro Madre e la loro Regina, a S. Giuseppe e agli Angeli Custodi. Ai tempi del Lanteri vi era pure in onore la devozione al Sacro Cuore di Gesù.
6. Parte avuta dal Servo di Dio nell’«Aa des clercs» di Torino
Data la mancanza di documenti non ci è possibile dire quale parte ebbe il Servo di Dio nella fondazione dell’Aa des clercs in Torino nel 1781 da parte del chierico Murgeray; certo è ch’egli vi apparteneva quand’era diacono (fu ordinato il 22 dicembre 1781), poiché ne parla espressamente nel Direttorio (cfr. Doc. LXVI). Da sacerdote il Lanteri continuò ad interessarsi dell’Aa in modo tutto particolare; sappiamo infatti che nel 1783 egli ne conservava i Cayers o Statuti (cfr. Doc. XXII, pag. 86) e che nel 1784 si congratulava con Don Virginio per il lavoro che stava compiendo per l’Aa (cfr. Doc. XXIII, pag. 89). In due cartolaretti di appunti, di poco posteriori al 1783, troviamo poi annotate le seguenti notiziole, preziose in tanta scarsità di documenti: «Coltivare Ricciardino…forse riceverlo nell’Aa. Formare una Aa di signore e figlie. Promuovere libri di zelo nell’Aa. Nell’Aa, dopo aver parlato, una breve sentenza. Provvedere una stanza per l’Aa, pensare alla pensione di S. Giorgio [figlio del Conte di Saint-Georges (cfr Doc. XXIII), zelante membro dell’Aa, quasi tutte le lettere ricevute dall’Aa di Torino sono indirizzate a lui]. In biglietti, senza nome, scrivere atti di virtù per gli Aa ecc. massime in tempi di novene ecc. Murgeray Aa Ai Ae. Procurare all’Aa libri di operari, Storie di Missioni, libri che ispirino pietà, dolcezza, zelo, prudenza. Mandar Murgeray a Parigi per l’Aa e l’Ai» (Archivio della Postulazione O. M. V., S. II, 440, 441). In un altro scritto del Lanteri leggiamo:«Procurare all’Aa libri che ispirino dolcezza e zelo, v. g. vite di S. Operai, Storie delle Missioni ecc.» (Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 195). Infine da un programma settimanale, probabilmente anteriore al 1798, siamo informati che il Servo di Dio dedicava all’Aa il dopo pranzo del venerdì, ogni 15 giorni (ibid., S.II.14a).
Nel 1803 in occasione del suo viaggio in Toscana, sembra che il Lanteri avesse in mente di diffondervi non solo l’Amicizia Sacerdotale, ma anche l’Aa (cfr. Doc. XXVII, pag. 104 e Doc. XXXV, n. 4); nel 1806 dimostra di interessarsene ancora, come risulta dall’elenco delle commissioni che il Teologo Guala doveva fare per conto di lui in Firenze ed altrove (cfr. Doc. XXVIII, 5 b, pag. 116).
Ora se uniamo questi rapidi e frammentari cenni ai preziosi dati conservati nelle lettere, che pubblicheremo appresso, in cui il Lanteri viene proposto come il prototipo degli ascritti all’Aa, possiamo concludere che il Servo di Dio fu un sincero e convinto membro e apostolo dell’Aa che tanto bene aveva operato ed operava tra gli studenti in teologia viventi fuori del Seminario e avviantisi al sacerdozio.
Non ci è dato sapere quando l’Aa scomparve da Torino, probabilmente essa dovette cessare col confino (1811) del Servo di Dio nella sua casa di campagna (cfr. Doc. X), poiché da alcune lettere scritte da Roma nel 1814-1815 dal giovane Prospero Taparelli d’Azeglio, sappiamo che alcuni chierici ben noti al Lanteri, ma facenti allora capo al Teologo Guala, anziché appartenere all’Aa si erano costituiti in una associazione, detta Accademia, di cui lo spirito e lo scopo non erano però dissimili da quelli dell’Aa (cfr. Carteggi del Padre Luigi Taparelli d’Azeglio della Compagnia di Gesù, pubblicati per cura di Pietro Pirri, in Biblioteca di Storia Italiana recente (1800-1870) della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, vol. XIV, Torino 1932, pp. 61, 65-68, 72-73, 76-79). [18]
DOC. XXXIV
EPISTOLAE quatuor Societatis Aa Chamberiensis ad Societatem Aa Aug. Taurinorum in quibus sermo est de Servo Dei, annis 1785, 1787.
Se il funzionamento di una Società è in stretta relazione con l’osservanza intelligente ed integrale degli Statuti, possiamo dire che tra il 1781 e il 1791 l’Aa Torinese era in piena efficenza. Ne abbiamo la prova in più di 20 lettere ricevute da essa in quel periodo, tuttora conservate nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. I 372-394). Diverse di queste lettere, bellissime nel loro genere, meriterebbero di essere conosciute, ma per non uscire dai limiti impostici dal nostro lavoro, ci limiteremo a pubblicarne quattro, quelle cioè che si riferiscono al Servo di Dio. Esse ci lasceranno intravvedere l’intensa vitalità spirituale esistente nei ristretti e segreti cenacoli dell’Aa e ci diranno esplicitamente la profonda impressione lasciata dal Servo di Dio nel 1787 tra i membri dell’Aa di Chambéry, in occasione del brevissimo soggiorno che fece in quella città, prima di proseguire il viaggio per la Svizzera.
1
Epistola Sacerdotis La Sale, directoris Societatis Aa Chamberiensis, ad Dominum, ut videtur, lacobum de Saint-Georges, e Societate Aa Aug. Taurinorum, in qua sermo est de duobus sacerdotibus confratribus Aa Taurinensis, quorum unus esse videtur Servus Dei, Chamberii anno 1785, 4 maii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M, V. asservato, S I, 381.
Questa lettera non porta l’indirizzo, però dal contenuto crediamo sia stata indirizzata a Giacomo di Saint-Georges, uno dei membri più noti nell’Aa di Torino. Dalla prima parte della lettera si vede che l’Aa Torinese era in piena efficienza e che, fra tutti, si distinguevano due sacerdoti, dei quali disgraziatamente non si cita il nome. Si tratta probabilmente di Don Virginio e del nostro Servo di Dio, che sappiamo a quest’epoca assai occupati in pro dell’Aa (cfr. Doc. XXIII). Il resto della lettera interessa principalmente la storia della Società.
C. U. A. [cor unum (et) anima (una)]
Quae sursum sunt quaerite.
Monsieur confrère,
Vos nouvelles, Monsieur, sont arrivées bien à propos pour me consoler de bien des peines, qui quoique petites en elles-mêmes pour qui aurait plus de courage et d’amour pour Jésus Christ et pour sa croix, ne laisseraient pas de m’accabler, si je ne recourrais à Dieu, à sa Divine Providence et au Sacré-Cœur de Jésus, qui a trop d’amour pour moi:«Ero merces tua magna nimis».
Que j’ai appris avec plaisir que Soleure croît en nombre, que tout s’y fait avec ordre, avec zèle et courage! Un (sic) des chers confrères, Monsieur Guillet, Directeur du grand Séminaire, Monsieur Tellier et Monsieur Rey qui ont lu votre chère lettre, en ont eu bien de la joie. Notre commune satisfaction a été d’apprendre que M. Virginio travaille maintenant à Milan avec des espérances non médiocres, et des plus flatteuses pour quiconque aime Jésus-Christ. Nous ne cesseront de le prier pour lui, afin qu’il bénisse et lui et ses travaux.
Quel surcroît pour nous de contentement et de joie d’apprendre que la vôtre soit florissante, que la ferveur de la vraie et solide dévotion y règne! Avec quels transports d’une singulière charité nous embrassons tous les chers confrères qui la composent! Que nous les aimons tous, et ces deux Mrs Prêtres à qui Dieu a donné un vrai et ardent zèle pour l’A[a]. Je ne vois pas qu’ils puissent rien faire de plus grand que de maintenir la ferveur dans l’A[a]. Comme vous, j’en espère de plus grands fruits que s’ils confessaient et prêchaient depuis le matin jusqu’au soir, que s’ils donnaient des retraites, s’ils prêchaient des carêmes, s’ils donnaient des missions. La raison en est toute simple et évidente: c’est que l’A[a] est une source féconde de tous ces biens: c’est l’arbre que Dieu dans sa miséricorde a planté dans son Église, pour ranimer le zèle presque éteint de ses ministres. En cela la France trop heureuse a été la première qui en a recueilli les fruits, et qui les a portés dans toutes les parties du monde. Quelle joie ç’a été pour le ciel de voir qu’un pays ravagé par les hérétiques ait trouvé dans les Demeurs, les Boudons, les Oliers, les Vincents de Paul, les Bourdoises, les François de Sales, les La Serres, les Dufaux, les Lalannes, les Monmorrins, les Benoîts, les Teissiers, les Tessinés, les Blancas, les Daguerres, et tant d’autres des fervents sujets de l’ A[a] qui ont ranimé la foi et l’esprit ecclésiastique presque éteint dans ces vastes et opulentes contrées de l’Europe,dans cette fille aînée de l’Église, ainsi que l’appellent les Souverains Pontifes! Vous avez raison de l’appeler, je parle de l’A[a], la main de Dieu qui vous aide, «Digitus Dei est hic», et de dire que la dévotion au Sacré-Cœur de Jésus précédera et favorisera vos progrès, qu’il détruira tous les préjugés que l’hérésie et l’esprit de nouveauté et d’acharnement contre Rome, a fait naître contre ce centre de l’unité et de la religion catholique. Sans ce Divin Cœur tout serait perdu: lui seul a opéré l’œuvre de notre Rédemption, lui seul en conserve les fruits, et lui seul doit les perpétuer jusqu’à la consommation des siècles. Pour moi je ne veux vivre que pour lui, en lui et avec lui et j’aimerais mieux cent millions de fois cesser de vivre que de cesser de l’aimer. Priez pour moi qui ne cesserai de prier pour vous tous. Priez aussi pour nous tous.
Je n’ai compris par ces termes, notre réunion avec l’Église Ruthène, que notre réunion avec l’Église de Russie. Vous ne sauriez mieux faire que de mettre votre confiance dans le Sacré-Cœur de Jésus, et d’espérer qu’il vous rendra un digne instrument pour soutenir avec tant d’autres et la Chaire Apostolique et l’Église, se plaisant ainsi dans votre néant, car c’est du néant que l’univers a été créé. C’est sans avoir besoin de rien que Dieu le conserve, et ce n’est qu’en se réduisant au néant, «exinanivit semetipsum», que le Fils de Dieu l’a racheté; et les Apôtres, après Jésus-Christ, fondements de son Eglise, étaient des hommes de néant. Notre Dieu se suffit à lui-même: il n’a besoin de personne, et tout l’univers n’est que néant devant lui.
On ne m’a point envoyé encore la relation de la mort de Monsieur Daguerre; toutefois je puis vous dire que j’en ai été témoin pendant treize ans: car ce vénérable prêtre mourait tous les jours. Tous les jours il se préparait à ce moment si terrible, tous les jours il se hâtait de précipiter sa course vers le ciel. Je me séparai de lui pendant dix ans que je passai à Paris: quand je vins le rejoindre dans son Séminaire, je fus surpris de voir en lui plus de ferveur encore, plus d’ardeur pour la piété et pour les bonnes œuvres qu’il n’en avait quand je l’avais quitté. C’était un généreux athlète qui redoublait ses efforts à mesure qu’il s’avançait vers le bout de la carrière; c’est ainsi que je l’envisageais avec admiration. Presque dans toutes ses lettres il nous faisait pressentir que sa fin approchait, nous disant: j’ai 79 ans, 80, 81 ans. Un mois avant sa mort il m’écrivit de recommander à Dieu une bonne œuvre, et il marqua à Monsieur Guillet susdit confrère qu’il sentait que ses forces diminuaient; ce qui était dire assez clairement qu’il sentait que sa fin approchait: car c’était un homme d’un courage extraordinaire, qu’il puisait dans le Sacré-Cœur de Jésus.
Un jour il dit à un de ses parents en confidence: hier je fus attaqué d’une colique si terrible qu’il me semblait que j’allais trépasser; et à moi il me dit une fois: je souffrais beaucoup d’une colique, il me vint en pensée de prendre de la liqueur pour me soulager: toutefois je n’en pris point, et mon mal passa.
Il était étonnant de voir combien il excellait en toutes les vertus, surtout en humilité et mortification. Il n’usait ni de café, ni de chocolat, ni de liqueur, ni de tabac; jamais il ne mangeait ni volaille, ni gibier, pas même à la table des Évêques; un morceau de bouilli faisait son dîner en gras. Au Séminaire un gros morceau de pain fait de maïs, ou polinte, nourriture si pesante qu’elle me donnait des maux d’estomac quand j’en mangeais, faisait une bonne partie de son pain pendant le repas. Toutefois il faisait lui seul plus de besogne que dix autres, et plus de fruits que des milliers d’autres. Dans les retraites qu’il donnait aux Curés, à quatre discours d’une grosse heure par jour, il ne vivait que de pain et d’œufs durs; il ne buvait presque point de vin: à la fin de ses jours seulement les médecins l’obligèrent d’y mettre un peu moins d’eau qu’auparavant. Il me faudrait un gros volume, si je voulais vous décrire toutes les merveilles et vertus de sa vie.
Voici sa fin: il fut attaqué d’un rhume qui se jeta sur sa poitrine, et détacha de son corps sa belle âme qui fut se réunir à son Dieu. Car je ne doute pas que Dieu n’ait couronné tous ses travaux et sa sainte vie. Je ne vous parle point des haires, des cilices qu’il portait, des disciplines fréquentes qu’il prenait etc. Je pense que dans peu nous aurons, Dieu aidant, l’histoire de sa vie imprimée.
Tout ce que je vous dirai en finissant c’est qu’il était tout amour, tout zèle, tout feu pour l’A[a], que c’est lui qui a procuré à Turin, et à tant d’autres endroits l’A[a], qui a procuré et fourni les fonds pour y entretenir les Murgeray, et plusieurs autres. Prions encore, et faisons beaucoup prier pour le repos de son âme: il priera pour nous.
Je tâcherai de vous procurer quelques lettres immédiates de Bordeaux, de Toulouse, et autres, avec leurs nouvelles, exemples, progrès, actions, vertus, espérances etc. Je leur ferai part de votre amitié. Je ne sais pas votre adresse immédiate; ma maladie a fait que je l’ai perdue; quoique nos Mrs. aient eu soin de retirer pour lors tous mes papiers concernant l’A[a]. Ayez donc la bonté de m’envoyer votre dite adresse immédiate. Je salue et embrasse tous, et prierai beaucoup pour eux, et pour les payer ainsi de retour; j’aurai soin d’offrir vos amitiés à M. Murgeray, qui vient de perdre son curé; aujourd’hui on lui en a donné un autre, qui est le confrère Monsieur Fortins zèlé pour l’A[a]. Je suis tout à vous, et plus que je ne puis dire. Que n’ai-je autant de cœurs qu’il n’y a d’Anges dans le Ciel, tous ces cœurs seraient tout tendresse, amour, zèle, affection, amitié la plus vive pour vous tous en l’union des Sacrés-Cœurs de J. M. J., de tous les Saints et SS. Anges, de tous les SS. PP., sous la protection desquels je suis de vous tous
Monsieur et Mrs. confrères
le très humble et très obéissant serviteur et confrère La Sale Prêtre.
P. S. Je voudrais bien pouvoir trouver quelque prêtre zèlé qui eût le courage de venir m’aider à l’éducation de la jeunesse, et qui eût de quoi fournir lui-même à sa subsistance; nous pourrions établir ici des missions et des retraites, pour les laïques et pour les prêtres, outre le pensionnat ou petit Séminaire que j’ai ébauché. Messieurs Guillet et Murgeray nous aideraient à ces bonnes œuvres, et plus encore Monsieur Daguerre du haut du Ciel.
Chambéry, 4 mai 1785.
Ce pays est dans un extrême besoin de toutes ces choses susdites, ou établissements, que l’enfer fait tout ses efforts pour les arrêter. Priez tous pour le succès de ces œuvres.
Aggiunte marginali:
Faisons tous nos efforts pour imiter les fervents et pieux sujets qui se sont consumés de peines, de travaux et de zèle pour ranimer et étendre l’esprit de l’Aa. Combien d’âmes n’ont ils pas mis dans le Ciel par ce puissant et divin moyen!
Ah, mes chers confrères, qu’il fait bon de servir un maître aussi bon et aussi libéral que notre divin Jésus! Que n’avons nous l’esprit et le zèle d’un Athanase, et de tant d’autres Saints et Saintes!
Le cher confrère de l’A[a], M. La Palme, chanoine, viceofficial, supérieur du grand Séminaire, a été émerveillé de votre lettre; il vous embrasse tous du meilleur de son cœur, ainsi que moi. Que ne pouvons nous tous deux être témoins oculaires de votre ferveur, et vous témoigner nos vifs sentiments d’union et de tendresse!
Travaillons à conserver et à ranimer la foi dans ces pays-ci, il est fort à craindre qu’elle ne s’y éteigne ou les quitte pour se transporter dans les pays des infidèles ou hérétiques.
2
Epistola Sacerdotis Ludovici Tellier, e Societate Aa Chamberiensi, ad Sacerdotem Sineum della Torre, e Societate Aa Aug. Taurinorum, Chamberii anni 1787, 25 aprilis. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 387.
In questa lettera è questione del passaggio a Chambéry del Servo di Dio recantesi in Svizzera; non vi si trova esplicitamente citato il nome del Lanteri, ma il confratello che ha suscitato tanto entusiasmo nei membri dell’Aa di Chamnbéry, non può essere altri che lui, come lo conferma la lettera che pubblicheremo al numero seguente. Da notare in particolare come i modi e le parole del Servo di Dio colpirono profondamente il sacerdote Tellier.
I. M. I.
C. U. A. U. [cor unum (et) anima una]
Monsieur et cher confrère
Votre obligeante lettre dont vous m’avez honoré dernièrement aurait rempli mon âme d’une joie plus vive encore, si dans un autre temps elle nous eût annoncé le passage de notre cher confrère. La retraite ordinaire que Monseigneur a établi pour Messieurs les curés, et à laquelle il assiste toujours, nous laisse par conséquent moins de liberté pour satisfaire à notre empressement, et c’est ce qui a un peu rallenti mon plaisir. Cependant â quoi m’aurait servi ma liberté, il a passé avec la rapidité d’un éclair. A peine pour ainsi dire l’ai-je vu. A peine l’avons-nous vu. Je ne pouvais contenir ma joie intérieure sans la faire paraître à tous ces bons curés, ne pouvant modérer mes transports à la vue d’un ami et d’un confrère, telle est la force des liens de charité qui nous unissent en J. C. A force des instances réitérées de M. le chanoine La Palme, Guillet, Rey, nous le retînmes à souper au Séminaire. Ensuite nonobstant la retraite je sortis avec lui pour le conduire chez M. La Sale, qui dans son ravissement l’aurait retenu une partie de la nuit. Je l’ai accompagné à son auberge, je l’ai laissé sans espérance de le revoir qu’à son retour. Mais Dieu dispose tout à son gré. «Benedictus Deus Pater totius consolationis». Le lendemain matin ses affaires furent retardées, et il ne partit pas que sur le midi.
L’abbé Murgeray que j’avais fait avertir en conséquence dès la veille disposa les choses de façon que tandis qu’il disait la messe à la cathédrale, au sortir de là, à son insu, il se trouva au milieu de nos confrères. Tels étaient mes sentiments si j’avais pu les effectuer! Cependant je remercie le Seigneur de sa miséricorde sur nous: il a ranimé la chère Aa par sa seule présence. Les avis salutaires, et les paroles de consolation qui sortirent de sa bouche firent un grand effet sur les cœurs. On l’écouta avec plaisir, et on se proposa si non d’imiter son zèle en entier, de l’imiter au moins en partie. Hélas! Nous aurions grand besoin de quelqu’un qui vint nous voir souvent, pour nous communiquer cet esprit de charité, cet esprit de ferveur tel qu’on le trouve parmi vous. Nous sommes «pusillus grex», cependant nous nous plaindrions à tort. Je suis du nombre des plus indignes, tandis que les autres courent à grand pas dans le chemin de la perfection.
Pour la première fois que j’ai l’honneur de vous parler sur le papier, je ne m’arrêterais pas encore si mes affaires ne m’appellassent ailleurs. Je vous dirai cependant que son voyage a été heureux jusqu’ici, il a cependant souffert un froid excessif sur le Montcenis. Nous autres nous nous en sommes aussi ressentis car une partie des vignes etc. se trouve gelées.Mais sa santé n’a pas été altérée du tout. Ses vues, et ses intentions sont trop pures pour ne pas attirer sur lui les grâces, et les bénédictions du Seigneur. Je vous prie de faire agréer mes respect à Messieurs vos confrères, aux R.ds pères Giannotti, Canavari, Righini, Baud, Carmagnola etc. Je vous prie aussi avec toute l’instance de me rappeler au souvenir de nos chers confrères S. Giorgio, Botta etc., de leur dire que je suis leur ancien confrère, et qu’ils ne doivent pas m’oublier auprès de Dieu. J’écrirai plus au long une autrefois, et je marquerai la cause de ma négligence à vous écrire plus souvent.
Permettez donc que je me dise avec toute la sincérité et la reconnaissance à vos bontés, je n’oublierai pas non plus le profond respect dû à votre mérite, avec lequel j’ai l’honneur d’être
Monsieur et confrère
De la retraite,
Chambéry, le 25 avril 1787.
Votre très humble et obéissant serviteur
Louis Tellier, Prêtre et Aumônier de S. G.
Monseigneur l’Évêque de Chambéry.
Messieurs La Palme, Rey, Guillet me chargent de dire tant de choses à tous nos chers. J’espère que vous n’oublierez pas que nous vous sommes unis à jamais. Vale.
C. U. A. U. [cor unum (et) anima una].
A Monsieur
Monsieur l’Abbé Sineo Della Torre le cadet
Docteur en Théologie, et très méritant Prêtre
Turin.
3
Epistola Sacerdotis Guillet, e Societate Aa Chamberiensi, ad Sacerdotem Iacobum de Saint-Georges, e Societate Aa Aug. Taurinorum, Chamberii anno 1787, 14 maii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 388.
Con la presente lettera il Sacerdote Guillet dell’Aa di Chambéry comunica al Sacerdote Giacomo di Saint-Georges le impressioni da lui riportate nel fugace incontro col servo di Dio. Da questa lettera si vede anche quanto intensamente lavorasse il piccolo cenacolo dell ‘Aa di Torino per Ia formazione degli studenti e dei chierici.
C. U. A. U. [cor unum (et) anima una]
Quando veniam etc.
Monsieur et cher confrère,
Je n’ai reçu votre chère lettre qu’après le départ du cher M. Lanteri, mais comme M. Sineo avait écrit à M. Tellier et que celui-ci nous avait fait part de sa lettre, nous attendions avec empressement le cher Lanteri, quoique nous fûmes fâchés qu’il arrivât ici dans les circonstances les plus fâcheuses pour nous, parce que nons étions pour lors en retraite avec Messieurs les curés (je dis nous parce que le Supérieur actuel du Séminaire et mon collègue sont aussi de l’Aa). Son séjour quoique bien petit nous causa une joie sensible: le cher M. Murgeray eut le plaisir de voir son ancien ami, et les autres chers celui de connaître un ami qu’ils ne connaissaient pas encore. On voulut tenir Aa, et je ne doute pas que ce ne fût avec beaucoup de satisfaction de part et d’autre. Nous avons vu par nousmêmes ce que vous nous marquiez d’édifiant dans le cher Lanteri, et il ne nous a pas été difficile de connaître que la grâce n’a pas été inutile en lui. Une des plus grandes satisfactions qu’il nous ait donné, a été de nous apprendre que grâces à Dieu votre Aa se maintenait avec édification. Je prie le Seigneur de continuer à répandre sur vous ses grâces et de vous donner à tous un accroissement de ferveur. La chère Aa est pour nous une source inépuisable de grâce, mais nous n’en retirerons qu ‘autant que nous y puiserons.
Nous pensions, il y a quelque temps, à établir quelque association parmi les philosophes, et nous sommes charmés que vous y ayez déjà travaillé; je crois que si la chose pouvait réussir, on en retirerait de grands fruits. L’expérience ne nous donne aucun lieu de douter que si parmi les théologiens il y a si peu de piété et de ferveur, c’est qu’ils sont entrés en théologie remplis de l’esprit du monde et assujettis à leurs passions; c’est surtout en philosophie que se fait le mal; les passions se faisant alors trop malheureusement sentir, et tout concourant à les favoriser, il est bien difficile de nos jours de se préserver de la corruption. Aussi je ne puis voir sans gémir que dans une théologie où il y aura 50 à 60 étudiants, parmi lesquels un certain nombre d’ecclésiastiques, l’Aa remarque cependant qu’elle a toutes les peines de pouvoir en trouver quelques-uns qui puissent lui convenir. Cependant tous se destinent à l’état ecclésiastique, et presque tous seront prêtres dans un petit nombre d’années. Hélas! Je vous laisse à penser et à gémir sur de telles choses.
Plus le mal est grand, plus nous devons avoir d’ardeur à y porter remède. Je ne puis m’empêcher de croire qu’une espèce d’Aa en philosophie où l’on marquerait aux sujets quelques exercices de piété ne fît de grands biens.Prions beaucoup Dieu et avec ferveur, afin qu’il daigne jeter les yeux sur les besoins de son Église, et la tirer de l’opprobre où la vie des ecclésiastiques l’a jetée. Nous commencerons avec l’aide de Dieu à préparer cette année quelques sujets pour l’essayer l’année prochaine. Au reste nous ne ferons à cela que ce que font les Aa de France, comme nous le rapporta un des chers que nous vîmes ici il y a quelques années; ils n’ont pas de la peine à comprendre que si l’on veut peupler 1’Aa de bons sujets il faut commencer à les former en philosophie. Recommandons beaucoup l’affaire à Dieu.
Autant que je puis me rappeler, vous avez dû recevoir de M. Tellier quelques feuilles de l’Association à la Sainte-Trinité; si cependant vous ne la connaissez pas encore, vous me le marqueriez. On vient d’imprimer ici un petit livret de l’Association à la soumission à la volonté de Dieu, que je goûte beaucoup; si vous ne la connaissez pas et que vous ayez envie de la connaître, je vous en enverrai quelques cayers. Vous savez l’axiome «omne bonum sui diffusivum». Si le démon fait tant d’efforts pour répandre le mauvais grain, ne devons nous pas en faire aussi pour répandre le bien? Le temps ne me dure pas à vous écrire, cependant c’est temps de finir. Je vous embrasse, et nous vous embrassons tous bien sincèrement dans le Seigneur. J’ai l’honneur d’être,
Chambéry, ce 14 mai 1787
votre très dévoué serviteur
B. Guillet.
A Monsieur
Monsieur l’Abbé de St Georges
Prêtre et Docteur en Théologie
Turin.
