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Gesù, divina e completa soddisfazione a tutte le nostre domande. – Mi dilungherei oltre modo, se volessi trattare quest’argomento e mostrare come Gesù sia veramente il divino appagamento dei nostri innumerevoli bisogni. Ci accontenteremo di vedere com’Egli venga in aiuto nella impotenza delle nostre preghiere. Siamo troppo piccoli, troppo poveri, troppo peccatori soprattutto, per potere indirizzare a Dio le nostre preghiere con una piena sicurezza. Ma appena il sentimento della nostra indegnità ci prende, come è giusto, ricordandoci subito del potente Intercessore presso Dio: Gesù, Uomo-Dio. Come dice il grande Apostolo «Egli può salvare perfettamente coloro che per via di Lui si accostano a Dio, sempre essendo vivo, sì da poter intercedere in loro favore» (Eb 7,25). Se avremo cura di confidare le nostre necessità a Lui, nostro perfetto Avvocato, non saremo mai ingannati nella nostra attesa. Egli è onnipotente presso Dio e vince sempre le cause a Lui affidate. Non è forse oggetto delle infinite predilezioni del Padre, perfettamente simile a Lui? Quando il Padre vede il Figlio, così caro ai suoi occhi, avvicinarsi per intercedere a favore nostro, si intenerisce subito. È sufficiente che diriga uno sguardo sull’amato Figlio, così caro ai Suoi occhi, per essere vinto e obbligato ad accordarGli tutto ciò che chiede. Chieder qualcosa per noi, senza Gesù, è fatica sprecata. Chiedete qualcosa in unione con Gesù e per mezzo Suo, è guadagnare la causa in partenza. Per confermare la nostra convinzione, Gesù stesso non l’ha forse dichiarato categoricamente? «In verità, in verità vi dico. Se domanderete qualche cosa al Padre mio in mio nome, Egli ve la darà» (Gv 16,23). Con questa solenne affermazione, che è contemporaneamente una promessa formale, Egli ha voluto toglierci ogni dubbio a questo riguardo. Confidandoci questo grande segreto, ci ha porto la chiave che aprirà a noi tutti i tesori del Cielo. Non potremmo ragionevolmente nutrire dubbi od esitazioni. Stiamo certi che, se busseremo, la porta si aprirà, purché bussiamo in nome di Gesù e appoggiamo la nostra fiducia sulla sua divina promessa. Il nome di Gesù è parola d’ordine che disarma Dio. Quand’Egli sente pronunciare questo nome, ci considera all’istante Suoi amici. Istantaneamente diventiamo i benvenuti. Non dimentichiamo mai la grande ricetta che Gesù stesso ci ha fornita per ottenere ogni cosa, il mezzo infallibile per diventare immensamente ricchi di grazie celesti. Nella nostra epoca di invenzioni, si cercano rimedi specifici per tutte le malattie, si vantano questo o quel mezzo nuovo per far fortuna. Forse i figli del secolo saranno più saggi dei figli dell’innocenza? Noi, che sappiamo come fare per diventare ricchi e che abbiamo appreso dallo stesso Gesù questa magica ricetta, perché la dimentichiamo così spesso? Non meritiamo, almeno fino a un certo punto, il rimprovero del Salvatore agli Apostoli: «Finora non avete domandato nulla in mio nome. Chiedete dunque affinché la vostra gioia sia piena»? Possiamo chiedere, naturalmente, in unione con Gesù, anche in modo inconsapevole. E chiediamo, in realtà, uniti a Lui, per il fatto stesso che siamo in stato di grazia e siamo Sue membra mistiche. Come disse sant’Agostino: «È Cristo, nostro Capo, che prega in noi» (In Psalm. 84). Tutte le preghiere di Gesù durante la Sua vita mortale, tutte le Sue preghiere e la Sua intercessione nell’Eucaristia e in Cielo, sono in certo qual modo nostre, se noi siamo Sue membra. Le Sue invocazioni sono nostre. Vedendo noi, membra di Gesù, Dio vede il Suo stesso Figlio Gesù. Ma non è meno vero che le Sue preghiere, elargiteci come un tesoro, possono esser assunte da noi ben diversamente. Se, vivendo nella freddezza, noi non attingiamo a questo tesoro, come potrà giovarci? Se invece, uniti a Gesù intimamente, per amore da un lato, e dall’altro, ricordando espressamente la Sua promessa, noi bussiamo alla porta del Padre Celeste in nome del Suo divin Figlio, allora possiamo stare certi d’essere esauditi. Siamo infinitamente ricchi in Gesù Cristo, ma occorre che ci impossessiamo delle Sue ricchezze, vivendo il più possibile uniti a Lui, e ricordandoci frequentemente e in modo esplicito, che pregare in Suo nome è pregare in maniera irresistibile. Come potrebbe Dio rifiutarci qualcosa, quando Gli ricordiamo la promessa fattaci per bocca del Figlio diletto? Più aumentano le nostre necessità e più Gesù le soddisfa. – Abbiamo già potuto renderci conto dell’immensa ricchezza che, nella nostra estrema povertà, abbiamo possedendo Gesù. «Siamo come gente che non ha nulla, eppure possediamo ogni cosa» (2Cor 6,10). Certamente le nostre necessità sono grandi, e più avanziamo nella vita spirituale, più esse sembrano crescere, per il fatto stesso che abbiamo di esse una coscienza sempre più perfetta e più viva. L’anima fervente prova incessantemente crescenti bisogni di adorazioni, di riparazioni, di riconoscenza, di amore, di invocazione, ecc. Tali bisogni, crescendo, finirebbero col renderla sempre più inquieta, tormentata, addolorata. Ma Gesù non ha voluto lasciar l’anima amante in balia di se stessa e in preda a desideri insoddisfatti. Via via che essa avanza sulla via del divino amore, comprende meglio la sua unione con Gesù. vede sempre più chiaramente quanto poco possa fare da se stessa, ma quanto può immensamente per mezzo del suo Gesù e col suo Gesù. così, naturalmente, essa ricorre sempre più a Lui, suo divino appagamento in tutte le cose. E può gridare in piena verità: «La nostra capacità viene da Dio» (2Cor 3,5). L’anima geme vedendo la sua poca umiltà; ma, per presentarla a Dio, la unisce all’infinita umiltà di Gesù-Eucaristia; prova desolazione, in qualche istante, assistendo alle continue prove del suo amor proprio e accorgendosi quanto poco essa ami, ma possiede, come cosa propria, il braciere di puro amore che arde nel Cuore di Gesù; si sente così poco mortificata, così poco amante della sofferenza, ma possiede Gesù-Ostia che, nella Sua infinita sete di immolazione, Si sacrifica ancora quotidianamente e misticamente sugli altari. Soffre vedendo quante volte cade ogni giorno nelle imperfezioni e negli errori, ma possiede, come cosa sua, la splendida santità di Gesù. Qualunque sia il bisogno che la tormenta, ne trova soddisfazione in Gesù, suo tesoro. Qualunque desiderio abbia, grazie a Gesù, lo vede realizzato in misura superiore. Gesù, infinito Bene, inestinguibile Sorgente di ogni bene, coi Suoi infiniti meriti, e le Sue virtù perfette, le appartiene e le dice amorosamente: «Tutto ciò che è mio, è tuo». Essa può sempre con piena fiducia, presentarLo a Dio per i suoi innumerevoli bisogni. Può ripetere queste semplici e sublimi parole, come fece una grande amica di Gesù: «Eterno Padre, io Vi chiedo queste grazie per i meriti del Vostro divin Figlio. Accettate i Suoi meriti; pagateVi Voi stesso e datemi il resto». Come ricorrere più spesso alla divina potenza di Gesù. – Se abbiamo compreso un po’ meglio quante ricchezze possediamo in Gesù-Eucaristia, non ci siamo forse accorti che, sotto quest’aspetto, dobbiamo farci qualche rimprovero? Torniamo ad osservare noi stessi e il nostro modo di impiegare questa miniera d’oro rappresentata dal Cuore del nostro Salvatore. Possiamo, come abbiamo visto, impossessarci dei Suoi immensi beni, delle Sue virtù d’amore, d’umiltà, di pazienza, di generosità, dei Suoi meriti infiniti. Possiamo impossessarci di Gesù intero, per offrirLo al Padre come un omaggio degno di Lui, l’Infinito. Ma vi sono anche dei modi di appropriarceLo e di approfittare delle Sue inestinguibili ricchezze. Anzitutto, più la nostra volontà sarà unita alla Sua, più la nostra intimità con Lui sarà grande, e più ne approfitteremo. Ma possiamo far di più. Possiamo sforzarci di ricorrere più spesso ed esplicitamente a Lui in ogni genere di bisogni. Possiamo cercare di avere una coscienza sempre più limpida e immediata della potenza dell’ospite divino nei Tabernacoli. Quante volte, per esempio, recitiamo la bella preghiera del «Pater»! Con quale gustosa devozione dovremmo recitarla! Se la reciteremo in nome di Gesù, essa andrà diritta la Cuore di Dio, padre comune a Gesù ed a noi. Ascoltandoci, il Padre crederà con gioia di udire ancora il Suo diletto Figlio. Possiamo anche partecipare alla s. Messa soprattutto con questa disposizione d’animo che è appunto quella della Chiesa. Essa nulla chiede, se non in nome di Gesù, e tutte le preghiere terminano invariabilmente con la formula così piena di senso e spesso così poco apprezzata: Per Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna ecc. Se siamo sacerdoti di Dio, ed anche come semplici fedeli, possiamo ogni giorno deporre sulla patena tutte le nostre azioni, tutti i nostri sentimenti, tutti i nostri pentimenti, per offrirli a Dio, unitamente ai meriti di Gesù. Quando visitiamo Gesù-Eucaristia, possiamo presentarci a Lui come al nostro Mediatore, Riparatore e divino appagamento di tutte le nostre richieste. Possiamo anche, in ogni istante della nostra giornata, senz’andare in chiesa, offrire a Dio Gesù-Ostia, che in quel momento si immola in qualche luogo della terra per amore del Padre e nostro. Saremmo veramente felici e pieni di serenità, se praticassimo abitualmente l’esercizio di ricorrere a Gesù, completa e divina soddisfazione delle nostre aspirazioni. Durante le ore di desolazione e di aridità, quando non troviamo nulla di buono in noi stessi, come sarebbe opportuno ricorrere a Lui, e dimenticando le nostre miserie, offrire il Suo Cuore Eucaristico, modello di ogni virtù, come un gioiello, d’infinito valore, al Padre Celeste! Questo ci renderebbe meno tristi, più coraggiosi e più santamente lieti nell’oblio di noi stessi! E, una volta caduti in qualche fallo, invece di prendercela con noi stessi e di demoralizzarci, sarebbe molto meglio ricorrere ancora a Gesù, nostro Mediatore, e riparare il nostro fallo con un umile pentimento e con l’offerta di Lui a Dio. Ed infine, questa pratica ben compresa e spesso ripetuta, ci farà amare sempre più Gesù. L’ameremo secondo un nuovo significato, come nostro divino complemento e troveremo nuove tenerezze d’amore per ringraziarLo: non per l’amore che ha per noi, ma per quello che ha verso Colui che è ad un tempo Padre Suo e nostro. Tutti i giorni, la nostra unione con Gesù crescerà in virtù di questa pratica. Aderiremo intimamente a Lui per diventare come l’edera che si attacca alla quercia e che, benché debole per se stessa, si confonde con quella, nel reciproco godimento di un’invincibile, identica forza.
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Paul de Jaegher sj.
Gesù divina e completa soddisfazione di tutte le nostre domande
Tratto da Fiducia, capitolo X, II – E.P. 1954, pp. 171-.178 |
IHS Mio signore nel Signor nostro. La somma grazia e l’amore eterno di Cristo N.S. salutino e visitino Vostra Signoria. Ho ricevuto l’ultimo giorno di ottobre la sua del 24 luglio. Ho goduto in modo straordinario nel Signor nostro nel sentire cose derivate piuttosto da esperienza e conversione interna che da influssi esterni. Il Signor nostro, nella sua infinita bontà, le concede abitualmente alle anime che pongono la loro dimora in essa come principio, mezzo e fine di ogni altro bene. Il suo nome altissimo sia sempre lodato ed esaltato in tutte le creature, ordinate e create per questo tanto giusto e doveroso fine. Venendo in particolare ad alcuni punti della sua lettera e anzitutto a quello in cui dice che non mi dimentichi di lei nelle mie preghiere e la visiti con le mie lettere, posso assicurarle quanto alla prima cosa che ho continuato, come faccio ogni giorno a pregare per lei, sperando in Nostro Signore che, se le mie preghiere ottengono qualche favore, sarà tutto dall’alto, procedendo dalla sua divina bontà, che guarda solo alla sua eterna e somma liberalità e alla devozione e ai santi propositi di V.[ostra] S.[ignoria]. Sicché ho creduto che, vedendola così in spirito ogni giorno dinanzi a me, soddisfacevo anche alla seconda cosa, al suo desiderio di consolarsi con le mie lettere. Le persone che escono da se stesse ed entrano nel loro Creatore e Signore, hanno assidua riflessione, attenzione e consolazione, e il sentimento che tutto il nostro bene eterno si trova in tutte le creature, dando a tutte l’esistenza e conservandole in essa con il suo essere e la sua presenza infiniti. Considerando tutto ciò, penso bene che con questi pensieri e molti altri si consoli più che le mie lettere. Tutto infatti aiuta coloro che amano interamente il Signore e tutto serve loro per meritare di più e per maggiormente raggiungere e unirsi con carità intensa al loro stesso Creatore e Signore. Anche se poi la creatura molte volte pone ostacoli da parte sua all’opera che il Signore vuole attuare nella sua anima, come V. S. dice molto bene. Ciò non avviene solo prima di ricevere nell’orazione tali grazie, doni e gusti dello Spirito Santo, ma anche dopo che siano venuti e siano stati ricevuti. Essendo l’anima visitata e consolata, liberata do ogni oscurità e inquieta sollecitudine di se stessa, ornata di tali beni spirituali, resta tutta contenta e tutta innamorata delle cose eterne che dureranno sempre in continua gloria, veniamo pure allora a distaccarcene anche con pensieri di poca importanza, non sapendo custodire un sì gran bene celeste. Così prima che venga la grazia e l’operazione del Signore, poniamo ostacoli, e dopo venuta, facciamo lo stesso rispetto al conservarla. Lei parla di tali ostacoli per maggiormente umiliarsi nel Signore