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Esercizi Spirituali
INDICE
Per recuperare l’innocenza battesimale
Dell’anima che fa professione a Dio
Di lode e di rendimento di grazie
Di riparazione per i peccati e
di preparazione alla morte
Esercizi Spirituali di s. Gertrude la grande
primo esercizio per recuperare l’innocenza battesimale
Per poter presentare al Signore, alla fine della tua vita, immacolata la tunica dell’innocenza battesimale e integro e illeso il sigillo della fede cristiana, impegnati, in un tempo stabilito, specialmente a Pasqua e a pentecoste, a celebrare la memoria del Battesimo. Desidera pertanto rinascere in Dio attraverso la santità di una vita nuova ed essere restituita a una nuova infanzia, e dì:
Dio abbia pietà di me e mi benedica; faccia splendere il suo volto su di me ed abbia pietà di me [Sal 66,2]. Il mio cuore lo benedica con ogni sincerità e verità. Il mio cuore lo benedica con ogni sincerità e verità. Al cospetto del Signore frema la terra [Sal 113,7] del mio cuore, nello spirito della sua bocca sia ricreato e rinnovato il mio spirito, così che il suo Spirito buono mi guidi in terra piana [Sal 142,10].
Leggi poi il simbolo della fede, il “Credo in Dio”, pregando il Signore di farti rinunciare perfettamente a satana e di conservarti in una fede retta, viva e integra, sino alla fine della tua vita.
Preghiera:
Signore Dio, compassionevole e veritiero, mio Creatore e Redentore, che mi hai contraddistinto facendo splendere su di me la luce santa del tuo volto [Sal 4,7], che mi hai redento al caro prezzo del sangue del tuo Unigenito e mi hai rigenerato alla speranza di vita [cf 1Pt 1,3] grazie al Battesimo nella potenza del tuo Spirito: fa’ che io rinunci efficacemente con cuore vero, perfetto e integro, a satana, a tutte le sue seduzioni e a tutte le sue opere, e che io creda fedelmente in te, Dio mio creatore, per Gesù Cristo tuo Figlio, che è via, verità e vita [Gv 14,6], nella potenza dello Spirito santo, con fede retta e fervida, coronata da opere apportatrici di vita, fammi aderire a te e perseverare con te sino alla fine in modo irremovibile. Amen.
Come segno della tua fede, dì:
Trinità Santa, Padre, Figlio e Spirito Santo, la tua divina onnipotenza regga e confermi la mia fede, la tua divina sapienza la istruisca e la illumini, la tua divina bontà la aiuti e la porti a perfezione, affinché io possa riconsegnarla immacolata e integra al tuo cospetto nell’ora della mia morte, arricchita da abbondanti guadagni e interessi di tutte le virtù.
Per l’esorcismo, prega il Signore che nella potenza del suo nome ti faccia con prudenza vincere e distinguere tutte le astuzie di satana, affinché il nemico non goda mai prevalendo su di te [Sal 40,12], ma in ogni tentazione si ritiri sopraffatto e confuso al primo assalto.
Preghiera:
Signore Gesù Cristo, grande pontefice, che con la tua preziosa morte mi hai fatto vivere, scaccia via da me [exsuffo soffio che spazza via], nella potenza del tuo Spirito, tutte le insidie del nemico con l’efficacia della tua presenza: Spezza in me tutti i lacci di satana e per riguardo alla tua misericordia allontana da me ogni cecità del cuore. La tua perfetta carità, o Cristo, mi faccia virilmente trionfare in ogni tentazione. La tua santa umiltà mi insegni a evitare prudentemente tutti gli agguati del nemico. La tua luminosa verità mi guidi e mi faccia camminare davanti a te nella sincerità e con cuore perfetto. E la benedizione della tua indulgentissima misericordia mi preceda, mi segua e mi custodisca, sino alla fine della mia vita.
Con queste parole ti farai il segno della santa croce sulla fronte e sul petto:
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Da te, mio amore crocifisso, Gesù dolcissimo, io riceva il segno della santa croce tanto sulla fronte quanto nel cuore, per vivere in eterno sotto la tua protezione. Dammi una fede viva nei tuoi celesti precetti, perché io corra con cuore dilatato sulla via dei tuoi comandi [Sal 118,32]. Grazie a te, possa io essere tale nella mia condotta da meritare di divenire tempio di Dio e dimora dello Spirito Santo. Amen.
A questo punto domanda con insistenza che lo stesso sommo sacerdote, il Signore Gesù Cristo, imponga su di te la sua mano, affinché tu abiti in eterno al riparo dell’Altissimo e dimori sotto la protezione del Dio del cielo [Sal 90,1].
All’ombra della mano proteggimi [cf Is 49,2], o Gesù che ami immensamente: la tua destra mi prenda con sé [cf Sal 62,9]. Aprimi la porta della tua pietà,affinché, recando impresso il sigillo della sapienza, io sia priva in verità di ogni desiderio terreno e al soave profumo dei tuoi precetti ti serva lieta nella tua santa Chiesa e di giorno in giorno io progredisca di virtù in virtù [cf Sal 83,5]. Amen.
Perché il Signore ti dia un angelo come guida del tuo cammino:
O Gesù, Principe della pace, Angelo del Gran Consiglio [cf Is 9,6], tu in persona sii sempre alla mia destra come guida e custode del mio pellegrinaggio, affinché io non vacilli ed erri lontano da te. Degnati anche di mandare dai cieli il tuo angelo santo, che sotto la tua amorevole attenzione si prenda cura di me e mi diriga in ciò che ti è gradito e sulla tua via mi riconduca perfetta a te stesso [cf Es 23,20]. Amen.
Per salutare e accogliere l’angelo:
Salve, santo angelo di Dio, custode della mia anima e del mio corpo, per il dolcissimo Cuore di Gesù Cristo, Figli odi Dio, per amore di Colui che creò te e me, per amore di Colui che mi affidò a te nel Battesimo, accoglimi sotto la protezione della tua fedelissima paternità. Col tuo aiuto, possa io attraversare il torrente di questa vita percorrendo un sentiero immacolato sono al giorno in cui lieta, insieme con te, giungerò a vedere quel dolcissimo volto che tu vedi e la sublime bellezza della maestà divina che supera la dolcezza di ogni soavità.
A questo punto pregherai che la tua bocca sia riempita con il sale della sapienza, perché tu possa assaporare nello Spirito Santo il gusto della fede [il riferimento qui è ad un rito battesimale che oggi non si usa più]:
Che io riceva da te, Gesù dolcissimo, il sale della sapienza e lo spirito di intelligenza per poter giungere con il loro sostegno alla vita eterna. Amen.
Preghiera:
Fammi gustare la soavità del tuo spirito, fammi aver fame della tua volontà, fammi conoscere ciò che a te piace, perché il mio servizio ti sia sempre gradito. Amen.
Facendoti il segno della santa croce sulle orecchie e sulle narici, pregherai il Signore di aprire le orecchie del tuo cuore alla sua legge [2Mac 1,4] e di riempire tutto il tuo intimo col profumo della sua conoscenza [2Cor 2,14].
O Gesù, mio tenerissimo pastore, fa’ che io, indegna pecorella, sempre segua e riconosca la tua dolcissima voce [Gv 10,27] e nel soavissimo profumo di una fede viva corra ai pascoli della vita eterna, dove io possa in eterno dedicarmi a vedere quanto tu sei veramente soave, o mio Signore [Sal 45,11; 33,9].
Prendendo nella tua mano destra il vessillo della croce che ci dona salvezza per poter vincere il nemico, dì:
O Gesù che ami immensamente, poni il segno della tua santa croce nella mai mano destra,affinché io avanzi sempre con la mano armata da questa insegna contro tutte le insidie del nemico, circondata dal tuo aiuto come da un baluardo. Amen.
Conclusione:
Mi benedica l’onnipotenza di Dio Padre. Mi benedica la sapienza del Figlio. Mi benedica la carità assai benigna dello Spirito Santo e mi custodisca per la vita eterna. Amen.
Pregherai poi la Vergine madre di ottenerti lei stessa un perfetto rinnovamento di vita e di divenire lei, venerabile rosa, tua madre e madrina in questa grazia in modo tale che tu sia per lei una vera figlia nella condotta di vita. prega lei, gemma di castità, di conservare la tua anima immune da ogni macchia per il suo Figlio, re e Signore, tenendola avvolta nel manto della sua purezza, sotto la sua dolcissima protezione. Pregala di far iscrivere il tuo nome nella magnifica eredità degli eletti di Israele, affinché tu abbia parte con quelli che camminano nell’innocenza del cuore [cf Sal 83,13], ponendo sempre il Signore davanti ai loro occhi in tutte le loro vie [cf Sa 15,8]
Salve Maria, Regina di clemenza, olivo di misericordia, grazie alla quale è venuta a noi la medicina della vita, Regina di clemenza, Vergine Madre del germoglio divino, grazie alla quale è venuto a noi il Figlio della luce del cielo, l’odoroso virgulto di Israele. Come attraverso tuo Figlio sei stata resa vera madre di tutti coloro di cui lo stesso tuo unico Figlio non disdegnò di farsi fratello, così ora per amore di lui accogli me, benché indegna, tra le cure del tuo amore materno; aiuta tu la mia fede, conservala e istruiscila, e sii ora madrina del mio rinnovamento e della mia fede in modo da essere in eterno la mia unica e tenerissima madre, curandomi sempre con amore in questa vita e accoglimi nella pienezza della tua maternità nell’ora della morte. Amen.
Per l’imposizione del nome:
Scrivi il mio nome, o Gesù dolcissimo, sotto il tuo nome che stilla miele, nel libro della vita. Di’ all’anima mia: “Tu sei mia; io, tua salvezza [cf Sal 34,3] ti ho riconosciuta; ormai non sarai più chiamata ‘Abbandonata’, ma ‘Mio compiacimento’, [cf Is 62,4] affinché la mia sorte sia con te in perpetuo nella terra dei viventi [Sal 141,6].
Per l’immersione nel fonte [cf Gv 4,10; 7,37-38; 19,34; 1Gv 5,6]:
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
O Gesù, fonte di vita, fammi bere alla tua stessa sorgente il calice dell’acqua viva, affinché, dopo aver gustato te, io non abbia in eterno sete di nient’altro che te! Immergimi interamente nelle profondità della tua misericordia. Battezzami nel candore immacolato della tua preziosa morte. Rinnovami nel tuo sangue, con cui mi hai redento. Con l’acqua del tuo santissimo costato lava ogni macchia con cui posso aver contaminato l’innocenza battesimale. Riempimi del tuo Spirito e possiedimi interamente nella purezza del corpo e dell’anima. Amen.
Per l’unzione con il sacro crisma, prega il Signore che ti insegni ogni cosa [cf Gv 14,26; 1Gv 2,27]:
Padre Santo, che il tuo Figlio, il Signore Nostro Gesù Cristo, mi ha rigenerato dall’acqua e dallo Spirito Santo, concedimi oggi la piena remissione di tutti i peccati e degnati di ungermi con il crisma del tuo Spirito per la vita eterna. Amen. LA tua pace sia con me in eterno. Amen.
A questo punto, fa’ il segno della santa croce sul petto e sulle spalle dicendo:
Per amore del tuo amore fammi portare sempre sulle mie spalle il giogo soave e il carico leggero [Mt 11,30] dei tuoi precetti e recare in perpetuo sul mio petto il simbolo della sacra fede come se fosse un sacchetto di mirra [Ct 1,12], affinché lì possa dimorare tu, per me crocifisso, sempre infisso nel mio cuore. Amen.
Per la veste bianca dì:
O Gesù, sole di giustizia, fa che io mi rivesta di te [cf Rm 13,14], perché possa vivere secondo te; sotto la tua guida fammi conservare candida, sanata e immacolata la veste dell’innocenza battesimale e fa’ che la presenti intatta davanti al tuo tribunale per poterla avere per la vita eterna. Amen.
Ricevendo il cero acceso, pregherai per l’illuminazione interiore:
O Gesù, luce inestinguibile, accendi in me la lampada ardente della tua carità in modo che non possa mai spegnersi, e insegnami a custodire il mio Battesimo in modo irreprensibile, affinché quando, da te chiamata, giungerò alle tue nozze, possa meritare, essendo pronta, di accedere alle delizie della vita eterna, per vedere te, vera luce, e il soavissimo volto della tua divinità. Amen.
Pe ricevere la comunione al vivificante corpo e sangue dell’Agnello immacolato, Gesù Cristo:
Il tuo venerabile Corpo e il tuo Sangue prezioso, Signore mio Gesù Cristo, custodiscano il mio corpo e la mia anima per la vita eterna. Amen. La tua pace sia con me. In te, o Gesù, pace vera, possa io avere in eterno pace su pace, per giungere attraverso di te a quella pace che supera ogni conoscenza [Fil 4,7] là dove ti vedrò in te stesso, pieno di letizia, in eterno. Amen.
In quella comunione desidera che tutta la tua vita sia nascosta con Cristo in Dio [cf Col 3,3] e che nell’ora della morte ti si trovi giunta alla piena perfezione in lui.
O dolcissimo ospite della mia anima, mio carissimo Gesù, la tua soave venuta nel mio corpo con la santa comunione sia oggi per me remissione di tutti i miei peccati e riparazione di tutte le mie negligenze e valga a recuperare tutto ciò che la mia vita ha sperperato. Essa sia per me salvezza eterna, rimedio dell’anima e del corpo, fiamma che fa divampare l’amore, rinnovamento della virtù e conclusione della mia vita in te per l’eternità.
Sia per me libertà di spirito, salute della vita, decoro dei costumi. Sia per me scudo della pazienza, insegna dell’umiltà, sostegno della fiducia, consolazione nella tristezza, aiuto per la perseveranza. Sia per me armatura della fede, forza della speranza, perfezione della carità, adempimento dei tuoi comandi, rinnovamento dello spirito, santificazione nella verità [Gv 17,17] e perfetto compimento di tutta la vita religiosa.
Essa sia per me origine delle virtù, fine dei vizi, crescita di ogni bene e testimonianza perenne del tuo amore affinché, permanendo soltanto col corpo in questo pellegrinaggio, ma pervasa di avidità in tutte le facoltà del pensiero, la mia memoria si rivolga sempre là dove tu sei la mia parte migliore [cf Lc 10,42]. Così, al termine della mia vita, gettata via l’amarissima scorza di questo corpo, potrò giungere a quella dolcissima mandorla, dove nella nuova stella della tua umanità glorificata vedrò la sfolgorante luce della tua eccelsa divinità, dove la splendida rosa del tuo dolce volto mi ristorerà con la sua sovrana bellezza, dove, deposti i fastidi di questa vita, parteciperò piena di gioia al tuo banchetto in eterno, ed esulterò tra le ricchezze del tuo amore come una sposa gioisce tra le delizie del suo re. Amen.
Per la confermazione:
O re vittorioso, Gesù sacerdote altissimo, confermami tu con la tua onnipotente virtù, cingendomi, o vero prode, con la spada dello Spirito Santo [cf Sal 44,4; Eb 6,17] affinché, vincendo sempre le mille frodi di satana, io vinca in te.
Conclusione:
Signore Dio, che sei a tal punto mio Creatore da essere anche Colui che mi riporta alla forma originaria, rinnova oggi il tuo Santo Spirito nel mio intimo [cf Sal 50,12] e iscrivimi tra il tuo popolo di adozione come discendente di una nuova prole, perché con i figli della promessa io possa gioire di aver ricevuto per grazia quanto non ho per natura.