4
Epistola Sacerdotis Ioan. Bapt. Aubriot de la Palme, e Societate Aa Chamberiensi, ad Sacerdotem Sineum della Torre, e Societate Aa Aug. Taurinorum , Chamberii anno 1787, 22 maii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 389.
L’autore di questa quarta lettera è il canonico Giovanni Battista Aubriot de la Palme dell’Aa di Chambéry, poscia vescovo di Aosta (1819-1823). Il de la Palme dopo aver tracciato un quadro ideale di un membro delI’Aa, ne trova il prototipo nel Lanteri, da lui conosciuto personalmente alcune settimane prima.
Da notare che quasi tutto il primo capoverso è cancellato nell’originale.
M. C. U. A. U. [Maria (?). Cor unum (et) anima una]
«Veni Sancte Spiritus». Mon Dieu, combien je souhaiterais que les circonstances me permissent d’aller un peu m’édifier avec vous! J’aurais assurément plus besoin de ce secours que nos chers de Turin; mais je me console parce que les avis que vous demandez prouvent assez qu’au moins vous me rendrez le réciproque, en m’aidant des réflexions que le zèle vous inspirera. Pour moi, puisque vous le voulez ainsi, je vous dirai tout simplement ce que je pense de l’Aa. Je vous avoue que, suivant moi, elle vient de Dieu et ne peut que conduire à Dieu.
L’étude est bonne et nécessaire, les lectures de piété parculières le sont également, la société extérieure des personnes vertueuses produit de très bons effets; mais l’expérience fait voir qu’en se réunissant ainsi plusieurs au nom de Dieu, on y trouve des lumières, des grâces, et une certaine chaleur de zèle qu’on ne trouverait que bien difficilement ailleurs, et qui attirent la bénédiction du Ciel sur tout le reste. Je ne veux pas dire, tant s’en faut, qu’il suffise d’être exact et assidu aux Aa, on n’aurait que plus de compte â rendre si malgré toutes les ressources qu’elles procurent, on ne faisait pas eontinuellement de nouveaux progrès, et si l’on ne s’attachait qu’à l’écorce sans en prendre l’esprit; j’entends, lorsqu’on n’y assiste que pour s’éclairer par les règles excellentes que donne le Cayer et par les pensées qu’y ajoutent des confrères uniquement attachés à la gloire de Dieu et à leur propre sanctification; lorsqu’on y porte un désir sincère de s’animer et de s’encourager à faire tout ce qu’on y apprend être agréable à Dieu. Il ne s’agit pas de badiner, si nous voulons être de bons confrères, il faut que la tiédeur ne puisse rien gagner sur nous. Il me semblerait utile que chaque confrère eût un papier où il écrirait les pratiques recommandées en général dans les Aa, avec celles que les circonstances particulières lui permettent d’y ajouter, et pour lesquelles il a formé de bons propos. Au dessous il écrirait ces mots: «qui hanc regulam secuti fuerint, pax super illos»; puis il lirait tous les jours ce petit protocole, et il s’exciterait à remplir fidèlement ses promesses. Il ne manquerait jamais à sa méditation; il aurait son ange gardien et son directeur, gens qui feraient exactement le dû de leur charge; il fréquenterait les Sacrements; après avoir commencé par lui-même, il travaillerait ensuite à en former d’autres; ce serait un homme qu’on ne peut pas fréquenter sans devenir meilleur; en animant les autres à la piété, en faisant, suivant 1’occasion, toutes sortes de bonnes œuvres, il n’aurait pas de plus grande envie que d’en faire toujours davantage; il sentirait qu’il n’en fait pas encore assez pour le divin Jésus qui a tant fait pour lui; et voilà un sujet probablement tel que le cher M. Lanteri, et tel que je voudrais bien être moi-même.
Quant aux noms des Directeurs et Commis que vous demandez, nous n’en savons guère plus que vous, parce que la correspondance avec Bordeaux s’est interrompue. M. Guillet a écrit il y a près de deux années à M. Lacroix, prêtre bénéficier de Sainte-Colombe, près l’Eglise, Commis pour lors, et n’a point eu de réponse. De sorte que, si vous vouliez écrire vous-méme, il ne faudrait le faire qu’à mots couverts.
A Soleure vous savez comme nous que le Commis est M. Vock.
A Annecy le Commis est M. l’Abbé Despommiers, étudiant en théologie. Pour le Directeur, la nouvelle assemblée n’ayant point encore de prêtre résidant à Annecy, c’est M. Mouchet, confrère de l’Aa d’autrefois qui en a fait jusqu’ici la fonction. Mais, comme il est professeur de théologie, nous pensons pour éloigner plus sûrement toute vue de respect humain, que dans la suite il vaudrait mieux qu’il ne s’en mêlât pas.
A Chambéry c’est M. 1’Abbé La Sale, qui a apporté l’Aa en Savoie, qui en est toujours regardé comme le Directeur. Le Commis est M. l’Abbé Rey, étudiant en théologie.
Il faut observer que l’arrivée des vacances fait que les Commis d’Annecy et de Chambéry ne le seront que jusqu’à la fin de juillet. Mais, si vous le jugiez bon, il paraît que, pour éviter l’incertitude de savoir si le Commis est ou n’est pas en ville, les lettres pourraient s’adresser à un sujet qui est fixé dans la la ville, en mettant seulement l’adresse au Commis dans la lettre même; alors, quand il y serait, on la lui remettrait, et s’il n’y était pas, celui qui l’aurait retirée, la lirait et répondrait.
Messieurs Rey, Guillet et La Roche, qui se trouvent actuellement au Séminaire, et tous [les confrères], dont je puis bien interpréter l’intention, vous embrassent cordialement, ainsi que tous nos chers de votre Aa. Priez pour nous tous dans ces temps de désir et de ferveur qu’animent les grandes fêtes de la descente du Saint-Esprit, et du Sacré-Cœur. Et puisque «prima sibi charitas», je vous demande en grâce au moins un bon Pater pour la santé corporelle, ou plutôt pour l’accomplissement de la volonté de Dieu, mais surtout pour la santé spirituelle de celui qui est tout et tout à vous. «Salutem in osculo sancto ».
Chambéry, ce 22 mai 1787, au séminaire.
J. B. Aubriot de la Palme.
A Monsieur
Monsieur Sineo de La Tour
Prêtre, Docteur en Théologie Turin.
III – Documenta quae ad Piam Societatem Amicitiae Sacerdotalis pertinent annis 1782-1803
(Doc. XXXV-XXXVI)
1. Origine deIV Amicizia Sacerdotale
L’istituzione dei Seminari da parte del Concilio di Trento (23a sessione) fu provvidenziale per la Chiesa perchè finalmente si veniva a dare una forma organica alla formazione spirituale e culturale del Clero. Però la loro pratica attuazione fu lunga e laboriosa e soltanto ai nostri tempi fu raggiunta l’attuale organizzazione dei Seminari. È noto infatti che sin quasi ai nostri giorni c’erano dei chierici che vivevano fuori dei Seminari, sia presso le loro famiglie, come presso persone private; la formazione di questi giovani costituiva un vero problema per le autorità ecclesiastiche, che cercavano di ovviare ai vari e gravi inconvenienti ai quali andavano soggetti tali giovani con saggi provvedimenti. Già abbiamo accennato alle prescrizioni in materia contenute nell’istruzione di Benedetto XIV (6 gennaio 1742) ai Vescovi del Regno Sardo per I’applicazione del Concordato stipulato con Vittorio Amedeo II (cfr supra pag. 156) e alla conseguente istituzione dei così detti «cleri» in Torino. Ma le prescrizioni canoniche non sempre erano sufficienti, ond’è che varie iniziative private, aventi per scopo di coltivare la pietà e lo studio nei giovani chierici viventi fuori dei Seminari, sorsero in molte diocesi per opera di sante e zelanti anime apostoliche, si ebbero così ad es. le Congregazioni per i chierici, dirette dai Padri Gesuiti in seguito alle prescrizioni date in merito da Claudio di Acquaviva, Generale della Compagnia, il 2 novembre del 1610, e l’Aa des clercs di cui si è parlato lungamente nel paragrafo II di questa seconda parte della nostra documentazione.
Assicurata in più luoghi con queste sante istituzioni ed altre simili la formazione dei chierici viventi fuori dei Seminari, si provvide pure in varie diocesi a coltivare lo spirito ecclesiastico e l’amore allo studio nei sacerdoti, in particolare giovani per mezzo di pie società od associazioni. A tale effetto sorsero in Napoli e si diffusero nel Regno Napoletano e in molte città d’Italia le Congregazioni ecclesiastiche fondate nel 1611 dal Padre Francesco Pavone S. I. (cfr. F. Pavone, Parte prima dell’istruttioni della Congregazione dei Chierici deIl’Assuntione in Napoli nel Collegio della Compagnia di Gesù, Napoli 1629, pp. 76-105. Su queste Congregazioni cfr. [Giovambattista Baroni S. I.] Notizie storiche delle Congregazioni ecclesiastiche istituite dal V. P. Francesco Pavone della C. di G., Napoli 1853, opuscolo rarissimo conservato nella biblioteca generalizia della Compagnia, 342, A, 16 (8), ved. recensione in La Civiltà Cattolica, 1854, serie 2a vol. V, pp. 680-686). Nella diocesi di Ginevra furono stabiliti i Bons et véritables amis di cui abbiamo già parlato (cfr. supra, pag. 154, nota 1); in Torino poi funzionava sin dal 1732 la Compagnia di San Tommaso, annessa alla chiesa dei Preti della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, la quale aveva per scopo di ravvivare la pietà e lo spirito ecclesiastico nei chierici e nei sacerdoti extradiocesani (cfr. A. Vaudagnotti, II Cardinale Agostino Richelmy Torino 1926, pag. 72).
Ora gli Amici Cristiani di Torino con a capo il Padre de Diessbach che doveva conoscere le sopra ricordate iniziative in favore della formazione spirituale e culturale del clero, cercarono alla loro volta di portare un contributo originale e fattivo a tale importante opera. Fu così che nel 1782 circa essi dettero origine all’Amicizia Sacerdotale, società segreta che doveva avere, secondo gli ideatori, una larga diffusione con lo scopo di radunare scelti gruppi di chierici in sacris e di sacerdoti, massime giovani, per addestrarli alla predicazione delle Missioni e degli Esercizi Spirituali secondo il metodo di Sant’Ignazio e per iniziarli all’apostolato della buona stampa. L’ideale era magnifico; vedremo in questo III paragrafo della documentazione come il Servo di Dio cercò di raggiungerlo, malgrado le difficoltà politiche del tempo.
2. Programma e diffusione dell’Amicizia Sacerdotale
L’Amicizia Sacerdotale, secondo il Lanteri, autorevole interprete del pensiero del Padre de Diessbach, autore degli statuti (conservati nell’Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 195) e come tutto porta a credere il vero ideatore della Società, doveva essere «una pia unione di giovani sacerdoti, o anche di chierici ferventi, ai quali sommamente sta a cuore il secondare efficacemente gli altissimi disegni dì Dio secondo lo spirito della loro vocazione; per questo fine uniti tentano di rendersi il più che possono istrumenti atti a promuovere nel miglior modo possibile la gloria di Dio, che è la salute delle anime, e il fine della loro vocazione allo stato ecclesiastico» (Doc. XXXVI, pag. 187). Come si vede l’Amicizia Sacerdotale voleva essere una scuola di formazione donde dovevano uscire zelanti apostoli, i quali avrebbero, senza punto badare ai loro interessi materiali come insistono gli Statuti, speso le loro energie per la maggior gloria di Dio e il bene delle anime.
Per raggiungere la propria santificazione erano proposti agli ascritti all’Amicizia Sacerdotale alcuni esercizi fondamentali, come la frequenza ai santi Sacramenti (per i chierici), gii Esercizi Spirituali annui, la meditazione, la lettura spirituale e l’esame di coscienza quotidiani.
Come preparazione all’apostolato si richiedeva all’Amico Sacerdote uno studio serio e metodico delle discipline ecclesiastiche, in particolare della Teologia dogmatica e morale, e la preparazione di un corso completo di prediche per le sante Missioni e uno di meditazioni per i santi Esercizi Spirituali secondo il metodo di Sant’Ignazio. Queste prediche e queste meditazioni venivano poi lette per turno dagli Amici nelle adunanze settimanali e liberamente discusse, tanto dal punto di vista della forma quanto del contenuto, da tutti i membri presenti. Le adunanze settimanali dell’Amicizia Sacerdotale si aprivano con la lettura delle «Gazzette» e ciò, come giustamente rileva il Lanteri, «per assuefare l’ecclesiastico a non restringere le sue idee e il suo interessamento al solo suo paese, ma a riguardar tutto il mondo per sua patria, tutti gli uomini del mondo per suoi fratelli… per poter così più facilmente introdursi co’ secolari a parlar poi loro di Dio all’esempio dei Santi» (Doc. XXXVI, pag. 194). Si chiudevano poi con la lettura dell’analisi di un libro, perché gli Amici «comunicandosi scambievolmente i lumi e le cognizioni» potessero più facilmente «spargere colla maggior efficacia la parola di Dio a voce e in scritto» (Doc. XXXVI, pag. 187).
Questo programma, tracciato dal Padre de Diessbach e fedelmente interpretato dal Lanteri, non era di facile attuazione, quindi non fa meraviglia se l’Amicizia Sacerdotale ebbe una diffusione molto ristretta: difatti, oltre a Torino, essa esistette per qualche tempo in Firenze; pare poi che sia esistita in Milano e che sia stato questione di introdurla in Savoia, in Svizzera e nel Palatinato Renano.
3. L’opera svolta dal Lanteri nell’ambito dell’Amicizia Sacerdotale
L’Amicizia Sacerdotale di Torino, come dicemmo poco fa, pare sia stata fondata nel corso del 1782, però la prima notizia datata che ci attesti la sua esistenza è la lettera che Don Virginio scrisse al Padre de Diessbach il 1° aprile del 1783 (Doc. XXII). Tutto porta a credere che il Lanteri vi prendesse parte sin dal momento della sua fondazione e che in assenza del Padre de Diessbach e di Don Virginio la dirigesse lui stesso. Siccome i documenti sull’attività del Lanteri in questo settore sono molto scarsi, siamo stati costretti a completarli con alcune brevi notizie, che qui trascriviamo dagli originali, relative all’Amicizia Sacerdotale e all’attività del Servo di Dio per la formazione del clero, contenute in rapidi appunti presi dal Lanteri tra il 1783 e il 1798, probabilmente in previsione di qualche adunanza delle Amicizie. Eccone il testo:
Legger sull’eloquenza, quando non si leggeranno componimenti d’Esercizi nelle Ae [Assemblee] Sacerdotali, oppure proporre quesiti in materia di prudenza, requisiti negli operai, oppure esaminare il catalogo dei libri… Coltivar Belly, Calleri, Castelborgo, D. Allinio, Margaria, Mazzoni, Beltriti, unirli, farli comporre Esercizi… Abate Sappa [poi Vescovo di Acqui] per la Sacerdotale. Col tempo permettere agli Amici Sacerdoti concorrere alle parrocchie per provvedersi buoni parroci. Provvedere in maniera che in ogni assemblea si legga qualche squarcio d’Esercizi. Scrivere sovente tutto a Monsieur Diessbach, e procurare da lui lettere per le due Amitiés… Studiar mezzi per assodare bene l’Amitié grande e Sacerdotale… Farsi amico di buoni parroci, confessori ecc. per «farne capitale massime in tempo di Esercizi» (Archivio della Postulazione O. M. V., S. lI, 440). Parlare a M. G. per ricavare regole prudenziali riguardo alla famiglia, alle persone del paese, ai confessori, parlare all’arciprete curato… Dovranno i nostri Amici Operari cercare di dar essi gli Esercizi o tridui alle scuole pubbliche per così accaparrarsi, conoscere e preparare dei buoni soggetti in fieri.
Dovranno pure prepararsi una muta di Esercizi per gli ecclesiastici, e non lasciare sfuggire le occasioni per darli, per così infervorarli a travagliare e vedere se v’è alcuno che convenga al nostro scopo. Coltivare e ispirare agli ecclesiastici, massime giovani, genio alla lettura, al travaglio, all’orazione, procurar loro libri che ispirino dolcezza e zelo v. g. vite di S. Operari, Relazioni di Missionari, Lettere di Missionari dell’Indie ecc. … Visitar ospedali, prigioni, poveri infermi ecc. e ispirare questo spirito agli ecclesiastici, mezzo buonissimo per disporli secondo le nostre mire… Per conoscere gli ecclesiastici veder i libri, presentarsi con dottrina «stretta, parlare d’esteriorità pie… Promuovere sacerdoti novelli a farsi mute di Esercizi. Per ciò verrebbe bene servirsi delle fabbriche d’Esercizi, ivi provvedere libri confacenti a tal effetto, e «sei mesi dell’anno per esempio radunarvi dei preti che non atten«dano ad altro che a comporsi mute di esercizi» (Archivio della Postulazione O. M. V., S. Il, 441).
Da alcune proposte fatte dal Lanteri all’Amicizia Cristiana Torinese dopo il 1784, vediamo ch’egli consigliò all’assemblea la pratica attuazione di certi mezzi escogitati per cercare di avvicinare i sacerdoti: Pranzi da darsi da noi ai Direttori d’anime o presso il Traiteur, o presso Tommasi, o S[aint] G[eorges] quando avrà casa… Far conoscenza di buoni confessori, coltivarli, prenderli per Rechercheurs, dar loro libri da spargere… Di quando in quando invitar qualche buon confessore a pranzo per incoraggirlo ecc. indirizzarlo nei libri ecc. … Portarsi alle chiese in giorni di festa per conoscere i buoni confessori. Quei dell’A[micizia] S[acerdotale] cercheranno principalmente di dar mute di Esercizi o tridui alle scuole pubbliche per conoscere e cercare buoni soggetti in fieri; come pure di dare gli Esercizi agli ecclesiastici per conoscere i buoni e servirsene… Per maggiormente promuovere le nostre idee dell’A[micizia] C[ristiana] e dell’A[micizia] S[acerdotale] vi vorrebbero case di campagna, ove possa, chi vuole, per qualche tempo attendere quietamente a comporre e a pensare a «sè» (Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 195). Da un programma settimanale (ibid., S. Il, 14a), probabilmente anteriore al 1798 sappiamo che il Servo di Dio consacrava all’Amicizia Sacerdotale il dopo pranzo del giovedì.
Questi fugaci accenni uniti ai pochi documenti del 1803 e 1804 che ci parlano direttamente del lavoro compiuto dal Lanteri per l’Amicizia Sacerdotale (cfr. anche Doc. LXXVII), gettano un po’ di luce sulla parte attiva presa dal Servo di Dio nella formazione di «questo capo d’opera», come la chiama un documento coevo (cfr. nota di appunti «Utili pel Direttore dell’Amicizia Sacerdotale», pag. 1, conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 230).
DOC. XXXV
EPISTOLAE QUINQUE quae iter respiciunt a Servo Dei in Etruriam susceptum causa visitandi Amicitiam Christianam Florentinam necnon et Sacerdotalem Amicitiam propagandi, anno 1803.
Abbiamo già riprodotto sopra, Doc. XXVIII, 1, una lettera del Lanteri al Marchese Ricasoli, scritta durante il viaggio che lo stesso Lanteri fece in Toscana nel 1803 per visitare l’Amicizia Cristiana Fiorentina. Dicemmo anche che ci sono altre lettere scritte durante questo stesso viaggio, che trattano dell’Amicizia Sacerdotale: le riproduciamo qui, in numero di cinque, di cui quattro del Lanteri e una del Vescovo di Montepulciano. Esse ci danno varie notizie intorno all’Amicizia Sacerdotale e soprattutto ci mostrano lo zelo del Servo di Dio nel dilatarla.
1
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli circa Amicitiam Sacerdotalem Florentiae anno 1803, 1 octobris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 1502.
Uno degli scopi principali del viaggio del Lanteri in Toscana nell’autunno del 1803 fu proprio quello di cercare di diffondere l’Amicizia Sacerdotale e probabilmente anche l’Aa.
Con questa lettera, indirizzata certamente al Marchese Ricasoli, come si ricava dal contenuto, il Lanteri dà al Marchese notizie sul suo soggiorno fiorentino. Scrive fra altro che avrebbe composto durante il mese un’operetta sull’Amicizia Sacerdotale. Tale preziosa notizia ci ha offerto la possibilità di poter identificare quel suo lavoro con lo scritto che pubblicheremo nel Doc. XXXVI.
Florence, ce 1.er 8.bre 1803.
Monsieur,
Vive le S.-C. de Jésus
dans tous les cœurs à jamais
Monsieur le Marquis d’Azeglio ayant toujours de la peine à écrire à cause de sa poitrine qui en souffre, m’a heureusement chargé de l’honneur de vous écrire de sa part, que sa santé est à peu près dans le même état quoiqu’il sort pourtant quelques fois de la maison, qu’il ne pense pas à présent d’aller à Poggibonsi, et il vous remercie des Gazzettes ci-incluses, dont j’en ai aussi profité.
Permettez, Monsieur, que je profite de cette heureuse occasion pour vous participer aussi la résolution que j’ai prise enfin de rester ici encore quelque temps, laissant partir jeudi prochain pour Turin mon ami et mon compagnon de voyage le Comte Gr[imaldi] avec la Marquise Bianzé, quoique dans l’intervalle de ce mois courant, je ne pourrai ici rien faire du tout relativement à mon affaire que vous savez, parce que tout le monde s’en va en campagne, même les jeunes ecclésiastiques, dont j’ai fait dernièrement connaissance. Je vous assure, Monsieur, et très honorable ami en J.-C. que j’ai passé des jours bien inquiet sur la volonté adorable de Dieu à cet égard; je manque, entre autres choses bien intéressantes à Turin, à une retraite de jeunes ecclésiastiques, qui m’était bien à cœur, et que je devais leurs donner dans ce mois, et qui n’aura plus lieu certainement pour cette année; patience, j’espère que vous voudrez bien m’aider par vos ferventes prières à m’obtenir du Bon Dieu d’en être dédommagé en quelque façon.
Je passerai donc ce moi à copier les «utili», à faire ma retraite spirituelle, à connaître quelques livres, à lire, à prier, je ferai aussi un petit écrit pour l’ A[mitié] S[acerdotale] en attendant d’avoir le bonheur de vous revoir ici, et de vous voir commencer la retraite que vous souhaitez tant, et dont il n’y a certainement pas occupation plus intéressante dans ce monde, mais le Marquis d’ A[zeglio] voudrait aussi en être de la partie; j’aurai aussi la consolation (s’il plaît à Dieu) d’assister à une ou deux A[mitiés] S[acerdotales] avant que de partir, mais je ne pourrai différer mon départ plus loin que vers la moitié de novembre, d’autant plus que je dois encore m’arrêter quelques jours à Milan comme je leurs ai promis.
Il faut encore que je vous fasse part, Monsieur, que je suis allé avec M. l’Abbé Bertolozzi chez M. le Grand-Vicaire de Fiesole aussi de votre part, lequel m’ayant reçu avec toute la bonté possible m’a accordé la permission de confesser; je suis allé le même jour faire visite à M. le Marquis Ghis[lieri] pour le lui parteciper parce qu’il en était plutôt empressé pour la Dame que vous savez, mais il était allé en campagne; à ce que m’a dit son domestique, il était allé faire visite à la Maison Capponi, et on l’a forcé d’aller avec eux à la campagne, sans lui permettre pas même de retourner chez lui; je ne sais pour combien de temps il y restera, je compte pourtant de lui envoyer, d’accord avec le M[arquis] d’Az[eglio], le petit ouvrage de l’abbé Guillon contre le suicide, puisqu’il a bien témoigné de la bonne volonté de s’occuper pour la grande gloire de Dieu.
J’ai trouvé les œuvres de l’abbé Roberti en petits vol., j’espère que vous les aurez déjà reçus, ou vous les recevrez bientôt puisqu’elles n’étaient pas encore reliées, je suis seulement indigné de la mauvaise édition, si j’eusse trouvé l’autre édition assez belle in-8° je vous l’aurais envoyée, mais il ne m’est pas réussi; vous trouverez dans le premier vol. un petit traité Delle virtù piccole qui vous plaira.
Je fìnis pour ne pas abuser d’avantage de votre bonté; je me recommande instamment à vos ferventes prières, et avec la plus vive reconnaissance, et la plus grande estime et considération j’ai l’honneur d’être,
Monsieur,
Votre très humble très obéissant serviteur
L[anteri]
2
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli circa Amicitiam Sacerdotalem, Florentiae anno 1803, 27 octobris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 1503.
Si tratta di un biglietto, mandato al Marchese Ricasoli dal Servo di Dio nello stesso giorno del suo ritorno da Montepulciano, dove si era recato per trattare della fondazione in quella città dell’Amicizia Sacerdotale. Il viaggio del Lanteri fu infruttuoso, però sappiamo che il Vescovo, Mons. Carletti, rimase molto ben impressionato di lui (cfr. n. 4).
Ill.mo Sig. Sig. P.n Col.mo
Eccomi quest’oggi di ritorno da Montepulciano, spero che il Signor Iddio si sarà compiaciuto accettare la mia buona volontà, perché in sostanza non si è potuto conchiuder niente, attesa la scarsezza di soggetti in quella diocesi, sebbene non sia fuori di speranza, che quel poco di seme gettato sia col tempo atto a produrre grandissimo frutto. Io non potrei poi spiegarle la soddisfazione somma, che ho avuto nel conoscere un sì degno prelato, quale si è Monsignor Carletti; egli non poteva accogliermi con maggior cortesia, cordialità e confidenza; e siccome devo tutto questo alle particolarissime attenzioni e cortesie, con cui vuole onorarmi V. S. Ill.ma ed in G. C. Car.ma, così non potrò mai testificarle abbastanza la giusta mia riconoscenza. Mi riserbo a spiegarle maggiormente tutto in voce, mentre con particolare rispetto e considerazione mi protesto
di V. S. Ill.ma
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Servitore e A[mico] C[ristiano]
Pio Bruno Lanieri.
Firenze, li 27 ottobre 1803.