di tutti e per meglio esaltare noi che desideriamo invece tenerci quanto più basso possibile. Dice infatti che questa Compagnia non ostacola quello che il Signore vuole operare in essa, intendendo in Araoz [dove a quel tempo era sita la corte portoghese] in Portogallo. Quanto a me, sono convinto che sia prima sia dopo (la venuta della grazia) sono tutto un impedimento; e di questo provo maggior soddisfazione e gioia spirituale nel Signore nostro, perché non posso attribuirmi cosa alcuna che sembri buona. Una cosa sento, salvo parere migliore di persone più illuminate: ci sono pochi in questa vita, o per dire meglio nessuno, che sia capace di determinare o giudicare esattamente in quale misura egli sia d’impedimento e nuoccia a ciò che il Signore vuole operare nella sua anima. Sono però anche convinto che quanto più profonda esperienza di umiltà e di carità avrà una persona, tanto più sentirà e conoscerà persino i pensieri più piccoli e altre cose minime che ostacolano o nuocciono, anche se sembrino di poco o nessun conto, essendo così tenui in sé. Tuttavia, avere una conoscenza completa dei nostri ostacoli e mancanze non è di questa vita presente. Infatti il Profeta domanda di esser liberato dalle colpe occulte (Sal 18,3) e s. Paolo, confessando di non conoscerle, aggiunge che non per questo è giustificato (1Cor 4,4) |
Ignazio di Loyola
Lettera a Francesco Borgia del fine 1545
Gli scritti UTET 807-809
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1. Per esercitare perfettamente la povertà di spirito, rimanete sempre nella vera libertà spirituale, senza legarvi a nulla di creato, riposando in Dio, portando su di Lui solo uno sguardo semplice, proprio per abbracciarLo con la stretta di un amore semplice. Perciò spogliatevi di ogni creatura e rimanete in una perfetta indifferenza, senza scelta né volontà propria, contentandovi sempre e ovunque di ciò che Dio degna operare o permettere con voi, in voi, per voi o attorno a voi.
2. Se Dio vi porta alla devozione sensibile, al fervore dell’amore, al riposo intimo o all’udire una parola che Egli pronuncia in voi, seguiteLo fedelmente e obbediteGli, ascoltandoLo interiormente. Tuttavia, guardatevi da attaccarvi a ciò, per quanto poco sia… Infatti, conoscerete che siete perfettamente povero di spirito quando non possederete nulla con proprietà, e potrete mancare di tutto senza difficoltà né rimpianto. Così non vi è permesso di attaccarvi a qualsiasi altra cosa che Dio, anche se fosse un fuscello o un capello; altrimenti, non potreste piacere perfettamente al vostro Sposo celeste, ed Egli non avrebbe libero accesso a voi, perché desidera possedere il vostro cuore per intero…
3. Quando fissiamo con lo sguardo una mosca o un ramoscello che vola, non possiamo guardare direttamente il cielo, perché la mosca o il ramoscello s’interpongono fra l’occhio e il cielo. Ma se noi non vi fermiamo lo sguardo, se li superiamo senza farvi attenzione, allora vediamo direttamente il cielo. Allo stesso modo, per quanto minima sia una cosa, fintantoché noi ci attacchiamo in maniera disordinata fermandoci in lei, essa pone un intermedio tra Dio e l’anima; ma se noi non ci fermiamo, né ci attacchiamo consciamente e volontariamente, come se non ci fosse, possiamo contemplare Dio senza intermediario, e amarLo contemplandoLo.
4. In questo consiste l’unione essenziale, o immediata, con Dio, di cui parlano alcuni. Vale a dire, noi ci portiamo verso Dio nella usa essenza o, se volete, verso ciò che Egli è in se stesso, e non verso i doni che ci comunica… Da questo deriva che ogni anima che ama Dio così è consolata anche quando sembra abbandonata da Lui: ella non gusta né sperimenta nulla da parte sua, la sua intelligenza non ne riceve alcuna luce e la sua volontà non è infuocata da alcuna tenerezza verso di Lui, ma perché dovrebbe essere triste? Di nulla le importa, dal momento che ella può attaccarsi essenzialmente al suo Diletto, contemplando Dio con una vista immediata e con semplice fede, abbracciandoLo con la stretta di un amore senza miscugli.
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Michele di S. Agostino
Introduzione al Carmelo, I, 66: Amare Dio essenzialmente
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Lode della misericordia [versione in italiano moderno]
O eterna misericordia, che veli i difetti delle tue creature, non mi meraviglio che di coloro che escono dal peccato mortale, tornando a Te, Tu dica: «Io non mi ricorderò che tu mi abbia offeso» (cf Ez 18,21-22). Misericordia ineffabile, non mi meraviglio che, a coloro che abbandonano il peccato, Tu dica, riferendoti a chi Ti perseguita: «Io voglio che preghiate per loro affinché Io usi misericordia»[1]. Noi fummo creati nella tua misericordia; e nella tua misericordia fummo ricreati nel sangue del tuo Figlio. La tua misericordia ci conserva. La tua misericordia portò tuo Figlio a sostenere sulla croce la terribile lotta nella quale era in gioco la morte del nostro peccato, e la morte della colpa tolse la vita corporale all’Agnello immacolato. Ma chi fu il vinto? La mrote. Chi la causa prima? La tua misericordia. La misericordia tua dona la vita, essa dà il lume grazie alla cui luce possiamo riconoscere la tua clemenza verso ogni creatura, giusta o peccatrice che sia. Sin dall’alto dei cieli la tua misericordia risplende, poiché è visibile nei tuoi santi. E se mi volgo alla terra, vedo ovunque il suo sovrabbondare. Persino nell’inferno riluce poiché i dannati non ricevono tutta la pena che si meritano. Con la tua misericordia mitighi la giustizia; per essa ci hai lavati nel Sangue; per misericordia hai voluto abbassarti sino a vivere con le tue creature. Oh, Tu pazzo d’amore! Non ti bastò vestire la nostra carne: hai voluto anche morire. Non ti basò la morte. Sei anche disceso agli inferi per trarvi i santi padri e per compiere la tua verità donando loro la tua misericordia. E poiché la tua bontà promette il bene a coloro che Ti servono nella verità, ecco che scendesti limbo[2] per togliere dalla pena chi, avendoTi servito, doveva cogliere il frutto delle sue fatiche. Ma vedo che la tua misericordia Ti costrinse a donare anche più generosamente, allorché hai lasciato Te stesso quale cibo affinché noi deboli ne avessimo conforto, e gli ignoranti smemorati non perdessero del tutto il ricordo dei tuoi benefici. Tutto questo Tu doni ogni giorno agli uomini, facendoti presente nel sacramento dell’altare, nel corpo mistico della santa Chiesa. E tutto ciò è frutto della tua misericordia. O misericordia! Il cuore s’annega nel pensiero di Te, ché ovunque mi volga io altro non vedo che misericordia. O eterno Padre, perdona la mia ignoranza, se ho presunto parlare al Tuo cospetto, ma l’amore della tua misericordia vorrà scusarmi agli occhi della Tua benevolenza.