Rendimi grande nella fede, gioiosa nella speranza, paziente nella tribolazione, fa’ che mi diletti nella tua lode, che sia pervasa dal fervore dello Spirito, che serva fedelmente te, Signore Dio, mio vero re, e che perseveri con te nella vigilanza sino alla fine della mia vita, affinché quello che ora credo nella speranza possa allora vederlo nella realtà, piena di gioia, con i miei occhi; fa’ che ti veda così come sei, che ti veda faccia a faccia [cf 1Cor 13,12]. Là, caro Gesù, saziami di te! Là, godendo la visione del tuo dolce volto, possa io trovare perpetua pace. Amen. Amen. Amen.
Il Dio fedele, l’Amen vero [cf Ap 3,14 e 2Cor 1,19-20], che non vien mai meno, mi faccia provare una sete infuocata dell’Amen caro per mezzo del quale egli attira, mi faccia gustare soavemente l’Amen dolce, per mezzo del quale egli sazia; mi faccia trovare felicemente la mia pienezza in quell’Amen salvifico, per mezzo del quale egli porta e perfezione, così che io meriti di sperimentare in modo efficace, in perpetuo, quell’Amen eterno e soavissimo, grazie al quale credo che vedrò dopo questo esilio lo stesso vero Amen, Gesù, Figlio di Dio, che da solo basta a chi ama e che insieme al Padre e allo Spirito Santo dona ogni bene e non disprezza quanto ha creato.
Amen. Amen. Amen.
Con questa preghiera affida al Signore la tua fede e la tua innocenza battesimale:
Gesù mio dolcissimo, conserva tu per me nella camera del tuo Cuore tanto benevolo il candore immacolato dell’innocenza battesimale e il documento scritto della mia fede, affinché, sotto la tua fedele custodia, te li ripresenti intatti nell’ora della mia morte. Imprimi anche il sigillo del tuo Cuore sul mio cuore, affinché io possa vivere secondo te e giungere senza ostacolo a te, dopo questo esilio, nella gioia.
Esercizi Spirituali di s. Gertrude la grande
secondo esercizio della conversione spirituale
Ogni volta che, rinnovato il tuo buon proposito, vorrai celebrare la memoria della tua prima conversione [si tratta della decisione di entrare in monastero abbandonando ogni cosa], con cui rinunciasti al mondo, e convertire a Dio il tuo cuore con tutte le sue energie, serviti di questo esercizio, pregando Dio di edificarti per sé come un monastero dell’amore e di tutte le virtù.
O Gesù amatissimo del mio cuore, si sa con certezza che nessun frutto spirituale può crescere se non è irrorato dalla rugiada del tuo Spirito e nutrito dalla forza del tuo amore: abbi dunque tanta pietà di me, da accogliermi tra le braccia del tuo amore e riscaldarmi tuta quanta con il tuo spirito. Ecco il mio corpo e la mia anima: li consegno a te, perché tu li possieda.
O mio Diletto, o mio Diletto, effondi su di me la tua benedizione. Aprimi [cf Ct 1,3; 2,1; 5,2] e introducimi nella pienezza della tua soavità. Con tutto il cuore e l’anima, infatti, desidero te e ti prego di essere tu solo a possedermi. Io sono tua e tu mio: fa’ che io cresca, nel fervore sempre nuovo dello spirito, nel tuo amore generoso e che, per tua grazia, fiorisca come i gigli delle valli lungo i corsi d’acqua.
A questo punto prega la Vergine Madre di intercedere lei stessa per te:
O candido giglio, che dopo Dio sei la mia più grande speranza, o Maria dolcissima, parla con benevolenza in mio favore davanti al tuo Figlio diletto, di’ per me una parola efficace. Difendi fedelmente la mia causa. Ottienimi per la tua misericordia ciò che desidero, poiché confido in te, o mia unica speranza dopo Cristo. Mostrati a me come madre colma di bontà. Fa’ che io sia accolta dal Signore nel chiostro dell’amore, nella scuola dello Spirito Santo, poiché tu più di chiunque altro hai il potere di ottenere questo dal tuo Figlio diletto. Madre fedele, provvedi a tua figlia, così ch’io possa divenire il frutto di un amore sempre vivo, crescere in ogni santità e perseverare irrorata dal cielo.
Qui invoca la grazia dello Spirito Santo, perché ti faccia progredire nella vita religiosa:
Vieni, Santo Spirito, vieni o Dio Amore, riempi il mio cuore, privo, haimè, di ogni bene. Infiammami, perché io ti ami. Illuminami, perché io ti conosca. Attirami, perché io trovi in te le mie delizie. Conquistami, perché io possa godere di te.
Qui esci dal mondo e da tutto ciò che non è il dolce Gesù, tuo amore:
Chi mi darà, o Gesù che ami immensamente, ali come di colomba, e volerò nel desiderio, bramando trovare riposo in te? [Sal 54,7].
A questo punto nasconditi in Cristo Gesù:
O Gesù splendente di gloria, per l’amore con cui, Dio fatto uomo, sei venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto [Lc 19,10], entra ora in me, o mio Diletto, e a mia volta introducimi in te. Nascondimi nella roccia sicurissima della tua difesa paterna. Nella fenditura [cf Ct 2,14] del tuo teneressimo Cuore ponimi al riparo da tutto ciò che non è te, o tu che sei il più caro tra tutto quanto è caro! Concedimi inoltre di aver parte con il popolo di Israele, affinché la mia eredità sia l’essere insieme a te tra le figlie di Gerusalemme. Amen.
Qui prostrati ai piedi di Gesù:
Benedicimi, o Gesù che ami immensamente, benedicimi e abbi pietà di me secondo la misericordia del tuo Cuore così colmo di benevolenza. Che l’anima mia scelga di non sapere nient’altro che te, e che sotto la disciplina della tua grazia, lasciandomi istruire dalla tua unzione [cf 1Gv 2,27], io progredisca nella scuola del tuo amore rettamente, con vigore e con intensità.
Per indossare l’abito spirituale:
O Padre Santo, nell’amore con cui hai impresso su di me, come fosse un sigillo, la luce del tuo volto [cf Sal 4,7], concedimi di progredire in te in ogni santità e virtù.
Cristo Gesù, nell’amore con cui mi hai redenta con il tuo stesso sangue, rivestimi della purezza della tua vita innocentissima [cf Ap 5,9; 1Gv 1,7; 1Pt 1,19; Eb 9,14].
Onnipotente, santo Paraclito, nell’amore con cui mi hai segnato per te con un nome spirituale, concedimi di amare te con tutto il cuore, di aderire a te con tutta l’anima, di spendere tutte le mie forze nel tuo amore e nel tuo servizio, di vivere secondo il tuo Cuore e nell’ora della mia morte concedimi di accedere senza macchia, preparata da te, alle tue nozze.
Prega la vergine Madre che ti faccia lei stessa da guida nella vita religiosa o nel tuo altro stato di vita:
O Maria, madre di Dio e mia tenera madre, vestimi tu con il vello di colui che è l’Agnello vero, Gesù, affinché colui che è l’Amore per eccellenza tramite te mi riceva, nutra, possieda, regga e porti a perfezione. Amen.
Qui offri il voto di castità al tuo Sposo celeste:
O Gesù dolcissimo, te solo ho prescelto come fedele amante della mia anima, come miglior compagno della mia vita. Per te si strugge il mio animo. A te offro l’amore del mio cuore, scegliendo te per compagno e per guida. Ti offro il mio corpo e la mai anima mettendoli al tuo servizio, poiché io sono esclusivamente tua e tu sei proprio mio.
Congiungimi a te, o amore vero: a te offro la mia castità, poiché tu sei tutto dolce e attraente, uno sposo pieno di delizie. A te faccio voto di obbedienza, poiché la tua paterna carità mi seduce, la tua tenerezza e la tua dolcezza mi attraggono. Mi vincolo a te, assumendomi l’obbligo di osservare la tua volontà, poiché aderire a te è amabile sopra ogni cosa, amare te è straordinariamente dolce e desiderabile. Io mi offro a te, o unico del mio cuore, affinché d’ora in poi io viva per te solo, poiché non ho trovato niente di più dolce, non ho giudicato niente di più fruttuoso che essere unita a te, mio Diletto, nella più stretta intimità. Plasma il mio cuore secondo il tuo Cuore, affinché io meriti di vivere integralmente secondo il tuo beneplacito
Responsorio: Ho disprezzato il regno del mondo e ogni onore terreno per amore del mio Signore Gesù Cristo, che ho contemplato, che ho amato, in cui ho creduto, che ho prediletto [Responsorio dell’Ufficio di S. Agnese utilizzato nel rito della consacrazione delle vergini].
Versetto: Ha effuso il mio cuore una buona parola, io canto le mie opere al re, che ho contemplato, che ho amato, in cui ho creduto, che ho prediletto.
Responsorio: Vero autore e custode della purezza, che, nato da una vergine, suscitasti in tutti noi il santo amore della castità, o Cristo, modello, speranza e corona delle vergini, per intercessione della beatissima Vergine Maria, conservami casta nella mente e nel corpo.
Versetto: Sorgente della vita [Sal 35,10] e fonte della luce perpetua e beatissimo autore di ogni bontà.
Preghiera:
O Dio onnipotente ed eterno, guarda propizio alle nostre preghiere e concedi a noi tuoi servi, che in onore del tuo nome ci siamo raccolti nell’unità di una stessa e sola carità: fede retta, speranza incrollabile, umiltà vera, devozione santa, carità perfetta, sollecitudine, costanza e perseveranza nel compiere il bene. E per i meriti e l’intercessione di tutti i santi concedi a noi che nei nostri cuori vi sia un affetto semplice, una pazienza forte, una religione pura e senza macchia [Gc 1,27], una gradita obbedienza, una pace perpetua, una mente pura, una coscienza santa, la compunzione dello spirito, la forza dell’anima, una vita senza macchia, che giunga irreprensibile al suo compimento, così che, correndo con vigore, meritiamo di entrare felicemente nel tuo regno. Amen.
Esercizi Spirituali di s. Gertrude la grande
terzo esercizio di sposalizio e consacrazione
In questo modo celebrerai il matrimonio spirituale, il connubio dell’amore, lo sposalizio e l’unione della tua anima casta con Gesù, lo Sposo celeste, mediante il vincolo indissolubile della dilezione.
Voce di Cristo all’anima:
Volgiti a guardar chi sono, o mia colomba [Ct 2,10; 5,2]: io sono Gesù, il tuo dolce amico. Aprimi l’intimo del tuo cuore. Io in verità vengo dalla terra degli angeli, sono bello di aspetto [Sal 44,3]. Io sono lo splendore del sole divino. Io sono il fulgidissimo giorno di primavera che solo sempre risplende e non conosce tramonto. La maestà della mia gloria, che supera ogni essenza, riempie il cielo e la terra, e la sua ampiezza può misurarla soltanto l’eternità. Io solo porto sul mio capo il diadema imperiale della mia gloriosa divinità. Io son cinto di una corona intrisa del mio sangue, quel sangue roseo che ho versato per te. Non esiste al di sopra del sole né al di sotto chi sia simile a me [Es 15,11]. A un cenno della mia mano escono, candidi come gigli, i cori delle vergini. E io le precedo nel coro della vita eterna, tra le delizie della mia divinità. Io le ristoro con l’ameno godimento di una letizia primaverile. Nondimeno, non disdegno di abbassare i miei occhi verso questa valle da cui posso raccogliere viole senza macchia. Colei che dunque mi vorrà amare, io voglio farla mia sposa e amarla teneramente e con passione. Io le insegnerò il cantico delle vergini che risuona dalla mia gola con tanta dolcezza, che al sentirlo ella sarà costretta a unirsi a me con il vincolo quanto mai soave dell’amore. Quello che io sono per natura, ella lo diventerà per grazia. La avvicinerò a me nell’abbraccio dell’amore, stringendola al cuore della mia divinità, affinché, per virtù del mio ardente amore, si sciolga come la cera di fronte al fuoco [Sal 67,3]. Mia diletta colomba, se vuoi essere mia, è necessario che tu mi ami con dolcezza, sapienza e forza, per poter soavemente sperimentare in te tutto questo.
L’amore sveglia l’anima:
Su, svegliati, o anima: fino a quando sonnecchierai? Ascolta la parola che ti annuncio. Al di sopra del cielo c’è un re che è avvinto dal desiderio di te. Con tutto il cuore ti ama e ti ama senza misura. Egli ti ama con tanta tenerezza, ti ha cara con tanta fedeltà, che, per te, ha lasciato umilmente il suo regno. Cercando te, sopportava di essere arrestato come un ladro. Egli ama te così di cuore, a te vuole un bene così ardente, di te è geloso con tanta efficacia, da consegnare gioiosamente per te alla morte il suo corpo giovane e bello. Egli è colui che ha lavato col suo sangue, che ti ha liberato con la sua morte. Fino a quando aspetterà che tu ricambi il suo amore? Egli ha stimato te ben più cara che il suo onore. Egli ha amato te più del suo nobile corpo, che per te non ha assolutamente risparmiato. Quel dolce amore, perciò, quella soave carità, quel fedele amante, esige da te reciproco amore: Se vuoi accettare senza indugio tutto ciò, è pronto a sposarsi con te. Affrettati perciò a rivelargli la tua scelta.
Voce dell’anima che si offre a Dio:
Io sono orfana e senza madre, sono indigente e povera [Sal 85,1]. All’infuori di Gesù non ho nessuna consolazione. Egli solo può saziare la sete della mia anima: Egli è l’amico preferito ed unico del mio cuore. Egli è il Re dei re e Signore dei signori [1Tm 6,16; Ap 19,16]. Se lui, altissimo imperatore, ha voluto mostrare la sua clemenza a me misera, a quanto mai spregevole; se lui vuole agire con me secondo la su misericordia, secondo la sua infinita pietà, questo è dovuto unicamente alla sua bontà e dipende dalla sua volontà buona. Io sono sua, esclusivamente sua; egli ha nella sua mano il mio corpo e la mia anima. Egli faccia di me qualsiasi cosa piacerà alla sua bontà. Chi mi concederà di divenire una persona secondo il suo Cuore, così che egli trovi in me tutto ciò che desidera conformemente al suo ottimo beneplacito? [Gb 23,3] Solo questo potrebbe rallegrarmi e consolarmi. O Gesù, unico diletto del mio cuore, dolce amante, diletto, diletto, diletto al di sopra di ogni cosa che mai sia stata diletta, dietro a te, o giorno primaverile ricco di vita e di fiori, sospira e languisce l’amoroso desiderio del mio cuore. Oh, se mi fosse concesso di esserti unita più strettamente, così che da te, vero sole, potessero germogliare i fiori e i frutti del mio progresso spirituale! Con fiduciosa speranza ti ho atteso [Sal 39,2]. Vieni dunque a me come la tortora alla sua compagna. Hai ferito l’intimo del mio cuore con il tuo splendore e la tua bellezza [Ct 4,9; Sal 44,5]. Diletto mio, Diletto mio, se non sarò unita a te, non potrò mai essere lieta in eterno. Orsù, amico, amico, amico, porta a compimento il tuo desiderio perché si realizzi.
Voce di Cristo:
Nel mio Santo Spirito ti farò mia sposa, con inscindibile unione ti stringerò a me. Tu sarai mia ospite e io ti rinchiuderò all’interno della mia vivida dilezione. Ti rivestirò con la nobile porpora del mio prezioso sangue [1Pt 1,19]; ti incoronerò con l’oro fino della mia amara morte. Sarò io stesso a realizzare il tuo desiderio e così ti renderò lieta per sempre.