All’Ill.mo e Rev.mo Sig. P.n Col.mo
II Sig. Priore Leopoldo Ricasoli Zanchini
a Casa sua
3
Epistola Servi Dei ad Marchionem Ricasoli circa Amicitiam Sacerdotalem, Florentiae anno 1803, 1 novembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 1504.
Da questa lettera si rileva che alla fine di ottobre del 1803 l’Amicizia Sacerdotale in Firenze era già stabilita: il Lanteri quindi aveva raggiunto il principale scopo del suo viaggio.
Firenze, il 1° novembre 1803.
Ill.mo Sig.r P.n Col.mo ed A[mico] in G. C.
V. J.
Quanto mi è sensibile che forse non potrò avere la consolazione di passar seco a Fiesole alcuni giorni di solitudine; la mia salute, che non poco ha sofferto in questi giorni passati, mi fa pensare seriamente ad accelerare il mio viaggio per non inoltrarmi maggiormente nella stagione fredda, che mi sarebbe sempre più nociva; con tutto ciò niente conchiuderò finché abbia l’onore d’abboccarmi seco lei mercoledì a sera che io starò aspettandola in S. Giovanni di Dio; frattanto mi rincresce che la Sacerdotale non si possa anticipare secondo il suo desiderio, atteso il giorno de’ morti, in cui i signori sacerdoti e i signori chierici sono occupati nei divini Offizi ed è per questo che appunto fu fissata la mattina di giovedì alle ore 10. Frattanto con particolare rispetto, e considerazione mi pregio d’esserle in fretta
Di V. S. Ill.ma e in G. C. Car.ma,
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Servitore ed A[mico], C[ristiano]
Pio Bruno Lanteri.
All’Ill.mo Sig.r Sig.r P.n Col.mo
il Sig.r Priore Leopoldo Ricasoli Zanchini
Poggio a Caiano.
4
Epistola Domini Pellegrini Carletti, episcopi Montis Politiam ad Dominum Ioachinum Tosi secretarium pro litteris in forma brevis ad Principes circa Amicitiam Sacerdotalem, anno 1803. – Ex opere «Devozione di Mgr Adeodato Turchi alla Santa Sede » auctore P. Savio, Roma, 1938, pag. 673, n. 4.
Lo scopo del viaggio del Servo di Dio a Montepulciano ci è conosciuto anche da una lettera di Mons. Pellegrino Carletti, Vescovo di detta città (1802-1827), a Mons. Tosi, segretario delle lettere latine di Pio VII. La lettera non è datata e il nome del Lanteri non vi ricorre, però il suo contenuto non lascia dubbio nè sul tempo in cui fu scritta, cioè gli ultimi mesi del 1803, nè sull’identificazione di quel sacerdote Torinese venuto a Montepulciano nel corso del mese di ottobre; si tratta evidentemente del Lanteri che sappiamo rientrato a Firenze da Montepulciano il 27 ottobre 1803 (cfr. n. 2). Questa lettera è importante non solo per le notizie riguardanti l’Amicizia Sacerdotale e forse anche l’Aa, ma in particolare per il fatto che il Servo di Dio ispirò subito al Vescovo una grande fiducia.
L’originale di detta lettera è tuttora conservato nell’Archivio Segreto Vaticano (Archivio Tosi, sm. autografo) e il testo fu pubblicato da Pietro Savio, op. cit., in nota ad una lettera del 1829 che tratta dell’Amicizia Cattolica.
Ora tibi soli et Pontifici.
Nello scorso ottobre, ad insinuazione di un gesuita domiciliato in Germania, venne a trovarmi un degno sacerdote Torinese, che mi aveva fatto prevenire di volermi comunicare un pio istituto. Immaginavo che fosse qualche divozione, e nulla più. Assai però di più ne seppi. Vi sono in Germania e nei Domini una volta della Casa Savoia ed anche altrove alcune unioni di bravi ecclesiastici, che arrolano segretamente dei giovani chierici e li formano con mirabile arte capaci di grandi cose. In una parola, quello che per il male sono gli illuminati, questi lo sono per il bene. I mezzi di destrezza e di cautela sono gli stessi. Ne ho veduto il codice, e lo direi una copia, se l’autore cui si ascrive, non fosse quasi contemporaneo a S. Francesco di Sales.
Avevo qualche indizio di tale unione, e lo acquistai al ritorno da Vienna di alcuni nostri emigrati, ora ne ho certezza, e se questa non fosse l’ora delle tenebre, vorrei formarne dei felici pronostici. Del bene però ne fanno e non poco.
A me si presentò l’ecclesiastico detto ad oggetto di aver lumi per la Toscana, onde fondarvi in essa simili unioni. Potete credere che il mio esame non fu superficiale, e altronde chi me lo spediva è uomo superiore ad ogni eccezione e che nel tempo della persecuzione di Parigi n’era un secreto apostolo, colà recatosi a quest’unico oggetto.
Oltre l’unione di ecclesiastici, ce n’è ancora di secolari. [19] Ne aveva ancora di essa indizio, ma di essa non mi si volle dire le costituzioni; nè io mi diedi premura per saperle.
Credo possa essere di consolazione questa notizia, seppure altronde non fosse nota a chi è bene che tutto sappia. Mette temi ai suoi piedi.
5
Epistola Servi Dei ad Marchionem Leopoldum Ricasoli de rebus spiritualibus et de Amicitia Sacerdotali, Aug. Taurinorum anno 1803, 28 decembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 1506.
Di ritorno a Torino il Lanteri scrive al Ricasoli dandogli varie notizie e suggerimenti, e interessandosi in particolare sulle sorti dell’Amicizia Sacerdotale di Firenze.
Turin, ce 28 Xmbre 1803.
Monsieur et très cher A[mi] C[hrétien]
V. J.
Je ne m’arrête pas à vous demander pardon, Monsieur, et très cher A[mi] C[hrétien] de mon retard à vous écrire, je suis persuadé que vous ne doutez pas de mon empressement et pour votre respectable personne, et pour tout ce qui nous intéresse, mais mes occupations jusqu’ici ne m’ont laissé de loisir; je profite donc du premier moment libre pour commencer notre correspondance qui me sera toujours bien chère.
J’espère que vous aurez l’eçu une de mes lettres datée de Plaisance; depuis lors je me suis arrèté une semaine à Milan, où, grâce à Dieu, j’ai réussi à arranger plusieurs affaires, et j’en suis parti bien satisfait; vons trouverez ci-jointes les adresses opportunes soit pour écrire par la poste, soit pour envoyer des paquets destinés pour Milan ou pour Turin; combien j’aime que vous entreteniez correspondance avec cet Abbé Riva Palazzi; c’est un A[mi] C[hrétien] plein de zèle et d’activité, qui se fait un vrai plaisir de nous servir dans toutes nos commissions.
Vous recevrez dans quelques jours d’ici 6 exemplaires delle Lettere del P. Pallavicino, et 25 de la pastorale de l’évêque Porporato de Saluces; je vous prie d’en envoyer 4 exemplaires des premiers, et 8 des derniers à Mgr. l’évêque Carletti à qui je me propose d’écrire au plus tôt, les exemplaires qui restent sont pour votre bibliothèque.
Pardon si je ne vous envoie pas encore la méthode pour l’oraison que je vous ai promise, comme aussi une liste des livres pour votre lecture spirituelle et pour celle de Madame la Marquise, votre digne épouse, le temps me manque actuellement, mais ce sera pour une antrefois; j’attends, en attendant, de bonnes nouvelles de l’avancement spirituel de votre âme, de la réussite de la méditation, de la fréquence des communions, de votre courage dans le service de Dieu, de votre obstination à observer l’ordre établi des occupations et affaires temporelles, pour être en état de vaquer mieux aux affaires de Dieu; rien de ce qui vous regarde me peut être indifférent.
Je vous envoie ci-jointe une lettre pour l’Abbé V[irginio], je vous la recommande afin qu’elle lui parvienne au plus tôt, et avec sûreté, elle m’est bien â cœur, et j’aurais même de la peine à lui en écrire un autre aussi longue et détaillée en cas que celle-ci se perdisse, je pense que vous pourriez la remettre au M[arquis] Gh[islieri] afin qu’il ait la bonté de la lui faire parvenir par une voie sûre entre ses propres mains, si cela se peut.
Je vous prie d’avoir la bonté de faire copier le ms. sous le n.° 22 intitulé Memorie di cose da eseguirsi, comme aussi la liste des livres qui ont été ajoutés au Catalogue; le plus tôt que vous pourriez me l’envoyer, vous me rendriez un grand service. Dès que tout sera copié, vous pourriez le remettre au M[arquis] Z[ei, ossia d’Azeglio] afin qu’il ait la bonté de me l’envoyer à la première occasion sûre. Oserais-je aussi vous prier de tenir prêt le paquet de tous les livres destinés pour Turin et pour Milan et de ceux que j’avais laissés à S. Jean de Dieu, et l’envoyer à la première occasion pour ici ou pour Milan selon les adresses ci-jointes, et d’y ajouter encore deux ou trois exemplaires des suivants opuscules de Marchetti: Sul Giuramento civico, Sugl’Intrusi, Sulla vendita de’ fondi Eccl. contro Bolgeni. E se l’altr’opera sui beni Ecclesiastici che il medesimo ha attualmente alle stampe è uscita, la prego di mettervene di questa 4 copie, indicandomene d’ogni mio debito l’importare, perchè possa soddisfarla. Se non sapesse ove ritrovar detta opera, penso M[archese] Z[ei] può essere in situazione di procurargliene per mezzo di quel sacerdote corrispondente di Marchetti, ch’egli conosce; forse M[archese] Z[ei] le rimetterà anche qualche libro da aggiungersi al suddetto plico.
J’ai écrit à M[arquis] Z[ei] et je lui ai envoyé quelques chataignes de notre pays, que j’ ai prié de partager avec vous; je ne sais si elles arriveront en bon état, mais vous aurez la bonté de les agréer telles quelles seront, j’espère qu’elles ne se gâteront pas toutes afin que vous puissiez les goûter; dans le même sac j’y ai mis les livres mentionnés ci-dessus du P. Pallavicino, et de Monseigneur Porporato. Je vous prie d’en avertir M[arquis] Z[ei] en cas que la lettre à son adresse se fusse perdue à la poste.
Que je suis empressé d’avoir des nouvelles d’A[mitié] S[acerdotale]! Si vous en avez, procurez-moi cette consolation de me les procurer, si vous n’en avez pas, j’écrirai dans peu à l’abbé Bertolozzi pour en avoir; en attendant est-ce que le chan. Tom. n’y est pas encore? c’est ce qui m’est beaucoup à cœur, parce qu’il me semble que par ce moyen vous pourriez y voir mieux, et y influer d’avantage, parce qu’il me semble le sujet plus propre, et capable de participer, et d’hériter l’esprit du D[octeur] B[ucelli] (quoique je n’aie pas l’honneur de le connaître) et c’est ce qui est de plus intéressant et nécessaire d’avoir en vue, comme vous sentez très bien.
[Le] M[arquis] G[hislieri] m’avait parlé d’un certain ecclésiastique (vieux Jésuite, si je ne me trompe) qui demeure à Prato, qui serait à son avis excellent pour A[mitié] C[hrétienne] et pour A[mitié] S[acerdotale]et qu’il espérait même qu’il serait venu s’établir dans cette ville, il ne faudrait pas laisser échapper ce sujet, vous en connaissez comme moi la plus grande nécessité; je vous prie de me donner quelque notice à votre égard, comme aussi si les A[mici] S[acerdoti] profitent de votre Bibliothèque, et si l’ab[bé] B[ertolozzi] vous restitua ou s’il porta et laissa dans votre Bibliothèque un Catalogue des points de méditations tirés des meilleurs auteurs, dont la plus part se trouvent déjà dans votre Bibliothèque, afin que les A[mici] S[acerdoti] puissent composer mieux, et avec plus de facilité; je l’en avais prié, en tout cas, s’il y manque, je tâcherai de vous en procurer au plus tôt possible un autre exemplaire; vous pouvez en parler avec D. B[ucelli].
Je finis par vous prier de faire agréer mes très humbles respects à Madame la Marquise, votre digne épouse, à tous les A[mis] C[hrétiens] nommément au D. B[ucelli] à M. Tanf. à la Rigogli, et je vous souhaite en même temps du S.-Cœur de Jésus toutes les bénédictions spirituelles et temporelles pour cette année,et pour bien d’autres à venir. J’ai l’honneur d’être.
Monsieur et très cher A[mi] C [hrétien]
P. S. l° Volendo carteggiare con qualche Amico a Milano e profittare della sua corrispondenza, l’indirizzo sarà al Sig. Ab. Carlo Riva Palazzi. Contrada del Monte di S. Teresa, n. 856. Milano.
2° Volendo fare qualche spedizione di libri, datone pria l’avviso all’ Ab. Riva Palazzi come sopra, l’indirizzo sarà a Giuseppe Bonacina, libraio, sul corso di porta Orientale, di contro Casa Aresi, Milano.
Vengo di ricever lettera consolante dell’Ab. Bertolozzi, che mi scrive che la Sacerdotale va ottimamente, La prego di rimettergli l’acchiusa in risposta.
Votre très humble et obéiss. Serviteur et A[mi] C[hrétien]
L[anteri].
A Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli Zanchini, Prieur des Chevaliers [de] St Étienne
En son Hôtel sul ponte alla Carraja
Florence.
Recommandée par le soussigné à la bonté du Citoyen Directeur pour faire tenir la présente lettre à son adresse sûre, et au plus tôt possible.
Ossetti G.
Employé des Postes.
DOC. XXXVI
OPELLA in qua Servus Dei de Amicitia Sacerdotali tractat, anno 1803. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 222, 325, 11.
L’interesse del Servo di Dio per l’Amicizia Sacerdotale ci è documentato in modo particolarissimo dal presente scritto ch’egli compose in Firenze nell’ottobre del 1803 come sappiamo da una lettera riprodotta sopra, Doc. XXXV, n. 1, e come consta dal fatto che i1 1803 figura in una nota quale anno corrente (cfr. infra, pag. 191).
Il Lanteri nella prima parte di questa memoria espone succintamente il programma dell’Amicizia Sacerdotale, nella seconda invece riprende alcuni punti, appena accennati nella prima, esponendoli più ampiamente. Il Servo di Dio insiste in modo particolare sulla preparazione d’un corso completo di meditazioni secondo il metodo di Sant’Ignazio e sulla necessità di conoscere i libri. A tale scopo egli dà l’elenco degli argomenti delle meditazioni, suggerisce il metodo per ben comporle e indica come devono essere esaminate nelle adunanze dell’Amicizia. Infine tratta dell’analisi dei libri che dovevano servire come seconda arma apostolica degli Amici Sacerdoti.
Di questa memoria, alla quale gli archivisti degli Oblati dettero due segnature (S. II, 222, prima parte; S. Il, 315, 11, seconda parte) perchè divisa in due pezzi, riproduciamo tutto ciò che si riferisce all’Amicizia Sacerdotale, tralasciando il saggio di meditazioni sugli Esercizi di Sant’Ignazio, che fa seguito alla seconda parte, già pubblicato dal Servo di Dio nella sua opera sugli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Lojola col Direttorio pel buon uso de’ suddetti Esercizi, Torino 1829, p. 20 e ss.
«IDEA DI UNA PIA UNIONE DI ECCLESIASTICI DETTA AMICIZIA SACERDOTALE».
L’Amicizia Sacerdotale è una pia Unione di giovani sacerdoti, o anche chierici ferventi, ai quali sommamente sta a cuore il secondare efficacemente gli altissimi disegni di Dio secondo lo spirito della loro vocazione; per questo fìne uniti tentano di rendersi il più che possono istrumenti atti a promuovere nel miglior modo possibile la gloria di Dio, che è la salute delle anime, e il fìne della loro vocazione allo stato ecclesiastico.
Mezzi. I mezzi particolari poi, ai quali si appigliano, (oltre l’attendere seriamente a procurare in se stessi quello spirito inferiore, che li unisce a Dio, e deve particolarmente animare le loro operazioni colla pratica costante delle vere e sode virtù, quale procacciasi coll’uso frequente de’ santi Sacramenti, coll’esercizio della meditazione seria, abbondante, e quotidiana delle verità sante di nostra religione, e della vita di Gesù Cristo, colla lettura spirituale, e coll’esame quotidiano di coscienza, senza omettere lo studio serio della Teologia dogmatica e morale) i mezzi, dico saranno questi due riconosciuti dall’esperienza per i più efficaci.
1° Unitamente attendere a formarsi un corso di ottime meditazioni, secondo il metodo proposto da S. Ignazio nel suo Libro degli Esercizi spirituali.
2° Attendere a conoscer bene i libri buoni, per togliere di mano dei fedeli i libri cattivi, e promuovere quelli; comunicandosi così scambievolmente i lumi e le cognizioni, per potere in questo modo sparger colla maggior efficacia la parola di Dio a voce ed in iscritto.
Pratica. Si radunano pertanto ogni settimana nel luogo ed al tempo determinato. Si leggono le Gazzette o si discorre di nuove pubbliche finché siasi radunato un numero sufficiente di ecclesiastici. Si dà poi principio all’adunanza con recitare assieme l’Ave Maria.
Leggesi in seguito da chi è stato destinato una meditazione distesa, e secondo l’ordine proposto da S. Ignazio, fondatore di questi santi Esercizi.
Finita la lettura della meditazione, ciascheduno con una semplice cordialità e libertà ne dice il suo sentimento, e fa le osservazioni che gli sembrano opportune, suggerendo ciò che gli pare dovrebbesi riformare, omettere, od aggiungere, però sempre senza ombra alcuna di altercazione, od impegno o spirito di partito.
Terminate le osservazioni sopra la medesima, quegli che ha letto la settimana antecedente dà a voce od in iscritto il suo giudicio un po’ ragionato sopra d’un libro propostogli dal Direttore di questa Pia Unione; cioè esponga quale sia il suo soggetto ed assunto, quali ne siano le parti e i diversi capi che si trattano, se sia ben ragionato e convincente, se muova e incoraggisca, oppure il contrario; se ne osservi la chiarezza, l’ordine, lo stile, a quali persone convenga, a quali non convenga, e simili. Havvi poi un deputato per registrare questo scritto, oppure per scrivere il risultato d’un tal giudizio dato a voce.
Finalmente dopo d’avere il Direttore assegnato il libro a chi ha letta la meditazione, affinchè ne dia il suo giudizio nell’adunanza seguente, e determinatasi la persona che dovrà leggere in essa (la quale però, se per accidente non potesse assumersi per quella volta un tal carico, deve procurare di sostituire un suo amico perché legga in sua vece, acciò non s’abbiano gli altri a radunare inutilmente) fissato inoltre il luogo, il giorno e l’ora di detta adunanza, si finisce con un Agimus Tibi gratias.
P. S. Non si accetterà nissuno in questa pia adunanza se non sarà prima proposto in due adunanze consecutive ed accettato di comune consenso.
I requisiti poi di colui che si avrà a proporre ed ammettere nell’adunanza sono i seguenti. Oltre la bontà decisa e ben conosciuta dei costumi, dobbiamo riconoscere in esso uno zelo deciso per la salute delle anime, ed una abilità almeno mediocre per comporre, ed essere sicuri che osserverà il segreto, il quale gli verrà sommamente raccomandato.
«OSSERVAZIONI SERIE DELLE MEDITAZIONI DA LEGGERSI»
Fine dell’uomo. Peccato mortale, suoi castighi e sua malizia intrinseca. Morte. Giudizio particolare e universale. Inferno. Prodigo. Regno di Xto, oppure i due stendardi. Incarnazione e Natività di G. C. Sua vita privata e pubblica. Sua Passione. Paradiso. Amor di Dio.
Quando gli Esercizi fossero prolungati d’alcuni giorni sarebbe opportuno dare due med. del fine dell’uomo, due della morte, due della Passione di G. C.
Non si ammetterà mai altra lettura nell’adunanza, che delle meditazioni appartenenti a’ S. Esercizi, perché il formarsi un corso compìto di tali meditazioni non è un assunto così indifferente, ma una commissione piuttosto lunga e penosa, e se non vi si tien fermo, non se ne verrà mai a capo.
Egli è poi sommamente interessante non dipartirsi mai da questa traccia sovraccennata di meditazioni, perché gli Esercizi spirituali di S. Ignazio non consistono già in impiegare un dato tempo in qualunque sorta di meditazioni, letture, esami, ma bensì in darsi seriamente a meditare e leggere non mai altra cosa che quella determinata serie di verità, d’onde risulta un attacco fortissimo e ordinato al cuor dell’uomo, per renderlo poco per volta, metodicamente e come per arte, di gran peccatore (quando egli lo fosse) un gran santo; e frutto egli è questo come immancabile di questi S. Esercizi se verranno ben dati, siccome tante volte ci ha dimostrato l’esperienza. E abbastanza ce lo indica la traccia medesima delle meditazioni come si darà in fìne (vedi idea degli Esercizi di S. I[gnazio]). [20]
«FORMA DI CIASCUNA MEDITAZIONE»
1° Un esordio breve, seguito da una divisione di punti, semplice, chiara, e netta, con in fìne una brevissima orazione preparatoria.
2° Ragionare seriamente sopra la verità proposta in ciascun punto, dilucidarla, provarla di modo che l’intelletto dell’uditore ne resti ben convinto ed impresso, farne in seguito una forte applicazione ai costumi, scendendo alla pratica, con proporre le risoluzioni in maniera che la volontà si senta mossa a praticare ciò che si dice, non dimenticando di inserirvi di quando in quando, con moderazione però, quelle pie aspirazioni ed affetti che sembrano opportuni, ed anche qualche fatto, ossia esempio.
3° Al fine della meditazione, far un colloquio che suggerisca gli affetti e le risoluzioni convenienti, eccitati dal richiamo dei pensieri principali, che si sono proposti nel decorso della medesima.
«RIFLESSIONI DA FARSI SULLA MEDITAZIONE CHE SI È LETTA»
Fra le osservazioni che potrebbonsi fare sulla meditazione letta, le seguenti debbonsi particolarmente aver di mira.
1° Se la meditazione contiene tutte le parti suddette riguardo la forma; se non si uscì mai (almeno notabilmente) fuori del soggetto proposto a meditare; se non vi siano state ripetizioni inutili; se lo stile sia pulito bensì, ma nello stesso tempo semplice, chiaro e alla portata di tutti, dovendosi guardare dal fare troppa pompa di erudizione, e di talento, altrimenti cercherebbesi piuttosto se stesso che non le anime.
2° Devesi osservare che non si avanzino certe massime e proposizioni appoggiate piuttosto a sistemi ed opinioni umane e private che all’insegnamento della Chiesa, il quale solo deve avere di mira l’oratore sacro: proposizioni che tendono piuttosto «ad destructionem» che «ad aedifìcationem», cioè che in pratica tendono piuttosto ad allontanare che ad animare le anime al servizio di Dio, il che si opporrebbe al principale fìne dell’oratore, che è persuadere, muovere, e incoraggiare a fare il bene, per così eccitare e accrescere in tutti le virtù teologali della Fede, Speranza e Carità. Oltre di ciò coteste massime e proposizioni siccome sono appoggiate comunemente a espressioni nude della S. Scrittura, le quali sono soggette a diversi sensi, come appare dai diversi interpreti della medesima, così rimangono ancora incerte e dubbie; anzi, siccome se ne abusano appunto molte volte i nemici della Religione, perciò molte di esse vengono dai migliori difensori di nostra Religione eruditamente confutate. Finalmente devesi sempre avere innanzi agli occhi quel detto dello Spirito Santo: «Sentite de Domino in bonitate», epperò dobbiamo procurarci in noi sentimenti degni di Dio, per ispirarli poi anche negli altri, e ottenere così il fine di amarlo e farlo amare da tutti. Che se si devono anche dire delle verità forti e spaventose (massime trattandosi dei Novissimi) non mai dimenticarsi di suggerirvi opportunamente qualche sentimento di confidenza, per non mai rischiare di ingerire qualche idea falsa di Dio o portare qualche anima alla disperazione.
3° Guardarsi dal lasciare sfuggire, quanto ai punti di morale, qualche decisione d’autore privato quasi fosse decisione della Chiesa; sia perché così si ottenga l’uniformità desiderata della dottrina, la quale altrimenti non può aversi che con l’unirsi tutti a proporre soltanto il puro insegnamento della Chiesa, e non mai il controverso, sia per non venire tacciato di ignorante [21] da qualche persona erudita che forse vi ascolta, e che mal soffrirebbe sentirsi proporre con tanta franchezza un’opinione contrastata da gravi e dotti e nella Chiesa riputatissimi autori, quale sentenza certa, comune e innegabile.
Particolarmente poi deve guardarsi dal proporre simili decisioni private soggette ancora a controversia, importanti obbligo grave, cioè sotto pena di peccato mortale, vale a dire (si ponderi bene questa parola) sotto pena di perdere i tesori inestimabili della grazia, dell’amicizia di Dio, del regno de’ Cieli, e d’incorrere la dannazione eterna, cioè di venire condannato a un supplizio e a un fuoco eterno, mentre che io, o qualunque altro, posso attenermi all’opinione contradicente la vostra, difenderla, sostenerla «sine ullo Fidei aut religionis detrimento» come saviamente avverte Benedetto XIV (Const. Sollicita et provida); perché questo sarebbe un arrogarsi il diritto privativo della Chiesa, di decidere ciò che essa non ha ancora deciso, mentre che «de Sion» solamente «exibit lex et verbum Domini de Ierusalem». Questo sarebbe l’arrogarsi l’autorità di imporre delle obbligazioni nuove, mentre la Chiesa, la quale sola deve misurare le nostre forze, e adattarne il conveniente peso, ci dice in tutti i tempi: «Visum est Spiritui Sancto et nobis nil ultra imponere vobis oneris quam haec necessaria» (cioè null’altro che quanto ha essa chiaramente prescritto); questo sarebbe proporre per insegnamento della Chiesa ciò che non è che insegnamento di persona privata, mentre che il Ministro della parola di Dio, deve poter dire sempre ai suoi uditori col divin Maestro: «Doctrina mea non est mea, sed eius qui misit me», deve egli essere banditore sincero di non altro che delle decisioni della Chiesa rese sui dogmi della Fede, o sui precetti di Morale, altrimenti facendo esce fuori della sua missione, e falsamente pretende di parlare a nome della Chiesa, facendo dire alla Chiesa ciò che essa non ha mai detto.
Perciò il Concilio di Trento così espressamente divieta «incerta evulgari et tractari» (leggasi Sess. 25 Decr. De Purg.), e Benedetto XIV pronuncia che «non feratur omnino privatas sententias veluti certa ac definita Ecclesiae dogmata a quopiam obtrudi». (Leggasi la sua Cost. Sollicita et provida) nè cessa nell’aurea sua opera De Synodo Dioecesana d’inculcare questo stesso ai Vescovi (veggasi particolarmente tutto il Lib. 7 di detta opera).