Lode della misericordia [versione originale]
— O etterna misericordia, la quale ricuopri e' difetti delle tue creature, non mi maraviglio che tu dica di coloro che escono del peccato mortale e tornano a te: « Io non mi ricordarò che tu m'offendessi mai». O misericordia ineffabile, non mi maraviglio che tu dica questo a coloro che escono del peccato, quando tu dici di coloro che ti perseguitano: «Io voglio che mi preghiate per loro, acciò che Io lo' facci misericordia». O misericordia la quale esce della Deitá tua, Padre etterno, la quale governa con la tua potenzia tutto quanto el mondo! Nella misericordia tua fummo creati: nella misericordia tua fummo ricreati nel sangue del tuo Figliuolo. La misericordia tua ci conserva, la misericordia tua fece giocare in sul legno della croce el Figliuolo tuo alle braccia, giocando la morte con la vita e la vita con la morte. E alora la vita sconfisse la morte della colpa nostra, e la morte della colpa tolse la vita corporale allo immaculato Agnello. Chi rimase vinto? la morte. Chi ne fu cagione? la misericordia tua. La tua misericordia dá vita. Ella dá lume per lo quale si conosce la tua clemenzia in ogni creatura: ne' giusti e ne' peccatori. Ne l'altezza del cielo riluce la tua misericordia, cioè ne' sancti tuoi. Se io mi vollo a la terra, ella abonda della tua misericordia. Nella tenebre de l'inferno riluce la tua misericordia, non dando tanta pena a' dannati quanta meritano. Con la misericordia tua mitighi la giustizia; per misericordia ci hai lavati nel Sangue; per misericordia volesti conversare con le tue creature. O pazzo d'amore! non ti bastò d'incarnare, che anco volesti morire? Non bastò la morte, che anco discendesti a lo 'nferno traendone i santi padri, per adempire la tua veritá e misericordia in loro? Però che la tua bontá promette bene a coloro che ti servono in veritá. Imperò discendesti a limbo, per trare di pena chi t'aveva servito e rendar lo' el frutto delle loro fadighe. La misericordia tua vego che ti costrinse a dare anco piú a l'uomo, cioè lassandoti in cibo, acciò che noi, debili, avessimo conforto, e gl'ignoranti smemorati non perdessero la ricordanza de' benefizi tuoi. E però el dài ogni di a l'uomo, rapresentandoti nel Sacramento de l'altare nel corpo mistico della sancta Chiesa. Questo chi l'ha facto? la misericordia tua. O misericordia, el cuore ci s'affoga a pensare di te, ché dovunque io mi vollo a pensare, non truovo altro che misericordia, O Padre etterno, perdona a l' ignoranzia mia che ho presumpto di favellare innanzi a te; ma l'amore della tua misericordia me ne scusi dinanzi alla benignità tua.
[1] Nel contesto precedente del testo, il Padre eterno diverse volte ha invitato Caterina e i suoi amici a pregare e offrire sacrifici per i poveri peccatori perché trovino misericordia.
[2] Ci sono due significati del termine “limbo”. Il primo indica il luogo o lo stato di attesa dei giusti morti prima della venuta di Gesù Cristo. Questi giusti aspettano che si apra per loro la porta del Paradiso, questo è anche il senso del termine “inferi”, per cui noi affermiamo nel Credo che Gesù è ”sceso agli inferi”, cioè appena , morto, l’anima umana del Figlio di Dio unita alla divinità è scesa al limbo a liberare tutti coloro che aspettavano la redenzione. In un altro senso il termine “limbo” indica, in una certa dottrina dei teologi medioevali, il luogo dove vanno le anime dei bambini morti e non battezzati. Questo secondo senso del termine “limbo” non appartiene al deposito della fede della Chiesa e ultimamente la Santa Sede ha dichiarato ufficialmente l’inconsistenza di questa dottrina che non va quindi dai cristiani creduta. Infatti una sola è la vocazione ultima di tutti gli esseri umani: la partecipazione alla vita divina in Cristo nella beatitudine del Cielo
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S. Caterina da Siena
Dialogo della Divina Provvidenza, c. 30 |
Se l’uomo pensa con un po’ di attenzione alla divinità, immediatamente sente una qual dolce emozione al cuore, il che prova che Dio è il Dio del cuore umano. […] Questo piacere e questa fiducia che il cuore umano trova naturalmente in Dio, possono derivare soltanto dalla convenienza che c’è tra la divina bontà e la nostra anima: convenienza grande, ma misteriosa; convenienza di cui ciascuno conosce l’esistenza, ma che pochi apprezzano, convenienza che non può essere negata, ma che nessuno riesce a comprendere pienamente. Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio: che cosa significa ciò se non che abbiamo una grande convenienza con la sua divina Maestà?
[…] Se esistessero uomini con l’integrità e la dirittura morale nella quale si trovava Adamo al momento della creazione, anche se non avessero altra assistenza da parte di Dio che quella che Egli concede ad ogni creatura perché possa compiere le azioni che le sono proprie, non soltanto avrebbero la tendenza ad amare Dio sopra ogni cosa ma, per legge naturale, potrebbero anche mettere in atto tale giusta inclinazione.
[…] Ora, benché lo stato della nostra natura umana non sia dotato della santità e della dirittura originale che aveva il primo uomo al momento della creazione, anzi, al contrario, siamo fortemente corrotti dal peccato, tuttavia la santa inclinazione ad amare Dio sopra tutte le cose ci rimane, come pure la luce naturale mediante la quale sappiamo che la sua somma bontà è amabile più di tutte le cose, non è possibile che un uomo che pensa intensamente a Dio, anche soltanto per riflessione naturale, non provi uno slancio d’amore, per segreta inclinazione della nostra natura, presente in fondo al cuore; per cui alla prima conoscenza di questo sommo oggetto la volontà si muove e si sente spinta a compiacersi in esso. […]
[…] La stessa cosa, Teotimo, avviene per il nostro cuore; infatti, benché venga covato, nutrito e allevato in mezzo alle cose materiali, basse e transitorie e, per così dire, sotto le ali della natura, al primo sguardo che getta versa Dio, alla prima conoscenza che ne riceve, la naturale e primaria inclinazione ad amare Dio, che era come assopita ed inavvertibile, si risveglia di colpo, compare all’improvviso come una scintilla da sotto la cenere che, toccando la nostra volontà, le dà un impulso di quell’amore supremo dovuto al sommo e primo principio di ogni cosa.