Segue la consacrazione con l’anima fedele a Cristo per intero si consacra, si offre e si fidanza a lui, unico Sposo, per presentarsi come vergine casta a Cristo [2Cor 11,2], volendo aderire fedelmente al medesimo suo Sposo celeste nell’osservanza della verginità o della castità, con cuore puro, con corpo casto, con un amore che la tenga così unita a lui, da non essere inquinato dall’affetto per nessuna creatura. E per prima cosa canta in lode dello Sposo:
Chi è come te, Signore mio Gesù Cristo, dolce amore mio, che sei eccelso e immenso, eppure guardi verso ciò che è umile [Sal 112,5-6]? Chi è simile a te tra i potenti, Signore, che scegli nel mondo ciò che è debole [Es 15,11, 1Cor 1,27]? Chi è come te, che hai fondato il cielo e la terra, a cui i Troni e le Dominazioni prestano servizio e che vuoi riporre le tue delizie tra i figli degli uomini [Pr 8,31]? Quanto sei grande tu, Re dei re e Signore dei signori [1Tm 6,15; Ap 19,16], che comandi agli astri e rivolgi verso l’uomo il tuo cuore [Gb 7,17]? Chi sei tu, nella cui destra sono ricchezza e gloria [Pr 3,16]? Tu sei colmo di delizie e hai una sposa presa dalla terra? O amore, fin dove abbassi la tua maestà? O amore, dove conduci la fonte della sapienza [Pr 18,4]? Di certo fino all’abisso della miseria. O amore, per te solo, per te solo è questo vino eccellente e abbondante [cf Est 1,7] da cui è vinto e inebriato il Cuore di Dio.
Prova dell’amore:
Questo è il nostro Dio, che ci ha amato [1Gv 4,10] con un amore invincibile, con una carità inestimabile, con una dilezione che non conoscerà mai separazione. Per questo motivo si è preso dalla nostra terra la sostanza del suo corpo per divenire lui stesso sposo e per avere una sposa; egli ci ha amato con tutto se stesso: amare lui significa essere divenuta sua sposa.
Venite, venite, venite.
Vengo, vengo, vengo a te Gesù che ami immensamente, che ho amato, che ho cercato, che ho desiderato: grazie della tua dolcezza, tua tenerezza, amandoti con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la forza, seguo te che mi chiami: non deludermi, ma trattami secondo la tua mansuetudine e secondo l’immensa misericordia
Con questa litania invoca l’aiuto di tutti i santi:
O fonte dei lumi eterni, Santa Trinità che sei Dio, con la tua divina onnipotenza fortificami, con la tua divina sapienza dirigimi, con la tu a divina bontà rendimi conforme al tuo Cuore.
Padre dei cieli, Re dei re, degnati di celebrare in me le nozze col re tuo Figlio.
Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, si unisca a te il mio amore, perché sei tu il mio Re e il mio Dio [Sal 5,3; 83,4].
Spirito Paraclito, con quel vincolo d’amore con cui ci unisci il Padre e il Figlio, unisci per sempre cuore a Gesù.
Santa Maria, Madre del re Agnello, dello Sposo delle vergini, introducimi alla comunione di vita con tuo Figlio Gesù nella purezza del cuore e del corpo.
Voi tutti santi Angeli e Arcangeli, ottenetemi di accedere con purezza angelica al talamo di Gesù, mio Sposo.
Voi tutti, santi Patriarchi e Profeti, ottenetemi tanta e tale carità, quale è quella che Gesù, mio Sposo, esige da me.
Voi tutti, santi Apostoli, pregate perché io possa sperimentare il bacio della dolcissima bocca del Verbo del Dio vivo, che le vostre mani hanno toccato [Ct 1,1; 1Gv 1,1].
Voi tutti santi Martiri, ottenetemi una intensità di desiderio così accesa che io possa meritare di andare con a palma del martirio incontro a colui che porta una corona di rose e di gigli.
Voi tutti, santi testimoni della fede, ottenetemi di imitare in ogni perfezione e santità la condotta di vita di Gesù, mio Sposo.
Voi tutte, sante vergini, pregate me, affinché con amore castro io meriti di fare il nido, come una tortora, nella ferita d’amore del mio Sposo Gesù [cf Ger 48,28; Sal 83,8].
O Santi tutti, ottenetemi di entrare alle nozze dell’Agnello [Ap 19,7] così degnamente preparata come lo fu ciascuno di voi quando entrò per vedere il volto di Dio.
Sii propizio e rendimi conforme al tuo Cuore, o Signore.
Sii propizio e liberami da tutto ciò che mi è d’intralcio nell’unione con te, o Signore.
Per la tua incarnazione, fa’ che io ti ami con tutto il cuore, con dolcezza, sapienza e forza.
Per la tua gloriosa risurrezione ed ammirabile ascensione, fa’che di giorno in giorno io progredisca di virtù in virtù [cf Sal 83,8].
Nell’ora della morte, soccorrimi per tutte le viscere della tua misericordia [cf Lc 1,78] e inondami di gioia dinanzi al tuo volto [Sal 20,7], Signore.
Nel giorno del giudizio la mia anima non tema di udire parole di sventura [Sal 111,7]; fammi invece udire la tua voce gloriosa [Is 30,30]: “Venite, benedetti del Padre mio” [Mt 25,34].
Per colei che ti ha generato, fa’ che io, come vera sposa, sperimenti l’unione del tuo casto amore: noi peccatori ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu ti degni di conservare in me, per te stesso, integro e illibato il proposito di castità che ti offro, custodendolo come pupilla dell’occhio [Sal 16,8]: ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu ti faccia sperimentare nell’amore sponsale e nell’abbraccio nuziale quanto sei grande e chi sei: ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu mi conceda la caparra del tuo Spirito con la dote del più sincero amore: ti preghiamo, ascoltaci.
Perché nell’ora della morte tu mi faccia venire incontro a te come sposa incontro allo Sposo, con la veste nuziale, la lampada accesa, nel numero delle vergini prudenti [Mt 25,1ss]: ti preghiamo, ascoltaci.
Perché con il bacio della tua bocca [Ct 1,1] che stilla miele tu mi introduca come tua sposa nel talamo del tuo festoso amore: ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu faccia sì che tutte noi che ti serviamo in questo luogo amiamo te con tutto il cuore, aderiamo a te inseparabilmente e piacciamo a te nella perpetua trasparenza della mente e del corpo: ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu ci faccia chiedere quello che a te piace esaudire ti preghiamo, ascoltaci.
Gesù Figlio del Dio vivo, esaudiscici nella efficacia del tuo amore divino.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo [Gv 1,29], cancella tutti i miei peccati, secondo l’abbondanza della tua misericordia [Sal 50,3].
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, supplisci tu con la tua carità inestinguibile a tutto ciò che io ho trascurato.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, nell’ora della mia morte lascia che io vada in pace [cf Lc 2,29], così che ti veda faccia a faccia [1Cor 13,12].
Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison.
Preghiera:
O Gesù, sposo coronato di fiori , come la morte trasferisce l’anima lontano dal corpo, così il tuo amore trasferisca in te il mio cuore, perché io aderisca a te con vincolo inscindibile.
Versetto: Accoglimi [cf Sal 118,116], o mio Gesù, nell’abisso della tua misericordia e lavami da ogni macchia nella tua clemenza senza limiti. Accoglimi, o Gesù, nell’abbraccio della tua cooperazione, perché io meriti di essere congiunta a te nell’alleanza di una perfetta unione. Accoglimi, o mio Gesù, nel soavissimo connubio del tuo amore: lì fammi sperimentare il bacio della tua bocca che stilla miele [Ct 1,1].
Preghiera per la perfetta castità dell’anima e del corpo [cf prefazio del rito della consacrazione delle vergini]:
“O Dio, che nella tua benignità abiti nei corpi casti e nelle anime incorrotte, Dio, che nel tuo Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto, restauri la natura umana viziata nei primi uomini a causa della frode del diavolo e la restauri in modo tale che non solo la richiami all’innocenza della sua prima origine, ma anche la conduci all’esperienza dei beni che si possederanno nel mondo futuro, e già elevi alla somiglianza con gli angeli chi è ancora limitato dai legami della condizione mortale: volgi il tuo sguardo su di me, indegna tua serva, che pongo nella tua mano il proposito della mia castità, offro la mia consacrazione a te, da cui ho ricevuto il medesimo voto che ti offro.
Quando, infatti, l’animo rivestito di carne mortale, potrebbe vincere la legge della natura, la libertà di fare quanto è lecito, la forza della consuetudine e gli stimoli dell’età, se tu, attraverso il libero arbitrio, non accendessi nei nostri cuori questo desiderio e non ne somministrassi la forza? La tua grazia, infatti, è stata effusa su tutti i popoli e ha adottato gli eredi della nuova alleanza da ogni nazione che è sotto il cielo, in seguito, hai infuso diverse virtù nei tuoi figli, i quali non da sangue, né da volontà della carne, ma dal tuo Spirito sono stati generati [Gv 1,13]. Tra le altre virtù, anche questo dono, sgorgato dal fonte della tua generosità, si è riversato su alcune anime, in modo che, benché nessun divieto avesse diminuito l’onore delle nozze e rimanesse intatta l’originaria benedizione sul santo vincolo coniugale, sorgessero tuttavia delle anime ulteriormente eccelse, che nel legame tra l’uomo e la donna non si curassero dell’unione nuziale, ma ne bramassero il mistero di cui essa è sacramento, e senza imitare quanto avviene nelle nozze, ne amassero il significato che esprimono.
La santa verginità riconobbe il suo autore, ed emula dell’integrità angelica [cf Mt 22,30], si consacrò al talamo e alla stanza nuziale di colui che è sia figlio della verginità perpetua, sia sposo della verginità perpetua. A me dunque che imploro il tuo aiuto, Signore, e desidero essere fortificata dal sacramentale della tua benedizione, dona il sostegno e la guida della tua protezione, affinché l’antico nemico, che per guastare i propositi più elevati escogita insidie sottili, non si insinui a motivo di una qualche negligenza della mia mente per offuscare la palma della perfetta continenza e non possa affatto strapparmi dal proposito della castità, che si addice anche ai costumi delle vedove.
Sia in me, o Signore, per dono del tuo Spirito, una prudente modestia, una saggia affabilità, una nobile dolcezza, una casta libertà. Ch’io sia fervente nella carità, che non ami nulla al di fuori di te, che viva in modo degno di lode senza desiderio di essere lodata. Ch’io glorifichi te nella santità del corpo, te nella purezza dell’anima; ch’io voglia bene a te con amore, ch’io serva te con amore. Sii tu per me l’onore, tu la gioia, tu il piacere, tu nell’afflizione il sollievo, tu il consiglio nell’incertezza. Sii tu nell’ingiuria la difesa, nella tribolazione la pazienza, nella povertà l’abbondanza, nel digiuno il cibo, nella veglia il sonno, nella malattia la medicina.
In te io abbia tutto, in te che desidero amare al di sopra di tutto, e possa custodire in te ciò di cui ho fatto professione. Al fine di piacere a te, che scruti i cuori, non nel corpo, ma nell’anima, ch’io passi nel numero delle vergini sapienti per aspettare lo Sposo celeste con la lampada accesa e con l’olio già pronto; senza turbarmi all’improvviso arrivo del re, ma sicura con il mio lume io corra incontro festosa al coro delle vergini che lo precedono e non sia chiusa fuori con le stolte, ma mi sia lecito entrare nella sala regale con le vergini sapienti, e possa io rimanere per sempre in compagnia del tuo Agnello, mantenendomi a lui gradita nella castità. Per lo stesso Signore”.
Per ricevere spiritualmente il velo, dì:
Responsorio: Il Signore mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con l’abito della gioia. E come una sposa mi ha adornata di corona [cf Is 61,10].
Versetto: Il Signore mi ha rivestita di una veste intessuta d’oro [cf Sal 44,10] e mi ha ornata di innumerevoli gioielli. E come una sposa mi ha adornata di corona.
Preghiera:
O mio Diletto, eletto tra mille, fammi riposare all’ombra della tua carità coprendomi con il vello immacolato del tuo candore. Lì riceverò dalla tua mano il velo della purezza, che, grazie alla tua guida e alla tua direzione, porterò senza ombra di macchia davanti al tribunale della tua gloria, con il frutto centuplicato [cf Lc 8,8] di una castità che sia il più puro specchio dell’innocenza.
Per l’imposizione della corona:
Antifona: Ha posto un segno sul mio volto, perché non ammetta nessun altro amante all’infuori di lui.
Responsorio: Amo Cristo, nel cui talamo sono entrata, la cui madre è vergine, il cui padre non conosce donna, la cui voce per me canta con suoni melodiosi. E una volta che l’ho amato, sono casta, l’ho toccato e sono pura, l’ho accolto e sono vergine.
Versetto: Miele e latte [cf Ct 4,11] ho ricevuto dalla sua bocca e il suo sangue ha ornato le mie gote. E una volta che l’ho amato, sono casta, l’ho toccato e sono pura, l’ho accolto e sono vergine.
Preghiera:
O Gesù, mio fratello [Ct 8,1] e Sposo, Re grande, Dio e Agnello, poni, poni sul volto della mia anima un segno tale che io sotto al sole non scelga nulla, non desideri nulla, non ami nulla all’infuori di te. E tu stesso, o carissimo fra tutti coloro che mi sono cari, degnati di unirti a me con il patto del matrimonio spirituale in modo tale che io divenga tua vera sposa e consorte in virtù di quell’amore inseparabile che è più forte della morte [Ct 8,6].
Per l’anello:
Antifona: Mi ha dato in pegno il suo anello colui che è di gran lunga più nobile di tutti gli uomini per origine e dignità.
Responsorio: Già il suo corpo è unito al mio corpo, e ha ornato le mie gote il sangue di colui la cui madre è vergine, il cui padre non conosce donna.
Versetto: Sono stata data in sposa a colui a cui gli angeli rendono servizio, la cui bellezza ammirano il sole e la luna.
Preghiera:
O mio Gesù, frutto e fiore della purezza verginale, parte migliore della mia eredità e mia dote regale, che mi hai dato in pegno l’anello della fede, il sigillo dello Spirito, rendimi atta a te, mio vivo giglio, amenissimo fiore. Fa’ che io sia unita al tuo ardentissimo amore in modo così indissolubile che, per la violenza del desiderio amoroso di essere con te, io abbia sete di morire; e il patto che hai sancito con me trasferisca da me il mio cuore, affinché ormai non sia più con me, ma dimori insieme con te con amore indivisibile.
Responsorio: Ho disprezzato il regno del mondo e ogni gloria terrena per amore del mio Signore Gesù Cristo, che ho visto, che ho amato, in cui ho creduto, che ho scelto.
Versetto: Il mio cuore ha effuso una buona parola: io canto al re le mie opere. A lui, che ho visto, che ho amato, in cui ho creduto, che ho prescelto.
Preghiera:
Dona, ti preghiamo, Dio onnipotente, a me, indegna tua serva, che nella speranza dell’eterna ricompensa desidero essere consacrata a te, Signore, di perseverare in questo santo proposito con piena fede e animo costante. Degnati, Padre onnipotente, di santificarmi e di benedirmi, e di consacrarmi per sempre. Conferiscimi l’umiltà, la castità, l’obbedienza, la carità e la somma di tutte le opere buone. Donami, Signore, gloria per le opere, riverenza per il riserbo, santità per la castità, affinché io possa lodare in terno con i tuoi santi angeli la tua gloriosissima maestà. Amen.
