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Quest’oggi il nostro sguardo sulla santa Famiglia si lascia attirare anche dalla semplicità della vita che essa conduce a Nazareth. È un esempio che fa tanto bene alle nostre famiglie, le aiuta a diventare sempre più comunità di amore e di riconciliazione, in cui si sperimenta la tenerezza, l’aiuto vicendevole, il perdono reciproco. Ricordiamo le tre parole-chiave per vivere in pace e gioia in famiglia: permesso, grazie, scusa. Quando in una famiglia non si è invadenti e si chiede “permesso”, quando in una famiglia non si è egoisti e si impara a dire “grazie”, e quando in una famiglia uno si accorge che ha fatto una cosa brutta e sa chiedere “scusa”, in quella famiglia c’è pace e c’è gioia. Ricordiamo queste tre parole. Ma possiamo ripeterle tutti insieme: permesso, grazie, scusa. |
Dall'Angelus di Papa Francesco di Domenica 29 dicembre 2013 |
La stalla di Betlemme è il primo luogo della solidarietà con l’uomo: di un uomo con l’altro e di tutti con tutti, soprattutto con coloro, per i quali “non c’è posto nell’albergo” (cf. Lc 2,7), ai quali non sono riconosciuti i propri diritti. Il Bambino neonato vagisce. Chi sente il vagito del bimbo? Per lui parla però il cielo, ed è il cielo che rivela l’insegnamento proprio di questa nascita. È il cielo che la spiega con queste parole: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). Bisogna che noi, toccati dal fatto della nascita di Gesù, sentiamo questo grido del cielo. Bisogna che esso giunga a tutti i confini della terra, che lo odano nuovamente tutti gli uomini. “Filius datus est nobis. Christus natus est nobis. Amen”.
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Giovanni Paolo II
Dall'omelia del S.P. Giovanni Paolo II alla s. Messa di Mezzanotte del Natale 1978 |
266. [… ]Non si può perseverare in un’evangelizzazione piena di fervore se non si resta convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. È per questo che evangelizziamo. Il vero missionario, che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario. Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso dell’impresa missionaria, presto perde l’entusiasmo e smette di essere sicuro di ciò che trasmette, gli manca la forza e la passione. E una persona che non è convinta, entusiasta, sicura, innamorata, non convince nessuno. |
Papa Francesco
Dall'Esortazione Apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco |
Parole di Papa Francesco alla Basilica di S. Maria Maggiore in Roma in occasione della recita del S. Rosario il 4 maggio 2013. Maria è madre, e una madre si preoccupa soprattutto della salute dei suoi figli, sa curarla sempre con grande e tenero amore. La Madonna custodisce la nostra salute. Che cosa vuol dire questo, che la Madonna custodisce la nostra salute? Penso soprattutto a tre aspetti: ci aiuta a crescere, ad affrontare la vita, ad essere liberi; ci aiuta a crescere, ci aiuta ad affrontare la vita, ci aiuta ad essere liberi. Una mamma aiuta i figli a crescere e vuole che crescano bene; per questo li educa a non cedere alla pigrizia – che deriva anche da un certo benessere -, a non adagiarsi in una vita comoda che si accontenta di avere solo delle cose. La mamma ha cura dei figli perché crescano sempre di più, crescano forti, capaci di prendersi responsabilità, di impegnarsi nella vita, di tendere a grandi ideali. Il Vangelo di san Luca dice che, nella famiglia di Nazareth, Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 2,40). La Madonna fa proprio questo in noi, ci aiuta a crescere umanamente e nella fede, ad essere forti e non cedere alla tentazione dell’essere uomini e cristiani in modo superficiale, ma a vivere con responsabilità, a tendere sempre più in alto. Clicca qui per leggere tutto il discorso] |
Papa Francesco
Basilica di S. Maria Maggiore in Roma |
Quando uno commette un peccato o cade in qualche difetto deve pensare che Dio ha permesso la sua caduta per la sua superbia, ed è cosa pericolosissima scusare il difetto. E perciò quando si cade si deve dire: sei fossi stato umile non sarei caduto.
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"Chi cerca altro |
Mia cara piccola Francesca,
ho sempre la tua lunga lettera che mi hai scritta prima della tua partenza e l'ho letta e riletta chiedendo al divino Ideale di assoggettare e benedire questo piccolo cuore ch'Egli cerca e circonda da ogni parte, ma che vorrebbe sfuggirgli per vivere in cose tanto al di sotto del fine per il quale è stato creato e messo al mondo! Mi rendo conto, mia cara Francesca, che hai bisogno di un'ideale, di qualche cosa cioè che ti rapisca al di fuori e al di là di te stessa, ma vedi, di ideali non ce n'è che uno: è Lui il solo vero! Ah se tu lo conoscessi anche solo un poco come la tua Elisabetta! Egli affascina, Egli rapisce! Sotto il suo sguardo l'orizzonte diviene così bello, così vasto, così luminoso! Credimi, l'amo appassionatamente e in Lui ho tutto! È attraverso di Lui, al riflesso della sua luce che devo guardare ogni cosa, andare a tutto! Vuoi dunque, mia cara, orientarti con me verso questo sublime ideale? Non è una finzione, ma una realtà. È la mia vita al Carmelo. O piuttosto, guarda alla Maddalena. Non è stata anch'essa conquistata? Poiché hai bisogno di vivere al di là di te stessa, vivi in Lui, è così semplice! Eppoi sii buona. Mi fa tanta pena vederti far soffrire [tua mamma] […] più ti vedo cattiva, più mi sento attaccata alla tua anima, perché il Maestro la vuole e poi perché tu sei un po' la mia figlioccia … Non essere una conversione troppo difficile, lasciati prendere nella rete del Maestro. Ci si sta così bene!