[…] In conclusione, Teotimo, la nostra natura meschina, ferita dal peccato, fa come le palme che vivono di qua dal mare, che di fatto producono qualche cosa, quasi tentativi di frutti, ma mai datteri interi, maturi e buoni, quelli si trovano soltanto nei paesi più caldi. Similmente, il nostro cuore umano, per natura sua, produce certi inizi di amore verso Dio, ma giungere ad amarLo sopra ogni cosa, che è la maturità dell’amore dovuto alla suprema bontà, questo è soltanto di coloro che sono animati e assistiti dalla grazia celeste e che si trovano nello stato di santa carità. E quel piccolo amore imperfetto, del quale la natura sente in se stessa gli slanci, è come un volere sterile che non produce effetti reali, un volere paralitico che vede la piscina della salvezza del santo amore, ma non ha la forza di gettarvisi (cf Gv 5,7); infine quel volere è un aborto della buona volontà; non ha la vitalità del generoso vigore, necessario per preferire di fatto Dio a tutte le cose; per questo l’Apostolo, parlando nella persona del peccatore, esclama: In me c’è di sicuro la volontà, ma non trovo il modo di compierla (Rm 7,18) |
S. Francesco di Sales
Teotimo Libro I, Capitoli 15-17 |
JM†JT[1] Dio solo bastas[2]
Carissima signora e sorella,
ho tanto gradito i suoi auguri e la ringrazio delle preghiere che ha fatto per la sua piccola amica del Carmelo. Da parte sua, le assicuro che essa le serba il ricordo più fedele in colui che è il vincolo indissolubile. Se sapesse quanto la mia anima è attaccata alla sua, oserei perfino dire quanta ambizione ho per lei! La vorrei totalmente data a Dio, pienamente unita a lui che l’ama di un amore così grande. Sì, cara signora, credo che il segreto della pace e della felicità sia quello di dimenticarsi, di disinteressarsi di se stessi. Questo non significa non sentire più le proprie miserie fisiche e morali. I santi stessi sono passati attraverso situazioni così crocifiggenti, ma non ne erano schiavi e sapevano liberarsene ad ogni istante. Ogni qualvolta ne avvertivano il peso, non se ne stupivano, ben sapendo di quale impasto fossero fatti, come canta il salmista [Sal 102,14] che però non manca di aggiungere: «Col soccorso di Dio sarò senza macchia e mi salverò dal fondo dell’iniquità che è in me» [Sal 17,24].
Cara signora, poiché mi permette di parlarle come ad una sorella amata, mi sembra che il buon Dio le chieda un abbandono ed una confidenza senza limiti. Nelle ore di maggior sofferenza in cui sente dei vuoti spaventosi, pensi che allora egli scava nella sua anima delle capacità più grandi di riceverlo, vale a dire, in certo qual modo infinite come lui. Si sforzi dunque di essere, per la volontà, tutta piena di gioia sotto la mano che la crocifigge, vorrei perfino dire, guardi ad ogni sofferenza e ad ogni prova come ad una prova d’amore che le viene direttamente da parte del buon Dio per unirla a lui. Dimenticarsi per quel che riguarda la sua salute, non significa trascurare di curarsi, perché questo è il suo dovere e la sua migliore penitenza, ma lo faccia con grande abbandono dicendo a Dio «grazie» qualunque cosa accada. Quando più si fa sentire il peso del corpo e affatica la sua anima, non si scoraggi, ma vada con fede ed amore da colui che ha detto: «Venite a me ed io vi consolerò» [Mt 11,28].
Per quanto riguarda il morale, non si lasci mai abbattere dal pensiero delle sue miserie. Il grande S. Paolo dice: «Dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia» [Rm 5,20]. Mi sembra che l’anima più debole, perfino più colpevole, sia quella che ha più margine di speranza e l’atto che essa compie per dimenticarsi e gettarsi nelle braccia di Dio, lo glorifichi e lo riempia di gioia più che tutti i ripiegamenti su se stessa ed ogni altro tentativo di scrutare le proprie infermità. Essa infatti possiede e porta in se stessa un Salvatore che la vuole purificare ad ogni momento. Ricordi la bella pagina del Vangelo dove Gesù dice al Padre «che gli ha dato potere sopra ogni carne al fine di comunicare la vita eterna» [Gv 17,2]. Ecco quello che vuole compiere in lei. Vuole in ogni momento che esca da se stessa e abbandoni ogni preoccupazione per ritirarsi in quella solitudine che egli si è scelta nel fondo del suo cuore. È sempre là, anche se lei non lo sente. L’aspetta e vuole stabilire con lei «un mirabile commercio», come cantiamo nella bella liturgia [Liturgia dell’Ottava di Natale], un’intimità di Sposo e sposa. Le sue infermità, le sue mancanze, tutto ciò che la turba, è lui stesso, mediante questo contatto continuo, che vuole eliminarle dalla sua anima. Non ha forse detto: «Non sono venuto per giudicare, ma per salvare?» [Gv 12,47]. Nulla deve sembrarle un ostacolo per andare a lui. Non dia troppo importanza al fatto di essere infiammata o scoraggiata. Passare da uno stato all’altro, è la legge dell’esilio. Quello che conta è che lui non cambia mai, che nella sua bontà è sempre piegato su di lei per unirla stabilmente a sé. Nonostante tutto il vuoto e la tristezza opprimenti, unisca la sua agonia a quella del Maestro nell’orto degli ulivi quando diceva al Padre. «Se è possibile, passi da me questo calice» [Mt 26,39].
Cara signora, forse le sembrerà difficile dimenticarsi. Invece è tanto semplice da non meritare alcuna preoccupazione. Le dirò il mio «segreto». Basta pensare a Dio che abita in noi come nel suo tempio. È San Paolo che lo dice [2Cor 6,16] e possiamo crederlo. A poco a poco l’anima si abitua a vivere nella dolce compagnia dell’ospite divino, comprende di essere un piccolo cielo in cui il Dio d’amore ha stabilito la sua dimora. Allora essa respira in un’atmosfera divina, direi perfino che non c’è più che il suo corpo sulla terra, e l’anima vive al di là di ogni nube e di ogni velo, in colui che non muta mai. Non dica che questo è troppo per lei, che è troppo miserabile. Questa, se mai, è una ragione di più per accostarsi a colui che è il Salvatore. Non è guardando alla nostra miseria che saremo purificati, ma guardando a colui che è tutto purezza e santità. S. Paolo dice che Dio ci ha scelto per essere conformi alla sua immagine [Rm 8,29]. Nei momenti più dolorosi, si ricordi che il divino Artista, per rendere più bella l’opera sua, si serve dello scalpello, e rimanga in pace sotto la mano che lavora. Quel grande Apostolo che è S. Paolo, dopo essere stato rapito al terzo cielo, sentiva la propria infermità, e se ne lamentava con Dio che gli rispondeva: «Ti basti la mia grazia, perché la forza si perfeziona con la debolezza» [2or 12,9]. Non le sembra che tutto questo sia tanto consolante?…
Coraggio dunque, cara signora e sorella, l’affido in modo particolare ad una certa piccola carmelitana morta a 24 anni in odore di santità, che si chiamava Teresa del Bambino Gesù. Essa diceva prima di morire, che avrebbe passato il suo cielo a fare del bene sulla terra. La sua grazia è quella di dilatare le anime, di lanciarle sulle onde dell’amore, della confidenza, dell’abbandono. Diceva di aver trovato la felicità dopo aver incominciato a dimenticarsi. La invochi con me ogni giorno perché le ottenga quella scienza che fa i santi e che dà all’anima tanta pace e felicità!