Per la benedizione del Vescovo, chiedi di essere benedetta dall’intera Trinità imperiale:
Mi benedica e cooperi con me la dolce paternità di Dio Padre e la sua divina maestà. Mi benedica e unisca a sé la dolce paternità di Gesù Cristo Dio e la consanguineità per cui si è fatto vicino agli uomini. Mi benedica e renda feconda la dolce benevolenza dello Spirito Santo e la sua ardente carità. Mi benedica,confermi e fortifichi l’intera Trinità imperiale.
Mi benedica e congiunga a sé la gloriosa umanità di Gesù Cristo, che si è degnato di scegliermi per sé dal mondo, dimostrando con la sua morte di amarmi molto, e che mi ha fatto sposa del suo amore. Così, per la sua salvifica, viva e dolcissima benedizione potrò appropriarmi della perfezione di tutte le virtù, custodire integra e immacolata la castità, di cui ho fatto voto, mantenere il proposito, dimostrare umiltà, amare la castità, conservare la pazienza e perseverare in ogni santità sino alla fine; e dopo questa vita potrò meritare di ricevere la corona della castità, rivestita dell’abito candido tra le schiere simili a gigli, seguendo te, Agnello senza macchia, Figlio di Maria Vergine, dovunque tu, fiore delle vergini, vada [Ap 14,4-5].
Ora prega che il Signore, nella sua bontà, ti affidi a sua madre, la Vergine Maria, pura come un giglio, come se fosse lei l’abbadessa, perché ti custodisca ed egli possa riceverti un giorno dalla mano di lei
O diletto dei miei voti, o Gesù carissimo tra tutti coloro che mi sono più cari, consegnami e affidami ora a tua madre, la virginea rosa imperiale, la quale per amor tuo sia in eterno guida e custode della mia verginità. Consegnami a quelle mani delicate che nutrirono ed educarono te, Figlio di Dio Padre, affinché siano esse a custodire e difendere il proposito della mia castità, conducendomi senza macchia sulla via della purezza verginale o della continenza dei casti. Te ne prego, parla di me a quella virginea rosa e di’:
“Accogli costei sotto la cura della tua maternità: io l’affido a te in tutta la forza della mia divina carità. O madre, ripresentale a me immacolata e riconsegnamela educata secondo il tuo Cuore. Amen.
Per l’inno “Ti lodiamo, Dio”, esprimi le tue lodi alla Trinità sempre degna di venerazione, con la preghiera:
A te, Trinità Santa, da cui splende la divinità viva, stilla la vita, l’amore e la sapienza, da cui emana la potenza primigenia, la sapienza coessenziale, la soavità che si effonde, la carità ardente come fuoco, la santità che si estende, la bontà che tutto riempie; a te lode, onore e gloria, a te azione di grazie, potenza e splendore come offerta votiva, per il fatto che tu, come alto cedro del Libano, che estendi al di sopra dei cherubini la regale maestà della divinità, nell’abisso di questa valle di miseria ti compiaci di unirti a una canna di issopo in un abbraccio nuziale, con amore sponsale. E tu, o Dio Amore, legame e amicizia della Santa Trinità, tu scendi a riposarti e a deliziarti tra i figli degli uomini nella santa castità, che per effetto della tua forza d’amore risplende per le tue sante delizie come una rosa raccolta tra piante spinose.
O amore, amore, per dove si va a questi luoghi ameni? Per dove si giunge a questi ricchi pascoli dello Spirito? Dov’è, dov’è la via della vita che conduce ai prati aspersi dalla rugiada che è Dio, i quali ristorano i cuori assetati? O amore, tu solo conosci quei sentieri della vita e della verità. In te si realizzano le care alleanze della Santa Trinità. Attraverso di te sono effusi i carismi migliori dello Spirito. Da te si moltiplicano in abbondanza i semi più fecondi dei frutti della vita. Da te scorrono le più dolci qualità del miele delle delizie di Dio. Da te fluiscono, stillando goccia a goccia nell’abbondanza, le benedizioni del Signore degli eserciti, cari pegni dello Spirito, troppo rari, ahimè, ahimè, nelle nostre contrade.
O amore, o amore, nella bella dilezione, prepara a me la via verso di te: nella casta virtù ti seguirò in eterno dovunque andrai, nell’amore dell’alleanza nuziale, là dove tu, regnando e comandando nella perfettissima maestà della divinità, nella dolcissima unione del tuo vivo amore e nella viva amicizia della tua infuocata divinità, conduci con te nella beatissima danza celeste fulgidissime migliaia di vergini, ornate con te di un’unica veste candida come neve, che intonano con giubilo i dolci cantici delle nozze eterne. O amore, custodiscimi in questa miseria all’ombra della tua carità in modo che, dopo questo esilio, entrando senza macchia nel tuo santuario dietro la tua guida, tra quelle schiere di vergini, mi ristori un solo ruscelletto della divina amicizia e mi sazi un solo godimento, dolce come il miele.
Amen, amen: così dicano tutte le cose.
Esercizi Spirituali di s. Gertrude la grande
quarto esercizio dell’anima che fa professione a Dio
Celebrerai spiritualmente nel rinnovamento di un nuovo fervore la professione, ovvero il voto, con questi ardentissimi desideri e preghiere, offrendoti interamente a Dio come olocausto e sacrificio di soave profumo [Ef 5,2].
Supplico la tua immensa misericordia, o Padre onnipotente, misericordioso, clemente, pietoso, benevolo e capace di far prevalere la tua bontà sulla nostra malvagità [Gl 2,3], perché oggi ti degni di volgere il tuo sguardo colmo di misericordia e di carità su di me, arido ramoscello – che non ho saputo curare, ahimè, ahimè, il tempo della mia potatura [cf Ct 2,12], con la quale mi hai innestato [cf Rm 6,5] in questa santissima famiglia religiosa, ma ho trascorso tutto il tempo della mia vita in una grande sterilità [cf Lc 13,6-9] –; ti supplico per la tua innata bontà, per amore di tua madre, che hai prediletto, la Vergine Maria, nostra gloriosissima patrona, e per intercessione del beatissimo Benedetto, nostro venerabile legislatore: fa’ che, riprendendo totalmente forza in te, io torni a verdeggiare di freschezza e, santificata nella verità [cf Gv 17,17] rifiorisca. Concedimi di coltivare con cura la santa vita religiosa, di osservare fedelmente i doveri della vita spirituale e di portare frutti di ogni virtù e santità a te, che mi ami, affinché nel tempo della vendemmia, cioè nel giorno della mia morte, io sia trovata al tuo cospetto pienamente matura e giunta totalmente al vertice della perfezione religiosa. Amen.
Per la benedizione:
La tua divina onnipotenza, sapienza e bontà, Dio mio, dolce amor mio, mi benedica e mi faccia venire dietro di te con volontà prontissima, rinnegare veramente me stessa [Mt 16,24; Lc 9,23] e seguire te in modo perfettissimo, con totale sollecitudine del cuore, dello spirito e dell’anima.
Qui invoca la grazia dello Spirito Santo:
O mia dolcezza e mio amore, Dio mio, misericordia mia [cf Sal 58,18]. Ti prego, manda dal cielo il tuo Santo Spirito e crea in me un cuore nuovo e uno spirito nuovo [cf Sal 50,12; Ez 11,19; 18,31]. La tua unzione mi insegni ogni cosa [cf 1Gv 2,27], poiché ti ho scelto a preferenza di mille [cf Ct 5,10] e tu sei caro al mio cuore più di ogni altro amore, più della mai stessa vita. La virtù della mia anima abbondi di quella magnificenza e bellezza della carità che tu ricerchi, poiché ti desidero con passione. Fammi comparire dignitosamente innanzi a te! Amen.
Antifona: Venite figlie.
Ed ecco, io vengo a te, che ho amato, in cui ho creduto, a cui ho scelto di riservare il mio amore.
Preghiera:
O mio diletto, ti stringo al mio cuore, Gesù mio, con l’abbraccio inscindibile della carità. Ecco che ormai ti tengo stretto,avvinto a me con tutto l’amore del mio cuore [Ct 8,2; 3,4]; quand’anche mi avessi benedetto mille volte, non ti lascerò mai più andar via [Gen 32,27].
Antifona: Venite figlie.
Ed ecco, io vengo a te, che ho amato, in cui ho creduto, a cui ho scelto di riservare il mio amore.
Preghiera:
Tutta l’efficacia e la potenza della tua divinità di lodi per me; tutta l’amicizia e l’affetto della tua umanità ti dia soddisfazione per me, tutta la magnificenza e la maestà dell’augusta Trinità, ti magnifichi e ti onori in te stesso per me, con quell’altissima lode per cui tu solo basti a te stesso, e colmando di te l’imperfezione di tutte le creature le porti alla perfetta pienezza in te. Amen.
Antifona: Ascoltatemi, vi insegnerò il timore del Signore [Sal 33,12].
Preghiera:
O Gesù, Buon Pastore [Gv 10,11], fa’ che io ascolti e riconosca la tua voce [cf Gv 10,3-4], distinguendola da tutto ciò che mi distoglie da te. Sollevami sul tuo braccio. Fa’ che io, tua pecora, resa feconda dal tuo Spirito, possa riposare sul tuo petto [cf Is 40,11]. L’ insegnami come temerti. Lì mostrami in che modo amarti. L’ istruiscimi sulla maniera di seguirti. Amen.
Antifona: Accostatevi a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti [Sal 33,5].
Preghiera:
Ecco, mi accosto a te, o fuoco divorante, Dio mio. Nell’infuocata forza del tuo amore, divorando me, granellino di polvere, consumami completamente e assorbimi in te. Ecco, mi accosto a te, mia dolce luce. Fa’ splendere la luce del tuo volto su di me, affinché le mie tenebre siano come il meriggio innanzi a te [Sal 118,135; Is 58,10]. Ecco, mi accosto a te, o beatissima unità. Ti prego, fa’ di me una sola cosa con te nel vincolo vivo del tuo amore.
Salmo: Del Signore è la terra [Sal 23].
Antifona: Questa è la generazione di chi cerca il Signore, di chi cerca il volto del Dio di Giacobbe [Sal 23,6].
Preghiera:
Fa’, o dolce Gesù, che io sia iscritta e contata nella generazione di coloro che cercano il tuo volto, Dio di Giacobbe, nella generazione di coloro che amano te, Dio degli eserciti. Con mani innocenti e cuore puro [Sal 23,4] possa io ricevere benedizione e misericordia da te, Dio mia salvezza [Sal 23,5].
Salmo: Pietà di me, o Dio [Sal 50].
Antifona: Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova nel mio intimo uno spirito retto [Sal 50,12].
Preghiera:
Tuffami e immergimi completamente nell’abisso della tua carità. O amore, dona gratuitamente, purificandomi da ogni macchia nel lavacro della grazia; rinnovami in te, o mia vera vita.
Salmo: Chi abita al riparo [Sal 90].
Antifona: Chi abita al riparo dell’Altissimo, dimorerà sotto la protezione del Dio del cielo [Sal 90,1].
Preghiera:
Sostegno dell’anima mia e mio rifugio nel giorno della sventura, in ogni tentazione proteggimi all’ombra delle tue ali, circondami con lo scudo della verità [Sal 90,5]. Tu stesso sii con me in ogni mia tribolazione; o mia speranza, difendimi e proteggimi sempre da ogni pericolo dell’anima e del corpo. E dopo questo esilio mostrami te stesso, mia dolce salvezza. Amen.
Litania:
Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison.
Santa Trinità unico Dio, concedi che il mio cuore ti tema, ti ami, ti segua, poiché tu sei il mio vero amore.
Santa Maria, paradiso di santità, giglio di purezza, sii tu guida e custode della mia castità, poiché in te ogni grazia di vita e di verità [cf Sir 24,25].
Voi tutti santi Angeli e Arcangeli, ottenetemi di prestare corpo e anima un servizio gradito a quel Re, servire il quale è regnare, alla cui presenza voi state, rendendogli servizio senza alcun tedio, con ineffabile gioia.
San Giovanni Battista, ottienimi di essere illuminata da quella luce vera, a cu itu venisti a rendere testimonianza [cf Gv 1,7].
O padre mio Abramo, ottienimi quella fede e obbedienza che ti condusse all’amicizia del Dio vivente [cf Gen 15,6; 22,18; 26,5].
O Mosè, caro a Dio, ottienimi quello spirito di mansuetudine, di pace e di carità, che ti rese degno di conversare faccia a faccia con il Signore della maestà [cf Es 33,11].
O Davide, re e profeta venerabile, ottienimi quell’integrità di fedeltà, di prontezza e di umiltà che ti rese un uomo secondo il Cuore di Dio [1Sam 2,35], così da essere veramente gradito e caro al re divino.
Voi tutti, santi Patriarchi e Profeti, ottenetemi lo spirito di comprensione e di intelligenza.
San Pietro, principe degli Apostoli, con la tua autorità scioglimi dai vincoli di tutti i miei peccati.
San Paolo, strumento eletto del Signore [At 9,15], ottienimi il dono del vero amore.
O mio caro Giovanni, discepolo che Gesù amava [Gv 13,13; 19,26; 21,7.20], ottienimi quella pietà, purezza e santità di spirito che desidera trovare in me il fiore e il Figlio di quel giglio di cui tu eri il delicato custode.
Voi tutti, santi Apostoli, fratelli e amici [Gv 15,15] di Gesù Crito mio Sposo, ottenetemi di essere a lui unita da una carità indissolubile.
Santo Stefano, che fosti scelto per essere il primo martire, ottienimi di aver sete del martirio per amore di Cristo, affinché venga in aiuto anche a me proprio colui che a te in punto di morte elargì il suo conforto [cf At 7,55ss].
San Lorenzo, soldato mai vinto, ottienimi quell’amore più forte della morte, grazie al quale tu vincesti il fuoco e il carnefice.
San Giorgio, fiore dei martiri, ottienimi nel servizio di Dio uno spirito che non venga mai sconfitto.
Santi Martiri tutti, ottenetemi una mite pazienza, affinché sia pronta ad esporre per amore di Gesù il corpo e la vita.
San Gregorio, pastore apostolico, ottienimi di vigilare con perseveranza nel proposito della santa vita religiosa sino alla fine dei miei giorni.
Sant’Agostino, specchio della Chiesa, ottienimi di vivere interamente per Dio e per la Chiesa.
O eccelso fondamento di tutta la vita religiosa, padre mio Benedetto, amato da Dio, ottienimi tanta costanza d’animo nell’austerità della vita spirituale, da poter ricevere con te il premio della vita eterna.
Voi tutti, santi Testimoni della fede, ottenetemi di essere rivestita di gloria e di bellezza [Sal 95,6] in modo tale che tutta la mia vita e le mie azioni diano lode al Signore per le espressioni della sua compassione in ogni opera.
Santa Caterina, ferita dalla carità divina, ottienimi di disprezzare tutto quanto è terreno e di desiderare Gesù solo.
Sant’Agnese, tenera seguace dell’Agnello, ottienimi di amare con carità infuocata il mio Sposo Gesù; tu ti glori infatti di essere tenuta stretta dal suo amore, di aver ricevuto il pegno della sua fedeltà e di essere entrata nel suo talamo.
Santa Maria Maddalena, ardentissima amante di Gesù Cristo, ottienimi di essere diligentissima nell’osservanza della vita monastica.
Voi tutte sante Vergini e Vedove, ottenetemi di progredire a tal punto in ogni santità della vita spirituale da poter giungere a fruttificare il cento per uno [Mt 13,8.23].
