Bocconcini spirituali 2009

ARCHIVIO BOCCONCINI 

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 «Con Gesù Cristo la benedizione di Abramo si è estesa a tutti i popoli, alla Chiesa universale come nuovo Israele che accoglie nel suo seno l'intera umanità. Anche oggi, tuttavia, resta in molti sensi  vero quanto diceva il profeta: "nebbia fitta avvolge le nazioni" e la nostra storia. Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt'altro. I conflitti per la supremazia economica e l'accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale. C'è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti. Questa grande speranza  può essere solo Dio … non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano:  il Dio che si è manifestato nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto. Se c'è una grande speranza, si può perseverare nella sobrietà. Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell'ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo. La moderazione non è allora solo una regola ascetica, ma anche una via di salvezza per l'umanità. È ormai evidente che soltanto adottando uno stile di vita sobrio, accompagnato dal serio impegno per un'equa distribuzione delle ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile. Per questo c'è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti ad un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi. Abbiamo tutti bisogno di questo coraggio, ancorato a una salda speranza. Ce lo ottenga Maria, accompagnandoci nel nostro pellegrinaggio terreno con la sua materna protezione. Amen!»

  Benedetto XVI, Dall'Omelia della Solennità dell'Epifania 2008

  

Se potessimo con un solo colpo d'occhio interiore vedere quanto vi è di buono e misericordioso nel disegno di Dio su ciascuno di noi, anche nelle cose che chiamiamo disgrazie, dispiaceri, afflizioni, saremmo tanto felici da gettarci tra le braccia della volontà divina con l'abbandono di un piccolo che si getta tra le braccia di sua madre. Agiremmo, in ogni circostanza con l'intenzione di piacere a Dio, poi, ci manterremo in un santo riposo, ben certi che Dio è nostro Padre e desidera la nostra salvezza più di quanto la desideriamo noi stessi.

 

 

 

 

Beata Maria dell'Incarnazione,  Abbandono alla volontà di Dio 

 

Umiltà non significa:

 

vergognarsi di sé e della gente, sarebbe scontrosaggine;

 

né fare il viso rosso a proposito di tutto, sarebbe timidità;

 

né credersi incapace di qualsiasi cosa, sarebbe psicastenia;

 

né sfuggire ogni sforzo, sarebbe pigrizia;

 

né evitare ogni decisione personale, sarebbe pusillanimità;

 

né accettare tutto dagli altri, senza discernimento,  sarebbe passività;

 

né disgustarsi di se stesso, sarebbe nevrastenia;

 

né diffidare di tutti, sarebbe pessimismo;

 

né credersi peggiore di quello che si è, sarebbe menzogna;

 

né denigrarsi, sarebbe autolesionismo;

 

né imitare i difetti dei bambini, sarebbe infantilismo.

 

L'umiltà non consiste neppure:

 

né in semplici parole, sarebbe letteratura;

 

né in pure fantasie, sarebbe poesia;

 

né in soli sentimenti, sarebbe romanticismo;

 

né nel fare la corte ai superiori, sarebbe servilismo;

 

neanche soltanto in atti o gesti esterni, sarebbe commedia, se non ipocrita, impostura. Sono tutte caricature dell'umiltà, realtà molto più seria!

 

Convinta insieme e pratica, l'umiltà è più rara di quanto si pensi secondo il parere di molti:

 

«Conserva la vera umiltà di cuore che consiste non in dimostrazioni o parole affettate, ma nel profondo abbassamento dello spirito. Allora risplenderà la tua pazienza che ne è il segno più evidente. Questo succederà non quando ti accuserai di delitti che nessuno crederà mai, ma quando rimarrai insensibile e imperturbabile alle accuse più scottanti che ti verranno rinfacciate, e sopporterai le ingiurie con perfetta calma e serenità interiore!» (Abate Serapione).

 

Certo siamo tutti abbastanza furbi e superbi per fare un po' di umiltà! Ma questa umiltà superficiale, di "rossetto", è fior di superbia, finezza di vanità o di ipocrisia; è fariseismo.

 

«Dio mi guardi – dice il proverbio – dalla superbia della gente umile! […]

 

«Fuggite l'umiltà falsa, cercate quella vera. È facilissimo inchinare la testa, abbassare gli occhi, sprofondarsi in ossequi, confondersi in dimostrazioni e proteste di umiltà, ma se poi si è ferito da una parolina, si rizza la testa, si accende l'occhio, lampeggia lo sguardo, squilla e tuona la voce per esigere rispetto e riparazione. Tutt'altra è l'umiltà insegnata da Cristo quando ci dice: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), e ciò non in teoria, ma in concreto: maledetto non maledisse, maltrattato non minacciava (Is 53,7)» (Pelagio).