A Dio, cara signora, questa settimana, essendo l’ultima prima della solitudine dell’Avvento, vedrò la mamma, Margherita e le bambine e non mancherò di salutarle tanto da parte sua. Le nipotine son proprio graziose e formano la gioia della loro cara nonna. Anche i piccoli di M. Luisa devono essere la sua gioia. Dica per favore alla buona M. Luisa che prego per lei e non dimentico i bei momenti di Labastide. I miei ossequi alla signora Maurel. Per lei, cara signora, creda al mio profondo affetto e alla mia unione in colui di cui S. Giovanni dice che è l’amore [1Gv 4,16].
La sua sorellina e amica M. Elisabetta della Trinità r.c.i.[3]
[1] Iniziali dei santi nomi di Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa (Jesus, Maria, Joseph, Theresia) con cui le Carmelitane iniziano le lettere.
[2] S. Teresa d’Avila, Massime.
[3] Religiosa Carmelitana Indegna |
Santa Elisabetta della Trinità
Dalle Lettere di S. Elisabetta della Trinità Lettera 217: Alla signora Angles – [Novembre 1905] |
Asc, 3403: T 8-9
Unite il vostro cuore e la vostra azione a quella di Gesù per trarne forza e vigore, e per farla nel suo spirito, assicurandovi così di essere nelle sue vedute, nei suoi intenti e nella sua perfezione. Pregate che Egli metta la sua mano sulla vostra, che Egli lavori con voi. Fate che Egli sia, per una vostra dolce applicazione a Gesù operante e conversante, effettivamente il vostro Emanuele per la presenza e per l’influsso del suo spirito nel vostro. Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio [Ct 8,6]. Immaginatevi che Egli vi inviti ad incidere il suo sigillo ben dentro il vostro cuore, pregateLo che lo incida lui stesso, che si imprima questo sigillo ai vostri occhi per santificare i vostri sguardi, alla vostra bocca per consacrare tutte le vostre parole, alla vostra mente per santificare tutti i vostri pensieri, alla vostra volontà per regolare tutte le vostre affezioni, al vostro corpo e alla vostra anima per imprimervi il contrassegno inconfondibile della sua umiltà, della sua purezza e della sua innocenza.
Org, 2262:T1,1,4-5 Mezzi per perfezionare ogni azione della giornata
Il massimo impegno degli Oblati di Maria Vergine sia riguardo agli atti di religione, sia riguardo a tutte le altre azioni della giornata è, ad imitazione del Divino Maestro, di fare non solo azioni sempre buone, ma di farle tutte bene.Fanno quindi attenzione alla qualità delle azioni, al fine e al modo di eseguirle.
Qualità
Quanto alla qualità, sono primariamente ben risoluti di non fare mai niente contro la volontà di Dio conosciuta, e contro la coscienza.Si guardano inoltre dal fare le azioni soltanto suggerite dalla volontà propria, che guasta perfino le stesse azioni buone. Si prefiggono di preferire sempre a qualunque azione di supererogazione [cioè non obbligatoria] le azioni comandate da Dio, e le prescritte dai Superiori. Tra le azioni libere vogliono preferire quelle che conoscono di maggior gloria di Dio, quelle cioè in cui si pratica maggiormente il vince te ipsum [vinci te stesso], e si procura il maggior bene delle anime.
Fine
Quanto al fine procurano di avere una grande rettitudine di intenzione. Memori del detto del Signore: se l'occhio tuo sarà losco, tutto il tuo corpo sarà tenebroso, in ogni loro azione si fanno uno studio particolare di escludere qualunque fine umano. Cercano Dio solo in tutto e la sola sua santa volontà, e non se stessi, né il proprio comodo, e si studiano di piacere a Dio solo, e non agli uomini. Ansiosi sono di rendere così sommamente nobili e meritorie secondo la forma, perché divenuti atti di carità, non solo tutti gli atti di religione, ma anche tutte quelle azioni che secondo la materia potrebbero essere indifferenti e basse. La quale rettitudine d'intenzione, non si contentano di averla espressa al principio della giornata, e di conservarla virtualmente, ma sovente tra il giorno la rinnovano, affinché non accada loro di incominciare con lo spirito e di finire con la carne.
Imitazione di Gesù Cristo
Quanto al modo si appigliano a quell'unico che piace a Dio, e ci propose l'Eterno Padre, cioè di imitare lo stesso Figliolo di Dio che si è fatto servo per essere modello dei suoi servi. In ciascuna azione hanno dunque sempre Gesù innanzi agli occhi; Gesù è sempre il loro compagno ed il loro modello, e si studiano d'imitarlo nel modo più perfetto, sia quanto all'interno che all'esterno, unitamente agli esempi di Maria Santissima, per rendere in questo modo, con l'intercessione di Maria più somigliante a Dio, l'immagine impressa nella nostra anima.
1°. E per meglio poi riuscire in questo impegno, tengono la seguente pratica, cioè: incominciano l'azione non con impeto, ma ex fide, cioè con un tranquillo sguardo di fede a Gesù nostro modello, investendosi del suo spirito e unendosi alle sue intenzioni, per operare come crediamo avrebbe operato in simili circostanze. Così S. Narciso soleva comporsi anche nell'esterno, come Gesù. Proseguono l'azione non languidamente, ma cum affectu, inserendovi sovente degli slanci tranquilli e soavi di cuore verso Gesù.La finiscono non ex abrupto, ma reflexe, cioè, come si è detto di sopra, parlando dell'esame, con un rapido sguardo, cioè se l'azione sia stata fatta totalmente secondo il Cuore di Gesù o no, quindi per ringraziarne il Signore, o farvi un atto di contrizione.E così si propongono di fare sempre, sia che si tratti di pregare come di agire, o di patire.
2°. Il frutto che risulta da questo modo di operare che essi pure si propongono, e che incessantemente chiedono a Gesù ed a Maria, è una grande somiglianza ed unione con Gesù, ove consiste tutta la santificazione nostra, poiché così continuamente si esercitano a conservare la memoria non dissipata, ma dolcemente fissa in Gesù, ad assuefare l'intelletto a vedere e giudicare sempre ogni cosa secondo Gesù, a tenere la volontà sempre tranquilla ed unita a quella di Gesù.Insomma, così sono sempre in compagnia di Gesù, conversano sempre con Gesù, sempre uniti con Gesù e nelle intenzioni e nelle azioni, e così diventano una copia viva di Gesù. Così Gesù forma l'unico tesoro del loro cuore; così Gesù abita nei loro cuori, ed essi abitano nel Cuore di Gesù. Qual cosa è più grande e più consolante di questa? |
Ven. P.Pio Bruno Lanteri
DAGLI SCRITTI DEL VEN. P. PIO BRUNO LANTERI |
Il silenzio è mitezza.