Voi tutti, santi ed eletti di Dio, ottenetemi una osservanza della vita monastica così attenta e profonda che mi consenta di arrivare insieme con voi a quella patria della vita eterna, che non conosce altro che gioie, dove Dio è tutto.
Sii benigno verso i miei peccati e le mie negligenze, Signore, e degnati di colmare con la tua perfettissima esistenza terrena tutte le mancanze della mia vita lasciata andare in rovina.
Dalla pusillanimità di spirito e dal turbamento, da ogni perversità e sensualità del cuore, da ogni cecità e sterilità della mente, da ogni negligenza e malvagità della condotta di vita: liberami, Signore.
Per tutte le viscere della tua paterna misericordia [cf Lc 1,78], donami l’intelletto e istruiscimi riguardo al proposito di questa vita religiosa – che ora professo dinanzi a te – poiché riconosco di non essere nulla senza di te.
Per colei che ti ha generato, conducimi sulla via immacolata, affinché io ti sia gradita nel corpo e nell’anima.
Io, tua figlia indegna e prodiga, che, ahimè, a causa dei miei peccati ho perso il nome di figlia, ti prego, confidando nella tua paterna pietà: per l’abbondanza della tua misericordia volgiti a me [Sal 68,17] e, cancellando tutte le mie empietà, esaudiscimi.
Perché tu ti degni di donarmi nella santa vita religiosa uno spirito che non si lasci mai abbattere, un cuore compunto, un animo risoluto e un corpo adatto, ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu ti degni di infondere in me la grazia, il gusto e l’amore della vita spirituale, ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu mi faccia rinunziare perfettamente al mondo e aderire a te con totale dedizione, ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu mi renda capace di osservare fedelmente i principi di questa santa vita religiosa e mi conceda di perseverare in questo proposito, ti preghiamo, ascoltaci.
Perché tu ti degni di donare a tutti noi, che ti serviamo in questo luogo, l’unità dello spirito nel vincolo della carità e della pace [Ef 4,3], e perché ti degni di condurci dopo questa vita al premio promesso della tua gloria, ti preghiamo, ascoltaci.
Perché in virtù di tutta l’autorità della tua divinità tu ti degni di assolvermi da tutti i peccati e di confermarmi nel santo proposito, e con tutta la tenerezza della tua umanità tu voglia mostrarti clemente nei miei riguardi ed esaudirmi completamente in tutte queste suppliche, ti preghiamo, ascoltaci.
Gesù, Figlio del Dio vivo, a te solo è noto tutto l’oggetto del mio desiderio: rendimi conforme al tuo Cuore, ti preghiamo, ascoltaci.
Agnello di Dio, su questa via per la quale cammino, tienimi stretta la mano destra [cf Sal 72,24], affinché io non venga meno.
Agnello di Dio, fa’ che io porti a compimento fedelmente, col tuo aiuto, ciò che ho iniziato nel tuo nome. Agnello di Dio, non mi siano d’ostacolo i miei peccati, ma la tua misericordia mi faccia progredire in tutte queste cose che ti ho chiesto.
Cristo, esaudiscimi e nell’ora della morte fammi gioire nella tua salvezza.
Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison.
Preghiera:
O Dio, che con arte e perizia pianti e custodisci tutte le virtù, fa’ che io, benché indegna, come un minuscolo granellino preso dalla tua vera semente, cresca vigorosamente nel proposito della santa vita religiosa e arrivi a produrre fino a mille volte il frutto della vita più perfetta e perseveri fedelmente e instancabilmente nel tuo santo servizio sino alla fine della mia vita.
Invoca l’aiuto della divina sapienza con questo responsorio:
Responsorio: Manda, Signore, la sapienza dal trono della tua gloria, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica: perché io sappia che cosa è gradito ai tuoi occhi in ogni tempo [cf Sap 9,4.10].
Qui darai al Signore la cedola della tua professione [la cedola è un foglio in cui il novizio benedettino scrive di suo pugno i suoi voti] dicendo:
Gesù, mio dilettissimo, desidero abbracciare insieme a te la regola dell’amore, per poter rinnovare e trascorrere la mia vita in te. Ti prego, poni la mia vita sotto la custodia del tuo Santo Spirito, affinché io sia trovata in ogni tempo prontissima ad eseguire i tuoi comandi. Assimila a te i miei comportamenti: consolidami nel tuo amore e nella tua pace. Racchiudi i miei sensi nella luce della tua carità, affinché tu solo mi insegni, mi conduca e mi istruisca nell’intimo del cuore. Assorbi il mio spirito nel tuo spirito così potentemente e così profondamente che io sia veramente tutta sepolta in te e nell’unione con te io mi separi da mie stessa, e nessun altro all’infuori del tuo amore conosca la mia sepolture in te. Qui l’amore mi rinchiuda con il suo sigillo e mi faccia appartenere esclusivamente e a te con vincolo indissolubile. Amen.
Qui rivolgiti al Signore, considerando quale sia la prima obbedienza che il suo amore ti impone:
Il mio Diletto mi grida: “mettimi come sigillo sul tuo cuore e sul tuo braccio, poiché forte come la morte è l’amore” [Ct 8,6].
Preparati a incamminarti con prontezza con il Signore sulla via del bell’amore [Sir 24,24], con il responsorio:
Responsorio: Che io ami te, Signore, mia forza: Il Signore è il mio sostegno, il mio rifugio e il mio liberatore [cf Sal 17,1].
Versetto: Lodando il Signore, lo invocherò, e sarò salvo dai miei nemici [Sal 17,4]. Il Signore è il mio sostegno, il mio rifugio e il mio liberatore.
Per ricevere il giogo della Santa Regola:
Accoglimi, Padre Santo, nella tua clementissima paternità, perché nello stadio di questo santo proposito, in cui per amor tuo ho iniziato a correre, possa ricevere te stesso come premio [cf 1Cor 9,24] ed eterna eredità.
Accoglimi, Gesù che ami immensamente, nella tua tenerissima fraternità: porta tu con me tutto il peso della giornata e del caldo [Mt 20,12] e io trovi in te il sollievo di tutta la mia fatica, il compagno del mio viaggio, la mia guida e il mio alleato.
Accoglimi, Spirito Santo, Amore che sei Dio, nella tua amorevolissima misericordia e carità: ch’io trovi in te il maestro e il precettore di tutta la mia vita e il dolcissimo amante del mio cuore. Amen.
Qui prostrati davanti al Signore:
Kyrie eleison. Christe eleison. Kyrie eleison.
Salmo: Pietà di me o Dio [Sal 50,3].
Dì:
Vengo ai tuoi piedi, Padre d’immenso amore. Ecco, i miei peccati mi hanno separato da te. Secondo l’abbondanza della tua misericordia abbi pietà di me e abbatti il muro della mia vita passata che mi impedisce di essere con te. Attirami a te con tanta violenza, che io ti segua per amore e con gusto, conquistata dalla dolcezza del tuo inestinguibile affetto.
Preghiera:
O Gesù compassionevole, dal momento che il volere è alla mia portata, ma non sono in grado di attuarlo [cf Rm 7,18], converti a te la mia anima dalla fragilità della condizione umana, con l’aiuto della tua grazia, attraverso la legge immacolata del tuo amore, affinché correndo instancabilmente sulla via dei tuoi precetti [Sal 118,32] e aderendo inseparabilmente a te, tu sia con me, o mio Signore, aiutandomi sempre e rinfrancandomi nell’opera che ho intrapreso per amore dell’amore tuo.
Per l’imposizione del santo abito pronuncia questa preghiera:
O nobile amore, vieni dove io, canna ignobile, ma resa simile a un giglio fiorito sotto il tuo sguardo, sono stata piantata dalla destra della tua eminentissima divinità, nella profondissima valle della santa umiltà, lungo il corso d’acqua della tua straripante carità, lungo il corso d’acqua della tua grande indulgenza e pietà. Vieni dove io, arido fieno della tua coltivazione, che in me stessa sono interamente nella e vanità, ti prego di concedermi, grazie alla ricchezza del tuo Spirito, di rinverdire pienamente e di rifiorire in te, o mio dolcissimo Mattino. Ch’io possa così spogliarmi in te dell’uomo vecchio con le sue azioni [cf Col 3,9], per rivestire l’uomo nuovo che è stato creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera [Ef 4,24]. Amen.
Responsorio: Ho disprezzato il regno del mondo e ogni gloria terrena per amore del mio Signore Gesù Cristo, che ho visto, che ho amato, in cui ho creduto, che ho scelto.
Versetto: Il mio cuore ha effuso una buona parola: io canto al re le mie opere. A lui, che ho visto, che ho amato, in cui ho creduto, che ho prescelto.
Preghiera:
Che ho ancora in comune col mondo, o mio caro Gesù? Ecco, nemmeno in cielo ho voluto nient’altro che te: te solo amo, te desidero, te ho a cuore, te bramo, di te sono assetata, te amo. In te vengo interamente meno, o mio diletto, o mio diletto. Portami nella fiamma del tuo vivo incendio, e fammi ora aderire a te in maniera così totale che nell’ora della morte, una volta lasciato il corpo, io abbia in eterno in te il mio bene [cf Sal 72,25-26]: la mia anima infatti ama te, il cuore desidera te, la forza del mio essere ha caro te, e tutta la mia vita ormai, allontanandosi da me, se ne è andata dietro di te. O Gesù carissimo tra tutto quanto mi è caro, a te dice il mio cuore [cf Sal 26,8]: “tu sei il mio caro a me carissimo, tutta la mia vera e sicura gioia, la mia parte migliore, tu che solo sei amato e caro all’anima mia”.
Accostandoti alla comunione, gettati totalmente in Dio, così da vivere per lui solo:
Che cosa sono io, mio Dio, vita dell’anima mia? Ahimè, ahimè, quanto sono lontana da te! Ecco, io sono come un pochino di polvere che il vento spazza via dalla faccia della terra [Sal 1,4]. Nel vigore della tua carità degnati di scatenare con forza il vento infuocato del tuo amore onnipotente; nel turbine del tuo Spirito degnati di gettarmi con veemenza in te e di accogliermi nel seno della tua amorevole sollecitudine: fallo con tanta forza e veemenza, che io cominci veramente a morire a me stessa e a trasformarmi col mio spirito in te, o dolce amor mio. Lì, lì concedimi di perdere me stessa in te, di abbandonare me stessa in te così radicalmente che non rimanga in me nessuna traccia di me, così come un granello di polvere gettato via non lascia, là dove è scomparso, alcun segno della sua mancanza. Trasferiscimi così interamente nell’affetto del tuo amore che si annulli in te ogni mia imperfezione e che fuori di te io non abbia più respiro! Ti prego, concedimi di perdermi in te in modo tale che in eterno io non possa più trovare me in alcun luogo fuorché in te. Amen.
Qui esprimi il desiderio di essere condotta a perfezione nel Signore:
Che cosa sono io, Dio mio, amore del mio cuore? Ahimè, ahimè, quanto sono dissimile da te! Ecco, io sono come una minuscola gocciolina della tua bontà e tu il mare pieno di ogni dolcezza. O amore, amore, apri, apri su di me tanto piccina le viscere della tua pietà! Riversa su di me tutte le cataratte della tua tanto benevola paternità. Fa’ scaturire su di me tutte le sorgenti del grande abisso [Gen 7,11] della tua infinita misericordia. Mi assorba il gorgo profondo della tua carità. Ch’io sia sommersa nell’abisso del mare della tua clementissima tenerezza. Possa io perire nel diluvio del tuo vivo amore, come sparisce una goccia di mare nel profondo della sua pienezza. Ch’io muoia, muoia travolta dal flusso della tua immensa compassione, come si estingue una scintilla di fuoco nel potentissimo impeto di un fiume. Mi avvolga, stillando goccia a goccia, il tuo amore di dilezione. Mi porti via la vita la coppa del tuo amore. Il segreto disegno del tuo sapientissimo amore agisca in me e compia in me la gloriosa morte dell’amore che dà la vita. Lì, lì io perda la mia vita in te, là dove tu vivi in eterno, o amore mio, Dio della mia vita. Amen.
Qui desidera essere sepolta nel Dio vivo:
Che cosa sono io, Dio mio, mia santa dolcezza? Ahimè, ahimè, io sono divenuta la lordura di tutte le tue creature, ma tu sei la mia grande fiducia, poiché in te mi è riposta l’abbondanza e il complemento di tutto ciò che io ho perduto. O amore, amore, amore, ammassa ora su di me il cumulo della tua immensa bontà e indulgenza. Caricami addosso il fardello della tua infinita pietà e clemenza. Fammi esalare l’ultimo respiro nel dolce spirare del tuo Spirito, fa’ che mi addormenti all’ombra del tuo amore [cf Sal 62,8]. Gustando ancora in vita la tua soavità, possa io consegnare il mio spirito, così che in te, mia dolce amenità, soavemente io passi, uscendo da me stessa, nei tuoi abbracci io cada e nel bacio del tuo amore dolce come il miele io sia veramente sepolta.
Avvolgimi nella sindone della tua gratuita redenzione. Imbalsami nella tomba di marmo del tuo Cuore trafitto dalla lancia, nascondendomi sotto la lapide del dolcissimo sguardo del tuo volto che stilla miele, perché tu abbia cura di me in eterno. Là, là, o mio diletto, io sia sepolta, all’ombra dolcissima della tua paterna dilezione. Ch’io riposi. Riposi. Riposi nell’eterna memoria della tua preziosa e viva amicizia. In te, o forte amore, inaridisca la mia carne. In te, o amore che fa vivere, spiri la mia vita. In te, o dolce amore, si riduca in cenere tutto il mio essere. E nella luce del tuo volto riposi in eterno l’anima mia. Amen.
Di’ poi il cantico del Magnificat in rendimento di grazie, con questa preghiera:
A te, Dio della mia vita, che vivifichi la mia anima, a te, che mi ami con somma dolcezza, che mi sei padre, Sposo e sempre a me provvedi, a te presento tutto il tesoro del mio amore, nella brace dello Spirito del tuo ardore, nella fornace incandescente del tuo vivo amore. Per te, per te, o tu che sei il più caro fra tutto quanto mi è caro,imbocco in quest’ora vie dure, sapendo però che la tua misericordia vale più della vita [Sal 62,4].
Ti prego, o mio diletto, con la tua forza divina cingi per la guerra [Sal 17,40] me, che conto sulla tua pietà, con l’armatura del tu o Spirito, perché tu faccia svanire tutte le insidie dei miei nemici [cf Sal 17,41], e tutto ciò che in me non vive totalmente per te solo, tu stesso abbattilo ai miei piedi [cf Sal 17,40] con la tua carità inestinguibile, affinché io ti ami, grazie al dolce aiuto del tuo vivo amore, attratta e ristorata dalla soavità vivificante della tua dilezione. Potrò così amarti, o mia dolce forza, portando con letizia il giogo soave e il carico leggero [Mt 11,30] del tuo amore, sotto la tua guida, perché tutta la fatica del servizio che per te, o mio diletto, spendo, mi appaia come la breve durata di pochi giorni in confronto alla grandezza del tuo amore.
La mite brezza del tuo Spirito mi abbrevi e alleggerisca tutto il peso e la calura del giorno [Mt 20,12] e tu stesso degnati di unire ogni operazione ed esercizio della mia vita con la vivificante collaborazione del tuo vivo amore, affinché in eterno ti magnifichi l’anima mia, infaticabilmente ti serva tutta la mia vita, e il mio spirito esulti in te, Dio mio salvatore [Lc 1,46-47], e ogni mio pensiero e azione siano lode e rendimento di grazie a te. Amen.