La tua grande amica e mammina
Elisabetta della Trinità, prigioniera di Cristo
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B. ELISABETTA DELLA TRINITÀ
Lettera 109 |
Perché il martirio è "seme di Chiesa"? Il martire non è un eroe, né una vittima. Muore senza tragedia, in coerenza con il suo battesimo e con quanto in quel sacramento ha accettato di essere e promesso di diventare. Perciò non sono le sofferenze e le torture che lo fanno prezioso agli occhi della Chiesa (che sa che anche i pagani e gli eretici affrontano la morte per le loro idee), ma ciò che rende grande il martire è l'essere conformato al Figlio del Padre, nella sua passione di figlio della Chiesa, nella sua obbedienza all'economia della croce. Ciò che conta è il fatto che il martire accetta la volontà di Dio in tutto, anche nelle prove. Conta la prova della vita semplice, spesso fatta a lungo di fedeltà nelle piccole preghiere, nelle piccole mortificazioni, per cui quando giunge la grande prova risponde con la stessa coerenza e coraggio. La fedeltà quotidiana del battezzato prepara e anticipa il martirio. |
MICHELINA TENACE
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Accetta di essere disprezzato
da tutti gli uomini, ma non dalla tua coscienza.
Lettera ad un suo discepolo
in I sensi dello spirito, Ed. Monastero di Bose, 21 |
Filosseno di Mabbug
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Rivelazioni o Araldo del Divino Amore, III, 3.
Tu, mio Dio, agivi nell'anima mia attraendola potentemente tutta a Te. Un giorno fra la Risurrezione e l'Ascensione, al mattino, avanti Prima, entrai nel podere del Monastero e mi sedetti presso il laghetto. La bellezza del luogo mi rapiva, soprattutto per la limpidezza delle acque é la presenza degli alberi verdeggianti: più ancora mi compiacevo del gaio svolazzare degli uccelletti, e particolarmente delle colombe che andavano e venivano liberamente intorno a me. In quella profonda solitudine si gustava una pace deliziosa e riposante. Cominciai a domandarmi cosa mai avrebbe potuto completare l'incanto di quel luogo, e conclusi che mancava solo la presenza di un amico affettuoso, amabile, capace di rallegrare la mia solitudine.Tu allora, mio Dio, sorgente d'indicibili delizie, Tu, che mi avevi ispirato l'inizio di quella meditazione, per concluderla con profitto del tuo amore, mi facesti capire quanto segue, dicendomi: «Se tu, per riconoscenza, facessi risalire fino a Me, come l'acqua di un fiume che precipita verso il mare, le grazie di cui ti ha ricolmata; se ti sforzassi di crescere in virtù come un albero vigoroso si adorna di ricca verzura; se libera da tutti i legami terrestri, spiccassi il volo come la colomba, verso le regioni celesti per dimorarvi con Me, lungi dalle passioni e dal tumulto del mondo, tu Mi prepareresti nel tuo cuore un incantevole soggiorno». Il mio spirito restò tutto il giorno occupato da questi pensieri. Giunta la sera, prima di coricarmi, m'inginocchiai per pregare e mi risovvenni a un tratto della sentenza evangelica: «Se qualcuno mi ama e osserva la mia parola, mio Padre l'amerà e noi verremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora» (Gv 14,23). In quel medesimo istante sentii che il mio cuore, questo povero cuore di fango, era diventato la tua dimora! [Clicca qui per leggere tutto il testo]
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S. Gertrude di Helfta, la Grande
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Di Mosè il libro dei Numeri dice che «era una persona umile, più umile di ogni altro uomo che c’era sulla terra» (12,3). Come potrebbe essere diversamente quando si è vista la gloria di Dio sul Sinai? Dio che passa rende Mosè umile. Più un uomo è ammesso nell’intimità di Dio, più sprofonda nell’umiltà «fino al collo». Questa umiltà non nasce dal timore che un uomo potrebbe provare al cospetto di un sovrano o di un grande personaggio, ma viene dalla stessa intimità con Dio. Quando si scopre a qual punto Dio ci ama e vuole unirsi a noi, ci si riempie di confusione e si dice come Angela da Foligno: «Quando sono stata introdotta nell’Amore, sono diventata non-amore». L’effetto dell’amore è l’adorazione di Dio e l’umiliazione di noi stessi. […]. Si scopre allora, d’improvviso che per essere umile come per amare bisogna essere in due. Finché l’uomo non è di fronte ad un altro essere, che sia il Tutto-Altro o il fratello altro, di cui scopre il volto e, soprattutto, l’amore, non può essere umile. È nel momento in cui si comprende tutta la tenerezza che un altro ha per noi e soprattutto il poco amore che noi abbiamo per lui che si diventa umili. L’umiltà non è quindi uno scontento di sé, e neppure una confessione della nostra miseria, del nostro peccato, della nostra piccolezza. L’umiltà, in fondo, presuppone che si guardi Dio prima di guardare se stessi e che si misuri l’abisso che separa il finito dall’infinito. Più si accetta di vedere questo, più si diventa umili. |
Jean Lafrance
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Dio delude chi non lo conosce abbastanza; le creature deludono chi le conosce troppo. |
Filosofo e scrittore francese chiamato
«il filosofo contadino» |
“Beata perché hai creduto!”. Maria è beata per la sua fede in Dio, per la sua fede, perché lo sguardo del suo cuore è sempre stato fisso su Dio, sul Figlio di Dio che ha portato in grembo e ha contemplato sulla Croce. Nell’Adorazione del Santissimo Sacramento, Maria ci dice: “Guarda al mio Figlio Gesù, tieni lo sguardo fisso su di Lui, ascoltalo, parla con Lui. Lui ti guarda con amore. Non avere paura! Lui ti insegnerà a seguirlo per testimoniarlo nelle grandi e piccole azioni della tua vita, nei rapporti di famiglia, nel tuo lavoro, nei momenti di festa; ti insegnerà ad uscire da te stesso, da te stessa, per guardare agli altri con amore, come Lui che non a parole, ma con i fatti, ti ha amato e ti ama!”. [Clicca qui per leggere l’intero messaggio] |
Dal video messaggio di Papa Francesco del 12 ottobre 2013 in occasione della
Veglia di Preghiera
al Santuario del
Divino Amore di Roma