Colombano Vuilleumier, La misteriosa umiltà, 7-9

 

 

Contraffazioni dell'umiltà

 

 


«Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto». A sentire queste parole del Vangelo, durante una Messa nella cripta sopra la grotta di Lourdes, Maurice Caillet rimase attonito. Erano le stesse che aveva sentito quindici anni prima, nel 1970, il giorno della sua iniziazione come Apprendista nella Loggia "Perfetta Unione" di Rennes, Grande Oriente di Francia, una delle più antiche Logge transalpine. Nel silenzio successivo, sentì una voce che gli chiedeva di offrire qualcosa in cambio del beneficio che andava cercando in quel luogo sacro. Pensò di dover offrire se stesso. «Mi ripresi in qualche modo – racconta Caillet nelle sue memorie – quando il sacerdote alzava l'Ostia, nella quale per la prima volta in vita mia riconobbi Gesù sotto le sembianze di un umile pezzo di pane. Era la Luce che avevo cercato invano nel corso di molteplici iniziazioni».

 

Una specie di folgorazione. «Alla fine della Messa, seguii il sacerdote in sacrestia e, senza molti preamboli, gli chiesi il battesimo». Caillet non era arrivato lì come pellegrino. Nato nel 1933 in una famiglia bretone anticlericale, era cresciuto nell'ostilità verso ogni cosa che sapesse anche vagamente di 'cattolico'. Laureatosi in medicina, specializzatosi in urologia e ginecologia, si era associato a Planned Parenthood, la lobby multinazionale abortista, impegnandosi nella promozione della contraccezione e – benché non fosse ancora legalizzata – nella pratica della sterilizzazione sia maschile che femminile.

 

Divorziato dalla prima moglie, nel fatidico maggio 1968 aveva bussato a Rue Cadet 16 a Parigi, sede del Grande Oriente di Francia, chiedendo l'ammissione alla Libera Muratoria. Richiesta, accettata, che lo avrebbe portato nel giro di non molti anni a salire la scala iniziatica: Apprendista, Compagno, Maestro, nel 1973 Vigilante di una nuova Loggia fondata a Rennes, un anno dopo Venerabile Maestro, quindi deputato al 'convento', l'assemblea nazionale del Grande Oriente. Infine l'iniziazione agli alti gradi del Rito Scozzese Antico e Accettato, sino al diciottesimo, quello di Cavaliere Rosa-Croce. Parallelamente, l'ascesa era stata anche professionale, grazie all'aiuto di innumerevoli "fratelli" sparsi nelle strutture sanitarie e ammini-strative locali: da specialista rinomato a direttore di un'altrettanto rinomata clinica privata, poi l'iscrizione al Partito Socialista e, con l'arrivo all'Eliseo di François Mitterrand nel 1981, la nomina in una commissione del ministero della Salute.

 

Nel mentre, Caillet si era anche distinto come primo medico a praticare aborti in Bretagna, dopo la depenalizzazione della cosiddetta 'interruzione di gravidanza' nel 1975, arrivando a polemizzare sulle pagine di Le Monde direttamente con l'illustre genetista Jerôme Lejeune. Un curriculum impeccabile, insomma. Fino a quella visita fatta a Lourdes, dove Caillet si era deciso a portare la compagna Claude, da mesi a letto per una malattia misteriosa, alla ricerca non di una "grazia", ma di un contatto con quelle forze telluriche che anche l'Iniziazione – René Guénon docet – riconosce attive in molti santuari e luoghi sacri. Forze banalmente interpretate dai cattolici bigotti come influssi mariani. Se non che, mentre il Cavaliere Rosa-Croce sperava in un influsso benefico per Claude, cattolica non praticante ma con una fede mai del tutto sopita, lei dal freddo delle piscine in cui era immersa pregava per la conversione di Maurice. Ottenendo, alla fine, il vero miracolo.

 

Di questa vicenda e di come abbia sconvolto la sua vita, con l'abbandono traumatico della Massoneria, Caillet ha voluto parlare per esteso in un libro da poco uscito in Spagna, Yo fui masón (LibrosLibres, pagine 188, euro 18), Sono stato massone. Trattasi di un racconto dall'interno – e per questo piuttosto raro – del mondo delle Logge e della vita nel Grande Oriente di Francia. Una descrizione dei riti iniziatici, una testimonianza oculare dell'odio anticattolico coltivato nel GOF e, non ultimo, dell'efficacia della Massoneria nel dettare la propria agenda politica. Racconta Caillet, fra i tanti episodi: «Dopo la sua elezione nel mese di maggio [ 1974] Valery Giscard d’Estaing, oltre alla nomina di Jacques Chirac come primo ministro, prese come consigliere personale Jean- Pierre Prouteau, Gran Maestro del Grande Oriente di Francia… al ministero della Salute collocò Simone Veil, giurista, già deportata ad Auschwitz, che aveva come consigliere il già citato [e massone] Pierre Simon, con cui tenevo una corrispondenza.