Portate a termine tutte queste cose, affidati al Signore con il cantico “Ora lascia…”:
E ora, o amore, mio Re e mio Dio, ora, o mio Gesù, a me tanto caro, accoglimi nella tenerissima cura del tuo Cuore divino. Lì, lì, affinché io viva totalmente per te, stringimi al tuo amore.
Ed ora abbandonami nel vasto mare della tua profonda misericordia.
Lì, lì affidami alle viscere della tua straripante tenerezza. Or dunque gettami nella fiamma divorante del tuo vivo amore. Lì, lì trasferiscimi in te fino a che l’incendio non abbia ridotto in cenere la mia anima e il mio spirito. E nell’ora della mia morte affidami alla provvidenza della tua paterna carità.
Lì, lì, mio dolce Salvatore, consolami con la visione della tua presenza più soave del miele. Lì ricreami facendomi gustare il caro prezzo con cui mi hai redento. Lì, lì chiamami a te con la viva voce del tuo bell’amore. Lì accoglimi nell’abbraccio del tuo indulgentissimo perdono. Lì, nella dolce brezza del tuo Spirito, effluvio soave, attirami a te, trascinami in te e assorbimi. Lì immergimi nel bacio dell’unione perfetta che consente di godere in eterno di te, e concedimi allora di vederti, di possederti e di godere con somma ed eterna gioia di te, poiché l’anima mia ha bramato te, o Gesù carissimo fra tutto quanto mi è caro. Amen.
j.m.j.
Esercizi Spirituali di s. Gertrude la grande
quinto esercizio dell’amore divino
Ogni volta che vuoi essere completamente libera per dedicarti tutta all’amore, distogli il tuo cuore da tutti gli affetti disordinati, gli impedimenti e le vacue fantasie, scegliendo per questo un giorno e un tempo opportuno, almeno in tre momenti nell’arco della giornata, cioè al mattino, a mezzogiorno e alla sera, come riparazione per il fatto di non aver mai amato il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze [cf Dt 6,5; Mc 10,30]. Unisciti allora a Dio nella preghiera con tutto l’affetto, con tutta la devozione e l’intenzione, come se tu vedessi presente proprio lo Sposo, Gesù, che è di certo presente nella tua anima. E di primo mattino, come se andassi incontro al tuo Dio dì questa preghiera con questi tre versetti:
Dio mio, Dio mio, per te veglio dal sorgere della luce. È assetata di te l’anima mia, quanto intensamente ha bisogno di te la mia carne! In terra deserta, senza strade e senza acqua, così mi presento davanti a te nel santuario, per contemplare la tua potenza e la tua gloria [Sal 62,2-3].
O Dio amore, tu solo sei il mio totale e vero amore. Tu sei la mia carissima salvezza. Tu sei la mia speranza e la mia gioia, il mio supremo e ottimo bene. Davanti a te, Dio mio, carissimo amore mio, fin dal mattino mi porrò e contemplerò [cf Sal 5,5] te che sei la perenne soavità e dolcezza. Tu sei la sete del mio cuore. Tu sei capace di saziare completamente il mio spirito. Quanto più ti gusto, tanto più ho fame. Quanto più bevo, più ho sete [cf Sir 24,29].
O Dio amore, la visione di te è per me come un giorno sfolgorante: quel giorno solo che, trascorso negli atri del Signore [Sal 83,11], è preferibile a mille altrove, quel giorno solo a cui sospira la mia anima, la mia vita, che tu hai redento perché fosse tua. Quando mi sazierai con la dolcezza del tuo volto che stilla miele? L’anima mia arde e vien meno dal desiderio [Sal 83,3] della sovrabbondanza della tua soavità. Ecco, ho scelto e preferito di essere un rifiuto nella casa del Signore [Sal 83,11] per poter aspirare ad essere ristorata dal tuo dolcissimo volto.
O amore, vedere te è migrare con la mente in Dio. Aderire a te, è unirsi a Dio con il patto nuziale. O luce serenissima della mia anima, e mattino luminosissimo, sorgi ormai in me, e comincia a risplendere a me in modo tale che nella tua luce io veda la luce [Sal 35,10] e grazie a te la mia notte si converta in giorno! O mio carissimo Mattino, tutto ciò che tu non sei, per amore dell’amore tuo possa io stimarlo come niente e vanità [Is 40,17]. Vieni a visitarmi fin dal primo mattino [Gb 7,18], perché io mi trasformi tutta quanta immediatamente in te.
O amore, che porti non la luce, ma Dio stesso, vieni ora a me con larghezza, perché grazie a te io mi disciolga in dolcezza: da me, una volta annientata, io fluisca integralmente in te, in modo che io d’ora innanzi non possa mai più ritrovarmi in me in questo tempo limitato, ma io rimanga strettamente unita a te per l’eternità.
O amore, tu sei quella bellezza singolare, quello splendore senza pari che in questo mondo non si può vedere se non sotto le ali dei serafini [cf Es 37,6-9]. Quando mi rianimerà tale e tanta bellezza? O augusta stella del mattino [Ap 22,16], che sfolgori di luminosità divina! Quando mi rischiarerà al tua presenza?
O amabilissimo splendore, quando mi sazierai di te? Oh, se soltanto potessi percepire qui per breve tempo deboli raggi della tua avvenenza, così da poter assaporare in anticipo almeno un po’ della tua dolcezza e pregustare soavemente te, mia parte migliore [Lc 10,42]! Volgiti ora un pochino verso di me, perché in te, fiore dei fiori, possa fissare il mio sguardo.
Tu sei il fulgido specchio della Santa Trinità, che là si può vedere faccia a faccia, qui invece solamente in modo velato [1Cor 13,12], con l’occhio di un cuore puro [cf Mt 5,8]. Aspergimi con la tua purezza e sarò mondata! Tocca con la tua purezza l’intimo del mio cuore e sarò resa più candida della neve [cf Sal 50,9]. Prevalga, ti prego, l’ampiezza della tua carità, e mi avvolga la sovrabbondante santità dei tuoi meriti, affinché non mi tenga lontana da te la dissomiglianza tra la tua bellezza e la mia.
Volgi il tuo sguardo su di me e vedi [cf Sal 79,15], e fa’ che io ti riconosca e ti comprenda. Tu mi hai amato per primo [1Gv 4,10.19; cf Gv 15,16]. Sei stato tu a scegliere me, quando io non avevo ancora scelto te. Tu corri incontro spontaneamente a chiunque abbia sete di te: il candore dell’eterna luce [Sap 7,26] splende sulla tua fronte.
Mostrami il tuo volto e fammi contemplare la tua bellezza [cf Ct 2,14; cf Es 33,18; Sal 79,4]! Il tuo volto è soave e splendido [cf Ct 2,14; 6,3]: lo irradia la bellissima aurora della divinità. Le tue gote sono rese meravigliosamente rosee dall’Omega e dall’Alfa [cf Ap 1,8]. Nei tuoi occhi sfavilla in modo inestinguibile la splendente eternità. Lì per me manda bagliori, come una lampada, la salvezza di Dio. Lì la radiosa carità gioca gioiosamente con la luminosa verità. Profumo di vita spira a me da te. Miele e latte stilla per me dalla tua bocca [Ct 4,11].
Quanto sei bella, o carità che sei Dio, e quanto deliziosa, quanto ammirabile e degna di compiacenza, o te che sei la più cara tra le delizie [cf Ct 4,1; 7,6]! Tu siedi regina, al primo posto, sul trono divino, ricolma delle ricchezze dell’augusta Trinità. Tu, consorte e sposa del sommo Dio, godi sempre della sua familiarità, congiunta al Figlio di Dio da un amore indissolubile.
O amore, al tramonto della mia vita, degnati di sorgere per me di buon mattino [cf Mc 16,2], e quando mi vedrai abbandonare questa dimora, fammi attingere in te la vita eterna; concedimi poi di terminare questo esilio in modo tale da poter entrare con te senza impedimento alle nozze dell’Agnello [cf Ap 19,7.9] e fa’ che sotto la tua guida io trovi il vero sposo e amico e che, tra le tue braccia, io mi stringa a lui con tale tenerezza da non poter mai più, in eterno, separarmi dal suo abbraccio.
O amore, o chiave di Davide [cf Ap 3,7], tu allora dischiudimi e aprimi il Santo dei Santi, affinché, da te introdotta, io possa senza indugio vedere con gioia il Dio degli dei in Sion [Sai 83,8], il cui dolcissimo volto ora l’anima mia desidera e brama con ardore.
A mezzogiorno accostati allo Sposo che brucia d’amore per te, perché egli, che è il Sole di giustizia, infiammi te, che sei tanto tiepida, con gli ardori del suo amore, in modo che il carbone dell’amore divino arda in modo inestinguibile sull’altare del tuo cuore; fallo dicendo questa preghiera con questi versetti:
Che io ami te, Signore, mia forza. Dio mio, aiuto mio. Mio protettore e roccia della mia salvezza [Sa 17,2-3].
Preghiera:
O amore, primo fiore del mio amore, tu sei il mio carissimo pegno di fidanzamento e la mia dote nuziale. Ecco, a causa tua ho provato disgusto del secolo e ho stimato come fango dei piedi ogni gioia del mondo, per poter aspirare all’unione con te.
Ammettimi al segreto della tua carità! Ecco, il mio cuore già arde dal desiderio del bacio del tuo amore [cf Ct 1,1]. Aprimi la camera più riservata della tua bella dilezione. Ecco l’anima mia ha sete dell’abbraccio della tua intima unione.
Prepara ora il banchetto della tua copiosa misericordia, invitandomi alla mensa delle tue dolcezze. Servimi il dolcissimo piatto del tuo perdono eterno, che solo può corroborare il mio spirito.
E or ceniamo insieme, o mio carissimo e sommo bene! Tu in te stesso abbondi e sovrabbondi di tutti i beni in modo inestimabile e comunichi te stesso alla tua creatura in modo mirabile.
Saziami abbondantemente di te stesso! Come infatti potrebbe vivere una scintilla, se non nel suo fuoco? O come potrebbe esistere una goccia, se non nella sua fonte?
Mi divori ormai e mi avvolga per intero, spirito e anima insieme, il tuo caro ardore, nella misura in cui la tua liberalità onnipotente prevale su una manciatina di polvere. O amore, o dolcissimo ardore del meriggio, il tuo santo riposo, nella pienezza della pace, mi delizia sopra ogni cosa. I tuoi sabati tanto desiderati sono coperti della presenza di Dio e traboccano di grazia sul serenissimo volto della sposa.
O mio diletto, scelto e prescelto al di sopra di ogni creatura, fammi conoscere ora in te, e mostrati dove vai a pascolare, dove riposi al meriggio [Ct 1,6]. Ecco, il mio spirito ferve e arde al pensiero della dolcezza del tuo riposo.
O amore, qui, sotto l’ombra dolce come miele della tua carità, riposa tutta la mia speranza e la mia fiducia. Nel grembo della tua pace Israele abita con fiducia [Ger 23,6]. La mia anima brama con passione le solennità di questo sabato sospirato.
O amore, godere di te è l’unione del Verbo e dell’anima, frutto di amorevolissima degnazione, operata dalla perfetta unione di Dio. Aver relazione con te è essere legati con Dio. Godere di te è divenire una cosa sola con Dio. Tu sei quella pace che supera ogni sentimento [Fil 4,7] e là è il percorso che conduce alla stanza nuziale.
Oh, se capitasse a me, misera, di poter riposare, anche solo per un momento, sotto il tuo carissimo manto d’amore, perché il mio cuore sia rinfrancato anche da una sola parola di consolazione del vivo tuo Verbo, e la mia anima ascolti dalla tua bocca questa buona e soave parola: “Io sono la tua salvezza [Sal 34,3]; ecco, è ormai aperta per me la camera del mio Cuore”.
Perché mai, infatti, o eccellente amore, hai amato una creatura tanto ripugnante, tanto turpe, se non per farla bella in te? La tua amorevole carità mi attrae e mi seduce, o fiore delizioso della Vergine Maria.
Non deludermi nella mia attesa [Sal 118,16], ma concedimi di trovare in te la pace dell’anima mia. Non ho trovato nulla di più desiderabile, non ho giudicato nulla di più caro che essere stretta, o amore, nei tuoi abbracci, riposare sotto le ali del mio Gesù e abitare nelle tende della divina carità.
O amore, o splendido meriggio, vorrei morire mille volte per aver riposo in te. Oh, se tu chinassi su di me, carissimo, il volto così maestoso e così attraente del tuo bell’amore!
Oh, se mi fosse concesso di venire così vicino a te da non trovarmi più accanto a te, ma dentro di te! Così da te, sole di giustizia, in me, polvere e cenere [Gen 18,27], germoglierebbero i fiori di tutte le virtù. Avendo te per marito, o mio Signore, la mia anima sarebbe raggiunta da una tale fecondità che nascerebbe in me la gloriosa prole di tutta la perfezione, fino a che, strappata dalla valle di questa miseria, davanti al tuo volto, oggetto dei miei desideri, io possa gloriarmi in perpetuo del fatto che tu, specchio senza macchia [Sap 7,26], non abbia sdegnato in verità di unirti a una simile e tanto vile peccatrice quale sono io.
O carità, nell’ora della morte mi confortino le tue parole più gradite del vino e mi consolino le tue labbra più dolci del miele e di un favo stillante [Ct 1,4; 4,11; Sal 18,11; Sir 24,27]! Tu stesso, inoltre, sii per me la via, affinché io non vada errabonda per vie sbagliate, ma da te aiutata, o regina, io possa giungere senza ostacoli ai pascoli splendidi e abbondanti del divino deserto, dove meriterò di godere in eterno con gioia della dolcissima presenza del mio Sposo, Dio e Agnello. Tutti dicano: Amen.
Alla sera, struggendoti tutta quanta e venendo meno dal desiderio di poter godere per sempre della visione del dolcissimo volto del Dio e Agnello, gettati negli abbracci di Gesù, il tuo Sposo che ti ama; come un’ape operosa [cf Sap 7,26 LXX], aderendo tutta con un bacio al suo Cuore innamorato, domandagli un bacio tanto efficace che, morendo a te stessa, ora e nel momento della tua morte, tu possa passare in Dio e divenire un solo spirito con lui [1Cor 6,17], gridando nella tua sete:
Come una cerva anela alle fonti d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete del Dio forte, vivo; quando verrò e comparirò davanti al volto di Dio? Le lacrime sono mio pane giorno e notte, mentre mi dicono ogni giorno: “Dov’è il tuo Dio?” [Sal 41,2-4].
O amore, il cui bacio è dolce, tu sei quella fonte di cui ho sete. Ecco, il mio cuore arde dal desiderio per te: oh, se tu, mare immenso, potessi assorbire in te questa piccola stilla che sono io! Tu sei per la mia anima quel vivo e dolcissimo ingresso che solo mi può permettere di uscire da me per passare in te.
Si apra per me il vivifico ingresso del tuo carissimo Cuore! Ecco ormai non ho più con me il mio cuore, ma tu, o mio carissimo tesoro, lo conservi con te nella tua camera segreta. Tu sei l’unica, totale e carissima essenza del mio cuore. A te solo si è unita con fervore la mia piccola anima.
Oh, cosa non è la tua compagnia! Veramente, veramente la familiarità con te è gran lunga migliore della vita [cf Sal 62,4]. Il tuo profumo è come l’intimo balsamo della pace di Dio e della sua clemenza. Tu sei la dispensa sovrabbondante e fin troppo ricca della divina consolazione. Oh, se tu, regina carità, mi introducessi nelle tue cantine, perché io possa gustare con piacere i tuoi vini migliori che lì sono nascosti [Ct 1,2]! Ecco, tutte le tue giare sono ricolme di Dio e traboccano di Spirito Santo.