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San Talassio fa notare: «Nella nostra anima sono nascoste le peggiori passioni. Ma esse non appaiono se non quando respingiamo le cose del mondo». Il più delle volte sono le tentazioni a rivelare all'uomo la presenza in lui di passioni di cui era incosciente: «Nell'anima ci sono molte passioni di cui non sappiamo niente, fino a quando arriva la tentazione e ce le rivela» osserva Evagrio. Spesse volte accade pure che l'uomo resti incosciente delle sue passioni fino a quando non finisce in circostanze tali che gliele rivelano e le fanno risorgere. L'assenza nell'anima di questo o quel pensiero passionale, per esempio, non è affatto segno che nell'anima quella passione non esista, ma al massimo significa che in quel momento l'anima non si trova alle prese con un oggetto o una circostanza che la susciti». «Una cosa – scrive san Giovanni Cassiano –, è essere senza pensieri passionali e un'altra essere libero dalle passioni. […]. Un tale si crede paziente e umile fino a quando non entra in contatto con nessuno, ma subisca una piccola contrarietà e vedrà come insorge la passione dell’ira».[…]. Viene allora da sé come una delle prime funzioni della terapeutica da usare per guarire dalle sue passioni l'uomo decaduto debba essere proprio quella di portare quelle passioni in piena luce, di rendere l'uomo pienamente cosciente di esse. |
JEAN CLAUDE LERCHET
L'inconscio spirituale. San Paolo, 131-134
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Per quale ragione non si ama Dio senza ricompensa
In effetti Dio non si ama senza esserne ricompensati, benché dobbiamo amarLo senza avere di mira la ricompensa. […] Il vero amore è pago di se stesso. Ha il suo premio, ma in quello che forma l’oggetto dell’amore. Infatti, se ti sembra di amare una cosa per qualcos’altro, è chiaro che tu ami quel qualcosa a cui tende lo scopo del tuo amore, non quella cosa attraverso la quale passa solamente il tuo amore. […] Il vero amore non cerca il premio, ma lo merita. Il premio è proposto a chi ancora non ama, è dovuto a chi ama, ed è accordato a colui che persevera. Così, anche quando dobbiamo persuadere qualcuno a compiere cose di poco conto, noi invitiamo con promesse e premi coloro che recalcitrano, non i volenterosi. Chi pensa che debba essere premiato un uomo per fargli fare ciò che desidera spontaneamente? Nessuno infatti paga un compenso all’affamato perché mangi, o all’assetato perché beva, oppure alla madre perché allatti il suo bambino […]. A più forte ragione, l'anima che ama Dio non cerca altra ricompensa al suo amore al di fuori di Dio, se poi cerca qualcos'altro, è questo qualcos'altro che ama in realtà, non Dio.
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I Gradi dell'umiltà. Città Nuova, 159-160. |
«Quando insisto sulla frontiera, in maniera particolare mi riferisco alla necessità per l’uomo che fa cultura di essere inserito nel contesto nel quale opera e sul quale riflette. C’è sempre in agguato il pericolo di vivere in un laboratorio. La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte. Io temo i laboratori perché nel laboratorio si prendono i problemi e li si portano a casa propria per addomesticarli, per verniciarli, fuori dal loro contesto. Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci. […] Quando si parla di problemi sociali, una cosa è riunirsi per studiare il problema della droga in una borgata misera, e un’altra cosa è andare lì, viverci e capire il problema dall’interno e studiarlo. […] E le frontiere sono tante. Pensiamo alle suore che vivono negli ospedali: loro vivono nelle frontiere. Io sono vivo grazie a una di loro. Quando ho avuto il problema al polmone in ospedale, il medico mi diede penicillina e strectomicina in certe dosi. La suora che stava in corsia le triplicò perché aveva fiuto, sapeva cosa fare, perché stava con i malati tutto il giorno. Il medico, che era davvero bravo, viveva nel suo laboratorio, la suora viveva nella frontiera e dialogava con la frontiera tutti i giorni. Addomesticare le frontiere significa limitarsi a parlare da una posizione distante, chiudersi nei laboratori. Sono cose utili, ma la riflessione per noi deve sempre partire dall’esperienza». [Clicca qui per leggere tutta l’intervista]. |
Francesco:
dalla rivista Civiltà Cattolica Intervista a Papa Francesco di P. Antonio Spadaro sj |
– Chi ha fede sa aspettare. | |
Quando abbiamo provato nel cuore un'avversione contro il male che domina il mondo e in noi stessi, quando ci siamo sforzati di combattere questo male e per esperienza ci siamo convinti dell'impotenza della nostra buona volontà, allora sorge in noi la necessità morale di cercare un'altra volontà, tale che non solo voglia il bene, ma pure lo possegga, e dunque possa comunicare anche a noi la forza del bene. Una tale volontà esiste, e prima che noi la rintracciamo, essa stessa già ci ha trovato. Essa rivela se stessa alla nostra anima con la fede e ci unisce a sé con la preghiera.[…]. Se veramente vogliamo una vita libera e perfetta, allora dobbiamo abbandonarci a Colui che può liberarci dal male e darci la forza del bene […]. Abbandonandosi a Lui nella fede, ci si unisce con Lui nella preghiera. Perciò il primo atto della fede nella quale Dio agisce insieme con l'uomo è la preghiera … in essa noi agiamo in Dio e Dio opera in noi. Questo già è il principio di una nuova vita spirituale. Già sentiamo in noi il suo primo movimento. Sappiamo che questa vita è in noi e costituisce la parte migliore di noi stessi. Ma anche sappiamo che essa non proviene da noi. […]. Questa vita non è da noi, ma dal Padre, dall'alto; ma essa è in noi, è nostra, e il Padre di questa nuova vita è il Padre nostro. Padre nostro che sei nei cieli. Se non abbiamo sperimentato in noi stessi la nuova vita celeste, se viviamo solamente la vita di prima che è tutta impotenza, peccato e morte, allora queste parole «Padre nostro che sei nei cieli» non hanno alcun senso, perché il Padre celeste non è il padre dell'impotenza, del peccato e della morte.