Quando non rispondi alle offese, quando non reclami i tuoi diritti, quando lasci a Dio la difesa del tuo onore, il silenzio è mitezza!
Il silenzio è misericordia.
Quando non riveli le colpe dei fratelli, quando perdoni senza indagare nel passato, quando non condanni, ma intercedi nell’intimo, il silenzio è misericordia!
Il silenzio è pazienza.
Quando soffri senza lamentarti, quando non cerchi consolazioni dagli uomini, quando non intervieni, ma attendi che il seme germogli lentamente, il silenzio è pazienza!
Il silenzio è umiltà.
Quando taci per lasciare emergere i fratelli, quando celi nel riserbo i doni di Dio, quando lasci che il tuo agire sia interpretato male, quando lasci ad altri la gloria dell’impresa, il silenzio è umiltà!
Il silenzio è fede.
Quando taci perché è Lui che agisce, quando rinunci ai suoni, alle voci del mondo per stare alla sua presenza, quando non cerchi comprensione, perché ti basta essere conosciuto da Lui, il silenzio è fede!
Il silenzio è adorazione.
Quando abbracci la Croce senza chiedere: “Perché” e, come Gesù, la offri al Padre, il silenzio è adorazione!
“Poni, Signore una custodia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra” – Sal 140,3 |
Anonimo
Preziosità del silenzio, tratto dai suoi scritti. |
L’Assunzione della Beata Vergine
«Durante la Messa essa [santa Gertrude] recitò tre volte il salmo: Laudate Domini omnes gentes. La prima volta lo recitò per domandare a tutti i Santi di offrire per lei al Signore i loro meriti, onde prepararla a ricevere degnamente il Sacramento della vita. La seconda volta pregò allo stesso intento la Beata Vergine, e la terza volta il Signore Gesù. La Beata Vergine a questa preghiera si alzò ed offrì alla fulgida e sempre tranquilla Trinità i meriti eccelsi che nel giorno della sua Assunzione l’avevano innalzata al di sopra degli uomini e degli Angeli e resa oggetto di divina compiacenza. Poi, lasciando il posto che occupava, le disse: “Vieni, o diletta, e siedi al mio posto, rivestita di tutte le perfezioni che attirano su di me le compiacenze dell’adorabile Trinità, per ricevere anche tu, nella misura in cui può esser concesso, lo stesso favore. Essa, molto stupita, rispose con grande disprezzo di sé: “O Regina di gloria, e per quali meriti potrei mai ardire di desiderarlo?”. “Lo potrai ottenere in tre modi, rispose la santissima Vergine: chiedi, per l’innocente purezza con la quale ho preparato una degna dimora gradita al Figliuolo di Dio nel mio seno verginale, di essere purificata da ogni macchia di peccato. Prega poi che tutte le tue negligenze siano riparate per la profondissima umiltà che mi ha sublimata sopra i cori degli Angeli e dei Santi. E chiedi infine, per l’incomparabile amore che mi ha unita a Dio, di essere colmata dei meriti di molte virtù”. Essa lo fece devotamente e subito si trovò elevata in ispirito ad una gloria sublime, che le veniva concessa per benigna degnazione della Regina del cielo, sì che, quand’essa apparve seduta al posto della sua Sovrana e ornata dei di Lei meriti, il Dio di Maestà si compiacque in lei oltre ogni dire, mentre gli Angeli e i Santi venivano a renderle reverente omaggio».
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S. Gertrude la Grande
Le Rivelazioni, IV, c. 48 |
Come pregare e salutare la Madre del Signore
Un giorno, durante l’orazione, domandò al Signore su che cosa avrebbe desiderato che meditasse. Egli rispose: «Tieni vicina la Madre mia che siede accanto a Me, e applicati a onorarla con le tue lodi». Salutò allora devotamente la Regina del Cielo con questo versetto: Paradisus voluptatis ecc.: Paradiso di delizie, congratulandosi che ella fosse stata scelta a giocondissima abitazione dell’inesauribile Sapienza di Dio che prende nel Padre le sue delizie e a cui nulla è nascosto. La pregò poi di ottenerle un cuore così adorno delle più belle virtù che Dio potesse compiacersi di abitarvi. La beata Vergine parve chinarsi come per piantare nel cuore di chi le rivolgeva questa preghiera i fiori di svariate virtù, e cioè la rosa della carità, il giglio della castità, la viola dell’umiltà, il girasole dell’ubbidienza e altri ancora, facendole in tal modo comprendere quanto pronta essa sia ad esaudire le preghiere di coloro che la invocano. La salutò in seguito col versetto: Gaude morum disciplina: rallegrati o noma dei costumi, per lodarla di aver custodito e governato i suoi sensi, i suoi affetti, le sue volontà e tutti i moti dell’anima sua con tanta diligenza da aver potuto offrire coi suoi pensieri, le sue parole, le sue opere, un perfetto ossequio d’amore al Signore che dimorava in lei. E poiché la pregava di volerle ottenere lo stesso favore, le parve che la Vergine Madre le mandasse i suoi propri affetti sotto forma di delicate fanciulle perché si unissero agli affetti dell’anima che la pregava. La eccitassero a servir meglio il Signore e supplissero alle sue deficienze. Lasciò così intendere anche per questa via quanto grande sia la sua prontezza nell’aiutare che la invoca. Dopo un momento di silenzio essa disse al Signore: «Poiché, Signore, ti sei fatto uomo e hai voluto essere nostro fratello per supplire alle nostre incapacità, degnati anche in questo momento di supplire alla deficienza delle lodi che ho rivolto alla Madre tua». A queste parole il Figlio di Dio si alzò e inchinandosi davanti alla Madre sua la salutò piegando il capo con tale affettuoso ossequio che essa dovette certamente gradire l’omaggio di una creatura di cui il Figlio suo suppliva così abbondantemente l’imperfezione. Il giorno dopo, stando di nuovo in orazione, la Vergine Madre le apparve sotto il simbolo di un candido giglio a tre petali, di cui uno era eretto e due piegati in fuori. Essa comprese allora che ben a ragione la beata Madre di Dio è chiamata il «Candido Giglio della Trinità», poiché essa ha partecipato più di ogni altra creatura alla pienezza delle virtù della Trinità santissima, pienezza che non ha mi offuscato con la polvere del più piccolo peccato veniale. Il petalo eretto simboleggiava l’onnipotenza del Padre e i due petali ricurvi la sapienza del Figlio e la bontà dello Spirito Santo che la Madre di Dio ricopiava fedelmente in sé. La santa Vergine le fece comprendere che chiunque la salutasse devotamente chiamandola «Candido Giglio della Trinità, fulgida Rosa di celestial bellezza», la loderebbe per il potere che l’onnipotenza del Padre le ha conferito, per le ingegnose misericordie che la sapienza del Figlio le ispira a salvezza del genere umano, e per la ricchezza immensa di carità di cui lo Spirito Santo l’ha fatta partecipe. E aggiunse: «Al momento della morte io apparirò a quest’anima rivestita di tale bellezza da riempirla di consolazione e di celestiale beatitudine». Da quel giorno essa si propose di salutare la SS. Vergine o anche le sue immagini con queste parole: «Salve o candido Giglio della fulgida e sempre tranquilla Trinità; salve o fulgida Rosa di celestiale bellezza da cui volle nascere e del cui latte volle cibarsi il Re del cielo: pasci di divini influssi anche le anime nostre». |
S. Gertrude la Grande
Le Rivelazioni, III, c. 19 |
Come possiamo offrire per noi i meriti del Signore e dei Santi.