Perciò saviamente, prescriveva S. Francesco Saverio ai suoi cooperatori nelle Missioni delle Indie: «in concionibus cave unquam proponas argumenta dubia, contrariis perplexa doctorum sententiis; certa et perspicua seligi oportet, quae populo tradantur» (Ep. 7, lib. 3, edit. Bonon.). Per questo motivo sarebbe dunque opportuno lo studiare la Teologia morale non sopra un solo autore, ma sopra varii, ne solamente esaminare i moderni, ma particolarmente i vecchi autori più riputati. [22]
«CIRCA IL GIUDIZIO DEI LIBRI CHE SI DÀ NELL’ADUNANZA»
Questo esempio è proposto a questo fìne di far conoscere bene i libri buoni, per poi spargerli opportunamente togliendo i cattivi. In questo giudizio da darsi sarà sempre rigettato, e giammai ammesso, qualunque libro d’autore non ubbidiente alla S. Sede, o in qualunque modo sospetto, o che contenga qualche cosa contraria a qualche decisione della Chiesa, o anche solo allo spirito e alle pratiche della medesima. Un sol falso principio incautamente appreso o proposto, è indicibile il male, inenarrabili sono le funeste conseguenze, che può cagionare in un privato ed in un pubblico: quante eresie, quanti errori si trovano nell’istoria, e si propagano tuttodì a pregiudizio delle anime, e quanti orrori pure si videro in conseguenza, non sono essi tutti frutti d’un qualche falso principio? Perciò vengono esclusi pure tutti i libri scritti piuttosto «ad destructionem» che «ad edifìcationem», cioè dalla lettura dei quali uno si sente piuttosto scoraggire che animare nella pratica delle virtù, essendo tali libri come inutili al nostro scopo, anzi nocivi. Particolarmente poi saranno lodati e ammessi quelli che incoraggiscono, e sono scritti con unzione, massime se saranno anche bene scritti.
Indicibile poi è il vantaggio che può ricavarsi dalla cognizione di questi libri, poiché con l’uso di essi quante anime si disingannarono dei loro errori, quante trionfarono delle loro passioni ed entrarono nella via della salute, quante altre furono preservate dai pericoli della seduzione, e quante altre fecero progressi immensi nella virtù! Chi non ne ha l’esperienza, può dedurne il vantaggio dal danno che recarono sempre, ma massime nei nostri tempi, i libri cattivi. Possibile che abbiano sempre da essere più prudenti in questo genere i figliuoli delle tenebre!
Un altro vantaggio poi vi è che con questi libri il ministro di Dio continua in certo modo, anche assente, ad esercitare il suo ministero con quelle anime che convertì o che dirige, per confermarle nel bene incominciato o farle correre a gran passi nella perfezione.
Ora questi libri anche eccellenti, non ci costa il comporli o il farli imprimere, esistono essi già in gran numero, adattati ad ogni genere di persone e ad ogni gusto, basta solo il conoscerli e farli circolare, e per questo non può esser meglio impiegato una parte del tempo dell’ecclesiastico, ed anche una parte delle sue entrate, essendo questo un genere di elemosina tanto più nobile, quanto è più nobile del corpo lo spirito a cui si pensa giovare, tanto più interessante ancora, quanto superiori sono dei beni temporali i beni spirituali di grazia e di gloria che si procurano; inoltre ha, quest’elemosina spirituale, quest’avantaggio ancora sulla temporale, che questa presto si consuma e giova a pochi, quella all’opposto può giovar a moltissimi; e quel libro che talvolta con rincrescimento si smarrisce, chi sa in quali mani col tempo lo può far capitare la Divina Provvidenza, e giovare al nostro prossimo più di quel che ci pensiamo.
«DEL LEGGERE LE GAZZETTE AL PRINCIPIO DELL’ADUNANZA»
Questo serve: 1° a prendere la carta morale del mondo; 2° ad assuefare l’ecclesiastico a non ristringere le sue idee, e il suo interessamento al solo suo paese, ma a riguardar tutto il mondo per sua patria, tutti gli uomini del mondo per suoi fratelli, e interessarsi come veri figli e ministri della nostra Madre Santa Chiesa Cattolica Romana per tutti i beni, e mali morali del mondo, che tanto da vicino interessano il S. C. di Gesù; 3° per poter così più facilmente introdursi co’ secolari a parlar poi loro di Dio all’esempio de’ Santi. L’intenzione santa e pura è quella che santifica anche ciò che pare indifferente.
P. S. Sarà poi opportuno col tempo formarsi una piccola Biblioteca comune composta de’ migliori autori predicabili, giusta la nota qui sotto annessa ad uso e comodo degli Amici, perché possano con maggior facilità comporre, massime coll’aiuto d’un Catalogo, fatto espressamente per questo sopra tali autori, quale dovrà sempre conservarsi in detta Biblioteca.
IV – Documenta quae ad Piam Unionem Sancti Pauli Apostoli
spectant, annis 1815-1816
(Doc. XXXVII)
La Pia unione di San Paolo Apostolo, fondata in Roma nel 1790 ed approvata dall’autorità ecclesiastica nel 1797, fu la prima opera per il Clero che il Servo di Dio introdusse in Torino dopo il suo ritorno dal confino (1814). Questa Pia Unione raccoglieva, in Roma, sacerdoti e chierici, i quali si dedicavano all’assistenza spirituale degli ammalati degenti negli ospedali ed anche nelle case private, e all’istruzione religiosa dei militari e del ceto più abbandonato della città. Facevano parte della Pia Unione anche dei pii laici, i quali oltre a cooperare con i sacerdoti e i chierici al bene spirituale dell’ammalato, gli prestavano pure all’occorrenza altri aiuti caritativi.
I sacerdoti e chierici appartenenti alla Pia Unione si radunavano ogni 15 giorni per il caso di morale e una breve istruzione spirituale; questa adunanza costituiva, per così dire, il centro propulsore dell’Unione. Anche i laici aggregati all’Unione avevano le loro regolari adunanze; essi si radunavano, in occasione delle Feste, nella chiesa dell’Unione, cioè in San Paolo alla Regola, ove potevano accostarsi ai santi Sacramenti e dove veniva loro impartita un’istruzione adattata alla loro nobile missione.
A capo dell’Unione stava un sacerdote, chiamato Regolatore primario il quale era poi coadiuvato nella direzione delle diverse opere caritative da altri Regolatori secondari, due per ogni opera. (Cfr. Idea e regolamento della pia Unione di sacerdoti, cherici e secolari, canonicamente eretta nel venerabile arcispedale di Santa Maria della Consolazione di Roma, sotto l’invocazione e gli auspici di San Paolo Apostolo, Roma 1797; e Compendio istorico delle diverse opere di carità sotto il nome di diramazioni nelle quali si occupa la Pia Unione de’ Sacerdoti secolari di S. Paolo Apostolo in Roma, Roma 1807).
Questa Pia Unione fu istituita in Torino dal Lanteri il 22 febbraio del 1815 ed il suo campo di azione furono gli ospedali, le prigioni, i poveri e l’insegnamento religioso. Lo scopo della sua istituzione «si fu, dice il Lanteri, provveder di confessori, istruttori, consolatori: ospedali, poveri abbandonati di città, prigioni». Non sappiamo però se il Lanteri pensò di aggregarvi, come a Roma, anche dei laici.
Il Servo di Dio fu il Regolatore primario dell’Unione ed esercitò anche l’ufficio di confessore nelle prigioni. Del caso di morale era invece incaricato il Teologo Guala. Non ci è dato sapere sino a quando potè sussistere in Torino quest’Unione: i resoconti delle adunanze sono del 1815 e 1816, mentre i casi di morale sono del 1816 e 1817.
Comunque però, anche questa fondazione torna a mostrarci uno dei lati più importanti dello spirito del Lanteri, quello di chiamare e spingere ad opere concrete di apostolato i suoi confratelli sacerdoti.
DOC. XXXVII
EXCERPTA EX ACTIS quibus res gestae in comitiis Piae Unionis Sancti Pauli Apostoli, Aug. Taurinorum institutae, describuntur, annis 1815-1816. – Ex originalibus in archivo Postulationis O. M. V. asservatis, S. II, 224.
Della Pia Unione di San Paolo, fondata in Torino il 22 febbraio del 1815, ci sono pervenuti:
1° i resoconti di alcune adunanze, tenute nel 1815 e nel 1816;
2° cinque casi di morale, risolti tra il 17 dicembre 1816 e il 5 marzo del 1817. Questi resoconti, ridotti quasi a semplici elenchi di nomi con qualche postilla autografa del Lanteri, e questi casi di morale sono per noi assai utili, perché ci fanno intravedere I’attività del Servo di Dio per questa Pia Unione.
Qui trascriveremo soltanto il resoconto della prima adunanza (n. 1) e un elenco di aggregati (n. 2), composto probabilmente nel 1816, con l’indicazione dei loro rispettivi impegni caritativi. In ambedue figura il Servo di Dio, nel primo come Regolatore primario della Pia Unione, nel secondo, come confessore delle prigioni.
Nel primo documento abbiamo supplito la parola Regolatore dove il senso lo richiedeva ed abbiamo indicato con un asterisco i nomi cancellati nell’originale. Le parti autografe del Lanteri sono in corsivo.
1
«Soggetti della Pia Unione radunatisi li 22 febbraio 1815».[23]
Signori Confessori Teologo Lanteri [24] Regolatore
» » Don Saccarelli 2° [Regolatore] per l’ospedale
» » Don Barucchi 1° [Regolatore] per le prigioni
» » Teologo Guala Conferenza
» » Teologo Daveri
» » Avvocato Rossi 1° [Regolatore] per l’ospedale
» » Don Andreis 1° [Regolatore] per i poveri della città
» » Don Molineri 2° [Regolatore] per i poveri della città.
Signori Confessori Don Anselmetti Morizio 2° [Regolatore] per le prigioni
» » *Don Gianoglio
» » *Don Rejnaudi
» » Don Loggero segretario
» » *Don Verulfì
» » *Teologo Bassi
» » Avvocato Boldrini
Lo scopo si fu provveder di confessori, istruttoria consolatori: ospedali, poveri abbandonati di città, prigioni. 1° Fu stabilito aver altri soggetti e parecchi se ne incaricano con felice successo, come si vedrà nell’adunanza seguente; 2° furono incaricati alcuni di provvedere la nota degli infermi d’alcune parrocchie della città, come fu eseguito e si vedrà qui sotto.
2
Elenco di sacerdoti dell’Unione con i loro relativi impegni
Ospedale: Signor Ab. Saccarelli confessore. Sforzate: D. Barucchi, disposto a confessare soldati alla festa. Chiedere al Parroco di S. Agostino biglietti pel Catechismo al Senato. Ospedale e S. Francesco: Teol. Lanza, conf. Ospedale: Teol. Goffi conf. Anselmetti Giuseppe per i sani. Sforzate: Genesio. Ospedale uomini: Padre Paschetti. Ospedale: Teol. Daverio conf. Ospedale e Torri: Molineri conf., Teol. Guala conf., Avv. Rossi conf. Informarsi degli esercizi militari. Ospedale: Verulfi e confessore per i prigionieri. Torri ed ospedale : Andreis confessore. Ospedale uomini: Avv. De Stefanis, col Sig. D. Paschetti. Ospedale e Catechismo: Chierico Loggero Luigi. Prigioni: Loggero Giuseppe confessore, TEOL. LANTERI CONFESSORE, Chierico Ugo, Canonico Inglesio, Anselmetti maggiore. Ospedale: D. Coda. Ammalato da istruire col Sig. D. Verulfì, n. 201.
DOC. XXXVIII
EPISTOLA Sacerdotis I. B. Reynaudi ad Servum Dei circa aggregationem piae Unionis S. Pauli Ap. Taurinensis primariae, Romae existenti, Romae anno 1815, 9 decembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 490.
Il Servo di Dio provvide a far aggregare alla Primaria di Roma l’Unione di San Paolo Apostolo da lui istituita e diretta in Torino come si rileva dal contesto di questa lettera. Egli dette quest’incarico a Don Reynaudi, benemerito sacerdote che ritroveremo alla fondazione della Congregazione degli Oblati, il quale si recava allora a Roma col progetto di entrare nella Compagnia di Gesù.
Con la lettera che qui pubblichiamo il Reynaudi dà al Lanteri la notizia che la domanda di aggregazione era stata accolta favorevolmente.
M.to Ill.re e M.to Rev.do P.ron Mio Stimat.mo
Per ubbidire prontamente ai suoi cenni per me sempre cari e rispettabili, avendo, al mio primo arrivo in Roma, interrogato il Rev.do padre Felice della benedetta Compagnia di Gesù, che, invece del padre Salvatore, si trova ora alla testa della Pia Unione di San Paolo, cosa si ricercherebbe per canonicamente stabilire un’altra Congregazione, che col [di] lei zelo e magisterio era già con santa emulazione nata in Torino, ed ogni giorno andava aumentandosi fruttuosamente. A questo quesito, molto rallegrandosi quel sì amabile, benché cieco uomo Apostolico, e benedicendo la mano paterna del Signore, che, giammai abbreviata, dappertutto suscita e conserva i sinceri emulatori del vero spirito, mi rispose: null’altra cosa richiedersi fuorché il consenso espresso del Superiore Ecclesiastico, cui si potrebbero unire i nomi dei capi e membri principali di questa Congregazione, da canonicamente erigersi; e che ben tosto si sarebbe data ogni premura il Rev.do padre Felice di spedir a Torino, ed a lei, le carte di canonica istituzione, ed associazione e compartecipazione a tutti i beni spirituali che in tanti luoghi da tanti membri di quest’unione già santamente propagata si guadagnano; anzi mi ha dato, in presenza di Monsignor Cattani, ordine preciso di subito scriverne a lei la risposta, acciò per niente si ritardi il maggior merito dei pii collaboratori, e con attività si procuri la maggior gloria di Dio.
La sola ubbidienza m’ha determinato a scriverle impertanto per mezzo di questa mia una risposta, che V. S. m’aveva solamente incaricato di portarle a viva voce. Se alle volte non mi fossi regolato a tenore delle sue intenzioni sempre savie e prudenti, la prego di scusare la mia abituale imperizia; io son sempre fatto per fallire, come lei per perdonare.
Mi raccomando fervidamente alle sue orazioni come di tutti i suoi zelantissimi Congregati.
Ho l’onore di protestarmi con profondo rispetto e piena stima
Di V. S. M.o Rev.da
Roma, li 9 decembre 1815
al Vicolo del Moro porta N. 31
Umil.mo e Div.mo Serv.re
P.te Gio Batta Reynaudi.
Al M.to Ill.re M.to Rev.do Pa.ron Stim.mo
II Sig. Teologo Lanteri Torino.
V – Documenta quae ad erectionem Convictus ecclesiastici Taurinensis et ad relationes Servi Dei cum Theologo Aloisio Guala pertinent,
annis 1816-1830
(Doc. XXXIX-XLV)
La questione dell’origine del Convitto ecclesiastico di Torino andrebbe trattata nella terza parte della nostra documentazione, perchè strettamente connessa con l’istituzione della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, di cui furono fondatori il sacerdote Giov. Battista Reynaudi e il nostro Servo di Dio, come diremo a suo luogo. Ne parliamo invece qui per raggruppare insieme tutta la multiforme attività del Servo di Dio diretta ad una più alta e più completa formazione del Clero. Infatti tale era ed è lo, scopo del Convitto ecclesiastico Torinese, dove i giovani sacerdoti, prima di iniziare la loro vita apostolica, si dedicano per un biennio allo studio pratico della teologia morale e della teologia pastorale.
L’idea d’un Convitto ecclesiastico da erigersi in Torino sta in relazione con le Conferenze di teologia morale pratica, istituite nel 1738 presso l’Università di Torino da Carlo Emanuele III e dall’Arcivescovo Francesco Arborio di Gattinara (1724-1743) e, poco dopo, anche presso il Seminario dall’Arcivescovo Giov. Battista Roero di Pralormo (1744-1766); rimesse in onore, dopo i ben noti rivolgimenti politici dei primi del secolo XIX, dall’Arcivescovo Giacinto della Torre il 26 novembre del 1811 (cfr. T. Chiuso, La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, vol. II, Torino 1888, pag. 264; L Nicolis di Robilant, Vita del. Ven. Giuseppe, Cafasso, confondatore del Convitto ecclesiastico di Torino, vol. I, Torino 1912 pag. 29 e ss.).
I giovani ecclesiastici che frequentavano tali conferenze vivevano privatamente in città e taluni per difetto di mezzi conducevano una vita stentata e poco decorosa allo stato ecclesiastico. Per ovviare a simili inconvenienti gli Arcivescovi di Torino: Francesco Rorengo di Rorà (1768-1778), Vittorio Maria Costa di Arignano |(1778-1796) e Giacinto della Torre (1805-1814) progettarono di creare una casa ove raccogliere quei giovani sacerdoti abbandonati a se stessi, proprio mentre lavoravano al perfezionamento della loro formazione spirituale, ma non poterono giungere a nessun risultato pratico. Il Servo di Dio che si interessava così attivamente, come abbiamo visto, di tutti i problemi riguardanti la vita morale ed intellettuale del Clero, non poteva non occuparsi della sorte spesso infelice dei giovani sacerdoti che frequentavano tali Conferenze. Così sul finire del 1816, egli pensò di servirsi degli Oblati di Maria Vergine, recentemente istituiti nella cittadina di Carignano dietro suo espresso consiglio, per creare in Torino un Convitto ecclesiastico, ossia una pensione per i suaccennati giovani sacerdoti. A tale effetto il Lanteri, cui prestò aiuto anche il Teologo Guala preparò un memoriale che gli Oblati presentarono poi al Vicario Capitolare, Mons. Gonetti; il progetto non dispiacque all’autorità ecclesiastica, però quella civile, da cui dipendeva la concessione della casa necessaria all’uopo, non si dimostrò favorevole e ciò, non perché fosse aliena dalla fondazione del Convitto, ma perché non era allora propensa alla introduzione di famiglie religiose nella capitale (cfr. Doc. LXI, 11, pag. 380). La casa richiesta dagli Oblati per la Congregazione e per il Convitto era l’ex-convento dei Frati Minori Conventuali, annesso alla chiesa di San Francesco d’Assisi.
Siccome le pratiche inoltrate presso l’autorità civile dagli Oblati per ottenere il suddetto ex-convento non sortivano felice esito, intervenne il Teologo Guala, figlio spirituale del Lanteri (cfr. Doc. XIII, intr.). Il Guala era allora rettore della chiesa di San Francesco d’Assisi e contemporaneamente era anche direttore di una Conferenza di teologia morale ch’egli teneva a giovani sacerdoti, presso la chiesa suddetta. Ora, d’intesa col Lanteri, come risulta da vari indizi contenuti nella nostra documentazione, e visto che la richiesta fatta dagli Oblati era andata a vuoto, pensò di avanzare lui una richiesta, senza parlare affatto di Congregazione religiosa, ma chiedendo semplicemente che nei locali dell’ex-convento dei Frati Minori Conventuali si potesse erigere un Convitto per i giovani ecclesiastici che frequentavano le Conferenze di teologia morale e in particolare quella che lui dirigeva. La richiesta fu presentata l’8 agosto del 1817 e il Regio Economo concesse immediatamente al Guala, dietro l’obbligo d’un’annua pigione di lire 200, il predetto ex-convento.
Il Convitto ecclesiastico potè essere aperto nel novembre dello stesso anno ed accolse principalmente i giovani ecclesiastici che frequentavano la Conferenza tenuta dal Guala. È utile sapere che allora v’erano in Torino tre Conferenze: una all’Università, una al Seminario e una terza, quella del Guala, eretta con Lettere Patenti di Vittorio Emanuele I, il 16 dicembre del 1814, nella chiesa di S Francesco d’Assisi. Il Teologo Guala già sin dal 1808 leggeva in questa chiesa ad alcuni sacerdoti il trattato ufficiale di teologia morale del noto Alasia, temperandone la dottrina rigoristica con quella più mite dell’allora Ven. Mons. Alfonso Maria de’ Liguori (cfr G. Colombero, Vita del Servo di Dio D. Giuseppe Cafasso con cenni storici sul Convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1895 pp. 44-45; L. Nicolis di Robilant, op. cit., pp. XXXIII – XXXV, 33).
Col tempo le due prime conferenze caddero rimanendo solo più quella del Convitto che raggiunse, com’è noto, il suo massimo splendore sotto la direzione del B. Giuseppe Cafasso; così poco a poco l’entrata e la permanenza nel Convitto ecclesiastico, dapprima libere e spontanee, divennero per tutti i giovani sacerdoti obbligatorie.
Gli autori che trattarono sinora delle origini del Convitto ecclesiastico, ad eccezione naturalmente dei biografi dal Lanteri non tenendo sufficientemente conto dei documenti esistenti nell’archivio della Postulazione O. M. V., ne attribuirono la prima idea e la fondazione al solo Guala (cfr. in particolare G. Colombero, op. cit., pp. 47-49 in nota). Tale versione dovrà essere rettificata con i documenti che qui si pubblicano; da-questi documenti si vede, come accennammo, che il progetto di aprire in Torino una pensione o Convitto per giovani ecclesiastici obbligati a frequentare le Conferenze di teologia morale e le prime pratiche al riguardo appartengono al Lanteri, consenziente e cooperante il Guala. A quest’ultimo invece spetta l’onore di aver potuto tradurre in effetto il progetto del Lanteri.
Il fatto che il Guala subentrò al Servo di Dio e agli Oblati di Maria Vergine nella fondazione del Convitto potrebbe far nascere ad alcuno il sospetto che in seguito si fossero raffreddate le loro buone e mutue relazioni; ma ciò non avvenne, poiché, come già osservammo, l’iniziativa fu tra i due concertata in antecedenza.
Ecco una prova della loro comune fraterna collaborazione: nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. II, 255) si conserva ancora, un abbozzo di Regolamento del Convitto, scritto di proprio pugno dal Lanteri, di cui il Teologo Guala tenne in parte conto nella preparazione del Regolamento definitivo, approvato dall’Arcivescovo Mons. Colombano Chiaverotti il 28 febbraio del 1821 (cfr. ibid., S. IV, 291).
Nella questione della fondazione del Convitto il Lanteri e il Guala agirono dunque di comune accordo e i fatti attesteranno che il Lanteri non fu mai estraneo al progressivo sviluppo del Convitto, allo stesso modo che il Guala non lo fu nella preparazione del suo progetto immediato che, come dicemmo, appartiene al Lanteri.
DOC. XXXIX
MEMORIALE a Servo Dei redactum circa opportunitatem instituendi in civitate Aug. Taurinorum Congregationem O. M. V. et Convictum ecclesiasticum, anno 1816. – Ex copia contemporanea in archivo Postulationis O. M. V. asservata, S. I, 289a.
II memoriale che qui pubblichiamo è per noi importante in quanto attesta direttamente che l’immediato progetto di erigere in Torino il tanto desiderato Convitto per i giovani ecclesiastici, che frequentavano le Conferenze di teologia morale, appartiene al nostro Servo di Dio. Egli pensava di affidarlo agli Oblati di Maria Vergine, recentemente istituiti in Carignano dietro suo consiglio; infatti, nel presente memoriale, inoltrato ufficialmente dagli Oblati all’autorità ecclesiastica ma da lui composto, egli chiede che venga estesa «in Torino la Congregazione degli Oblati di Maria eretta in Carignano», che fra i suoi scopi aveva anche quello di fondare un «Convitto di novelli sacerdoti».
Nella elaborazione di questo progetto il Lanteri ebbe per collaboratore il Teologo Guala come risulta:
1° dal contenuto del presente memoriale, dov’è questione della chiesa di San Francesco d’Assisi, retta proprio dal Guala;
2° dal fatto che in una copia del memoriale in questione, corretta dal Lanteri, v’è pure una postilla autografa del Guala;
3° dall’aiuto prestato dal Guala al Lanteri nel preparare il testamento della Contessa Silvia Costaforte Sambuco (maggio 1817), o in favore dei Padri Gesuiti o degli Oblati di Maria Vergine (cfr Doc. XLI).
Crediamo utile far notare qui che il Lanteri, nell’espletazione delle pratiche sia per l’approvazione della Congregazione, come diremo a suo luogo, sia per la sua introduzione in Torino in vista dell’erezione del Convitto, volle rimanere nella penembra: egli maturò l’idea e preparò i documenti necessari all’uopo, i quali poi furono presentati alle autorità, com’era naturale, dagli Oblati di Maria Vergine (cfr. Doc. LVI, 1).
Di questo memoriale esistono nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. I, 250, 289a, S. II, 228a.c) un abbozzo autografo del Servo di Dio e diverse copie con correzioni del medesimo, di cui una postillata dal Teologo Guala. In quanto alla data della sua composizione pare dal contenuto si debba attribuire al novembre-dicembre 1816.
Per la nostra edizione abbiamo scelto la copia più completa che certamente deve riflettere meglio delle altre l’originale ora scomparso, presentato al Vicario Capitolare di Torino.
Il mezzo più proprio per migliorare i costumi, e mantenere tranquilli i Popoli, non havvi dubbio essere la Religione. Fra le pratiche di essa in tempi di tanta immoralità e di tanta scarsezza di ministri zelanti, e prudenti, per necessità bisogna preferire quelle che più energiche sono e più pronte ed adattate ai popoli.
Una di queste è il dare opportunamente pubblici Esercizi, l’altra di promovere sempre più la frequenza della confessione sacramentale.
Ma appunto per queste due pratiche, benché richieste, e desiderate da’ popoli, mancano particolarmente gli ecclesiastici per essere questa una occupazione troppo penosa, e faticosa, come pure perché mancano i necessari mezzi di sussistenza a molti, che per lo zelo volentieri vi si consacrerebbero.
Al qual’oggetto si propone di estendere in Torino la Congregazione degli Oblati di Maria eretta in Carignano, il di cui scopo si è :
1° Totalmente consacrarsi per dettare pubblici Esercizi in qualunque città e paese, a giudizio del Superiore ecclesiastico senza veruna vista temporale.
2° Attendere assiduamente, e con carità al confessionale nella loro chiesa.
3° Assistere cordialmente per quanto loro sarà fattibile gli infermi negli ospedali, e li carcerati, catechizzandoli, confortandoli, e confessandoli, oltre un Convitto di novelli sacerdoti, e l’insegnamento pubblico quando si crederà opportuno.