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Vladimir Solove'v
I fondamenti spirituali Lipa, 36-37
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Dio è molto pronto a consolare l’anima e a soddisfarla nelle sue pene e nelle sue necessità, allorché ella non ha, né pretende soddisfazione e conforto alcuno fuori di Lui. Perciò l’anima che non si attarda in nessuna cosa fuori di Dio, non può stare a lungo senza esser visitata dall’Amato. [Cliccare qui per leggere tutto il Cantico Spirituale "B") |
Cantico Spirituale "B" |
Quando il pittore è intento a fare il ritratto del re ne deve avere davanti il volto, cosicché quando il re posa davanti a lui con abilità e grazia lo ritrae: ma se il re è girato dalla parte opposta, il pittore non può compiere l'opera sua, perché il suo occhio non ne vede il volto. Così Cristo, pittore perfetto, dipinge i lineamenti del suo volto di uomo celeste su quei fedeli che sono verso di Lui costantemente orientati. Se qualcuno non lo fissa di continuo, disprezzando ogni cosa a Lui contraria, non avrà in se stesso l'immagine del Signore disegnata dalla sua luce.
[Cliccare qui per leggere altri pensieri dello Pseudo Macario] |
Pseudo Macario
Pensieri |
Dio si serve dei venti contrari per portarci in porto
[Charles de Foucauld, All'ultimo posto. Ritiri in Terra Santa II, traduzione di Andrea Marchesi, Città Nuova, Roma, 1979]
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Charles De Foucauld
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2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione. 2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana. [Clicca qui per leggere l'articolo su una persona omosessuale che ha accolto favorevolmente queste indicazioni del CCC]
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CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
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C'è un mezzo che può aiutarci a ricevere la grazia del discernimento: l'abitudine a rileggere la nostra vita per trovarci Dio. Grandi santi ce ne hanno dato l'esempio, da Agostino a Ignazio di Loyola e a Teresa d'Avila. Senza compiacimento verso se stessi, essi si sono messi a rileggere la loro vita per conservare il ricordo dei doni di Dio e attestano che questa pratica li ha aiutati a rafforzare il loro amore. Conservando, come Maria, le meraviglie di Dio nel loro cuore, essi hanno lasciato che si esprimesse il Magnificati della loro vita e la loro preghiera ne è stata trasformata. Sulla loro scia alcuni fedeli hanno preso l'abitudine di rileggere ogni sera la loro vita sotto lo sguardo di Dio per ripetere il loro rendimento di grazie. Il pericolo è di fare di quest'esercizio spirituale un esame di coscienza. Rimaniamo in tal caso di fronte a noi stessi e, ancora una volta, ci fermiamo al livello del progresso morale, il che non è trascurabile, ma si tratta di una cosa diversa: di rinascere dallo Spirito. L'importanza è allora fare appello alla nostra fede per riconoscere nella banalità della nostra vita quotidiana, le tracce di Dio: i suoi sorrisi, le sue chiamate, le sue tristezze di fronte a ciò che Egli si aspetta da noi. Se la nostra vita ci sembra monotona e ripetitiva è perché non sappiamo guardarla bene. Noi possiamo essere superficiali, vivere nella mediocrità, ma Dio non cessa di essere ambizioso per noi e di aspettarsi da noi di più e meglio di quello che siamo. Lo manifesta, con discrezione, nella nostra vita e allora dobbiamo saperlo riconoscere; bisogna però che vi dedichiamo alcuni istanti di attenzione credente. |
P. Michel Rondet sj
Lasciatevi guidare San Paolo, 59.
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Manca la gioia? Pensa:
"C'è un ostacolo
fra Dio e me". Indovinerai quasi sempre.
Cammino
Edizioni Ares |
S. Josemaría Escrivá de Balaguer
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Istituzioni Tauleriane XVIII
Ciò che Dio vuole da noi prima di ogni cosa è che, consegnando a Lui interamente la nostra volontà, Gli lasciamo fare tutto quello che Gli piace. In mancanza di ciò, tutto quello che diciamo a Dio, tutto quello che Egli stesso ci dice, non ci serve a niente.
[Sotto il nome di Taulero, le Istituzioni raggruppano in realtà testi di delicata identificazione, dovuti a numerosi autori reno-fiamminghi, da Eckhart a Ruusbroec o al suo contemporaneo Rulman Merswin. Questa compilazione è uno dei numerosi frutti della straordinaria impresa editoriale dei gesuiti e dei certosini di Colonia nel XVI secolo, all’origine della diffusione in tutta l’Europa della mistica nordica. Pubblicati in tedesco dal gesuita san Pietro Canisio nel 1543, le Istituzioni eserciteranno un’influenza considerevole con la loro traduzione latina del 1548 ad opera del certosino Laurent Surius. Proprio in occasione dell’interdizione avvenuta nel 1559, per opera dell’Inquisizione spagnola, di questo libro a lei molto caro santa Teresa d’Avila si sente dire da Cristo: «Io sarò ormai il tuo libro vivo»]
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Istituzioni Tauleriane Testo attribuito al mistico renano
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8 ottobre 1939 – La sofferenza.
I. Riceverla tutta, sempre dalle mani di Gesù, e non dagli strumenti Suoi.
II. Unirla alla sofferenza Divina, e rioffrirla subito a Gesù con amore in riconoscenza a Lui e a Mamma, e per i poveri Fratelli e sorelle.
III. E appena offerta, non pensarci più assolutamente. Non è più mia; altrimenti mi riprendo il dono.
IV. Conservare su tutto un profondo silenzio verginale.
V. Qualunque sforzo, ma coprire tutto con il sorriso, pensando che il dolore è dono prezioso e sublime.
VI. Ricompensare con tutte le carità possibili chi mi è causa di dolore.
«Ricorda che nell'ultima ora ti sarà di grande conforto l'avere sofferto tanto, e in silenzio e con il sorriso, e ripagando chi ti fu causa di dolore, con tutto il bene possibile».