Essa doveva un giorno ricevere la santa Comunione e, dolendosi di essere insufficientemente preparata, pregò la beata Vergine e tutti i Santi di offrire per lei al Signore quella perfetta disposizione che, durante la loro vita, li aveva preparati a ricevere la grazia. Pregò inoltre il Signore Gesù affinché si degnasse di offrire per lei la perfezione con la quale, al momento della sua Ascensione, si presentò a Dio Padre per essere glorificato.
Cercò, più tardi, di capire quale accrescimento di grazia avesse conseguito con questa preghiera, e il Signore le disse: «Hai conseguito la grazia del cielo rivestita dei loro meriti. E aggiunse ancora: «Perché non credere che Io, tuo Dio onnipotente e misericordioso, possa compiere ciò che può compiere chiunque sulla terra? Chi infatti possiede un ricco abito può con esso o con altro simile rivestire un suo amico, e far sì che egli comparisca agli occhi degli altri con una veste altrettanto splendida della sua».
Si ricordò intanto che aveva promesso ad alcune persone di comunicarsi in quel giorno secondo le loro intenzioni, e pregò devotamente il Signore di voler elargire anche a loro il dono che essa aveva ricevuto. Ebbe questa risposta: «Io lo concedo, ma dipenderà da loro il volersene servire».
Chiese allora in qual modo desiderava che queste anime utilizzassero il suo dono e il Signore aggiunse: «Quando, in qualunque momento, si rivolgeranno a Me con cuore puro e sincera e buona volontà, e invocheranno anche una sola parola o con un sospiro la mia grazia, subito appariranno ai miei occhi rivestite di quei meriti che tu ha impetrato per loro con la tua preghiera». |
S. Gertrude la Grande
Le Rivelazioni, III, c. 34 |
Cari fratelli e sorelle! Nel suo discorso d'addio, Gesù ha annunciato ai discepoli la sua imminente morte e risurrezione con una frase misteriosa. Dice: "Vado e vengo da voi" (Gv 14, 28). Il morire è un andare via. Anche se il corpo del deceduto rimane ancora – egli personalmente è andato via verso l'ignoto e noi non possiamo seguirlo (cfr Gv 13, 36). Ma nel caso di Gesù c'è una novità unica che cambia il mondo. Nella nostra morte l'andare via è una cosa definitiva, non c'è ritorno. Gesù, invece, dice della sua morte: "Vado e vengo da voi". Proprio nell'andare via, Egli viene. Il suo andare inaugura un modo tutto nuovo e più grande della sua presenza. Col suo morire Egli entra nell'amore del Padre. Il suo morire è un atto d'amore. L'amore, però, è immortale. Per questo il suo andare via si trasforma in un nuovo venire, in una forma di presenza che giunge più nel profondo e non finisce più. Nella sua vita terrena Gesù, come tutti noi, era legato alle condizioni esterne dell'esistenza corporea: a un determinato luogo e a un determinato tempo. La corporeità pone dei limiti alla nostra esistenza. Non possiamo essere contemporaneamente in due luoghi diversi. Il nostro tempo è destinato a finire. E tra l'io e il tu c'è il muro dell'alterità. Certo, nell'amore possiamo in qualche modo entrare nell'esistenza dell'altro. Rimane, tuttavia, la barriera invalicabile dell'essere diversi. Gesù, invece, che ora mediante l'atto dell'amore è totalmente trasformato, è libero da tali barriere e limiti. Egli è in grado di passare non solo attraverso le porte esteriori chiuse, come ci raccontano i Vangeli (cfr Gv 20, 19). Può passare attraverso la porta interiore tra l'io e il tu, la porta chiusa tra l'ieri e l'oggi, tra il passato ed il domani. Quando, nel giorno del suo ingresso solenne in Gerusalemme, un gruppo di Greci aveva chiesto di vederLo, Gesù aveva risposto con la parabola del chicco di grano che, per portare molto frutto, deve passare attraverso la morte. Con ciò aveva predetto il proprio destino: Non voleva allora semplicemente parlare con questo o quell'altro Greco per qualche minuto. Attraverso la sua Croce, mediante il suo andare via, mediante il suo morire come il chicco di grano, sarebbe arrivato veramente presso i Greci, così che essi potessero vederLo e toccarLo nella fede. Il suo andare via diventa un venire nel modo universale della presenza del Risorto, in cui Egli è presente ieri, oggi ed in eterno; in cui abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi. Ora può oltrepassare anche il muro dell'alterità che separa l'io dal tu. Questo è avvenuto con Paolo, il quale descrive il processo della sua conversione e del suo Battesimo con le parole: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2, 20). Mediante la venuta del Risorto, Paolo ha ottenuto un'identità nuova. Il suo io chiuso si è aperto. Ora vive in comunione con Gesù Cristo, nel grande io dei credenti che sono divenuti – come egli definisce tutto ciò – "uno in Cristo" (Gal 3, 28).
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Benedetto XVI
alla Veglia Pasquale 2008 |
Quale coppia è mai quella di due cristiani, uniti da una sola speranza, da una sola aspirazione, da una sola disciplina, dallo stesso servizio di Dio! Ambedue sono fratelli, uguali tutti e due in quel loro servizio! Tra di essi nessuna separazione, non nello spirito, non nella carne; al contrario, veramente due in una sola carne! E dove c’è una carne sola, lì vi è pure un solo spirito; essi infatti pregano insieme, si prostrano insieme davanti a Dio, osservano insieme le prescrizioni del digiuno; a vicenda si istruiscono, a vicenda si esortano, a vicenda si confortano.
Tutti e due si riconoscono in perfetta uguaglianza nelle Chiesa di Dio, in perfetta uguaglianza nel banchetto di Dio, perfetta uguaglianza nei disagi, nelle persecuzioni, nelle consolazioni.
Nessuno de due si nasconde all’altro, nessuno evita l’altro, nessuno è di peso all’altro. Liberamente fanno visita ai malati e si prodigano per aiutare i poveri. Compiono elemosine senza contrasti e frequentano il Sacrificio eucaristico senza ansie. La loro operosità quotidiana non conosce impedimenti; non fanno il segno della croce furtivamente, manifestano le loro espressioni di gioia senza simulazioni, e non sono certo silenziose le loro benedizioni […].
Cristo, nel vedere e nell’udire, gode di quella festa e invia ad essi la sua pace. Dove si trovano quei due sposi, lì si trova egli pure, e dove è lui, ivi non entra certamente il maligno. – |
Tertulliano
Dalla Lettera alla consorte |