Col 1°, cioè col dettare pubblici Esercizi, si migliorano i popoli. L’esperienza fece toccar con mano nelle diverse Diocesi del Piemonte specialmente da due anni in qua li prodigiosi cangiamenti di popolazioni intiere, prodotti da questo mezzo, ed all’opposto il deplorabile deterioramento per difetto di esso.
Col 2°, cioè coll’attendere al confessionale, si mantengono migliorati, anzi si offre con questo mezzo il comodo per confessarsi in qualunque ora alli cittadini d’ogni condizione, ed impiego, ed anche ai forestieri, i quali coll’occasione che vengono nella Città, centro delle corrispondenze, cercano soventi di confessarsi, e si sa che molti per mancanza di tale opportunità se ne ritornano con non minore loro rincrescimento che danno inconfessi, essendo purtroppo pochi pel motivo sopra indicato i confessori veramente assidui a tale ministero a proporzione del gran bisogno.
Col 3°, cioè coll’assistere gli infermi negli ospedali, ed i carcerati, il basso popolo, cioè li servi, garzoni-artisti, eccetera, che circa 5 mila annualmente escono guariti dagli ospedali, avendo ricevuto in essi coltura d’animo colla impressione delle massime eterne, e coltivandosi poscia in dette massime per mezzo delle confessioni, diverrebbero buoni cristiani, ed utili cittadini, e questa classe, come ognun vede, è importantissima per la quiete pubblica.
Li carcerati poi, da turbolenti e nemici dell’Altissimo, e della società, coltivati nella Religione in tempo in cui più ne abbisognano e sono più in istato di sentirne l’impressione, non commetterebbero più tanti gravissimi peccati di odio, di bestemmie, di scandali ecc., diverrebbero amici di Dio, e qualora vengano rilasciati, non più nocivi, ma utili sarebbero alla società.
Con questi tre oggetti si viene dunque non solo ad impedire la dannazione eterna di migliaia e migliaia d’anime, ma si prevengono milioni di delitti, che impedir non possono le più rigorose, e veglianti leggi, e tolgonsi più malfattori, che con qualunque forza armata, di modo che una tale Congregazione sarebbe non solo utilissima pel bene spirituale delle anime, ma anche quasi necessaria per la società civile.
Finalmente lo stabilimento di detta Congregazione presenterebbe ai novelli sacerdoti tenuti tuttora allo studio della morale pratica e costretti a dimorare in case secolari con pregiudizio dello spirito ecclesiastico, presenterebbe dico, il comodo di una modica pensione a norma del seminario, che la Congregazione erigerebbe a propria industria, ove essendo libero a ciascuno di recarsi alla Conferenza di morale dove più gli piace potrebbero, quelli che lo bramassero, esercitarsi al pulpito, al confessionale, in opere di carità, e potrebbero ivi ancora coltivarsi nello spirito con regolamento da approvarsi dal Superiore ecclesiastico. Convitto la di cui necessità è evidente, perché per via di esso avrebbe comodo il Superiore ecclesiastico di conoscere, e prendere non solo, ma scegliere ancora li vice parrochi, e parrochi, potendo così esperimentarsi l’abilità, prudenza, zelo, indole, e virtù di ciascheduno; all’opposto senza di esso svaniscono le speranze dei superiori, e inutili si rendono le spese fatte in un quinquennio per la gioventù. Convitto pertanto meritamente già progettato, e molto desiderato dalli Revdmi nostri Arcivescovi Rorà, Costa, e Della Torre.
Da questa Congregazione ne ridonderebbe poi un altro vantaggio cioè a quelli, che hanno desiderio di ritirarsi in comunità, si offrirebbe con questa una casa ecclesiastica, in cui potrebbero ed essere soddisfatti de’ loro voti, e divenire utili alla salute delle anime senza uscire dallo Stato, e Diocesi.
II punto sta nel trovare il modo di stabilirla, pel che sono necessari li soggetti, il locale, ed i mezzi di sussistenza.
Riguardo alli soggetti, diversi sono già disposti a dedicarsi per detta Congregazione. Riguardo al locale, la parte del convento, e casa invenduta di S. Francesco d’Assisi sarebbe addatta.
Riguardo alla sussistenza la maggior parte de’ detti soggetti sono disposti a provvedersi del proprio, ed il piccolo provento della suddetta casa invenduta supplirebbe per gli altri, che non sono in situazione di far altrettanto, e per le riparazioni più urgenti, e provviste di prima necessità, e qualora vi fossero maggiori mezzi, vi è speranza fondata di aumentare il numero de’ soggetti, onde basterebbe per tanto bene ottenere il suddetto locale, si, e come si trova.
Potrebbe qui opporsi primieramente, che il locale suddetto, fu già proposto per li religiosi di S. Francesco. Si risponde, che se vi è probabilità, che questi vengano a risorgere, non s’intende di fare veruna proposizione su questo locale. Da quanto però si vocifera, li religiosi figli del convento suddetto si riducono a quattro o cinque al più, e tutti quanti li Minori Conventuali nello Stato si riducono a cinquanta circa, de’ quali buon numero per sanità, vecchiaia, impieghi, non sarebbero più in grado di rientrare in religione, e gli altri basteranno forse appena per compire gli altri due conventi già ad essi proposti di Alba e Moncalieri, oltre la difficoltà di fissare la dotazione necessaria pel convento di Torino.
Un’altra difficoltà potrebbe addursi, cioè che la chiesa del locale suddetto è occupata. Si risponde, che gli Oblati di Maria non abbisognano di fare alcuna innovazione riguardo a detta chiesa ed alloggio degli inservienti alla medesima; loro basta il permesso di confessare in essa, quale è da sperarsi sarebbe volentieri accordato dal Rettore di essa, persuasi che questo progetto sarebbe anzi secondato dal suo zelo.
In mancanza poi del locale suddetto forse potrebbe convenire quello della Consolata, o di S. Lorenzo, o qualche altro mentre ve ne sono dei vacanti.
Si prega pertanto di esaminare bene questo progetto ai piedi del Crocifìsso, e di Maria SSma Addolorata per tanti peccati, i quali verrebbero ad impedirsi coll’esecuzione di quanto sopra, oltre il bene pubblico, che sarebbe promosso colla sud.a Congregazione.
Li soggetti sovra indicati non hanno altro in mira che di rendere felici i popoli in questo mondo e nell’altro colla pratica delle massime di Religione.
In caso dunque di approvazione si supplica il Revdmo Sig. Vic. Gen.le Capitolare di ottenere che Sua Maestà voglia degnarsi di accordare per mezzo del Regio Apostolico Economato agli Oblati di Maria la parte del convento, e casa invenduta di S. Francesco d’Assisi in Torino, onde potersi fin dal principio del prossimo 1817 organizzare la suddetta Congregazione e Convitto. [25]
DOC. XL
EPISTOLAE duae ad Regni Sardiniae Administrum ab internis rationibus, ut videtur, quibus petitur ut conventus olim Fratrum Min. Conventualium S. Francisci tradatur Congregationi Oblatorum M. V., annis 1816-1817. – Ex copiis contemporaneis in archivo Postulationis O. M. V. asservatis, S. I, 289b.c.
Pubblichiamo qui due lettere preparate dal Lanteri, ma presentate a quanto sembra dagli Oblati, nelle quali si chiede al Ministro, come sembra, degli Interni, la cessione dell’ex-convento dei Frati Minori Conventuali e l’annessa chiesa di San Francesco per erigervi la Congregazione degli Oblati di Maria Santissima Addolorata. Si tratta evidentemente della medesima Congregazione già eretta canonicamente in Carignano.
Le due lettere non recano l’indicazione della data e del destinatario, ma dal contenuto e dal confronto con altri documenti si può dire ch’esse furono scritte sul finire del 1816 o nei primi del 1817 al Ministro degli Interni, come sembra. Gli originali non furono ritrovati, però l’archivio della Postulazione O. M. V. ne possiede le minute autografe del Servo di Dio (S. II, 230-231) e varie copie (S. I, 289b.c; S. II, 230b). Qui diamo il testo contenuto nelle copie, perchè meglio elaborato.
Queste due lettere stanno in stretto rapporto col documento precedente e dimostrano l’interesse con cui il Servo di Dio seguiva la pratica che doveva portare a Torino la Congregazione degli Oblati di Maria Vergine e con essa anche il Convitto ecclesiastico.
1
Eccellenza,
Alcuni Ecclesiastici consapevoli per esperienza del gran frutto, che producono gli Spirituali Esercizi, avendo per una parte molte richieste di essi dalle popolazioni, ed altronde vedendo con rammarico la mancanza degli Operai per tale oggetto, sono ansiosi di unirsi in comunità sotto il titolo di Oblati di Maria SS.ma Addolorata, onde con maggior facilità soddisfare, per quanto loro sarà possibile, al desiderio dei popoli e formare eziandio altri soggetti per tal fine.
Essi sperano che il Signore vorrà benedire la loro intrapresa mentre un numero sufficiente di Giovani Ecclesiastici, che attualmente sono impazienti di entrare in qualche Comunità Religiosa, sono già disposti ad aggregarsi a questa Congregazione, oltre che si somministrerebbe con essa uno sfogo a quelli che in avvenire avessero una tal vocazione.
Ricorrono pertanto coll’approvazione del loro Superiore Ecclesiastico a V. E. supplicandola di voler loro accordare, giusta la memoria qui annessa, [26]la Chiesa, e parte del Convento e casa invenduta di S. Francesco d’Assisi, e qualora ciò non fosse possibile, di accordar loro il tutto almeno provvisoriamente. Disposti intanto a supplire del proprio quanto alla sussistenza e spese più necessarie, si rimettono in ogni caso per l’avvenire alla Divina Provvidenza. Che della Grazia,
2
Eccellenza,
Essendo noto a tutti massime da due anni in qua il gran bene che risulta alla Società dalla riforma de’ costumi per mezzo dei santi Esercizi, ed essendovi richieste di questi da molte parti, un numero sufficiente di giovani ecclesiastici, altronde, impazienti di entrare in Comunità Religiosa per meglio dedicarsi alla salute delle anime, disposti sono già coll’approvazione del Superiore Ecclesiastico ad unirsi in Congregazione sotto il titolo di Maria Vergine Addolorata per soddisfare ai voti di tante popolazioni, e promuovere i suddetti Esercizi. Sapendosi pertanto dai Medesimi che i Religiosi di S. Francesco di Torino non sono in situazione di profittare del locale loro accordato, ne conoscendosi altro locale vacante per questo, supplicano V. E. a volersi accertare del fatto, ed in tal caso ottenere loro da S. M. giusta la Memoria già statale rimessa, il suddetto locale, la Chiesa cioè, e la parte del Convento, e casa invenduta di S. Francesco d’Assisi in Torino; che della Grazia.
DOC. XLI
EXCERPTA E TESTAMENTO Comitissae Costaforte Sambuco a Servo Dei exarato, anno 1817, 17 maii. – Ex originali in «Archivio di Stato in Torino» asservato, Atti notarili, notaio Riva.
L’interessamento dimostrato dal Servo di Dio per la fondazione del Convitto ecclesiastico di Torino, quale risulta dai documenti precedenti, viene confermato dal documento che qui pubblichiamo. Si tratta del testamento della Contessa Silvia Costaforte Sambuco, nata Rombelli d’Occhieppo, che, il 17 maggio del 1817, sotto l’impulso del Lanteri, devolveva le sue sostanze al Collegio dei Padri Gesuiti esistente in Torino al suo decesso, e nel caso contrario, alla Congregazione degli Oblati di Maria ieretta o da erigersi nella medesima citta. Nel testamento non è fatta menzione diretta del Convitto ecclesiastico, ma solo della Congregazione degli Oblati; però dal Doc XXXIX sappiamo che uno degli scopi principali dell’introduzione degli Oblati in Torino era appunto la fondazione del Convitto ecclesiastico.
La preparazione di questo testamento dovette riuscire assai laboriosa, poiché nell’archivio della Postulazione O. M. V. (S. I, 290; S. II, 229) ne esistono parecchie minute – di cui una autografa del Servo di Dio – con correzioni del Lanteri, del Teologo Daverio e del Teologo Guala. La collaborazione del Lanteri e del Guala in questo importante affare dimostra ch’essi lavoravano amichevolmente per lo stesso scopo, vale a dire per gli Oblati e conseguentemente per il Convitto.
Di questo testamento, oltre le minute sopra ricordate, possediamo l’originale, scritto dal Lanteri, con la firma in calce ad ogni facciata della testatrice, e l’atto di presentazione legale, redatto lo stesso giorno 17 maggio 1817, presso il notaio Giuseppe Antonio Riva di Torino. (La Postulazione O. M. V. possiede copia fotografìca degli originali, ora conservati nell’Archivio di Stato in Torino).
La Contessa Costaforte Sambuco, probabilmente a causa dello scioglimento della Congregazione degli Oblati di Maria, avvenuta nel 1820, come diremo a suo tempo, fece un nuovo testamento il 28 maggio del 1822; in questo secondo testamento aperto dal notaio Riva il 9 novembre 1825 in seguito alla morte della testatrice, avvenuta il 14 ottobre (gli originali sono conservati nell’Archivio di Stato in Torino, Atti notarili, Notaio Riva; la Postulazione ne ha copia fotografica), la Contessa lascia le sue costanze alla Compagnia di Gesù. Di fatto però la Compagnia nulla ebbe e le sostanze della Contessa Costaforte Sambuco passarono al Teologo Guala. Ciò avvenne probabilmente in virtù d’un nuovo testamento olografo posteriore a quello consegnato al Notaio Riva il 28 maggio 1822. A questo terzo testamento fanno cenno:
1° lo stesso Guala nel suo testamento del 21 giugno 1848 (Archivio del Convitto ecclesiastico di Torino, Testamenti e legati) in cui al § 12, parlando delle «passività già gravanti sull’attivo di mia eredità», si riferisce genericamente ad un «testamento della fu Contessa Sambuco»;
2° il Can. Giacomo Colombero (Vita del Servo di Dio D. Giuseppe Cafasso, con cenni storici sul Convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1895, pag. 62; cfr. anche Luigi Nicolis di Robilant, Vita del Venerabile Giuseppe Cafasso, confondatore del Convitto ecclesiastico di Torino, vol. I, Torino 1912, pag. XXXVII), il quale cita un passo di questo terzo testamento senza però dire dove sia conservato. La Contessa vi parla tra l’altro della erezione di una «Congregazione di ecclesiastici, il cui unico scopo sia di dare gli Esercizi spirituali precisamente secondo il metodo di Sant’Ignazio», e ciò per aver notato personalmente in Cherasco il bene ch’essi operavano nelle popolazioni. La buona Signora ignorava forse che la Congregazione, cui avevano appartenuto il Reynaudi e il Loggero predicatori degli Esercizi in Cherasco nel 1823, 28 marzo; 1824, 28 novembre; 1825, 19 febbraio (Can. Triulzi invece del Loggero), stava per risorgere.
Comunque il lavoro di persuasione compiuto nel 1817 dal Lanteri presso la Contessa Costaforte Sambuco in favore degli Oblati che dovevano, secondo il progetto da lui accarezzato, erigere in Torino il Convitto ecclesiastico, merita di essere preso in considerazione, perchè, come dicemmo, dimostra la parte ch’ebbe il Servo di Dio nella fondazione del Convitto.
Testamento di me sottoscritta Silvia Costaforte Sambuco, nata Rombelli Dochieppo.
Raccomando la mia anima a Gesù mio amabilissimo Redentore, a Maria Santissima mia dolce Madre, al mio buon Angelo Custode, ed a tutti i miei Santi Protettori.
Riguardo alle messe e funerali da celebrarsi in mio suffragio, alla sepoltura, ed ai legati per i miei domestici, voglio che si eseguisca quanto lascerò scritto in una nota a parte da me sottoscritta.
Istituisco in mio erede universale il Collegio dei Gesuiti che esisterà in Torino al mio decesso; ed ove al mio decesso non v’esista in Torino, istituisco in mio erede universale la Congregazione di ecclesiastici secolari sotto il titolo di Oblati di Maria, che esisterà in Torino, il di cui scopo sia di promuovere principalmente la frequenza dei santi Sacramenti, attendere abitualmente alle confessioni, e dare gli Esercizi spirituali secondo il metodo di S. Ignazio, e non altrimenti.
E qualora nemmeno esistesse in Torino tale Congregazione, istituisco erede universale la Veneranda Congregazione di S. Paolo, stabilita in Torino, cogli obblighi di sopra, e di più col peso di convertire il rimanente reddito e prodotto di mia eredità per creare e stabilire la Congregazione suddetta di ecclesiastici secolari come sopra; e perciò incarico ed autorizzo la Veneranda Congregazione di S. Paolo di fare quanto sarà d’uopo.
Voglio però che i soggetti di questa Congregazione di ecclesiastici come sopra, da stabilirsi da S. Paolo, siano nominati e scelti, e le regole della Congregazione anche per la nomina di elezione successiva in avvenire, vengano stabilite dal Sig. Teologo Lanteri, ed in caso di predecesso o d’impedimento del medesimo, dal Sig. Teologo Guala, i quali voglio che possano ciò eseguire in tutto o in parte, per quanto loro spetta, anche prima della morte di mio marito, salvo sempre il suddetto usufrutto.
Sarà facoltativo alla Congregazione di S. Paolo di prelevare a di lei favore dai detti frutti ogni spesa che le occorra fare, sia per l’amministrazione della eredità, sia per lo stabilimento di detta Congregazione, e conversione dei frutti a pro della medesima, come la decima dei frutti medesimi. Siccome però l’Istituto della Veneranda Congregazione suddetta si è di convertire tutti i redditi in usi pii, così la Testatrice presta alla medesima Congregazione il suo gradimento, qualora, circa alla decima dei frutti suddetti, ne preferisse la conversione a beneficio della stessa Congregazione degli Oblati suddetti, trattandosi di un’opera di così grande gloria di Dio.
E nel caso le presenti mie disposizioni circa la Congregazione degli Oblati non potessero in alcun modo venire eseguite nel termine di anni cinque dal decesso di mio marito, allora voglio che si impieghino i frutti e prodotti della mia eredità, dedotte come sopra le spese, in altrettante pensioni di cinquecento lire nuove di Piemonte, da costituirsi come in patrimonio ecclesiastico ad altrettanti chierici poveri, riconosciuti di buona volontà, e di ottima aspettazione, pel ministero ecclesiastico, giunti che saranno all’età di ventun’anno; lasciando però in libertà a detta Congregazione di S. Paolo di anticipare qualche anno di detta pensione, quando lo giudicherà opportuno, per aiutare alcuno di detti chierici nella carriera degli studi.
Potranno pure dette pensioni venire assegnate ad altrettanti sacerdoti secolari di ottima condotta, abili e vogliosi di lavorare nella vigna del Signore, ma altronde sprovvisti, con che si adoperino con zelo, carità, ed assiduità, nel ministero della confessione e predicazione, massime dei santi Esercizi, secondo il metodo di S. Ignazio, o almeno in quello della confessione, e quest’ultimo ministero della confessione si eserciterà in quella chiesa di Torino che verrà loro assegnata, o approvata dal Superiore ecclesiastico.
Voglio però che tanto i suddetti chierici che sacerdoti vengano tutti nominati dalla Congregazione di S. Paolo con aggradimento del Superiore ecclesiastico.
Voglio che qualunque scrittura da me sottoscritta relativa a qualche disposizione di mia ultima volontà, faccia parte di questo mio Testamento, e ne abbia l’intera esecuzione.
E questa è la mia ultima volontà che voglio vaglia per ragione di Testamento sigillato, codicillo, donazione a causa di morte, ed in quell’altro miglior modo che valer possa.
Torino li diciassette maggio milleottocentodiciassette.
f.to:
Silvia Costaforte Sambuco, nata Rombelli Dochieppo.
DOC. XLII
MEMORIALE circa necessitatem Convictum ecclesiasticum Aug. Taurinorum erigendi a Sacerdote Guala conscriptum et Regio Oeconomo Ecclesiastico Pedemontano porrectum, anno 1817, 8 augusti. – Ex originali in archivo Convictus Ecclesiastici Aug. Taurinorum asservato.
II Teologo Guala vedendo che la proposta di cedere l’ex-convento dei Minori Conventuali e la chiesa di San Francesco d’Assisi per erigervi la Congregazione degli Oblati di Maria Santissima Addolorata non sortiva buoni effetti presso l’autorità civile, presentò personalmente, d’intesa come dicemmo col Lanteri, un memoriale al Regio Economo Ecclesiastico per ottenere il medesimo locale. Certamente per ragioni prudenziali il Guala non chiese il locale anzi detto per erigervi una Congregazione, ma solo per stabilirvi un Convitto ecclesiastico, di cui tutti sentivano allora la necessità. La richiesta del Teologo Guala, non prospettante l’introduzione di nessuna nuova famiglia religiosa, fu accolta favorevolmente lo stesso giorno in cui venne presentata, cioè l’8 agosto 1817. Ciò permise al Guala di aprire, sin dal novembre seguente, il tanto sospirato Convitto.
Questo memoriale trova posto nella nostra documentazione pur non parlando del Servo di Dio, perché completa utilmente i documenti precedenti nei quali è chiara l’azione del Lanteri in favore del Convitto.
MEMORIA
La necessità di avere buoni ministri nella Chiesa, e la mancanza dei mezzi per ottenerli, fa riflettere:
Essersi sempre riconosciuto necessario agli Ecclesiastici, dopo il quinquennio di teologia, lo studio della morale pratica, e perciò, ad istanza dell’Arcivescovo, essersi nel 1768 ampliato da S. S. R. M. le pubbliche conferenze morali, ed averne gli Arcivescovi, pro tempore, con rigorose leggi, esatto lo intervento a segno di obbligare gli Ordinandi a vincolarsi col giuramento di intervenirvi per un triennio intero.
Rendersi difficilissimo per non pochi giovani ecclesiastici tale studio per altro sì importante, poiché, sebbene nel quinquennio provvisti di ritiro, pensioni gratuite, vigilanza dei superiori ecc. al termine del medesimo, ed al principio dello studio di morale pratica rimangono molti sprovvisti di mezzi, salvo quello della pubblica Conferenza, perciò venire indotti altri si procacciarsi il vitto in occupazioni estrinseche al ministero ecclesiastico, altri a ritirarsi nelle loro patrie, ove bene soventi mancano di opportuna coltura e di emulazione, diversi altri alienati da difficoltà, e dal tempo, tralasciano affatto lo studio, quale negligentato ne deriva necessariamente:
1° la scarsità dei confessori, massime abili per ogni sorta di persone, e per conseguenza una maggior difficoltà nei secolari di accostarsi al Sacramento della penitenza;
2° la scarsità dei concorrenti alle parrocchie ed agli impieghi di riglievo, oltre il pericolo di perdita dello spirito ecclesiastico, e così moltissime di quelle piante, che nel quinquennio davano speranza di ottima riuscita, diventavano sterili per mancanza dell’ultima coltura.
Quale danno ne derivi alle anime, e quanto da compiangersi in circostanze di tanta penuria di ministri, non abbastanza potrebbe spiegarsi, e pure troppo tutto dì si tocca con mano.
Vi si rimedierebbe in gran parte con un locale in cui potessero li sudetti ricoverarsi senza costo di fìtto, e senza disturbi, e la Provvidenza Divina non mancherebbe di assisterli, essendo la maggior parte di essi provvisti delle elemosine delle messe, e li parenti loro, vedendoli prossimi ad esser bene impiegati, si adoprerebbero maggiormente per essi.
Per tale locale sarebbe opportuno il terzo piano del convento di San Francesco d’Assisi attualmente tenuto dal R. Economato, da restituirsi all’occasione del ristabilimento in esso dei Minori Conventuali. Nel qual caso è da sperare, che il Signore provvederà con altri mezzi (e così inservirebbe al interinale alloggio degli ecclesiastici, addetti allo studio della morale pratica sotto quei regolamenti, che il superiore ecclesiastico crederà opportuni).
A tale oggetto vi sarebbe chi per una tanto buona opera si offrirebbe di prendere il detto locale in affitto al prezzo di lire 200 annue e convertire in tale guisa questa somma in uso così pio e così vantaggioso alla religione.
Se pertanto il Regio Economato credesse opportuno di accettare siffatta proposizione, contribuirebbe anche esso ad un tanto bene per la Chiesa e per lo Stato, lo chè non si potrà mai fare se il fìtto non è più che modico per li seguenti motivi:
1° perché li tempi sono troppo critici onde trovare chi voglia facilmente sacrificare il suo in pro di carità;
2° perché le dette camere sono tutte semplici, di fuga, interne, parte a mezzanotte, senza lavelli, nè potaggieri, con un solo luogo comune, con l’accesso per la scala della giudicatura civile e criminale, con corte a quattro aperture in cui vi esistono le scuole della città, ed un serragliere, senza cantine, ed in pessimo stato, ed attualmente non sono di verun reddito, ma anzi in continuo deperimento;
3° perché la locazione sarebbe soggetta a risoluzione nel caso del ristabilimento dei detti Minori Conventuali;
4° perché non sarebbe il caso di sublocazione.
Onde per tutti questi motivi li detti membri trovansi non solamente pressocchè inabitabili, ma anche di difficile locazione, e questa anche riuscendo, non lo sarebbe che a persone miserabili per non poter formare un alloggio, e così di reddito assai difficile e tenue, di modo che sembra per tutti li riflessi suddetti, troverebbe il Regio Economato ogni convenienza in accettare la proposizione suddetta.
Torino, li 8 agosto 1817.
Teologo Luigi Guala.
Obbligandomi in proprio alla corrispondenza del fìtto accennato nella suddetta proposizione di lire duecento annue.
Vista la sovrascritta memoria, l’Economo generale, in vista dell’avvantaggio della Religione evidentissimo che vi sarebbe eseguendosi il proposto progetto, e sentito particolarmente il Sig. Architetto di questo ufficio, Rambaudi, che collauda la proposta locazione, ha accordato e accorda, secondo le condizioni sovra espresse, il terzo piano del convento di S. Francesco per l’uso proposto. Mandando il presente registrarsi in quest’ufficio.
Dat. li 8 agosto 1817.
Andrea Palazzi, economo generale.
Ferrero segretario generale
DOC. XLIII
EPISTOLAE SEX Sacerdotis Aloisii Guala ad Servum Dei et ad Sacerdotem Iosephum Loggero quibus intima amicitia cum eodem Servo Dei comprobatur, annis 1817-1830. – Ex originalibus in archivo Postulationis O. M. V. asservatis S I 485, 3, 485, 4; S. II, 233b 38b; S. I, 485, 8, 485, 11.