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SR MARIA CONSOLATA BETRONE
Appunti in Coro. Diari
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L'udito e la lingua sono i principali strumenti della comunicazione umana; la parola ascoltata e pronunciata può essere soggetta ad una continua purificazione a causa di conversazioni inutili, di pettegolezzo, d'invidia e di volubilità dei pensieri. Per i Padri della Chiesa è meglio «evitare le molte conversazioni come serpenti e razza di vipere, poiché queste cose hanno la forza di stabilire l'anima nella completa dimenticanza del combattimento interiore» (Filocalia, vol. I, 236). In effetti il dialogare, se non è vissuto per l'arricchimento vicendevole, produce danni spirituali notevoli, in quanto si può cadere nella calunnia, nella violazione di un segreto o nel pronunciare parole oscene per i gusto del divertimento. Vi è evidentemente anche il rovescio della medaglia: una conversazione sana e lineare accresce la sensibilità spirituale, rafforza i vincoli di amicizia e produce una migliore conoscenza di se stesso, del mondo, di Dio. Ascoltare per imparare e per accrescere nella santità, comporta decisioni impegnative, che riguardano il proprio stile di vita e le proprie amicizie. La finezza del credente si giudica proprio dal suo linguaggio, dalla sua capacità d'ascolto. Un credente sbadato e poco attento all'altro non presta attenzione al mondo interiore del suo interlocutore, in quanto è preso dalle sue preoccupazioni e dal suo parlare. Il credente che cresce nella purificazione dell'udito e della lingua si dimostra concretamente affabile ed amabile nella conversazione: mai una parola fuori posto, ma capace di elevare il tono della conversazione fino a riportare l'interlocutore a Dio. |
FRANCESCO ASTI
Teologia della vita mistica.
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Bisognerebbe che il tuo pensiero e specialmente il tuo cuore si orientassero verso di Me, come l'ago magnetico della bussola verso il polo. Il lavoro, i rapporti umani ti impediscono di pensare a Me in modo esplicito e costante, ma, se, non appena hai un momento libero, sei attento a rivolgerMi anche un semplice sguardo, tali atti d'amore influenzeranno a poco a poco tutte le tue attività quotidiane. Esse sono certametne per Me, lo so, anche quando non lo dici, ma quant'è meglio che lo dica! |
GASTON COURTOIS
Quando il Maestro
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Il silenzio possiede, nella pratica, significati molteplici. C'è un silenzio esteriore, delle realtà esterne, e un silenzio interiore, come l'arresto del flusso dei pensieri, dei sentimenti, dell'immaginazione, del cuore stesso che permane in perfetta pace. C'è un silenzio che indica che «non c'è niente da dire»; c' un silenzio vuoto che è isolamento; «c'è il silenzio di un grande odio» e c'è «il silenzio dei falliti». Ma esiste pure un silenzio pieno di un grande amore e un ascolto filiale e confidente di Dio. […].
Nel silenzio delle facoltà interiori, il grido dell'anima fatto di allegria, di ammirazione, di dolore, di supplica secondo le circostanze individuali, diventa vibrante ed efficace davanti al trono del Signore. Perciò l'urgenza di educare all'interiorità, all'ascolto silenzioso di se stessi, degli altri e dell'intera creazione, per compiere in pienezza la propria esistenza e per farla autenticamente creativa. Le esperienze di deserto e di solitudine tendono precisamente a sviluppare la capacità di meravigliarsi di fronte alla magnanimità della creazione e ad abilitare le persone a una «solitudine sonora», dove possono sperimentare di non essere sole, bensì di essere abitate intimamente da Qualcuno e in comunione con un mondo molto più vasto.
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P. BENITO GOYA OCD
Psicologia e vita spirituale. EDB, 222-223. |
Dio non vuole accontentare subito la vostra domanda, non perché non la sente, ma per accrescerla e sollecitarla maggiormente. Voi bussate alla sua porta, ma Egli non apre affinché bussiate più forte. Voi lo invocate, ma Egli non risponde, non perché chiuda gli orecchi, ma per obbligarvi a gridare più forte.
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Jean-Baptiste L'uomo spirituale, Glossa, 465 |
L'uomo così trasformato [dallo Spirito] diviene scrive Simeone il Nuovo Teologo, "un povero che ama gli uomini"- Per lui a poco a poco, la legge viene sostituita dalle esigenze dell'amore, dalla sua pazienza, dalla sua "passione", dalla sua creatività, attraverso la croce e la risurrezione. "Il frutto dello spirito", dice Paolo, "è amore, gioia, pace… bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non vi è legge" (Gal 5,22-23). L'uomo diventa allora pneumatikos, "spirituale": scopre la sua vera natura, la sua spontaneità profonda, come inseparabili dalla grazia; le sue virtù sono altrettante forme di partecipazione ai nomi divini che esse riflettono; l'immagine di Dio in lui si fa somiglianza. Egli prega ormai con tutto il suo essere, persino con i ritmi del proprio corpo:
«Quando lo Spirito stabilisce la propria dimora in un uomo, questi non può più smettere di pregare, lo Spirito non smette di pregare in lui. Dorma o vegli, la preghiera non si separa dal suo cuore. Mentre beve, mangia, dorme o lavora, il profumo della preghiera esala dalla sua anima… I moti dell'intelligenza purificata sono voci mute cha cantano, in segreto, una salmodia all'Invisibile» (Isacco il Siro). Allora, nello Spirito, l'uomo percepisce la verità degli esseri e delle cose, l'universo come dono di Dio e liturgia, la storia come travaglio per dare alla luce il Regno.