Potesse capitarmi quaggiù ciò che desidero e mi fosse concesso l’avverarsi del mio sogno più caro: se tu in verità ti volgessi verso di me e mi rianimassi con il dolcissimo bacio della tua misericordia! O mio caro, a me carissimo, potessi io stringerti a me nell’intimo di me stessa e baciarti, per potere, unita a te in verità, aderire a te inseparabilmente!
O amore, tu sei il soavissimo bacio della santa Trinità, che unisce con tanta potenza il Padre e il Figlio. Tu sei questo bacio salvifico che l’augusta divinità ha impresso sulla nostra umanità tramite il Figlio.
O dolcissimo bacio, il tuo legame non trascuri me, manciatina di polvere! Non mi risparmi il tuo contatto, insieme con il tuo abbraccio, fino a che io diventi un solo spirito con Dio [1Cor 6,17]! Fammi sperimentare in verità quale straordinaria delizia sia l’abbracciare te, Dio vivo, dolcissimo amore mio, in te stesso, e unirsi a te.
O Dio che sei amore, tu sei il mio più caro possesso, senza il quale in cielo e in terra non spero, né voglio, né desidero altro [cf Sal 72,25-26]. Tu sei la mia vera eredità e tutta la mia attesa, a cui tende il mio scopo e la mia intenzione.
O amore, la tua dilezione, in me giunta al culmine, sia la mia fine e il mio compimento. Il patto dell’alleanza nuziale che il mio cuore ora ha stretto con te, mostralo a me sul far della sera [cf Lc 24,29]. Sul volto del mio carissimo Dio tu sei la luce della stella della sera. Al momento della mia morte, degnati di apparirmi tu, o mia cara e luminosa Sera! Che io trovi in te il desiderato tramonto di questo mio esilio, addormentandomi soavemente e riposandomi [cf Sal 4,9] sul tuo petto pieno di ogni dolcezza.
O Dio che sei amore, la mia morte sia per me l’avvolgersi dell’anima mia in te. Così rivestita di te, nella tua regale bellezza, apparirò in modo degno dinanzi allo Sposo immortale, nella veste nuziale, con la dote sponsale.
Ti prego, o amore, l’ora del mio compimento sia segnata dal sigillo della tua cara dilezione, porti impresso il marchio della tua eterna misericordia, affinché la ricchezza della tua benedizione, che si effonde con larghezza, mi conduca senza ostacoli ad accedere al luogo in cui sarò accolta in te in eterno, potrò godere per sempre di te e ti possederò in perpetuo.
O amore, o mia carissima Sera, nell’ora della morte possa io vederti con gioia e letizia. Quella santa fiamma, che nel vigore infuocato della divinità arde sempre in te, elimini veramente dalla mia anima ogni macchia.
O mia dolcissima Sera, quando sarà arrivata per me la sera di questa vita, fa’ che mi addormenti dolcemente in te e che sperimenti quel beatissimo riposo che hai preparato in te per coloro che ti sono cari. Lo sguardo tanto mite e amabile del tuo bell’amore ordini e disponga nella sua affabilità i preparativi delle mie nozze. Con la ricchezza della tua bontà copri e rivesti la povertà e l’indigenza della mia vita che ha perso la sua originaria dignità. Tra le delizie della tua carità, l’anima mia abiti con infinita fiducia [Ger 23,6].
O amore, tu stesso sii per me una sera tale che, grazie a te, la mia anima possa dire con gioia ed esultanza un dolce addio al mio corpo, e il mio spirito, facendo ritorno al Signore che lo ha dato [Qo 12,7], riposi soavemente in pace alla tua ombra. Allora dimmi chiaramente con la tua voce dal dolcissimo suono, melodioso come quello della cetra: “Ecco, lo Sposo viene [Mt 25,6]; esci orami e unisciti più strettamente a lui, perché ti colmi di gioia con la gloria del suo volto [cf Sal 20,7] ”. Quanto è felice, quanto è beato, colui la cui dimora terrena ha fine in te [Sal 119,5]! Ahimè, ahimè, quanto a lungo dovrà ancora durare per me? Quale sarà quell’“allora”, quando giungerà per me questo delizioso e amabile “ora”, quando mi si manifesterà e apparirà la gloria del mio Dio, del mio Re [Sal 67,25] e del mio Sposo, con la possibilità di godere di lui senza fine e con una letizia eterna! Quando contemplerò nella verità e vedrò quel volto del mio Gesù, oggetto di tanti desideri e aspirazioni e di tanto amore, della cui bellezza la mai anima ha avuto tanto a lungo sete e brama! Di certo allora mi sazierò in pienezza al torrente di quella delizia [Sal 35,9] che ora per me tanto a lungo rimane chiusa e nascosta e contemplerò il mio Dio, il carissimo amore mio, sospirando il quale vengono meno il mio spirito e il mio cuore [cf Sal 72,26].
Quando, quando mi mostrerai te stesso, perché io ti veda e attinga con gioia [cf Is 12,3] in te, Dio, fonte viva [cf Sal 41,3]? Allora berrò e mi inebrierò per l’abbondanza di dolcezza della fonte viva che zampilla dalle delizie di quel dolcissimo volto che la mia anima desidera.
O dolce volto, quando mi sazierai di te? Allora entrerò nel luogo della tenda mirabile [Sal 41,5], fino a vedere Dio; ma io attualmente sono ancora soltanto all’ingresso e il mio cuore geme per la lunga durata della mia dimora terrena. Quando mi colmerai di gioia con il tuo volto che stilla miele [Sal 15,11]? Allora contemplerò e bacerò il vero Sposo dell’anima mia, il mio Gesù, a cui essa, nella sua sete, si è già attaccata e dietro il quale se ne va anche tutto il mio cuore.
Chi mi libererà [cf Rm 7,24] dall’esilio di questo pellegrinaggio? Chi mi strapperà dal laccio [cf Sal 123,7] di questo mondo? Quando lascerò questo misero corpo per vedere senza intermediario te, o amore che sei Dio, stella delle stelle? In te, o caro amore, sarò liberata dalla prova di questa morte: in te, o Dio che mi ami, scavalcando la muraglia del corpo [Sal 17,30], con sicurezza ed esultanza potrò vederti faccia a faccia, nella verità e non in modo confuso [1Cor 13,12]. Tu che sei la fonte della luce eterna [Gc 1,17], riconducimi nell’abissale flusso delle tue onde dal quale ha avuto inizio il mio corso, là dove potrò conoscere così come sono conosciuta [1Cor 13,12], amare come sono amata: affinché io possa vedere te, Dio mio come sei [cf 1Gv 3,2], resa beata per sempre dalla visione, dalla gioia e dal possesso di te. Amen.
Nello stesso giorno dell’amore offrirai sette volte al Signore la tua anima per rinfrescare in te l’amore del suo Cuore divino. Innanzitutto, a Mattutino, prega il Signore che lui stesso, che è il sommo Maestro, ti insegni, mediante l’unzione dello suo Spirito, l’arte dell’amore, prendendoti come sua discepola, affinché, avendo lui come insegnante, tu possa esercitarti instancabilmente nella virtù della carità. E dì:
Signore Gesù Cristo, in te mi sono rifugiata: insegnami a fare la tua volontà perché sei tu il mio Dio [Sal 142,9-10].
Preghiera:
O amore, Rabbi, mio Signore, più elevato dei cieli e più profondo dell’abisso! La tua ammirabile sapienza con la sola sua vista rende beati tutti gli esseri viventi. Tu, dall’alto della perfetta pienezza di carità dei cherubini, chini il tuo sguardo su tutto ciò che è umile nella valle del pianto e raccogli chi è piccolo per insegnargli i tuoi precetti di salvezza: ti prego, la tua istruzione non escluda questa vile lordura ch’io sono, ma mi ricrei, te ne supplico, il tuo insegnamento di vita! Vorrei, e mille volte vorrei che tu mi adottassi come figlia, perché tu mi avessi e possedessi come se fossi proprio tua. O amore, inizia già da ora ad esercitare su di me la tua attività di maestro, separando me da me stessa per il servizio della tua viva carità e dilezione, possedendo, o amore, santificando e riempiendo tutto il mio spirito.
Amen.
All’ora di Prima prega il Signore che ti introduca nella scuola dell’amore , dove potrai imparare a conoscere e amare Gesù. Lo farai con la seguente preghiera e il versetto:
Io sono tua serva, o Gesù che ami immensamente, dammi intelligenza perché io impari i tuoi comandamenti [cf Sal 118,73].
O Dio che sei amore, con quanta bontà e quanta cura tu scaldi e nutri nel grembo della carità i tuoi piccoli! Vorrei e mille volte vorrei che tu mi aprissi già la scuola della casta dilezione, perché io vi possa sperimentare il tuo carissimo insegnamento e grazie a te ricevere un’anima non solo buona, ma anche veramente santa e perfetta [Sap 8,19].
O amore, immergi i miei sensi nel midollo della tua carità, affinché col tuo aiuto io diventi una scolara acuta [Sap 8,19] e tu stesso sia in verità il mio padre, insegnante e maestro e sotto la tua paterna benedizione il mio spirito sia completamente purificato al fuoco da ogni scoria di peccato. Che esso sia per intero reso pronto e adatto a ricevere le tue infuocate parole e che il tuo santo, retto e sovrano spirito [Sal 50,12-14] inabiti, o amore, tutta la mia persona.
Amen.
A Terza prega il Signore di scrivere sul tuo cuore con le lettere vive del suo Spirito [cf Ger 31,33; 2Cor 3,3] la legge infuocata del suo divino amore, perché tu aderisca inseparabilmente a lui in tute le ore. Fallo con la seguente preghiera e il versetto:
O Gesù che ami immensamente, tutti i miei pensieri, le mie parole e le mie opere siano indirizzati a custodire in ogni tempo i tuoi giudizi.
O Dio che sei amore, come sei presente a coloro che ti cercano, quanto dolce, quanto amabile per chi ti trova! Oh, se tu ora mi spiegassi il tuo ammirabile alfabeto, perché il mio cuore intraprenda insieme con te un solo studio! Dimmi ora, facendomene fare viva esperienza, che cosa sia e quale sia il glorioso e iniziale Alfa della tua augusta sapienza che riempie di sé tutte le generazioni. Con il dito del tuo Spirito [cf Dt 9,10; Lc 11,20] mostrami con cura e ad una ad una le singole lettere della tua carità, affinché, pregustando fino al midollo le tue dolcezze, io le possa in verità, con l’occhio puro del cuore, scrutare e osservare, apprendere, conoscere e riconoscere in pienezza, per quanto è possibile in questa vita.
Insegnami, con la cooperazione del tuo Spirito, il Tau della somma perfezione e conducimi fino all’omega del pieno compimento. Fammi imparare in questa vita la tua scrittura piena di carità e di dilezione in modo tanto perfetto che in me non rimanga un solo iota privo dell’adempimento della tua carità, cosa che mi costerebbe una dilazione di tempo quando tu, o Dio amore, dolce amor mio, mi chiamerai perché ti contempli in te stesso in eterno.
Amen.
A Sesta prega il Signore di poter progredire tanto nell’arte de suo amore, che il suo amore ti possegga come suo strumento per ogni sua volontà e tu sia totalmente secondo il Cuore di Dio, Dirai la preghiera e il versetto seguenti:
Dammi la tua dolcissima benedizione, o mio caro Gesù, vero legislatore, affinché io proceda di virtù in virtù e giunga a vedere te, Dio degli dei, in Sion [Sal 83,8].
O Dio che sei amore, chiunque non ti ama è senza lingua e incapace di parlare; e solo chi aderisce a te per intero progredisce, amando tesolo ininterrottamente. Nella scuola della tua carità ch’io non sia sempre lasciata così sola, come un tenero pulcino, affidato a te perché lo allevi, ancora chiuso nell’uovo, ma in te e per te, anzi con te, ch’io avanzi e progredisca di giorno in giorno, di virtù in virtù [Sal 83,8], portando frutto per te, o mio diletto, ogni giorno in un nuovo campo del tuo amore. Non mi basta conoscere te solamente ‘sillabando’: desidero, voglio e mille volte bramo conoscere te anche nella contemplazione, amarti con forza, non solo con dolcezza; ma anche volerti bene con gusto e aderire a te inseparabilmente, per iniziare ormai a vivere non più in me, ma in te, per te solo. Ora, o amore, fa’ che io ti riconosca nella verità e colloca il tuo trono nell’anima mia in tutta santità.
Amen.
A Nona prega il Signore che egli stesso, Re dei re, ti faccia iniziare il servizio militare dell’amore e ti insegni a prendere su di te il suo giogo soave e il suo carico leggero [Mt 11,30], perché u segua il tuo Signore con la tua croce []Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23], aderendo al tuo Dio con amore indivisibile. Fallo con la preghiera e il versetto:
Tu sei, Signore, la mia speranza, il mio sostegno e il mio rifugio [Sal 90,2]: tu sei con me in ogni mia tribolazione [Sal 90,15].
O Dio che sei amore, chiunque è riconosciuto valido e pronto nell’opera del tuo amore starà veramente davanti al tuo volto regale in ogni tempo. O carità, regina delle regine, fa’ che mi allei con te con giuramento, per la tua gloria, nella nuova milizia della tua dilezione. Insegnami a stendere la mano [Pr 31,19] ad imprese valorose ed in te e per te a intraprendere e a portare a termine velocemente e senza stancarmi le fedelissime opere della tua dilezione. Tu, o potentissimo, cingi il mio fianco con la spada del tuo Spirito [Sal 44,4; Ef 6,17] e fammi rivestire di forza e coraggio in ogni virtù e, ben consolidata in te, perseveri con spirito invincibile inseparabilmente unita a te.
Tutte le mie forze diventino così assimilate alla tua carità, e i miei sensi così fondati e consolidati in te, che, pur nella debolezza della femminilità, grazie al vigore dell’animo e alla fortezza virile della mente, io raggiunga questo genere di amore che conduce al talamo nella camera interiore dell’unione perfetta con te. Ora, o amore, tienimi e possiedimi come tua personale proprietà, poiché ormai non ho più né spirito, né anima, se non in te.
Amen.
Ai Vespri, insieme con Gesù che ti ama, avanza sicura, nell’armatura dell’amore, incontro ad ogni tentazione, perché in lui, la cui misericordia sempre ti aiuta e ti consola, tu possa vincere la tua carne, il mondo e il diavolo e trionfare gloriosamente su ogni tentazione. Domando con questa preghiera e il versetto:
O Dio che sei amore, tu stesso sei il mio muro e baluardo [cf Is 26,1; Sal 18,3; 31,30; 71,70]. Coloro che in questo mondo portano il peso delle tribolazioni sanno quale tenda sia stata distesa sopra di loro nella tua pace per ripararli dalla calura così come dalla pioggia [Is 4,6]. Ora volgi il tuo sguardo e vedi [Sal 79,15-16] la mia battaglia e addestra tu stesso le mie dita alla guerra [Sal 143,1]. Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non avrà timore [Sal 26,3], poiché tu stesso, mio fedele baluardo e fortissima torre, sei con me dentro e fuori.
Se tu mi aiuti, dov’è il mio avversario? Se tu mi stai davanti, mi si avvicini pure [Is 50,8]! Solamente col tuo sguardo tu mi sveli e rendi palesi le suggestioni di satana e con la tua parola le dissipi dinanzi a me [2Ts 2,8]. Se il mio nemico mi farà precipitare anche mille volte, io, cadendo sulla tua carissima mano destra, la abbraccerò e la bacerò con tutto il cuore ed essendo tu il mio protettore e difensore, resterò saldamente in piedi, forte, rimanendo illesa da ogni pericolo.