II personale intervento del Teologo Guala presso il Regio Economato per ottenere lo stesso convento di San Francesco d’Assisi, già richiesto dal Lanteri e dagli Oblati, potrebbe far credere di primo acchito ch’egli commettesse una grave indelicatezza verso il Servo di Dio e che, in conseguenza di ciò, intervenisse un raffreddamento nei loro mutui rapporti. Se non che è ora fuori dubbio che in tutto ciò esisteva fra i due un mutuo accordo; infatti, dalle lettere che raccogliamo sotto questo numero e nei due Documenti che seguiranno, si vede che il Lanteri continuò ad essere come prima per il Teologo Guala il maestro e il fido consigliere, anche nelle cose del Convitto.
Le tre prime lettere sono senza data e senza firma; dal contenuto pare si debbano attribuire ai primi tempi dell’esistenza del Convitto, esse furono certamente scritte dal Guala, come ne fa fede la sua caratteristica scrittura. La seconda non reca indirizzo, ma un’antica nota d’archivio dice che fu scritta al Lanteri. Si noti il carattere d’intima familiarità delle tre lettere.
La quarta contiene un accenno al giuramanto imposto dal Re al Clero piemontese nel marzo del 1822. Il personaggio NN cui allude, pare sia l’Arcivescovo di Torino, Mons. Chiaverotti, del quale il Guala era confessore. Si tratta di un semplice biglietto senza data, indirizzo e firma, ma l’accenno al Loggero e la caratteristica scrittura non lasciano dubbio nè sul destinatario, il Lanteri, nè sul mittente, il Guala.
La quinta, scritta il 6 ottobre del 1827, come si ricava da una antica nota d’archivio, dimostra bene quanto il Guala fosse afflitto nel vedersi separato dal suo «amabilissimo» Padre, cioè il Lanteri allora Rettore Maggiore degli Oblati in Pinerolo, e nel sapere che la Congregazione degli Oblati e il suo fondatore si trovavano in diffìcoltà. La lettera del Lanteri, che pubblichiamo in nota, spiega per quale ragione i due si erano momentaneamente, ma senza conseguenza alcuna, fraintesi.
La sesta, scritta il 27 febbraio del 1830 al Loggero, contiene accenni a preghiere private e pubbliche fatte nel Convitto in occasione dell’ultima malattia del Servo di Dio e a pratiche fatte dal Guala in Torino per introdurvi gli Oblati.
1
Rev.mo e Car.mo,
Ho già comperato il Devoti per spedire al dettogli Vescovo. Lo prego dirmi se ho da mandargli l’unita collezione, e da proporle la pratica legale del Galli, che ha un tomo indicante tutto quanto deve passare all’Exequatur.
Balbino ha il Bercastel, ligato in rustico, ne pretende 75 franchi, mi favorisca dire se l’ho da comperare pel convitto.
Calot desidererebbe leggere l’unito tomo, avendo licenza dei libri proibiti.
È giunto Gariglio, a momenti sarà da me.
D. Gorlier dimanda risposta degli Esercizi, parmi, della Novalesa.
Siccome penso godrà di vedere almeno qualche effetto del zelo che c’insinuò, così penso le farà piacere leggere l’unita, frutto appunto dei suoi Esercizi. Siccome ho ancora da rispondervi, cosi me la rimandi.
II Convitto, all’arrivo di Revelli, resta di 12. Andrebbe bene venisse ad onorarlo a pranzo, o cena, il giorno che vorrà.
Debbo uscire pel moribondo S. N. Genovese.
Le unisco il Catalogo; lo pregherei notare quelli da vendersi, per far così piazza agli altri, dirmi se ho da far copiare il Catalogo su carte per poter meglio ordinarli. Andrebbe bene notare quelli da tenersi qui a mano nella mia camera, quelli pel Convitto, e quelli di riserva.
Mercoledì.
Al R.o Signor Teologo Lanteri.
2
R. e C.o P[adre] in G. C.
Mi trovo a mancare diversi tomi Biblioteca del Ferraris, e mi ricordo che quest’estate V. S. mandò D. Loggero a prenderli, per portarseli a Bardassano: se non ne avesse più bisogno, mi farebbe piacere mandarmeli.
Li Convittori, ossia D. Girardi ha dimostrato desiderio di portarsi nello studio i libri di cui nell’unito Catalogo mi farebbe piacere darvi una occhiata, per sapere se ho da lasciarli nello studio o no.
Favorisca pure mandarmi le cartine dei miei libri, sono nella libreria sul tavolino vicino all’ultima finestra.
Avrei bisogno di alcune copie: Manuale Pauperum, uno bisognerebbe mandarlo a Monsignor Sappa.
Bisognerà anche si occupi per rispondere finalmente all’unita di Monsignor Sappa.
Si ricordi anche di leggere la lettera venuta al mio indirizzo dalla Penitenzieria, e notar in carta a parte le sue osservazioni.
3
Unisco l’indice che mi disse di nuovamente rimetterle, per vedere se v’è altro a copiare. A suo comodo poi favorisca restituirmi il manoscritto delle cose già copiate, acciò possa leggerlo, e se le vien alle mani potrebbe rimetterlo a casa col mio indirizzo.
Prima di partire dovetti parlare un po’ brusco col S. D. Barucchi, il che m’inquietò. Da Rivalba alla Canova soffrii un cocente sole che mi lasciò sbalordito.
Si ricordi del libro relativo all’Abert per far copiare e scrivere.
Penso che il primo autore di Teologia che verrà proposto, comunque sia per essere, sarà per essere disapprovato, tal è l’indole dei Torinesi. Perciò vo pensando se sia meglio non insistere nel proporne uno, ed aspettare che siansi fatte le ciarle.
Osservi se la presente è sigillata.
Si ricordi di mettere a parte libro esercizi per me.
Saluti Daverio.
Se la Marchesa Romagnan parla essa al Vicariato andrebbe bene fossi avvertito, altrimenti venendo a Torino parlerò.
6 ottobre Rivalba.
Al R.mo S. T. Lanteri.
4
[marzo 1822]
Si tratta di voler esigere un giuramento anche dal Clero.
N. N. non è consultato. Ieri per iscritto rappresentò contro. Teme non essere ascoltato.
Se V. S. avesse qualche legge ecclesiastica o qualche lume per impedire, me lo comunichi, ma presto, poiché sembra che senza questo tutto rovini.
Metta la presente al fuoco.
E questo sii in secreto. Può farne la confidenza a Loggero.
5
[Torino, 6 ottobre 1827].
Reverend.mo, ed Amabilissimo in G. C. P[adre]
Mai pensai fosse per non eseguire V. S. Car.ma la volontà della defonta. Intendeva solo informarla secondo le promesse, e sul supposto non le fosse in tutto nota. Lo dubitare di tal sua disposizione sarebbe ingiuria decisa e grave contro V. S. Lo sentirmene improvvisamente incolpato d’essa, mi inquietò, massime in tali circostanze, e nell’occasione di separazione: separazione veramente dolorosa in sé, e per vari titoli, vedendomi isolato, e pel timore che l’accompagna, di più amareggrata da freddure senza mia colpa. Quest’è quanto mi ricordo. [27]
II Signore però me ne sembra glorificato, perché ho continua memoria a pregare per la Congregazione, e massime per V. S. la di cui situazione mi fa pena grande, apprendo al vivo, e mi colpisce dopo il cuore la fantasia a disturbarmi molto nella S. Messa, e confessare: onde vo’ ripetendo che il Signore lo illumini, e lo conforti, e vo’ applicando Messe per V. S. Vera mente dopo la sua partenza crebbe la malinconia, e fu opportuno balsamo la sua espressione, che mi porterà sempre nel cuore, io già ve l’ho sempre fìsso; queste parole mi restan dolcemente impresse, vivamente lo ringrazio, e nel Sacro Cuore di Gesù e Maria me le rinnovo.
Suo Aff.mo in G. C. ed Obbl.mo
T. Luigi Guala.
Al Rev.mo P.ron Col.mo Il Rev.mo T. Pio Brunone Lanteri
Rett. Magg. Congreg. Oblati
Pinerolo.
6
V. G. e M.a
[Torino, 27 febbraio 1830].
Car.mo in G. C.
Appena avuto il vostro avviso di malattia, feci fare un triduo. Tutti i Convittori, ed in pubblico ed in privato pregarono. Indi comunicava le lettere in casa Massimino, Baldissero, Grimaldi, Collegno, ecc. Sia ringraziato il Signore: Ma intanto vi prego a darmene dettagliate notizie.
Sono attorno a leggere l’unito, se ve lo procuraste, son sicuro che piacerebbe al P. Lanteri, poiché ha moltissime cose simili alla Congregazione.
Mi scrive in secreto. Sono attorno per indurre destramente e senza comparsa questa città a domandare gli Oblati di M. SS. Vedo molte difficoltà, e gravi, ed opponenti non pochi, ma se qualche pedina fa il suo giuoco, ne spero favorevole l’esito. Tentare non nocet. Questo lo prego di tenerlo secreto, ma d’investigare secretamente se avrebbero soggetti; che si ricercherebbe oltre l’alloggio e Chiesa, per la manutenzione del loro Convento. Mi tornerebbero necessarie queste notizie.
Medita, o Loggero, e rispondi.
V’abbraccio.
V.o Aff.mo in G. C.
T. Col[legiato] Luigi Guala.
Al M. R. P. Loggero
Oblato di M.a SS.
Pinerolo.
DOC. XLIV
EPISTOLA Servi Dei ad Sacerdotem Craveri, anno 1819, 22 decembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 34 bis.
Questa lettera del Lanteri al Teologo Craveri, parroco di Andezzeno (cfr. Doc. LXXVII) è molto importante perchè mette bene in luce l’intimità dei rapporti esistenti fra il Servo di Dio e il Guala. L’archivio della Postulazione possiede l’originale della lettera.
Torino, li 22 dic. 1819.
V. G.
Pregiat.mo e car.mo in G. C.
Si è nuovamente trattato col T. Guala per vedere se era fattibile, o per dir meglio se sarebbe stato di maggior gloria di Dio, che avesse egli rinunciato di ritenersi pel convitto il Signor D. Bagnasacco per rimetterlo a V. S. car.ma, ma non ho saputo oppormi alle forti ragioni del medesimo, onde mi rincresce di doverle dire che convien ch’Ella rinunci affatto a questa vista. Non si scoraggisca però in continuar a cercare un altro Vice Curato, perché i motivi che Ella adduce ne dimostrano il bisogno, ed è a sperare che il Signore tardi o tosto vorrà accordagliene uno secondo il suo cuore.
Ho rimesso al Sig. D. Bagnasacco la Fase Cronologica del Muzanzio; sommamente godo che s’effettui tale ristampa massime in carta grande.
Non ho ancora potuto trovare gli opuscoli del Muzzarelli, ma non li perderò di vista e subito trovati glieli spedirò. Profitto intanto dell’occasione per augurarle dal Divin Bambino tutte le più grandi grazie per la sua santificazione, la prego avermi pur presente presso il medesimo per l’istesso motivo, e con tutta la stima e particolare affezione mi protesto
Di V. S. Stim.a e Car.ma
Suo Obbl.mo ed Aff.mo in G. C.
T. Pio Bruno Lanteri.
Al M. Ill.re M. Rev.do Sig.r P.n Col.mo
Il Sig.r Teol. Luigi Craveri
Prevosto d’Andezeno
Chieri per Andezeno.
DOC. XLV
EXCERPTUM ex epistola Servi Dei Eugenii de Mazenod ad Sacerdotem Tempier, Genuae anno 1825, 16 novembris. – Ex ephemeride «Missions de la Congrégation des Missionnaires Oblats de Marie Immaculée, Paris, X, 1872, pp. 167-168».
Nel suo viaggio a Roma negli anni 1825 e 1826, il Servo di Dio Carlo Giuseppe Eugenio de Mazenod, fondatore degli Oblati di Maria Immacolata, passò per Torino e fu ospite del Convitto ecclesiastico e del Collegio dei Padri della Compagnia di Gesù. Dal Convitto egli scrisse ai suoi confratelli di Marsiglia, e per essi al R. P. Tempier, tre lettere, di cui l’ultima fu terminata a Genova. In questa, fra l’altro, traccia il profilo del Teologo Guala, direttore del Convitto, e poi del Lanteri, qualificandolo come maestro, amico e superiore del Guala «le maître, l’ami et le supérieur de cet autre Théologien Gualla» e suo «chef et maître». Queste qualifiche confermano pienamente quanto sopra dicemmo sulle relazioni da discepolo a maestro che correvano fra il Guala e il Lanteri.
Delle tre lettere surriferite, daremo soltanto un estratto della terza, vale a dire il passo ove il de Mazenod traccia con mirabile concisione la figura morale del Lanteri.
Le lettere scritte dal de Mazenod, in occasione del suo viaggio a Roma per l’approvazione della sua Congregazione, furono stampate nel Bollettino degli Oblati di Maria Immacolata: Missions de la Congrégation des missionnaires Oblats de Marie lmmaculée, X, 1872, sotto il titolo di Voyage a Rome du Rév.me Pére Charles Joseph-Eugène de Mazenod, fondateur et premier supérieur général de la Congrégation des Oblats de Marie Immaculée (1825-1826).
Gênes, le 16 novembre 1825.
Je n’eus pas le temps d’achever ma lettre à Turin, parce que le grand Théologien Lanteri étant arrivé, il me demanda en grâce de lui accorder tout le temps libre que j’aurais avant mon départ. Il y avait tant à gagner dans sa conversation pour tout, que je n’eus pas de peine à lui accorder une faveur dont je devais retirer plus d’avantage que lui. Ce saint, bon et savant personnage est le maître, l’ami et le supérieur de cet autre Théologien Gualla (sic), dont je vous ai parlé dans mes autres lettres. Dès le premier instant de notre première entrevue, je lui inspirai autant d’affection et de confiance que j’éprouvais de vénération pour lui. C’était pour ainsi dire la répétition de ce qui s’était passé avec D. Gualla (sic), avec cette différence qu’étant chef et maître, il ne mit aucune restriction dans les témoignages de confiance qu’il me donna. Quand je ne serais venu à Turin que pour voir ces deux hommes, mon temps et l’argent de mon oncle eussent été bien employés. Je ne puis pas vous dire par écrit ce qui fit le sujet de dix ou douze heures de conférence; le sujet en valait la peine. Il faut bien que je réserve quelque chose à vous dire de vive voix. L’opinion qu’a bien voulu concevoir de moi le Théologien Lanteri a confirmé mes anciens amis dans la bienveillance qu’ils avaient déjà pour moi, et j’ai lieu de croire qu’ils se mettent en devoir d’en donner des preuves…
Mazenod.
VI – Documenta quae ad Piam Societatem Amicitiae Catholicae pertinent, annis 1817-1829
(Doc. XLVI-LIII)
1. Origine dell’Amicizia Cattolica
Nel verbale della prima seduta della risorta Amicizia Cristiana, tenuta sotto la presidenza del Servo di Dio il 3 marzo del 1817 (cfr. Doc. XXXII), si trova consegnata la proposta del Cavaliere Luigi Provana di Collegno di istituire una «Associazione pubblica per promuovere la circolazione di libri buoni, come un ramo dell’Amicizia Cristiana da contrapporsi particolarmente alla società così detta biblica dei Protestanti». Il Collegno alludeva alla ben nota Società Biblica protestante, fondata in Londra nel 1804, comprendente la «società di Bibbie» per la diffusione dei Libri Sacri e la «società di Trattati» per la diffusione dei libri religioso-morali. Il progetto del Collegno era quanto mai opportuno e la nuova società non era destinata a rimanere un semplice ramo dell’Amicizia Cristiana, ma presto doveva completamente assorbirla, rinnovandone, non già il programma di apostolato della buona stampa che rimase immutato, ma soltanto lo statuto, onde rendere la sua azione più efficace e più adatta alle esigenze del nuovo clima religioso e politico che si era venuto formando in Piemonte dopo la restaurazione monarchica.
Seduta stante, il Lanteri, capo e riorganizzatore dell’Amicizia Cristiana, e gli Amici Cristiani presenti approvano la nuova società e le assegnano immediatamente un fondo di libri e un sussidio di 450 franchi per la ristampa dell’opuscolo intitolato Pensateci bene. Siccome poi secondo il progetto primitivo la nascente Società avrebbe dovuto rimanere in stretta relazione con l’Amicizia Cristiana, si stabilì:
«1° che non si adottasse in essa alcun libro a Catalogo, il quale o non vi si trovi già nel Catalogo dell’Amicizia Cristiana, ovvero non vi sia prima ammesso d’unanime consenso dei Teologi dell’Amicizia Cristiana, come è prescritto nei Cayers;
2° essere inoltre conveniente che l’Amicizia Cristiana venga informata di quando in quando delle deliberazioni che vi si prenderanno riguardo alla distribuzione dei libri, affinchè non si duplichino le operazioni» (Doc. XXXII).
Di fatto però col 1818 l’Amicizia Cristiana scompare e cede totalmente il posto alla nuova società che si chiamò, dietro suggerimento del celebre conte Giuseppe de Maistre, Amicizia Cattolica. Il merito quindi di aver proposto la fondazione dell’Amicizia Cattolica spetta al Cav. di Collegno; al Lanteri, con cui si era dovuto certamente concertare il Collegno, e agli Amici Cristiani Torinesi torna invece quello della sua pratica ed immediata attuazione, cui seguì l’esplicita approvazione dell’autorità ecclesiastica di Torino (cfr. Doc. XLVI), il compiacimento del Sovrano (Doc. XLVI int., L) e l’implicita approvazione di Pio VII (Doc. XLVIII).
2. Scopo ed ordinamento dell’Amicizia Cattolica
Da alcuni documenti che pubblicheremo tra poco risulta, in modo evidente, che l’Amicizia Cattolica è, sotto una nuova veste, la continuazione dell’Amicizia Cristiana. Difatti gli Amici Cattolici si gloriavano di avere per loro antesignano il celebre Padre de Diessbach (cfr. p. es. Doc. XLIX, pag. 241) che già conosciamo, come il fondatore dell’Amicizia Cristiana, la quale aveva tra i suoi scopi precipui, come si è visto, la diffusione dei buoni libri. Ora, nei Regolamenti della Società dell”Amicizia Cattolica, Torino 1819, pag. 3 (Archivio della Postulazione O. M. V. S. I, 315) si dichiara appunto che lo scopo della Società «si è quello di distribuire libri di religione e di pietà alle persone che non potrebbero-procacciarsene tanto per mancanza di denaro, come per inesperienza in siffatta materia». Per raggiungere questo comune nobile scopo si mobilitarono largamente, a differenza dei pochi e segreti Amici Cristiani di prima, le energie dei cattolici Piemontesi; si stabilì difattì che all’Amicizia Cattolica potesse prendere parte, come associata ossia socio sostenitore, facendola partecipe dei favori spirituali concessi da Pio VII, il 5 novembre 1818, «qualunque persona che professi la Santa Religione Cattolica, Apostolica, Romana» e che desideri «concorrere colla contribuzione regolare di qualche somma ad una distribuzione sistematica di libri di religione e di pietà». «Anche le offerte fatte senza impegno di continuazione regolare» erano però ben accette.
Gli associati non avevano nessuna ingerenza nella direzione della società, la quale era devoluta in modo esclusivo ad un piccolo numero d’uomini scelti, provenienti dall’Amicizia Cristiana o comunque eminenti per virtù, sapere e posizione sociale. Dalla direzione o amministrazione dell’Amicizia Cattolica erano esclusi i sacerdoti – fuori di Torino questa regola non fu osservata – e ciò per due motivi:
1° «per riflessi prudenziali» onde evitare la fobia anticlericale di certi partiti politici e,
2° per dare maggiore sviluppo all’apostolato dei laici che più facilmente avrebbero potuto penetrare negli ambienti chiusi al sacerdote o a lui meno noti.
Al qual riguardo ci piace citare il seguente brano di una lettera, scritta dal segretario dell”Amicizia Cattolica al Canonico Buzzetti di Piacenza (novembre 1821). «L’opera di loro [cioè dei laici] giunge – osserva il segretario – dove non arriverebbe l’ecclesiastico; e forse ancora certo più sottil discernimento può avere l’uom di mondo dei libri più opportuni a giovare nel mondo, del quale il sacerdote che vive sacerdotalmente non può sempre conoscere tutte le schifiltà» (Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 316).
Esclusi dalla direzione, ma non dalla società, i sacerdoti ne potevano far parte sia come Associati, sia come «teologi» ossia censori dei libri da introdursi nel catalogo, conforme si era stabilito nell’atto stesso di fondazione. La scelta di questi «teologi», qualora non ci fossero quelli dell’Amicizia Cristiana, doveva essere fatta con particolare cura. «In quanto alla purità della dottrina [di un’opera] – così la lettera testè citata – si prende il parere di qualche teologo del quale ci sia nota la perfetta uniformità ai nostri principi». Siccome fuori Torino anche i sacerdoti avrebbero potuto partecipare alla direzione dell’Amicizia Cattolica, per la loro scelta si dovevano seguire alcune regole prudenziali. «Nella scelta degli ecclesiastici – continua la sopracitata lettera – più ancora che dei secolari, attesa l’autorevolezza giustissima del loro ministero; sono necessarie le seguenti avvertenze. Siano gelosissimi della dottrina romana e della divozione al successor di San Pietro. Tengano realmente la norma di lasciare in dubiis libertatem di maniera tale che quando il Papa non ha definito, quando non ha manifestato decisa predilezione per una dottrina, non pretendano di esercitare un’autorità che ad essi non compete, di pronunciare l’esclusiva circa ad opinioni, sulle quali non l’ha neppur indicata chi tanto sta sopra di loro». In somma il sacerdote sia nella sua missione di «teologo», come anche in quella di direttore o amministratore, occupava nell’Amicizia Cattolica un posto di prim’ordine: egli doveva essere l’assertore della sana dottrina e il vigile ed intelligente censore dei libri destinati alla pubblica distribuzione o lettura.
La direzione o amministrazione dell’Amicizia Cattolica Torinese era devoluta esclusivamente a 10 uomini, chiamati Amministratori, i quali stavano alle strette dipendenze dell’autorità ecclesiastica diocesana «questa Società – dichiarano i Regolamenti, Torino 1819, pag. 11 – riconosce per suo capo e protettore Monsignor Arcivescovo di Torino». I requisiti per essere assunto nel collegio degli Amministratori erano i seguenti: vita cristiana edificante, zelo per la religione, posizione sociale influente e buona cultura. Essi dovevano attendere nella più perfetta uguaglianza e nella più cordiale armonia a tutto ciò che occorreva per il buon andamento della Società, come provvedere alla sua diffusione, raccogliere i fondi per le pubblicazioni e distribuire i libri. Per assicurare ordine e continuità nel proseguimento dei loro scopi, gli Amministratori dovevano scegliere nel loro numero:
1° un Segretario al quale spettava il compito di dirigere la Società e presso cui si tenevano le adunanze settimanali;
2° un Tesoriere per amministrare i fondi tanto in denaro quanto in libri e per riscuotere le annualità dagli Associati;
3° due Distributori-capi per la sistematica distribuzione dei libri;
4° un Direttore delle stampe per attendere alle pubblicazioni fatte per cura dell’Amicizia;
5° un Corrispondente generale e alcuni particolari per regolare le relazioni con i Soci Corrispondenti.
Questa categoria di Soci, detti anche Amministratori Corrispondenti, era costituita da persone che vivevano abitualmente fuori Torino e che lavoravano secondo il programma dell’Amicizia Cattolica; a loro incombeva il compito di raccogliere offerte e distribuire libri nei centri dove abitavano. La loro ammissione non avveniva a caso, ma si procedeva con le stesse cautele che per gli Amministratori; fra questi Soci Corrispondenti si trovano annoverati non solo laici, ma sacerdoti e perfino Vescovi.
Per la trattazione degli affari concernenti la Società gli Amministratori si radunavano ogni giovedì presso il Segretario, e fa piacere notare che in Torino le sedute erano spesso presiedute da membri dell’episcopato del Regno di passaggio per la Capitale.
3. Il Catalogo dei libri dell’Amicizia Cattolica
In quanto ai libri che l’Amicizia Cattolica avrebbe distribuito o dato in lettura si era stabilito, nell’atto stesso della fondazione, ch’essa avrebbe adottato nel suo Catalogo i libri già inseriti in quello dell’Amicizia Cristiana o che sarebbero in seguito approvati dai «teologi». Difatti il Catalogo stampato dell’Amicizia Cattolica ha preso per base quello dell’Amicizia Cristiana, il quale fu adattato ai tempi nuovi ed arricchito di opere più recenti. Però l’inserzione di una nuova opera nel Catalogo non poteva avvenire che col consenso di tutti gli Amministratori; inoltre perche l’inserzione fosse irrevocabile occorreva che l’opera in questione venisse nuovamente ammessa, dopo un anno dalla sua prima accettazione. Questa circospezione, che potrebbe sembrare eccessiva, dimostra bene quanto fossero sani gli intenti di quel piccolo ma attivo gruppo di cattolici militanti che dirigevano l’Amicizia Cattolica.
Nel Catalogo stampato nel 1819 figurano 140 opere con l’indicazione, a mezzo di numeri, delle classi di persone alle quali erano destinate. I lettori, anziché in otto classi come nel Catalogo dell’Amicizia Cristiana, erano divisi in undici classi e cioè:
«I. Quelli che dubitano della verità della religione per mancanza della necessaria istruzione;
II. Quelli che dubitano della verità della religione, in seguito a letture di autori empi o di settari;
III. Quelli che lottano collo spirito del mondo o colle proprie passioni;
IV. Gli scrupolosi e quelli che sono tentati di scoraggiamento;
V. Gli afflitti o tribolati;
VI. Le persone meno colte nelle quali si vuole eccitare la compunzione, specialmente in occasione di pubblici esercizi;
VII. I giovani ed i ragazzi, che si vogliono allettare al bene;
VIII. Quelli che attendono alla perfezione cristiana;
IX. Quelli ai quali si vuole ispirare il gusto della lettura;
X. Quelli che non si conoscono a sufficienza;
XI. Le persone colte e date allo studio».
4. Saggio di statistica dei libri distribuiti dall’Amicizia Cattolica
In genere l’Amicizia Cattolica preferiva divulgare opere di piccola mole, perché maggiormente gradite dal pubblico; inoltre essa provvedeva alla stampa di manifestini con ricordi, avvisi e massime spirituali che dovevano essere distribuiti in occasione delle Sacre Missioni e dei Santi Esercizi. Però, onde allontanare dalla distribuzione di libri ogni sospetto dì speculazione, l’Amicizia Cattolica non accettava mai che si corrispondesse il prezzo del volume; qualora poi, per ragioni speciali, i libri fossero ceduti al prezzo di costo, il provento ricavato non doveva figurare nel libro dei conti annuali come prezzo di vendita. Onde sempre meglio allontanare il sospetto di speculazione, dal 15 febbraio del 1821, l’Amicizia Cattolica di Torino, ad imitazione dell’Amicizia Cattolica sorta in Roma l’anno precedente, stabilì di far stampare sul frontespizio dei libri, destinati ad essere distribuiti, la seguente nota: «stampato a spese dell’Amicizia Cattolica, da distribuirsi gratis». Quando per motivi particolari la distribuzione gratuita non era consigliabile, i volumi erano dati in prestito coll’avvertenza di non più rammentarne la restituzione, come suggerisce con fine accorgimento l’introduzione premessa agli Statuti. Tuttavia i libri più costosi erano sempre dati in prestito con l’obbligo della restituzione. Veniamo ora ad alcuni dati statistici.