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Olivier Clement I volti dello Spirito Qiqajon 12-14
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Certo, Cristo nell'Eucaristia è presente per comunicarsi all'uomo. Il suo sacrificio diviene il nostro sacrificio, la sua adorazione la nostra adorazione, la sua espiazione la nostra salvezza. Egli è presente per essere nostro. «Per noi e per la nostra salvezza Egli è disceso dal cielo». Per noi si è fatto uomo, è morto ed ora è realmente presente nell'Eucaristia, sotto il segno del pane e del vino, cibo e bevanda per noi. Ma ciò non esclude e non elimina la Presenza reale [di Cristo nei cristiani]. Quantunque Egli sia presente per donarsi a me, io non sono mai così trasformato in Lui da rendere inutile la celebrazione quotidiana del suo Sacrificio. Se veramente l’Eucaristia mi avesse trasformato pienamente nel Cristo non avrei più bisogno di riceverlo ancora. Se la Chiesa, Corpo mistico del Cristo, è frutto adeguato dell’Eucaristia, una volta che la Chiesa è, perché ancora sussiste il Mistero eucaristico? Al contrario è l’Eucaristia che fa la Chiesa, ma precisamente la costruisce nel suo sviluppo, la fa peregrinare verso la Patria. Nella Chiesa militante e pellegrinante della terra sussisterà sempre il Mistero eucaristico. Nel Paradiso, al contrario, il Mistero eucaristico non sussiste più, sussiste il Cristo, […]. In Paradiso non si celebrerà più il Corpus Domini: non sarà più necessario un rito attraverso il quale gli uomini debbano assimilarsi a nostro Signore. L'assimilazione si sarà già compiuta e un'assimilazione maggiore non ci sarà per tutta l'eternità. |
Divo Barsotti
Il mistero della Chiesa EP, 73-74
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Quando qualcuno di guarda con amore, non siamo più gli stessi, diventiamo altri, siamo «alterati» nel vero senso della parola (alter= altro). […] Pregare è dunque esporre allo sguardo di Dio il profondo del nostro essere. Non importa che cosa diciamo, che cosa pensiamo o facciamo; dal momento in cui il nostro cuore si lascia penetrare dallo sguardo di Dio, siamo in preghiera. […] Più il volto di Dio si rivela a noi e più scopriamo il suo Amore infinito; nasce allora in noi il desiderio di essere visti da Lui. Anzi ci offriamo spontaneamente al suo sguardo per conoscere la sua volontà e sintonizzarci su di essa. […] Sotto lo sguardo di Dio, i nostri peccati, le nostre sofferenze e i nostri errori non sono più irrimediabili, perché c'è in esso una possibilità indistruttibile di risurrezione e rinnovamento. Tutto è possibile se ci si pone sotto lo sguardo di Dio, mentre tutto è rischio se ne stiamo lontani. |
Jean Lafrance, Preferire Dio, Gribaudi,161-164.
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Oggi – questo fa male al cuore dirlo – oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo è grave, questo è grave! Noi non possiamo restare tranquilli! Mah… le cose sono così. Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Quando io vado a confessare – ancora non posso, perché per uscire a confessare… di qui non si può uscire, ma questo è un altro problema – quando io andavo a confessare nella diocesi precedente, venivano alcuni e sempre facevo questa domanda: “Ma, lei dà l’elemosina?” – “Sì, padre!”. “Ah, bene, bene”. E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” – “Ah, non so, non me ne sono accorto”. Seconda domanda: “E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?”. Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. [Clicca qui per leggere tutta l’omelia]
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Dall'omelia di Papa Francesco alla Veglia di Pentecoste Sabato 18 maggio 2013
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«Quando ci comunichiamo e ci riconosciamo indegni di un così grand’Ospite, non abbiamo che a ricorrere, e supplicare Maria Santissima di impetrarci le sue vesti, gioielli, abbigliamenti, cioè le sue perfezioni, virtù e meriti per quel tempo che passa il Re del Cielo nella povera stanza del nostro cuore, e così offrire al suo benedetto Figlio di che ricoprire l’indecenza del nostro sordido albergo: il che Ella fa sicuramente con grandissimo gusto, come Gesù Cristo disse una volta a S. Gertrude, cioè che veramente Maria Vergine glieli aveva imprestati, e che Egli se ne era grandemente compiaciuto» [Cliccare qui per leggere il testo di s. Gertrude a cui il ven. Lanteri si riferisce]. |
Ven. P. Pio Bruno Lanteri Documento d'Archivio OMV, 265 |
Cristo non è venuto nel mondo per soffrire. È venuto nel mondo come immagine dell'amore del Padre (cf Gv 3,16). […] L'amore non cerca di salvare se stesso, perciò chi ama soffre. Ma non vale automaticamente il rovescio, si può infatti soffrire non amando, quando la nostra è una sofferenza nichilista, distruttiva, una sofferenza che è dimensione del peccato e della perversione della verità. Mentre la sofferenza di Cristo rivela l'amore del Padre che si affida nelle mani degli uomini e che per questo soffre. La sofferenza, questa così naturale dimensione dell'uomo, non è consolata da Cristo, piuttosto è penetrata da una luce assolutamente nuova. Cristo non viene nel mondo per salvarci dal dolore e dalla morte, ma viene per essere con noi nel dolore e nella morte, e così salvarci da dentro il dolore e la morte. Lui, l'uomo dei dolori che ben conosce il patire (Is 53,3). In Cristo, amore assoluto, la sofferenza umana vive una vera trasfigurazione. Da maledizione si converte in luogo privilegiato della rivelazione di Dio che ama. Cristo non fugge la sofferenza, neanche la esalta; entra in essa come qualcosa di inevitabile per colui che ama. Chi ama, si carica di tutto ciò che è male, peccato e produce sofferenza. |
P. Marko Ivan Rupnik
Dire l'uomo/ 1.
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"Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima e la mente, con tutta la forza e amano i loro prossimi come se stessi (…) e ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno frutti degni di penitenza: Oh, come sono beati e benedetti quelli e quelle, quando fanno tali cose e perseverano in esse; perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore, e farà presso di loro la sua abitazione e dimora; e sono figli del Padre celeste, del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l'anima fedele si congiunge al Nostro Signore Gesù Cristo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli. Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, e lo diamo alla luce per mezzo delle opere sante che devono risplendere agli altri in esempio. Oh, come è glorioso, santo e grande avere in Cielo un Padre! Oh, come è santo, fonte di consolazione, bello e ammirabile avere un tale Sposo! Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa avere un tale Fratello e un tale Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo" |
S. FRANCESCO
Lettera ai fedeli
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«Vieni amica mia, mia bella…»
(Ct 2,13)
La tua Dolcezza quando viene a farci visita,
ci rende «ebbri» della tua presenza, del tuo Amore,
e quando ci abbracci ci sollevi fino al Cielo…
E capisco cosa possono provare
coloro che Tu chiami a Te con il martirio…
In quel momento la tua Visita si fa talmente dolce
da non sentire più né fuoco né scure…
ma lo sguardo rivolto a Te che dici:
«Vieni, amica mia, mia bella…».
Rapita, ti guardo sulla Croce…
le tue braccia aperte
che attendono di essere abbracciate…
Ecco cosa significa
che la Croce è Talamo Nuziale…
È lì che Tu stai…
È da lì che inviti:
«Vieni, amica mia, mia bella…».