 

I politici erano già rodati… e il progetto di legge sull'aborto venne elaborato rapidamente». Infine il ricordo, drammatico, di come la solidarietà massonica possa tramutarsi in un'implacabile tagliola per gli apostati: dal mobbing che costrinse sia Caillet che la compagna (poi, dopo lunghe traversie, sposata in Chiesa) alle dimissioni dal proprio posto di lavoro, con l'impossibilità di reinserirsi nella sanità pubblica, alle minacce di morte fatte pervenire da ex-"fratelli". Un quadro che, come spiega l'autore in un'intervista concessa una radio cattolica, porta inevitabilmente a chiedersi: «Dopo la legge del 1905 sulla separazione della Chiesa dallo Stato, a quando una legge per la separazione dello Stato dalla Massoneria?». Bella domanda.

Dal giornale Avvenire del 16 gennaio 2009

 

La conversione del massone

 


di Andrea Galli

 

1. L'Eucaristia ci unisce con il Salvatore, questa unione produce la rassomiglianza e ci predispone a gustare quanto Egli è dolce; questo gusto ci dona un piacere e questo piacere, infine, è la più forte attrazione d'amore verso Gesù Cristo. E di fatto, per quale altro fascino la bellezza e la bontà toccano, guadagnano e attraggono i cuori, se non per il piacere che esse causano, la bellezza quando si contempla e la bontà quando la si gusta?

 

2. Ma dove possiamo trovare le parole per descrivere queste ineffabili dolcezze, queste deliziose comunicazioni di luce di cui l'Eucaristia è la vera fonte? Potremo mai riassumere tutte quelle cose di cui i santi Padri, dopo averne fatto esperienza, hanno scritto? Potremo mai finire di spiegare tutte le figure con le quali i libri sacri prefiguravano l'Eucaristia? «L'anima fedele – disse s. Macario (Homil. IV), sente, gusta, esperimenta nella s. Comunione, dei beni celesti e dei piaceri inesprimibili, essa ci rivela delle ricchezze immense che non ha mai visto, né l'orecchio inteso».

 

«O anima! – è così che s. Bernardo fa parlare il Salvatore – o anima! Non hai tu conosciuto per esperienza, che ricevendomi, tu gusti il miele con il raggio che lo racchiude, la dolcezza della mia divinità unita al mio corpo e al mio sangue?»

 

Tutte le opere dei Padri sono piene degli stessi sentimenti. Per quanto riguarda la Sacra Scrittura, essa ci fa intendere abbastanza, attraverso i simboli di cui si serve quando parla dell'Eucaristia, quanto questo cibo divino sia delizioso. Talvolta ne parla come di un vino squisito, altre volte di alimento delicato o come di un pane fatto di puro frumento. Quando essa ci invita alla s. Comunione, è come a un gran dono, ad un magnifico banchetto, è l'invito alla festa delle nozze di un re (cf Lc 14,16). In una parola, i Padri e i teologi applicano a questo pane celeste tutte le volte che la Scrittura parla di vino, di latte, di miele e di tutto ciò che c'è di più dolce e di più squisito in materia di cibo e di bevande. Possiamo vedere questo nel trattato sull'Eucaristia di s. Alberto Magno.

 

6. [………]  perché il Salvatore ci avrebbe donato con il suo corpo, il suo sangue e la sua anima, anche la sua divinità per essere alimento delle nostre anime, se non volesse farcene gustare la dolcezza? Sono consapevole, però, che molte persone si comunicano senza queste consolazioni interiori della grazia, ma fuori dai tempi in cui il buon Dio priva di queste dolci consolazioni le anime pie, per provarle e purificarle, se noi non le sentiamo è solo perché siamo ancora troppo attaccati ai piaceri dei sensi.

 

 

Perché, come rimarca s. Alberto Magno nel suo Trattato sull'Eucaristia, occorre che ci sia una corrispondenza armonica tra l'alimento e chi se ne nutre perché mangiandone possa goderne del gusto. Tutti gli uomini non hanno gli stessi gusti, hanno gusti differenti secondo la diversità dei temperamenti e una rigetta come insipido ciò che un altro ritiene gustoso. Parimenti, l'uomo spirituale gusta con piacere quello che viene dallo spirito di Dio. Al contrario, l'uomo naturale e carnale – secondo s. Paolo – è incapace di gustare queste cose (cf 1 Cor 2,14). È per questo che se voi voleste esperimentare queste delizie, cessate di essere naturali e carnali e diventate soprannaturali e spirituali; se voi volete gustare Gesù Cristo, sforzatevi di rassomigliargli!

 

Per ciò che è il piacere che produce la conoscenza dei grandi beni che questo Sacramento racchiude, esso è alla portata di tutti. Non occorre altro che stimare i beni della grazia, desiderare la propria salvezza e santificazione, sospirare verso il cielo, e ricordarsi che questo Sacramento è la sorgente di tutte le ricchezze spirituali, che esso è il mezzo più proprio per soddisfare tutti i nostri desideri. La gioia non mancherà mai di farsi sentire ad un cuore che si avvicina con queste disposizioni alla sacra mensa.

P. Luc Vaubert sj

 

Trattato della Santa Comunione

 

PARTE PRIMA – CAPITOLO TERZO:  Il desiderio di Gesù Cristo nell'Eucaristia portare a perfezione la carità per mezzo della dolcezza che ci fa gustare.