Il Marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, segretario e principale sostenitore dell’Amicizia Cattolica di Torino, scrisse al principio del 1825 in L’Amico d’Italia (vol. VII, pag. 54) che la Società aveva, già distribuito «centoquaranta mila volumi d’opere e di opuscoli, i quali anche di là dai mari hanno portato insegnamenti cattolici» Un anno dopo, nella lettera ch’egli presentò al Ministro degli Interni (Doc. LII) per giustificare se stesso e l’Amicizia Cattolica, dichiara con una certa compiacenza che i volumi distribuiti dalla Società ammontavano a centinaia di migliala, di cui più di 10 mila in America. Siffatte cifre potrebbero parere esagerate, se non sapessimo da alcuni frammentari dati statistici che nel 1817 furono distribuiti 6000 volumi; nei primi quattro mesi del 1818, 7300; nel 1820, 13.071; nel 1821, 21.268, di cui 6 mila in America (Nuova Orleans e Baltimora); nel 1822, 20.110; negli anni 1823-1825 (primo semestre), 18.347 consegnati in particolare al Servo di Dio per regalarli in occasione delle sante Missioni. Da parte sua l’Amicizia Cattolica di Roma distribuì dal 1820 al 1824 ventotto mila copie di 12 opere. Questi dati necessariamente incompleti, a causa della frammentarietà della documentazione, dimostrano l’intensa attività svolta dall’Amicizia Cattolica in favore della buona stampa e la pongono alla pari delle società cattoliche coeve del Belgio, della Francia e della Spagna, che lavoravano per lo stesso fine (cfr. L’Amico d’Italia, vol. XII, 1827, pp. 26-45, dove si tratta in particolare della «Société catholique des bons livres» sorta in Francia).
5. La fondazione de «L’Amico d’Italia»
Tra le iniziative per la buona stampa, sorte nell’ambito e con l’appoggio dell’Amicizia Cattolica Torinese, merita un particolare ricordo la pubblicazione de L’Amico d’Italia, giornale morale di lettere, scienze ed arti, di cui fu fondatore e redattore il valoroso Marchese d’Azeglio. Il progetto di questa fondazione già accarezzato dal d’Azeglio sin dal 1820 si avviò rapidamente verso la sua pratica attuazione dopo che l’Arcivescovo di Genova, Mons. Luigi Lambruschini, presente all’adunanza degli Amministratori dell’amicizia del 1° novembre 1821, parlò dell’«utilità anzi della necessità di un foglio periodico impastato dello spirito nostro» (cfr. Verbali, archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 311). Poco più di due mesi dopo, il 24 gennaio 1822, il d’Azeglio offriva difatti ai suoi colleghi dell’Amicizia il primo numero de L’Amico d’Italia, che doveva poi uscire regolarmente fino al 1829 (cfr. Pirri, Cesare d’Azeglio e gli albori della stampa cattolica in Italia, in La Civiltà Cattolica, vol. IlI, 1930, pp. 193-212; l’autore ha raccolto in questo articolo interessanti dettagli sull’Amicizia Cattolica, ma le notizie sulle origini della Società dovranno essere completate col verbale di fondazione pubblicato al Doc. XXXII).
In quanto al contributo dato dall’Amicizia Cattolica alla pubblicazione de L’Amico d’Italia, è bene far notare che fu solo un contributo morale e non già finanziario, poiché in virtù di una disposizione degli Statuti nessuna opera di cui fosse autore uno degli Amministratori della Società poteva essere proposta ufficiaImente da essa; onde il d’Azeglio raccomandava ai suoi lettori di non confondere «l’Amicizia Cattolica e L’Amico d’Italia» (cfr. L’Amico d’Italia, vol. VII, 1825, pag. 56).
6. Diffusione dell’Amicizia Cattolica
Fuori di Torino, Roma soltanto ebbe una vera e propria Amicizia Cattolica; essa fu fondata nel 1820 dal Cav. Gherardo de Rossi, membro corrispondente di quella Torinese sin dal 1817. Ne fu membro attivissimo Mons. Ostini e protettore il Card. de Gregorio (cfr. G. Costanzi, L’Osservatore di Roma, Roma 1825, vol. I, pp. 176-179). Ma alla morte del Cardinale, avvenuta il 7 novembre 1839, essa scomparve e i libri destinati alla distribuzione furono depositati in Santa Maria della Pace, continuandone la distribuzione la Pia Unione di San Paolo (cfr. F. De’ Conti, Della Pia Unione di San Paolo Apostolo e dei vantaggi da essa renduti alla società e alle scienze sacre, Roma 1852, pp. 34-35; L. Grifi, Breve ragguaglio delle Opere Pie di carità e benefìcenza, ospizi e luoghi d’istruzione della città di Roma, Roma 1862, pag. 140).
In altre città si trattò soltanto di stabilire delle «Colonie», ossia succursali minori, come in Mondovì, Modena, Fossano, Saluzzo, Novara. Genova, Rovereto – il Rosmini fu un entusiasta dell’Amicizia Cattolica – Piacenza, Cagliari ecc. e perfino in alcune città della Francia e in Friburgo di Svizzera; di tutte queste «CoIonie», ad eccezione di quella di Mandovi, poco o nulla sappiamo anche perché alcune rimasero allo stato di progetto, difatto però in molti di questi centri lavoravano zelanti Soci Corrispondenti.
7. Soppressione dell’Amicizia Cattolica Torinese
L’Amicizia Cattolica di Torino ebbe vita fiorentissima fino al 1826 circa, quindi ostacolata dal Governo decadde rapidamente e finì coll’essere soppressa nel 1828. L’Amicizia Cattolica non si occupava di politica, ma unicamente della diffusione della buona stampa; ciò nonostante essa rivestiva agli occhi del partito liberale e degli esponenti del giansenismo politico – discretamente numerosi in Torino anche dopo la Restaurazione – il peculiare carattere di istituzione conservatrice per i personaggi che ne facevano parte. Le prime avvisaglie della lotta risalgono al 1825 (cfr. Gazzetta Piemontese, 13 febbraio 1825) ed essa fu condotta su due campi diversi: il Re e il pubblico. Il re Carlo Felice fu tanto circonvenuto dagli astuti nemici dell’innocua Società che ne concepì ben presto una vera avversione, benché l’avesse un tempo protetta e largamente beneficata. Al pubblico l’Amicizia Cattolica venne presentata come «una cosa odiosa, madre di discordie, origine di guai e di grandi disordini (cfr. relazione conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 307) e come «diretta a far prevalere l’influenza di un partito, quel che si chiama dei Gesuiti» in seno al Governo (cfr. altra relazione conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 317). Cosa singolare! la stessa diplomazia Russa sì adombrò del piccolo gruppo di cattolici Torinesi e si associò ai nemici di essa, come ne fanno fede alcuni documenti del 1827, pubblicati da N. Bianchi, Storia della Diplomazia Europea in Italia, Torino 1865-1872, vol. II, pp. 173, 407.
In somma tanto si fece che il re Carlo Felice «il quale – scriveva il 6 maggio 1829 l’Incaricato della Santa Sede in Torino – sopra tutto ama viver quieto e di aver brighe il meno che sia possibile, concepì avversione per essa [cioè l’Amicizia Cattolica] e ne ordinò l’immediato scioglimento, che seguì l’anno scorso», cioè il 1828 (cfr. Savio, La divozione di Mgr. Adeodato Turchi alla Santa Sede, pag. 674). Benché l’Amicizia Cattolica fosse sciolta ufficialmente, il d’Azeglio continuò imperterrito nella sua opera di bene e, quel che più meraviglia, nel 1829 egli aspettava ancora dal Re un sussidio per la pubblicazione di un libro. Ma ormai la fine della benemerita opera di apostolato della buona stampa, sorta dall’Amicizia Cristiana col consenso e con la collaborazione del Servo di Dio, era decisa per sempre.
8. Il Lanteri e l’Amicizia Cattolica
Come sopra accennammo, in Torino gli ecclesiastici vennero esclusi dall’Amministrazione della Società per motivi prudenziali. Nessuna meraviglia quindi, se nella documentazione ad essa relativa, il Lanteri non figurerà quasi mai. Tuttavia i seguenti dati di fatto che abbiamo potuto raccogliere – pochi in verità – confermeranno non solo che il Lanteri partecipò come socio ordinario all’Amicizia Cattolica, ma ci permetteranno di intravvedere e talvolta di constatare il contributo di lavoro e di esperienza da lui dato alla nuova Società, tutta ed unicamente intesa e consacrata alla diffusione della stampa cattolica.
1° II Servo di Dio, presente al momento della fondazione dell’Amicizia Cattolica (3 marzo 1817), approva pienamente la nuova Società nella sua qualità di capo, ossia di primo Bibliotecario dell’Amicizia Cristiana, siccome risulta dal verbale redatto di suo proprio pugno (Doc. XXXII).
2° Per l’ammissione di nuovi libri nel Catalogo, gli Amministratori dell’Amicizia Cattolica dovevano interpellare i «teologi» dell’Amicizia Cristiana conforme alla norma stabilita nel verbale della fondazione della Società (cfr. Doc. XXXII). Ora, siccome era ben nota a tutti la competenza del Lanteri nell’analisi dei libri, e chiaro ch’egli dovette godere la fama del più competente dei «teologi». Di questa sua attività abbiamo purtroppo una sola testimonianza nel verbale dell’Amicizia Cattolica del 27 settembre 1821 (cfr. Doc. XLIX, pag. 241).
3° L’Amicizia Cattolica consegna tra il 1823 e il 1825, su domanda del Lanteri, 18.347 volumi da distribuirsi in occasione delle sante Missioni (cfr. nota dei libri rimessi dalla Società dell’Amicizia Cattolica, sulla domanda del Reverendissimo Signor Teologo Lanteri, per essere distribuiti in diverse Missioni, conservata nell’archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 313).
4° Nel 1826 in occasione del viaggio a Roma per l’approvazione delle regole della sua Congregazione, il Lanteri parla al Papa Leone XII dell’Amicizia Cattolica e gli denuncia le infondate accuse mosse contro di essa (Doc. LXIII, 16, pag. 461).
5° Dopo aver ottenuto il Breve di approvazione della Congregazione (1° settembre 1826), il Lanteri parla al Barone Penkler dell’Amicizia Cattolica, come di un’opera di cui è a parte (Doc. LI).
6° In alcune lettere del 1826, scritte dal Teologo Daverio (Doc. LII, int.) e dal d’Azeglio mentre la campagna contro l’Amicizia Cattolica si stava acuendo, il Servo di Dio figura perseguitato al pari del d’Azeglio, Segretario dell’Amicizia e suo figlio spirituale (Doc. LIII, 1).
7° Fra i più attivi Amministratori dell’Amicizia Cattolica figurano, oltre il d’Azeglio, il Marchese Massimino, il Conte Piobesi e il Cav. Luigi di Collegno; ora tutti questi personaggi facevano parte del consiglio direttivo dell’Amicizia Cristiana (cfr. Doc. XXXII), quindi erano uomini formati all’apostolato dal Servo di Dio o comunque viventi nel suo ambiente spirituale.
In conclusione questi pochi dati di fatto ci sembrano autorizzare, ora che conosciamo che cos’è e com’era organizzata l’Amicizia Cattolica, a credere notevole l’opera esercitatavi con somma discrezione dal Lanteri.
La documentazione che seguirà avrà necessariamente un carattere suo proprio: essa tenderà innanzi tutto a mettere in evidenza l’attività dell’Amicizia Cattolica che sostituì l’Amicizia Cristiana e la campagna di diffamazione di cui fu oggetto, toccando purtroppo solo qua e là l’opera del Lanteri. Però, se si terranno presenti, leggendo questi documenti, i sette dati di fatto sopra elencati, si potrà scorgere la mano del Servo di Dio che senza apparire pubblicamente dirigeva e teneva compatto quel gruppo di valorosi Cattolici Torinesi, autentici pionieri dell’apostolato della buona stampa, i quali, in pochi anni, diffusero nel Regno Sardo, in Italia e perfino nell’America del Nord diecine di migliala di volumi.
DOC. XLVI
EXCERPTA E RELATIONE cui titulus «Memorie della Società degli Amici Cattolici», anno circiter 1818. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 309.
Diamo qui alcuni brevi estratti di un resoconto del primo anno di vita dell’Amicizia Cattolica, redatto probabilmente nel 1818. In essi si troveranno due importanti notizie:
1° l’approvazione esplicita della Società da parte dell’autorità diocesana di Torino;
2° l’origine del nome dato alla Società, proposto dal celebre conte Giuseppe de Maistre.
Notiamo passando che proprio nel breve periodo di tempo (1817-1821), in cui fu Amministratore dell’Amicizia Cattolica, il de Maistre ultimò e pubblicò alcune delle sue opere più importanti, come il Du Pape, Lyon 1819, e Les Soirées de Saint-Pétersbourg, Paris 1821.
In un secondo tempo, quando cioè si trattava di mandare alle stampe i Regolamenti della Società dell’Amicizia Cattolica (pubblicati in Torino nel 1819), il Marchese Cesare d’Azeglio, segretario della medesima, li sottopose alla previa approvazione di Mons. Colombano Chiaverotti, Arcivescovo di Torino. Si conserva ancora la lettera del d’Azeglio (13 febbraio 1819) che ne accompagnava il manoscritto (Archivio della Curia di Torino: Corrispondenza anno 1819, fol. 128). Il d’Azeglio fa presente all’Arcivescovo che l’Amicizia Cattolica era già stata approvata dal Sovrano e dal Vicario Capitolare (si tratta dell’approvazione cui accenna il nostro documento) e che da poco aveva ricevuto speciali indulgenze da Pio VII.
MEMORIE DELLA SOCIETÀ DEGLI AMICI CATTOLICI
Nella primavera dell’anno 1817 si unirono vari Amici i quali da molti anni si adoperavano non pubblicamente nel promuovere quanto era in loro lo spargimento, la lettura ed eziandio lo componimento di libri buoni. Considerarono essi che proseguendo nel sistema di non manifestare espressamente l’unione loro e l’oggetto della medesima ne risultavano due inconvenienti, cioè che erano scarsissimi i mezzi pecuniari per un’impresa che tanti ne richiede, e che molte persone zelanti avrebbero potuto aggiungervi l’opera loro e nol faceano ignorandone l’esistenza. Per altra parte il risorgimento dei Troni legittimi aveva rimosse in parte le difficoltà che sotto un Governo antireligioso avevano consigliato il segreto. Si conobbe benissimo che non ha cessato la setta dei Misotei dalle sue trame per cui può prevalere e nuocere agli individui di questa Società, ed adoprarsi in abbassarne le operazioni: non si credette per altro sufficiente questo motivo per durare nel misterioso suo contegno.
Così deliberato si riunirono i seguenti soggetti: LL. EE. Conte Gattinara – Marchese Massimino e i Signori Conte di Piobesi – Cavaliere di Casteinuovo – Cavaliere Luigi di Collegno – Cavaliere Borghese – in casa del Marchese d’Azeglio: furono stabiliti i regolamenti qui uniti, ed essendo tutti gli altri membri della Società occupati per impieghi pubblici, fu commesso al Marchese d’Azeglio l’ufficio di Segretario insieme a quello di Direttore delle Stampe.
Andò egli per comando della Società a comunicar la cosa all’Ill.mo e Rev.mo Monsignor Vicario Capitolare il quale la commendò e l’approvò positivamente. Si stabilirono tosto le adunanze regolari nella casa medesima ove erasi tenuta la prima, fissate a tutti i giovedì verso le ore 7.1/2 della sera…
La Società doveva avere un titolo che la indicasse specificatamente senza dover esprimere ad ogni volta gli attributi. Si è scelto quello di Amici Cattolici, proposto da S. E. il Sig. Conte Maistre che dalla metà di novembre si è aggregato alla Società.
DOC. XLVII
«NOTIZIA dell’Associazione dell’Amicizia Cattolica», auctore anonymo, annis 1818-1819 circiter. – Ex copia contemporanea in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 301.
II documento che qui riproduciamo tratta dell’origine e dello scopo dell’Amicizia Cattolica. L’autore di questa notizia è un Amico Cristiano divenuto membro dell’Amicizia Cattolica,si tratta probabilmente del Cav. Luigi Provana di Collegno, che ne propose la fondazione, oppure del Marchese Cesare d’Azeglio, segretario della medesima. Da tutto l’insieme si deduce ch’essa fu scritta nel corso dei primi anni di vita della Società, quindi verso il 1818-1819.
II suo contenuto è importante per la conoscenza dell’Amicizia Cattolica che giustamente viene presentata come un ringiovanimento dell’Amicizia Cristiana, di cui ha conservato tutto il programma. Il nome del Lanteri non ricorre nello scritto, però quanto l’autore dice sulla circolazione dei libri per opera dell’Amicizia Cristiana all’epoca della prigionia di Pio VII lo riguarda direttamente: egli era infatti capo dell’Amicizia Cristiana e fu confinato nella sua casa di campagna a Bardassano perché sospetto di attività in favore del Pontefice (cfr. Doc. X). Inoltre i principi che l’autore ribadisce in questa notizia sono esattamente quelli su cui il Lanteri insisteva con maggior forza, come l’amore attivo ed effettivo al Romano Pontefice, l’aborrimento per le discussioni teologiche su punti di dottrina non definiti, la necessità impellente dell’apostolato della buona stampa ecc.
Di questa notizia l’archivio della Postulazione O. M. V. (S. I, 302-303) possiede due altre copie in lingua francese; potrebbe darsi che l’originale fosse scritto in francese, comunque il testo è esattamente lo stesso.
NOTIZIA DELL’ASSOCIAZIONE DELL’AMICIZIA CATTOLICA
L’idea d’una Società, o d’uno Stabilimento qualunque destinato a spargere ed a favorire le buone letture, è inserita in varie opere del zelantissimo P. Diessbach. Uno zelo così illuminato sortì il suo effetto, e diede origine da molti anni ad una associazione di cui l’oggetto era, alle brame dell’uomo apostolico, interamente conforme. Egli è noto che la rivoluzione non ebbe principio l’anno 1789. Ordita da lungo tempo innanzi, preveduta dai veri Cristiani, dai loro nemici, da tutti in somma, trattine coloro che avrebber dovuto prevenirla, o frenarne il corso, l’opera d’iniquità non fece allora che manifestarsi.
La generale influenza de’ moderni filosofi consigliò per allora gli Associati alla Libreria Cattolica a non far di sé mostra per sottrarre a mille ostacoli le loro operazioni, le quali a quanto bene mirassero lungo sarebbe ed inutile il qui ritrarre. Iddio solo ne conobbe i risultati, seppe egli solo quale «incrementum dederit», principalmente alla circolazione di libri che tra l’Italia e la Francia nel tempo della prigionia di Pio VII per loro mezzo mantenne, e col favor del velo, benché sottilissimo, ond’era coperta, sottrasse agli occhi d’una polizia oltre a quanto erasi fin allor veduto sospettosa ed attiva. Il ritorno dei Sovrani legittimi pose in dubbio se tuttavia fosse da serbarsi il segreto: sebbene pur troppo si vegga prevaler tuttora, cangiata maschera è vero, ma non natura il fìlosofìsmo medesimo, non ostante sembrò opportuno a noi pure cangiar metodo.
Le Società segrete troppo son sospette oggimai, perché tra le persone dabbene molte di secondarci non ricusassero; d’altronde ad operare più estesamente il bene gran mezzi vi vogliono che dallo zelo dei Cattolici, istrutti che siano della nostra esistenza, del nostro fìne, possiamo giustamente sperare. Se alcuni degli associati per propagare clandestinamente la nostra istituzione, imprendessero viaggi, coll’esporsi a grandi inconvenienti, a sospetti di essere l’opposto appunto di ciò che son realmente, non otterrebbero che incerti e lenti i successi.
Nel pubblicarsi i nostri disegni, il nostro metodo, uom ragionevole non potrà lagnarsi di noi. Siamo, ci dichiariamo Cattolici: il senso di tal vocabolo è noto ad ognuno, solo aggiungiamo che dietro tutta l’antica cristianità in di cui nome parlava allora S. Ambrogio, non conosciam Chiesa Cattolica se non dov’è il Papa: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia», ed in ogni occasione esclameremo con S. Girolamo: «Ego beatitudini tuae consocior».
Nostro secondo carattere è la fedeltà al Governo legittimo.
Lungi da noi le discussioni teologiche sui punti dalla Chiesa non ancor definiti, lungi le dispute sulla miglior forma di governo. Felici nell’esser soggetti all’ottimo Padre che il Ciel ne ha reso, non intendiamo biasimare nè costituzioni, nè repubbliche, inculchiamo ad ognuno di rigettare i sensi di resistenza, di critica contro dei legittimi lor governanti: «potestas (legittima s’intende) a Deo est»: ma sì vorremmo, ecco ove tutti mirano i nostri desideri, vorremmo tutti gli uomini cattolici, tutti i cattolici virtuosi. La pubblicità della nostra Associazione dee moltiplicare i nostri mezzi, nè parlo qui solo dei pecuniari.
Conoscere, denunciare gli errori, i vizi che regnano in una città, in una contrada, porvi rimedio, combatterli col propagare l’istruzione, la verità, ecco in che s’impiegano le nostre cure. Ma spesse volte ove son più numerosi i nemici mancano l’armi: l’antidoto, lo specifico contro una malattia, trovasi non di rado prontissimo in tutt’altra parte che quella ove essa inferocisce. Moltiplicati i nostri stabilimenti, faran conoscere i buoni libri dalla cabala nemica tenuti assai volte nell’oscurità, e, colla vicendevole corrispondenza, insegneremo a conoscere gli errori da combattersi, i libri cattivi da confutarsi, e da screditarsi, i buoni da spandersi ed eziandio da comporsi. Se un male qualunque prende forze in luoghi ove mancano mezzi di resistenza, verranno somministrati dalle società amiche, o con inviar libri, o coll’indicarne i più robusti in tal materia, o quando impiegarvi potessero uno scrittor valoroso, col temprare esse stesse nuove armi al soccorso dei pericolanti fratelli. Basterà talora il compendiare, rabbellirne, ringiovanirne lo stile. Quanto in somma siano per moltiplicarsi le forze per la reciproca influenza dello zelo degli associati fra loro, di quello d’una associazione verso l’altra, è cosa agevole l’immaginarlo.
Se il loro stabilimento incontrasse ostacoli scongiuriam le persone che gradirebbero il nostro piano a non perdersi d’animo: potrà anche ognun da sé recar molto vantaggio sol che si siegua costantemente un metodo simigliante; e siam persuasi ch’egli è facile fare il bene che noi procuriamo, solo che non si esca dai limiti sovra accennati, i quali non essendo ritrovamento umano non possono sviarci. Con tutto ciò sarem pronti sempre a comunicare a chi li bramasse gli schiarimenti di cui siamo capaci per assai lunga esperienza.
Sulle varie classi di persone tiepide, incredule, vacillanti nella fede o nei costumi, strascinate, viziose ecc. abbiamo con iscrupolosa esattezza formate quelle dei libri che a ciascheduna possono meglio adattarsi. Non è già che vogliamo disapprovare chi si vale d’un libro buono d’altronde, sebbene meno esatto in qualche punto, e dai nostri principii discordante. Giunto ad età matura, fornito d’una fede illuminata, robusta, e soggetta al consiglio d’un Direttore saggio, instruito, ed umile dee ciascuno sapersi regolare; ma in quanto a noi vogliamo assicurarci che nulla sia riprensibile nei libri per noi proposti, e da tal sistema non ci dipartiremo giammai.
Se dunque individuo, o società alcuna vorrà mettersi in corrispondenza con noi, il desiderio della gloria di Dio, e della salute dei nostri fratelli ce ne farà lietissimi; congiungeremo le nostre cognizioni alle loro, li metteremo a parte dei nostri libri se ne avrem qualche fondo. Se la notorietà del nostro Stabilimento impegnasse persone zelanti ad impiegarvi qualche elemosina, le preghiam fin d’ora a non inviarcela fuorché sembrasse affatto impossibile il formarne un simile nella loro provincia, e sarebbe nostro desiderio che uno almeno ne avesse in ogni Stato o Provincia di considerevole popolazione. Nel caso dell’intraprendersi la dispendiosa edizione di qualche opera di prima, noi ci permetteremo di far nota l’intrapresa alle altre Società per ottenerne il concorso, a cui si corrisponderebbe in seguito con un proporzionato numero di copie dello stampato. «Ad maiorem Dei gloriam» tutte debbono indirizzarsi le nostre deliberazioni, le nostre forze.
Nell’operare consueto della Società, ci limitiamo a libri di poco volume, ma forti per ragionamento o per unzione. Sfoghi amplissimi ci porgono gli Esercizi e le Missioni a cui ben spesso va congiunta la consolazione di vedere il ben che si è fatto.
Finalmente un’altra sorta di vantaggio recherà lo stabilimento dalle varie associazioni: chi sarà per ragionevol motivo astretto a viaggiare, riuscirà in tal guisa con somma facilità a conoscere di città in città, di fermata in fermata, uomini virtuosi ed istrutti, de’ quali dovranno le associazioni aver notizia pur nei luoghi ove non ne avrà altra stabilita, dovendo esse acquistar corrispondenti in tutte le città d’un medesimo Stato. Ed ecco per li giovani principalmente un mezzo onde sottrarsi ai pericoli che s’offrono ai viaggiatori, ai quali purtroppo è vero nulla più difficile riuscire che il ritrovare persone di pietà, e di religione, le quali si tengon talora occulte forse troppo. È vero che generalmente non sono in ciò biasimevoli; chi viaggia per viaggiare è per lo più assai lungi dal bramare la società di persone divote e di regolata condotta.
Benedica il Signore le nostre mire: a Lui solo se ne dia la gloria, e pace agli uomini di buona volontà.