La Croce è il luogo dove tu sempre esprimi il tuo Desiderio di amore, dato e cercato.
«Vieni e vedrai».
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Testo anonimo citato da
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Fratelli miei, Gesù è in cielo. Quando era con i suoi discepoli nella sua carne visibile, nella sua sostanza corporale toccabile, fu visto e fu toccato: ma ora che siede alla destra del Padre, chi di noi lo può toccare? E tuttavia guai a noi se con la fede non lo tocchiamo! Tutti lo tocchiamo, se crediamo. Certo, egli è in cielo, certo è lontano, certo non si può immaginare per quali infiniti spazi disti da noi. Ma se credi, lo tocchi. Che dico, lo tocchi? Proprio perché credi, presso di te hai colui nel quale credi. Ma allora, se credere è toccare, anzi se toccare è credere, come si spiega: Non mi toccare, perché non sono ancora salito al Padre mio (Gv 20, 17)? Che vuol dire? Perché vai cercando la mia carne se ancora non comprendi la mia divinità? Volete sapere come [la Maddalena] lo voleva toccare? Essa stava cercando un morto, non credeva che egli sarebbe risorto. Hanno portato via il mio Signore dal sepolcro (Gv 20, 2); e lo piange come uomo. Oh! Toccarlo! Ed egli, vedendola tutta preoccupata nei riguardi della sua condizione di servo e che ancora non sapeva né gustare, né credere, né comprendere quella condizione di Dio per la quale è uguale al Padre, differisce il toccare, perché sia un toccare più completo. Non mi toccare, dice, perché non sono ancora salito al Padre mio. Tu mi tocchi prima che io risalga al Padre e mi credi solo uomo: che ti giova quel che credi? Fammi dunque risalire al Padre. Lassù da dove mai mi sono allontanato, è per te che io salgo, se mi crederai uguale al Padre. Difatti il Signore nostro Gesù Cristo non è disceso dal Padre lasciando il Padre; e anche nel risalire via da noi non si è allontanato da noi. Infatti quando stava per risalire e sedere alla destra del Padre, disse in anticipo ai suoi discepoli: Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo (Mt 28, 20). |
S. Agostino d'Ippona
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La miseria più è grande, più è atta a muovere, di modo che quando è talmente grande da commuovere anche i cuori più duri, che cosa non saprà ottenere nei cuori misericordiosi? Ora la miseria dell’uomo causata dal peccato era immensa, e trovandosi per altra parte immensa in Dio la misericordia, trovò la misericordia di che abbondantmente nutrirsi, e questa fu la ragione per la quale la misericordia giunse a sollevare la nostra miseria, e non poteva esserci nell’uomo nessun altro motivo che potesse indurre un Dio a fare ciò. Onde, o uomo, quanto più sei un grande peccatore, tanto più spera, perché tanto più sei sicuro di muovere la divina misericordia, la quale non ha altro desiderio che questo. |
Scritti ascetici, ,2278:T1,4
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– Voi dovreste ascoltare la parola di Dio con una tale attenzione e assimilarla con un tale impegno nella vostra vita che uscendo di chiesa le persone che non vi sono state, edendovi, possano capire il Vangelo che avete ascoltato. |
S. Giovanni Crisostomo
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Quante volte abbiamo bisogno che l’Amore ci dica: perché cercate tra i morti colui che è vivo? I problemi, le preoccupazioni di tutti i giorni tendono a farci chiudere in noi stessi, nella tristezza, nell’amarezza… e lì sta la morte. Non cerchiamo lì Colui che è vivo! Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua vita, accoglilo come amico, con fiducia: Lui è la vita! Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa’ un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente, accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra difficile seguirlo, non avere paura, affidati a Lui, stai sicuro che Lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che cerchi e la forza per vivere come Lui vuole. |
PAPA FRANCESCO
Dall'Omelia della Veglia Pasquale
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– Ricordo, appena Vescovo, nell’anno 1992, è arrivata a Buenos Aires la Madonna di Fatima e si è fatta una grande Messa per gli ammalati. Io sono andato a confessare, a quella Messa. E quasi alla fine della Messa mi sono alzato, perché dovevo amministrare una cresima. E’ venuta da me una donna anziana, umile, molto umile, ultraottantenne. Io l’ho guardata e le ho detto: “Nonna – perché da noi si dice così agli anziani: nonna – lei vuole confessarsi?”. “Sì”, mi ha detto. “Ma se lei non ha peccato …”. E lei mi ha detto: “Tutti abbiamo peccati …”. “Ma forse il Signore non li perdona …”. “Il Signore perdona tutto”, mi ha detto: sicura. “Ma come lo sa, lei, signora?”. “Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”. Io ho sentito una voglia di domandarle: “Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?”, perché quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio. Non dimentichiamo questa parola: Dio mai si stanca di perdonarci, mai! “Eh, padre, qual è il problema?”. Eh, il problema è che noi ci stanchiamo, noi non vogliamo, ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono. [Clicca qui per leggere l’intero testo dell’Angelus]. |
PAPA FRANCESCO
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– Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l'intelligenza di saperle distinguere. |
San Tommaso Moro (1478 †1535) |
– Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…». Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo!
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Benedetto XVI
Dall'ultima udienza di mercoledì 27 febbraio 2013.
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– Meditando questo brano del Vangelo [della Trasfigurazione], possiamo trarne un insegnamento molto importante. Innanzitutto, il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo. Nella Quaresima impariamo a dare il giusto tempo alla preghiera, personale e comunitaria, che dà respiro alla nostra vita spirituale. Inoltre, la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come sul Tabor avrebbe voluto fare Pietro, ma l’orazione riconduce al cammino, all’azione. «L’esistenza cristiana – ho scritto nel Messaggioper questa Quaresima – consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio» . Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Grazie! Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze. Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria: lei ci aiuti tutti a seguire sempre il Signore Gesù, nella preghiera e nella carità operosa. |
Benedetto XVI
Dall'Angelus di domenica 24 febbraio 2013.
[clicca qui per leggere tutto il testo] [clicca qui per vedere il video dell’Angelus].
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– Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri”
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Etty Hillesum Diario, 97.
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– Nel cammino della preghiera, quella dell’inizio della giornata e che si prolunga nel filo di giorni, tu passerai attraverso stati diversi, talvolta di gioia, talvolta di tristezza o di noia. Impara a passare, senza esaltarti, senza stupirti, senza accusarti. Riconosci Dio che ti colma o ti purifica. Passa. In queste alternanze, tu impari a riposare, non in te, ma in Dio. Tutto il tuo sforzo consiste nel riconoscere in te la grazia, sempre presente, nella stessa oscurità. Avanzando in tal modo, tu apprendi a situarti davanti a Dio. Tu lo conosci vicino e insieme al di là di tutto. Egli è Colui davanti al Quale ci si scalza e non lo si afferra con le idee o con gli sforzi. Egli è anche Colui che vuole prendere il suo riposo da te e «dimorare» in te, secondo l’espressione cara a s. Giovanni. Acquisisci il senso dell’adorazione nell’amore, l’«umiltà amorosa», diceva il Padre Ignazio. Così Dio ti diventa presente cercandolo sempre. In queste due attitudini che non si oppongono solo agli occhi dello spirito, tu vieni istruito sulla verità dell’uomo e di Dio. [Clicca qui per leggere tutto il testo] |
Jean Laplace
La libertà nello Spirito. La guida spirituale
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– La debolezza e la sofferenza sono il grande scandalo delle nostre vite; tutti, per istinto, le rigettiamo. Solo quando scopriamo che nel cuore della debolezza e della sofferenza si trova la presenza di Dio, noi incominciamo a scoprire il vero mistero della sua vita. Di fatto, quello che più ripugna è in realtà sorgente di salvezza. Io stesso l'ho sperimentato qualche anno fa con un amico colpito da un tumore al cervello. Era un giovane brillante, che preparava un dottorato in filosofia. Il suo mondo è crollato ed egli è entrato in una lunga notte. Uscendo da questa notte ha cominciato a capire. Dopo quella prova mi diceva: «Prima ero sicuro, filosofavo, vivevo nel mondo delle idee e dei libri. Ora non leggo più, sono incapace di vivere a livello di idee; l'unica cosa che posso fare è incontrare delle persone». Aveva scoperto il mistero della sofferenza. Era necessario che il mondo da lui costruito crollasse, perché egli scoprisse i suoi veri doni e la sua vera vocazione. Doveva passare dai libri che amava, alle persone che non conosceva. Il tumore al cervello non era per lui solo una purificazione, ma una sorgente di salvezza, che gli ha fatto scoprire come il senso della vita è la compassione e l'incontro con gli altri. La vita comincia nella debolezza della nascita e termina nella debolezza della morte. In mezzo sta il pellegrinaggio, che è circondato da debolezza. La visione moderna della vita in gran parte si basa sulla filosofia nietzchiana, cioè sul rifiuto e, al limite, sul disprezzo della debolezza. Poiché essa è considerata come una realtà negativa, la nostra civiltà segrega i deboli dentro istituzioni. È l'opposto della visione evangelica, per la quale la salvezza si compie nella debolezza mia e degli altri. |
Jean Vanier Povero tra i poveri
EDB, 72-73
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– Dall'AVVENIRE DELL'8-12-2012 Mi chiamo Asia Noreen Bibi. Scrivo agli uomini e alle donne di buona volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamento della prigione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lettera. Sono rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata condannata a morte mediante impiccagione per blasfemia contro il profeta Maometto. […] Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui». [Cliccare qui per leggere l’intera lettera] |
Asia Noreen Bibi
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– Perché non sentiamo allora la voce dello Spirito Santo? In primo luogo per la nostra abituale dissipazione: Dio è dentro di noi, ma noi viviamo fuori di noi. Lo Spirito Santo dice che ci condurrà alla solitudine e lì parlerà ai nostri cuori (cf Os 2, 16). Dio non sceglie d'imporsi, né di sostituirsi a noi. Egli non fa forza sull'anima; non entra se non è desiderato. Ed anche se l'anima è in stato di grazia e gode dell'inabitazione della Trinità, la presenza di Dio è silenziosa e nascosta fino a che l'anima stessa non si volge a Lui con attenzione ed amore. [Cliccare qui per leggere l’intero paragrafo] |
P. Jordan Aumann op (1916 † 2007)
Teologia Spirituale |
Il doppio gemito dello Spirito
San Paolo ci ha avvertiti che: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26). Veramente «non sappiamo cosa sia conveniente domandare per pregare come si deve». Ed occorre aggiungere anche che questa impossibilità non riguarda solamente il contenuto della preghiera, ma il fatto stesso di porci in preghiera e di perseverare in essa. Chi ha un po’ d’esperienza della preghiera, sa bene come l’impossibilità di pregare non derivi solo da cause esterne: distrazione, mancanza di tempo o di formazione, ecc., ma anche da una incapacità più profonda che ha le sue radici nel cuore. Vi sono in noi due livelli: un piano geografico dove lo Spirito geme per la nostra sofferenza umana, e un piano geologico, in cui Egli geme perché non amiamo Dio. A questo secondo livello bisogna scendere per scoprire la fonte della nostra preghiera |
Jean Lafrance (1931 † 1991)
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BUON NATALE, AMICO MIO
Buon Natale, amico mio: non avere paura.
La speranza è stata seminata in te. Un giorno fiorirà. Anzi, uno stelo è già fiorito. E se ti guardi attorno, puoi vedere che anche nel cuore del tuo fratello, gelido come il tuo, è spuntato un ramoscello turgido di attese. E in tutto il mondo, sopra la coltre di ghiaccio, si sono rizzati arboscelli carichi di gemme. E una foresta di speranze che sfida i venti densi di tempeste, e, pur incurvandosi ancora, resiste sotto le bufere portatrici di morte. Non avere paura, amico mio. Il Natale ti porta un lieto annunzio: Dio è sceso su questo mondo disperato. E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi. Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno,
e una primavera senza tramonto regnerà nel tuo giardino,
dove Dio, nel pomeriggio, verrà a passeggiare con te. |