DOC. XLVIII
EPISTOLA qua R. Mazio Pro Secretarius Pii VII Marchionem Caesarem d’Azeglio certiorem facit eumdem Pium VII varias indulgentias elargitum fuisse pro sodalibus Amicitiae Catholicae, anno 1818, 5 decembris. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 298c.
La presente lettera contiene la risposta inviata da Pio VII, per mano del suo Pro-Segretario Mazio, alla domanda di indulgenze, inoltrata dal Marchese d’Azeglio, segretario dell’Amicizia Cattolica. La lettera fu comunicata al d’Azeglio da Mons. Lambruschini, in seguito arcivescovo di Genova (1819-1830), come si ricava dal suo biglietto di accompagno del 6 dicembre dello stesso anno (Archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 298c, le due lettere sono tuttora unite).
Questa lettera fu per l’Amicizia Cattolica un documento di somma importanza, in quanto conteneva un’implicita approvazione del suo programma da parte del Papa.
Anche Leone XII dimostrò il suo compiacimento per l’opera svolta dall’Amicizia Cattolica, concedendole indulgenze parziali perfino durante il Giubileo del 1825. Ricaviamo tale notizia da un articolo sull’Amicizia Cattolica pubblicato dal d’Azeglio in L’Amico d’Italia (vol. VII, 1825, pag. 55), in cui si legge: «II regnante Pontefice ha mostrato pure con quanto favore rimira l’opera nostra, concedendo, con rarissimo esempio, indulgenze parziali da acquistarsi ancora nell’anno presente del Giubileo, in cui sono quasi tutte le altre sospese».
Dal Quirinale, li 5 dicembre 1818
Eccellenza,
La Santità di Nostro Signore Papa Pio VII, dopo aver considerati i fogli umiliati da Vostra Eccellenza alla S.tà Sua relativi alla così chiamata Società degli Amici Cattolici formata nella città di Torino, mi ha ordinato di comunicare all’Ec. V. intorno ai medesimi i Pontifìcii suoi sentimenti.
La predetta Santità Sua ha provato grande consolazione nel vedere il pio ed industrioso zelo che anima gl’Istitutori della Associazione della quale si tratta, il di cui scopo è quello di distribuire Libri di Religione e di pietà a quelle persone che non possono procacciarsene, sia per mancanza di mezzi, sia per inesperienza in materia di sì fatti Libri. Sua Beatitudine riconosce per sommamente utile alla Religione ed al bene delle anime una tale Istituzione, e perciò sommamente lodandola, non può altresì non bramarne la dilatazione. Si riserba a più opportuno tempo di dare ad essa prove maggiori della Pontificia sua Approvazione, intanto però in attestato del favore, e della vera compiacenza colla quale la riguarda, e per animare sempre più lo zelo di quelli che la compongono, o che si uniscano alla medesima, accorda ad essi le seguenti Indulgenze:
1° Indulgenza Plenaria agli Amministratori delle Società formate e stabilite, una volta ogni settimana.
2° Indulgenza Plenaria ai Corrispondenti ove la detta Società non trovasi stabilita, due volte al mese.
3° Indulgenza Plenaria a chi in ragione del suo potere concorre con limosine cospicue e stabili, due volte al mese.
4° Indulgenza di Sette Anni a chi contribuisce qualche limosina, e a chi concorre coll’opera, distribuendo Libri, trascrivendoli, facendoli stampare, o prestando qualche altro materiale servizio.
5° Finalmente Indulgenza Plenaria una volta la Settimana, ed all’Articolo della Morte, a chi per commissione della Società comporrà Opere favorevoli alla Chiesa, o alla S. Sede.
Tanto ho l’onore di annunziare all’Eccellenza Vostra per espresso comando del Santo Padre, e con la più rispettosa stima passo a rassegnarmi
Dell’Eccellenza Vostra
D.mo Ob.mo Servitore
R. Marzio Pro-Segretario di S. S.
Sua Eccellenza Sig. Marchese di Azellio.
DOC. XLIX
EXCERPTA EX ACTIS quibus res gestae in comitiis Amicitiae Catholicae describuntur, annis 1820-1823. – Ex originalibus in archivo Postulationis O. M. V. asservatis, S. I, 311.
L’archivio della Postulazione degli Oblati possiede tuttora tre preziosi fascicoli contenenti i verbali dell’Amicizia Cattolica dal 30 novembre 1820 al 30 gennaio 1823. Essi costituiscono una fonte di prim’ordine per la conoscenza dell’organizzazione e della vitalità dell’opera negli anni della sua maggior floridezza. In uno di questi verbali (quello del 27 settembre 1821) è citato il nostro Servo di Dio nella sua qualità di censore ossia di «teologo» dell’Amicizia.
Nei presenti estratti figureranno soltanto quei verbali che presentano maggior interesse per lo scopo nostro e per la storia della Società. Si vedrà che gli Amministratori dell’Amicizia Cattolica appartenevano alle migliori famiglie dell’aristocrazia Torinese sulle quali il Lanteri esercitava un salutare influsso da lunghi anni; alcuni già ricoprivano ed altri furono poi chiamati a ricoprire alte cariche in seno al Governo (cfr. l’elenco che ne dà il conte Solaro della Margarita nel suo Memorandum storico-politico, Torino 1852 pag. 8).
AMICIZIA CATTOLICA
Adunanza del 30 novembre 1820.
Si stabilisce doversi ormai tener registro delle tornate.
Lista degli impieghi quali sono distribuiti presentemente. Segretario: Marchese d’Azeglio. Tesoriere: Cavaliere Luigi di Collegno. Distributori-capi: Cavaliere Senatore di Castelnuovo; Cavaliere Luigi di Collegno. Direttore delle stampe: Cavaliere Pallavicino. Corrispondente generale: Cavaliere Pallavicino. Corrispondenti particolari: Alessandria, Acqui, Carmagnola, Casale, Cavaliere di Castelnuovo. – Biella, Cavalier Borghese. – Ginevra, Pinerolo, Cavaliere di Collegno. – Vercelli, Conte di Piobesi. – Ivrea, Saluzzo, Cavaliere Pallavicino. – Novara, Conte Tornielli. – Roma, Francia, America, Marchese d’Azeglio.
Regole per la corrispondenza.
Ove sono stanziati corrispondenti, i libri dall’Amicizia Cattolica passeranno per le loro mani per essere distribuiti.
Sarà cura di ciascheduno di quelli additare all’Amico Cattolico di Torino i modi di fargli passare i libri.
Ogni Amministratore corrispondente dà conto all’Amministrazione adunata di quanto occorre a questo riguardo.
Almeno una volta, circa l’uscire dell’anno, dà al Tesoriere la lista dei libri spediti e il conto delle somme recuperate. Di questi conti sarà dato ragguaglio all’amministrazione.
Adunanza del 16 agosto 1821.
Sono posti sotto gli occhi dei Soci i libri venuti in dono dall’Amicizia Sorella di Roma: cioè Imitazione di Gesù Cristo del Cesari; Pensieri del Jamin; Meditazioni per ogni giorno del mese del Sègneri; Pensieri Cristiani del Bouhours; Canzonette del Tornielli; Un nuovo Mese di Maria purgato da alcune storielle poco adatte al secolo nostro sofistico.
Dall’epigrafe stampata nei frontespizi dei libri dell’Amicizia Cattolica di Roma è noto a tutti ch’essa li pubblica e li dona. È statuito che s’imiti quel sistema ancora da noi. [28] Agli Amici, sotto ai quali stanno le cose delle stampe, è commesso definirne il modo ed eseguirlo.
Tra i libri venuti da Roma è La falsa felicità delle persone del mondo di Mons. Languet, recato in italiano. È un argomento favorevole il trovarlo in quell’involto: tuttavia per averne giudizio più fermo se ne commette l’esame all’Amico Gattinara.
L’Amico Pallavicini ha incarico di trasmettere in America 2000 Haller, 4000 Caractères del Gerdil, e 500 Huby. Il riparto debb’essere tra la nuova Orleans e Baltimora, secondo le seguenti norme: Nuova Orleans, Haller 1500, Gerdil 500, Huby 400; Baltimora, Haller 2500, Gerdil 1500, Huby 100.
Interviene all’adunanza il Padre Luigi Taparelli, che viene da Friburgo, ove ha conosciuto persone del nome di Diessbach d’un ramo cattolico colà esistente, agnato di quelli di Berna. Essi erano conoscentissimi del Bernese Padre Diessbach, Gesuita, che colle opere dettate dal suo zelo, primo d’ogni altro, proponendo di sistemare l’opera di carità spirituale d’imprestare o donare libri buoni, è propriamente l’autore della nostra Società. Al P. Taparelli pare sperabile per lor mezzo la fondazione d’una colonia nella Svizzera. Anche al P. Grassi, Segretario del P. Provinciale, piacque molto il nostro Istituto, e si profferse di propagarlo nelle contrade ove ha corrispondenti. Perciò chiede il P. Luigi un ragguaglio alquanto minuto delle nostre istituzioni, ch’egli comunicherà agli anzidetti. Non può proporsi cosa più conforme alla tendenza nostra. Il Segretario già deve dare la stessa notizia all’Abate De’Rosmini Serbati: ne comunichi pure una copia al P. Luigi, che l’userà a tal fine.
Adunanza del 27 settembre 1821.
Lo scorso giovedì 20 vennero soli gli Amici Tornielli e Collegno, e non fu adunanza.
L’Amico Massimino si prende carico di combinare la distribuzione dei libri che si son destinati ai Carabinieri.
Il Segretario fa conoscere la nuova edizione delle Considérations sur la France, riunita in un volume coll’Essai sur le Principe générateur (Libraio Potey, Parigi) un errore di stampa, che già si trovava nella prima, è corso anche in questa, pagina 153, linea 17, ove devesi surrogare construire, à détruire.
Anche l’opera postuma del Bergier, intitolata Tableau de la Miséricorde Divine dovrà esaminarsi per registrarla a Catalogo che è approvata. L’abate Lanteri ne ha già dato il voto favorevole.
Adunanza del 10 gennaio 1822.
L’Amico Tesoriere esibisce i conti attivi e passivi dell’anno 1821: ne consegna un ristretto da serbarsi negli archivi. Ne risulta che al Custode ne son dati 54175 in serbanza; e lo spargimento del 1821 fu di 21268. Che dall’anno primo, in cui sia stato regolarmente registrato, l’operar nostro è andato crescendo, non al pari del desiderio, ma bastantemente per crescerci coraggio a proseguire l’opera.
Mancano i Caratteri del Gerdil in italiano. Il grave debito che sta sopra alla Società verso al Tesoriere, e la sufficiente quantità di libri esistente, vietano che si pensi a nuove spese, fuorché indispensabili, sinché non è spento quello. Vuole il Tesoriere che non vi si badi per ora nel risolvere sul Gerdil, attesa l’utilità sua grande. L’Amicizia Cattolica commenda questa nuova carità, e pel motivo stesso ne accetta l’effetto, confermando tuttavia quanto è dianzi statuito.
Per tal motivo si passa la proposta che in una sua lettera fa l’Amico Passati di stampare i libri Sapienziali. Si potrà sentire da un libraio quale ne sarebbe l’importo. Quando ancor si potesse, sarebbero forse da scegliere soltanto l’Ecclesiastico e la Sapienza come quelli che sono più adatti al volgo.
L’Amico Pallavicini legge altra lettera del Dottor Pollano consona all’antecedente.
L’eccellente libro intitolato Thesaurus pauperum avea destato nell’Amico Pallavicini la brama di vederlo riprodotto. Nell’angustia di fondi v’è chi propone che sia fatta la spesa dagli Amici presenti. Ne è lodato lo zelo; ma la Società vuol che sia rammentata agli Amici la regola già statuita ad imitazione della Compagnia di S. Paolo, per cui è esclusa assolutamente ogni accatteria fra Soci, come quella che potrebbe talvolta gravarne alcuno di contribuzione non liberamente voluta.
Adunanza del 24 gennaio 1822.
S. M. ha approvato che si stampi il quinto Avvertimento di Bossuet, nel quale è impugnato l’errore della sovranità del popolo. Alcune copie ne siano donate: le più si vendano a prezzo discreto, poiché facilmente si ha in dispregio un libro donato, quasi non valga a trovar compratori. Il prodotto delle copie vendute rimanga in dono all’Amicizia. La Società, compresa di gratitudine pel Re, ne ravvisa il sommo criterio in questa risposta, la quale le sarà norma.
Il Socio proposto nell’antecedente tornata è accettato concordemente, purché preceda l’annuenza di Monsignore Arcivescovo comandata dalle Regole. L’Amico Tesoriere riferisce d’aver già dato qualche cenno al proposto soggetto, il quale non ha più mostrato la stessa premura di prima, allegando le occupazioni sue che non gli concederebbero di dare l’opera calda quanto vorrebbe al nuovo ufficio. La Società non crede doversene impermalire, mentre può esser vero motivo e non pretesto. Tuttavia essendo inutile un membro che non agisce, ma per altra parte potendo il candidato aver creduto maggiore la legatura di quel che è, commette al Tesoriere di porla a lui nel suo vero aspetto: quindi non incalzarlo, se si conosce ch’egli più non v’inclini.
Da una lettera scritta in settembre dalla Contessa di Brühl, dama della Corte di Sassonia, che riferisce la propria guarigione ottenuta nell’agosto dalla benedizione del Principe di Hohenlohe, si ha nuovo argomento di concepire per lui venerazione speciale. Copia della lettera si riponga negli Archivi. Il Segretario mostra il primo fascicolo dell’Amico d’Italia.
Adunanza del 16 gennaio 1823.
Amici presenti.
Castelnuovo, Gattinara, Tornielli, Piobbesi, Pallavicini, Borghese, Maistre, Azeglio.
Sincere e cordiali veramente sono le espressioni di esultanza colle quali l’Amicizia accoglie il reduce Amico da Novara. Confida, che il ritorno di lui sarà compenso allo sforzato non fare dell’Amico Collegno, il che aggiunge alla consolazione, che ciascuno prova per questa circostanza.
Il P. Taparelli ha mandato L. 300 per l’Amicizia. Il donatore ignoto ha dichiarato voler così acquistar l’indulgenza, epperò si spera che sarà annua la contribuzione.
Una persona per varie parti pregevole avea lodato al Segretario il libro dello Spedalieri sui Diritti dell’uomo; per consiglio d’un Amico il Segretario interrogò il P. Luigi del suo parere. La risposta si legge in adunanza. Gli Amici ordinano, che ne sia tenuta copia nei registri. Nel complesso lo dimostra libro pericoloso.
1°. Concede alcune massime, che egli veramente intende in astratto, e con tali restrizioni da non avere cattive conseguenze se altri vi si uniformasse pienamente. Ma non essendovi tal precisione, che possa troncare il corso a conseguenze più gravi, il libro non ha vantaggio nissuno, ed apre la via a gravi errori. E difatti lo stesso che lo lodava al Segretario dovette confessare che averlo posto in luce nei primi tempi della rivoluzione fu opera affatto inconsiderata.
2°. Il sistema si fonda sull’ipotesi dell’uomo inclinato al bene. Errore questo contrario all’esperienza ed alla rivelazione, il quale non può maggiormente ammettersi nella morale, di quel che nelle cose fìsiche si volesse disporre pei corpi facendo astrazione dalla gravità, od attrazione, che si voglia dire.
3°. E di più altera un testo di S. Tommaso, nel quale il Santo Dottore esprime condizionatamente certo stato di cose per cui abbia il popolo diritto d’eleggersi il Principe, e lo Spedalieri mutando il si in quum gli fa dire che è assolutamente nel popolo questa autorità.
Dall’Amico Pallavicini è consegnato lo specchio dei libri distribuiti nel 1822. Il numero totale è di 20110. Rimangono in fondo 43059.
DOC. L
EPISTOLA Comitis I. Barbaroux a secretis cubiculi Regis Sardiniae ad Marchionem Caesarem d’Azeglio una cum Regio subsidio pro Catholica Amicitia, Aug. Taurinorum anno 1825, 4 februarii. – Ex originali in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. I, 317.
L’importanza della presente lettera del primo segretario del Gabinetto del Re di Sardegna, Conte Giuseppe Barbaroux, non sta tanto nel fatto del cospicuo sussidio annuo elargito dal Re, quanto nel compiacimento sovrano per l’opera salutare svolta dall’Amicizia Cattolica.
REGIA SEGRETERIA
DI GABINETTO
Torino, il 24 febbraio 1825
Ill.mo Sig.re Sig.r P.ron Col.mo
S. M., alla quale ho avuto l’onore di leggere la preg.ma lettera di V. S. Ill.ma scrittami per ottenere la rinnovazione del sussidio stato già negli anni scorsi accordato in aiuto a far fronte alle spese di stampa e distribuzione dei buoni libri di religione e morale, mentre gradì moltissimo quanto la S. V. Ill.ma si compiacque scrivermi, persuasa del bene che dal suo zelo per tal oggetto ne deriva, si degnò di nuovamente accordare pel motivo soprannominato un sussidio di lire due mille, pel cui pagamento qui compiegato mi fo un pregio di trasmettere a V. S. Ill.ma l’opportuno mandato.
Ed ho l’onore di offerire alla S. V. Ill.ma gli atti di distintissimo rispetto, coi quali mi glorio di professarmi
di V. S. Ill.ma
Devot. ed Obblig. Servitore
J. Barbaroux.
All’Ill.mo Sig. Marchese Cesare Tapparelli d’Azeglio
Cav. Gran Croce de’ SS. Maurizio e Lazaro, Maggior
Generale ne’ Regi eserciti, e Grande di Corona.
DOC. LI
EPISTOLA Servi Dei ad Baronem Penkler de Catholica Amicitia, Romae anno 1826. – Ex originali (minuta) in archivo Postulationis O. M. V. asservato, S. II, 53.
La presente lettera, tratta dalla minuta autografa del Lanteri, non reca data, ma per vari indizi va riferita agli ultimi giorni della sua dimora in Roma, cioè al settembre 1826. Sull’identità del destinatario viennese non vi può essere dubbio, si tratta del Barone Penkler, col quale solo poteva parlare con tanta familiarità dell’opera del Padre Diessbach.
La lettera ha la sua importanza perché è uno dei pochi scritti del Servo di Dio che si riferisce all’Amicizia Cattolica. Da notare il particolare interessamento per quest’opera che si deve attribuire «in origine» al Padre de Diessbach, come già troviamo espresso nel verbale dell’adunanza del 16 agosto 1821 (vedi Doc. XLIX). Il Servo di Dio accenna poi al fatto che l’Amicizia Cattolica di Torino «fu la madre di parecchie altre tanto in Italia come in Francia», con ogni probabilità egli vuol parlare qui delle Colonie e dei Membri Corrispondenti, poiché fuori di Torino vi fu una sola Amicizia Cattolica, quella di Roma.
Trovandomi a Roma per attendere da S. S. l’approvazione d’una Congregazione di Sacerdoti totalmente consacrati, secondo il disegno per lungo tempo ispiratoci e inculcatoci dal P. Diessbach, a dar gli Esercizi esattamente secondo la maniera di S. Ignazio, e far circolare libri buoni, per cui ne abbiamo riportato il Breve qui annesso d’approvazione, accidentalmente nell’Anticamera di S. S. ho avuto la consolazione di conoscere il P. Koricki, segretario generale dei Gesuiti, che si porta nella Galizia, e dissemi che passava per Vienna, e conosceva molto V. Ecc. Profìtto con premura di questa occasione per richiamarmi alla sua memoria, ed avere delle sue preziose nuove, essendo da così lungo tempo che ne vivo ansiosissimo e sapere se esiste ancora qualche vestigio dello stabilimento del P. D. [Padre Diessbach]. Punto non dubitano che V. Ecc. perseveri tuttora nella buona volontà di far conoscere i buoni libri. Presso noi si è stabilita una Società pubblica detta Amicizia, in cui si distribuiscono gratis un gran numero di libri buoni che si mandano fìn nelle Indie, e continuamente si procurano nuove edizioni dei suddetti, perché si possano acquistare a buon prezzo. Questa nostra Amicizia Cattolica fu la madre di parecchie altre tanto in Italia come in Francia, il che tutto si deve in origine al nostro P. Diessbach, e dobbiamo ringraziarne di cuore il Signore.
Sento con sommo mio dispiacere che V. Ecc. soffre sempre molti incomodi, ne mancherò di raccomandarla particolarmente ne’ miei S. S. La mia salute è anche molto cagionevole, ma dobbiam consolarci col detto del P. Diessbach, che il Paradiso paga tutto. Finisco con pregarla di avermi anche presente in modo speciale nelle ferventi sue orazioni e coi sentimenti della più profonda stima e considerazione mi pregio di esserle
Di V. Ecc.
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Servo
Sacerd. Pio Brunone Lanteri.
DOC. LII
EPISTOLA Marchionis Caesaris d’Azeglio ad Regni Sardiniae Administrum ab internis rationibus, ut videtur, qua Catholicae Amicitiae patrocinatur, anno 1826. – Ex copia contemporanea in archivo Postulationis O. M. V. asservata, S. I, 318.
Diamo qui il testo di una lettera che dal contenuto risulta scritta dal Marchese d’Azeglio nel 1826 al Ministro degli Interni Conte di Cholex, come sembra, per difendere se stesso e l’Amicizia Cattolica dalle dicerie e calunnie che si andavano propalando. Il d’Azeglio, dopo un cenno volutamente vago all’origine della Società. ne mette in rilievo l’opera salutare svolta ed espone le origini e l’intensità della campagna diffamatoria nella quale fu coinvolto anche il Servo di Dio.
Di questa sleale campagna fa pure cenno il Teologo Daverio nella sua corrispondenza con Don Giuseppe Loggero che si trovava a Roma col Lanteri per l’approvazione delle Regole della Congregazione degli Oblati (cfr. Doc. LXIII). Ecco quanto scrive in data 19 maggio 1826: «S. E. il Governatore di Torino [si tratta probabilmente dell’arcivescovo] si è fatto e si fa un gran d’affare della partenza da Torino per Roma del Teologo Lanteri; molti supposti vi fa sopra. La chiacchiera contro l’Amicizia Cattolica, che dapprima sembrava una cosa di disprezzo e da nulla, ora è diventata un gigante formidabile, si dicono cose orrende, e già una gran parte delle persone dabbene si trova d’accordo con la cabala, credendo di dar gloria a Dio… hanno perfino già messo in prigione a Napoli il Padre Taparelli, gesuita, che sta in Roma; il Teologo Lanteri è sempre mischiato e fu chiamato a Roma dal Papa ecc.». In un’altra del 22 giugno dello stesso anno dice: «Le chiacchere contro il Sig. Marchese d’Azeglio si sono fatte a mille doppi qui, e non solo di esso, ma di tutta la società cattolica; si dice di più che il Teologo Lanteri era stato chiamato a Roma ad audiendum verbum… Ora il Marchese d’Azeglio è qui sulla barba di tutti gli impostori; dica pure V. S. a tutti che tutto è calunnia, falsità ecc.» (archivio della Postulazione O. M. V., S. I, 645-646). Come si vede la campagna diffamatoria toccava anche il Lanteri pur rovesciandosi contro il Marchese d’Azeglio, il maggior esponente del laicato cattolico di Torino. Non potendo intaccare l’intemeratezza della sua vita e dei suoi principi, la bile del nemico si riversava contro le opere cui attendeva, come l’Amicizia Cattolica e la Società della Propagazione della fede, ch’egli aveva introdotta in Piemonte tra il 1824 e il 1825 (cfr. L’Amico d’Italia, 1824, vol. VI, pp. 112-122; 1827, vol. XII, pp. 102-108). Però mentre il d’Azeglio era maggiormente afflitto per la lotta che il partito liberale e taluni membri del Governo muovevano contro l’Amicizia Cattolica, Leone XII gli inviava (10 marzo 1827) una bella lettera di incoraggiamento, invitandolo a perseverare, malgrado le difficoltà, nella lotta per il bene e per la stampa cattolica (cfr. L’Amico d’Italia, 1827, vol. XI, in fine al volume).
In quanto alla diceria che il Lanteri era stato chiamato a Roma «ad audiendum verbum», nulla v’è di vero, poiché, come diremo a suo tempo, il Lanteri si era recato a Roma in quell’anno unicamente per ottenere l’approvazione pontificia della sua Congregazione degli Oblati di Maria Vergine. Inoltre sappiamo pure che parlò al pontefice Leone XII in difesa dell’Amicizia Cattolica (cfr. Doc. LXIII, 16, pag. 461).
Si è creduto bene pubblicare qui per intero questa autodifesa del Marchese d’Azeglio perché si possa constatare direttamente la cavalleresca lealtà di questo figlio spirituale del Servo di Dio e l’insussistenza delle accuse mosse contro l’Amicizia Cattolica.
Scusate, Amico Eccellentissimo: vi scrivo confidenzialmente. La mia salute vuol risparmio di fatica; nè al Ministro potrei metter fra mano uno scritto con cassature, correzioni, richiami: ciò tutto può entrare in una lettera amichevole. Tale affetto è vivo sempre in me verso voi; e sebbene ammaestrato, ed esperto della fragilità delle amicizie umane, mi lusingo che dalla vostra per me non m’abbia a venire un nuovo e doloroso esperimento di sovrappiù ai già provati altronde.
Negli ultimi anni della tirannia, alcuni cristiani sinceri, ne’ quali gli scritti del P. Diessbach avevano operato lo zelo per aiutare con libri buoni il sacerdozio, ed anche, quanto si può legittimamente da laici, supplire alla scarsità, alla servitù del clero, sì andavano occupando nel farne stampare, nel distribuirne.
Venuta la Restaurazione, conosciuto dall’esperienza, dalle relazioni di buoni sacerdoti il gran bene che si faceva, fu pensiero ovvio il cercar, come farlo grandissimo d’intensione e di durata. Associarsi però, moltiplicare così colle reciproche comunicazioni intellettuali e pecuniali le direzioni e le possibilità, crescerci di cooperatori, furono unanimi consigli.
Leggi principali della Società, sempre vigenti di vigore indefettibile, furono, e sono: fedeltà, obbedienza alle due supreme Potestà, ciascuna nel suo uffizio, Papa e Re.
Purità assoluta di ogni libro da noi donato.
Esclusione assoluta d’ogni segreto; di collegamento con società segrete, qualunque sembianza vestissero, qualunque indole credibile mostrassero di religione, di lealtà.
Ciò è sempre stato osservato, e si osserva tuttora puntualmente.
Avviata la Società, composta dapprima, ed accresciuta poi sempre di membri fedelissimi incontestabilmente, giovava all’opera farla conoscere, perché le venissero fondi, condizione necessarissima. Perciò dovea darsele un nome; nè così tosto si potè trovarlo adattato.