Tu schiaccia in me satana sotto i piedi [cf Sal 90,13; Rm 16,20], e distruggi e metti completamente in fuga in me ogni genere di difetti. Alla tua vista, cadano in mille al mio fianco e in mille migliaia alla mia destra [cf Sal 90.7]. A me invece non si accosti il male [cf Sal 90,10], poiché sei con me proprio tu, la mia più sicura verità e il mio bene più caro. Vorrei, e mille volte vorrei che le tue frecce acute [cf Sal 44,6] si volgessero infine verso di me, perché portando nel mio intimo la lancia della tua dilezione, in mezzo a te, o carità, e in te io possa abitare con la massima fiducia [Ger 23,6]. Adesso o amore, possa io ormai cader qui sotto di te, in modo tale da non sfuggire mai più dalle tue mani.
Amen.
A Compieta desidera inebriarti [cf Ct 1,3; 2,4],in compagnia del tuo diletto, con il vino dell’amore, addormentati al mondo nell’unione con Dio, nell’abbraccio del tuo diletto spirare da te stessa in Dio e, ormai quasi tutta spogliata di ciò che è umano, addormentati dolcemente sul petto di Gesù, affinché nell’amore, morendo ogni giorno a te stessa e vivendo per Dio solo, nell’ora della morte tu possa correre incontro alla morte con fiducia, considerandola come la fine del tuo esilio, l’ingresso del regno e la porta del cielo. Fallo con la preghiera e il versetto:
Nascondimi, o Gesù che ami immensamente, al riparo del tuo volto [Sal 30,21], da tutti coloro che mi tendono insidie e la mia anima non resti confusa quando tratterà alla porta con i suoi nemici [Sal 126,5]; colmala invece di gioia con il tuo dolcissimo volto [Sal 15,11].
O Dio che sei amore, tu sei il compimento e la fine di ogni bene: tu ami fino alal fine ciò che scegli [cf Gv 13,1]; qualsiasi cosa tu accolga tra le mani, non la getti fuori, ma la conservi per te con immensa cura [cf Gv 6,37]. Appropriati ora, con il diritto di un perpetuo possesso, di tutta me stessa e della fine della mia consumazione. Ormai non risparmiarmi più oltre, ma ferisci il mio cuore [cf Ct 4,9] fino al midollo dello spirito, per non lasciare in me proprio nessuna scintilla di vita. Anzi, porta via con te tutta quanta la mia vita, riservando in te per te stesso la mia anima.
Chi mi concederà [Sal 54,7], o carità, di giungere alla perfezione in te e di essere sciolta, grazie alla tua morte, dal carcere del mio corpo e liberata da questo esilio? Quale grane bene,o amore, è vedere te, avere te, e possederti in eterno! Nel giorno della mia morte, tu stesso sii a me vicino con lo sguardo della tua grande consolazione e benedicimi allora nella bella aurora che mi consentirà di contemplarti in tutta chiarezza. Ora, o amore, a te lascio e affido qui la mia vita e la mia anima [cf Sal 30,6]: lascia orami, lascia che in te io riposi e mi addormenti nella pace [cf Sal 4,9].
Amen.
Ancora, durante quel giorno in cui ti dedichi all’amore, per accendere i tuoi sensi alla luce del vero sole che è Dio e far sì che tale fiamma non si spenga mai in te, ma tu possa crescere di giorno in giorno nell’amore, andrai ripetendo assiduamente nel tuo cuore uno di questi versetti:
Beati gli occhi ti vedono [Lc 10,23], o Dio che sei amore. Quando, quando giungerò là dove sei tu, Dio, vera luce, Dio e Agnello? So che infine ti vedrò coi miei occhi [cf Gb 19,27], o Gesù, Dio della mia salvezza. Amen.
Beate le orecchie che ascoltano [Mt 13,16] te, o Dio che sei amore, Parola di vita. Quando, quando mi consolerà la tua voce, piena di dolcissima soavità, chiamandomi a te? Che io non debba temere di udire le parole di sventura [Sal 11,7], ma possa subito udire la voce della tua gloria [Is 30,30]. Amen.
Beate le narici che aspirano te, o Dio che sei amore, dolcissimo aroma di vita. Quando, quando spirerà verso di me la fragranza della tua divinità dolce come il miele? Ch’io possa giungere presto ai floridi e ridenti pascoli della tua eterna visione! Amen.
Beata la bocca che gusta, o Dio che sei amore, le parole della tua consolazione, più dolci del miele e di un favo stillante [Sal 18,11]. Quando, quando la mia anima sarà ricolma della fiorente ricchezza della tua divinità e si inebrierà dell’abbondanza delle tue delizie [cf Sal 35,9]? Possa io gustare quaggiù quanto sei dolce [Sal 33,9], o mio Signore, in modo da poter godere di te in eterno lassù, nella più perfetta felicità, o Dio della mia vita. Amen.
Beata l’anima che si unisce a te nell’abbraccio di un amore inseparabile, e beato il cuore che sente il bacio del tuo Cuore, o Dio che sei amore, stringendo con te il patto di un’amicizia indissolubile! Quando, quando mi sentirò stringere dalle tue beate braccia e vedrò senza mediazioni te, o Dio del mio cuore? Presto, presto, strappata da questo esilio, possa io vedere nel giubilo il tuo dolcissimo volto! Amen.
Infine, per confermare il tuo amore, abbandona e consegna tutta te stessa in potere dell’amore, aderendo interamente a Dio che ti ama; perché egli possa avere te come strumento che diletta il suo Cuore divino tutte le volte che vuole e ti conservi per sé per la vita eterna, essendo tu in lui e lui in te, dì questa preghiera:
Ti trattengo per amore, o Gesù che ami immensamente, e non ti lascerò andare [cf Ct 3,4], poiché la tua benedizione non mi basta affatto [Gen 32,26], se non ti trattengo e non ti possiedo come la mia parte migliore, tutta la mia speranza e la mia attesa. O amore, vita vivificante, vivificami con la Parola viva di Dio, che sei Tu stesso, riparando per opera tua tutto ciò che nel mio amore per Dio è disperso e spento.
O Dio che sei amore, che mi hai creato, nel tuo amore ricreami. O amore che mi hai redenta, sii tu stesso a completare e redimere in me tutto ciò che nell’amore per te è trascurato in me. O Dio che sei amore, che nel sangue del tuo Cristo mi hai acquistata [cf At 20,28] perché fossi tua, santificami nella tua verità [Gv 17,17]. O Dio che sei amore, che mi hai adottata come figlia, nutrimi, nutrimi secondo il tuo Cuore. O amore, che mi hai scelta per te e non per altri, fammi aderire totalmente a te. O Dio che sei amore, che mi hai amato gratuitamente [Rm 3,24] concedimi di amarti con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze [Dt 6,5; Lc 10,27].
O Dio, amore onnipotentissimo, confermami nel tuo amore. O amore sapientissimo, concedimi di amarti con sapienza. O amore dolcissimo, concedimi di gustarti soavemente. O amore carissimo, concedimi di vivere per te solo. O amore fedelissimo, consolami e aiutami in ogni tribolazione. O perfetto amore sponsale, compi in me tutte le mie opere [Is 26,12]. O amore vittoriosissimo, concedimi di perseverare sino alla fine in te. O amore d’infinita tenerezza, che non mi ha mai lasciato, a te affido il mio spirito [Sal 30,6; Lc 23,46].
Nell’ora della morte accoglimi presso di te, chiamandomi a te con la tua bocca, dicendomi: “Oggi sarai con me [Lc 23,43]; esci oramai dall’esilio per accedere al solenne Domani dell’incorruttibile eternità. Lì troverai me, Gesù, il vero Oggi del divino fulgore, principio e fine di ogni creatura [Ap 21,6]. Non sopraggiungerà più per te il domani di questo mondo mutevole, ma in me vero Oggi, avrai l’eterno Oggi, cosicché come io vivo, anche tu vivrai [cf Gv 14,19] in me, Gesù, Dio innamorato di te, esultando senza fine nella più perfetta felicità”.
Tutte le forze, i sensi e i movimenti del mio corpo e della mia anima, dicano: Amen.
j.m.j.
Esercizi Spirituali di s. Gertrude la grande
sesto esercizio di lode e di rendimento di grazie
Fissati, di tanto in tanto, un giorno in cui tu possa dedicarti senza intralci alla lode divina come compensazione di tutta la lode e il rendimento di grazie che hai trascurato di rivolgere al tuo Dio, in tutti i giorni della tua vita, per tutti i suoi benefici. Questo sarà un giorno di lode e di rendimento di grazie e un giorno ‘giubilare’; vi celebrerai [Es 12,14] la memoria di quella lode in cui in eterno canterai con giubilo al Signore, quando sarai saziata dalla presenza di Dio e la gloria del Signore riempirà la tua anima [1Re 8,11]. A ciò si mescolano pertanto i devoti sospiri dell’anima che cerca di vedere il volto di Dio. Tra queste lodi ve ne sono però alcune tanto divine da assomigliare più a quelle dei beati nella patria che a quelle dei pellegrini sulla terra.
Per prima cosa, dunque, in spirito di umiltà, vieni al cospetto del tuo Dio, perché ti mostri la grazia del suo volto, dicendo:
Parlerò al mio Signore, pur essendo polvere e cenere [Gen 18,27]. O Dio mio, eccelso e sublime, che ti chini a guardare in basso ciò che è umile [Sal 112,6], la mia anima e il mio spirito vengono meno per i tuoi infiniti benefici. Aprimi il tesoro del tuo Cuore immensamente misericordioso, dove è riposta per me la somma dei miei desideri. Svelami la grazia del tuo volto che stilla dolcezza, perché al tuo cospetto io effonda il mio cuore [cf Sal 141,3; 61,9; Lam 2,19]. Dischiudi quella dolcissima indulgenza che in te mi donerà la pace, farà gioire la mia anima e scioglierà la mia lingua nella tua lode.
O amore, entra tu al mio posto al cospetto del gran Dio e lì pronuncia il grido del mio desiderio, poiché ormai ogni mia forza si è estinta nella sete che provo per Dio. Attira e innalza fino a te, alla tua bellezza, il mio spirito, poiché ormai la mia carne e il mio cuore vengono meno [Sal 72,26] nell’attesa della salvezza di Dio. Presentami al Signore mio re, poiché ormai la mia anima si è sciolta per l’amore e l’attesa del mio Sposo [Ct 5,6]. O amore, porta ora a compimento assai velocemente il mio desiderio: se tarderai, ecco che già muoio venendo meno per amore.
A questo punto entra per lodare il Signore:
Rialzati, o anima mia, rialzati, scuoti via la polvere, sorgi [Is 51,17;52,2] ed entra al cospetto del Signore Dio tuo, per celebrare innanzi a lui tutti gli atti di misericordia e di compassione che egli ti ha dimostrato. Ma che cosa sono io davanti al Signore, o come potrò ricambiargli anche solo l’uno per mille [Gb 9,3.14]? O amore, patisco violenza: rispondi tu al posto mio, poiché non so che cosa dire al Dio della mia vita. Sono rimasta ammutolita nell’ammirazione della gloria del suo volto e ormai non ho più voce né sensi, poiché allo splendore della sua maestà sono avvizziti il mio cuore e la mia forza. O amore, rispondi tu per me in Dio, Gesù mio, Verbo di vita, e commuovi a mio favore questo Cuore divino, in cui risplende con tanta chiarezza tutta la tua forza.
O amore, ecco io che, riprendendo le forze, grazie a te potrò dire al Dio della mia salvezza: “Tu sei il sostegno della mai anima [Sal 53,6]. Tu sei la vita del mio spirito. Tu sei il Dio del mio cuore [Sal 72,26]. O amore, accarezza tu con estrema dolcezza la gloriosissima lira della voce di Gesù mio Sposo, affinché lui stesso, il Dio della mia vita, faccia risuonare al mio posto in suo onore la voce più insigne della lode e così avvolga con il piacere della sua lode la mia vita e la mia anima. O amore, ciò ce adesso devi fare, fallo al più presto [Gv 13,27]! Infatti non sono forse più in grado di sopportare la ferita che mi hai inflitto.
A questo punto incita la tua anima a dilettarsi in Dio:
Ora, o anima mia, alza i tuoi occhi, guarda e considera la potenza del tuo Re [cf Gb 35,5], la grazia del tuo Dio, la carità del tuo salvatore, a cui ti sei avvicinata. Sii ormai libera da altri pensieri, gusta e vedi [Sal 45,11; 33,9] quanto è dolce e degno di ammirazione lo Sposo che hai scelto a preferenza di mille [Ct 5,10]. Vedi quale e quanto immensa è la gloria per la quale hai disprezzato il mondo. Vedi quale bene prezioso è quello che hai desiderato. Vedi chi è, quale e quanto grande è il tuo Dio, che hai amato, che hai adorato, che hai sempre desiderato.
O Dio della mia vita, non so quali lodi rivolgere a te in modo degno, o che cosa rendere a te, o mio diletto, in cambio di tutti i beni che mi hai donato [Sal 115,12]. Offro dunque te in me e me in te, o mio caro Gesù, in sacrificio di lode per te [Sal 49,14.23]: non ho nulla di più, ma quello che in te sono e vivo, te lo do proprio tutto [At 3,6].
Tu sei la mia vita. Tu sei la pienezza di quanto mi basta. Tu sei la mia gloria. Tu sei la chiarezza della misericordia che risplende nella mia anima. A te sia lode e supremo rendimento di grazie! Quando brucerò l’intimo della mia anima sul tuo altare e con quel fuoco santo, che arde lì ininterrottamente, fonderò il mio cuore ed immolerò a te tutta me stessa in sacrificio di lode [cf Sal 115,17]?
O Dio, mia santa dolcezza, dilata in te il mio cuore [Sal 118,32] ed estendi la mia anima, perché tutto il mio intimo si riempia della tua gloria. Quando si dirà all’anima mia: “Torna alla tua pace, poiché il Signore mi ha beneficato” [Sal 114,7]? Quando potrò udire quella piacevolissima voce: “Vieni, entra [cf Mt 25,21] nella stanza nuziale del tuo Sposo”? quando mi riposerò e addormenterò [Sal 4,9] in te, o Gesù, mia dolcissima pace, per poter vedere la tua gloria [Sal 62,3]? Ma tu, o vita del mio spirito, sei capace di conservare per me ciò che mi hai affidato [2Tm 1,12] e di ricondurre la mia anima a te che mi hai creato.
O amore, o amore, quando farai uscire dal carcere l’anima mia? Quando scioglierai l’unico mio bene [Sal 21,21; 34,17] dalla catena del corpo? Quando, quando mi introdurrai nella stanza nuziale del mio Sposo, perché io possa unirmi a lui in un godimento che non conoscerà mai divisioni? O amore, affretta le mie nozze, poiché desidererei morire mille volte, per poter sperimentare tali delizie, cercando tuttavia non il mio vantaggio, ma il tuo beneplacito.
In seguito, quasi venendo meno per l’ammirazione della gloria del tuo Dio, poniti dinanzi al suo volto, in cui gli angeli desiderano fissare lo sguardo [1Pt 1,12] e leggi con il cuore e con la bocca il primo salmo “Benedici” [Sal 102], salutando l’aspetto glorioso del tuo Dio con queste parole:
Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento del cielo [Dn 3,56]. Ti benedica tutto il mio intimo e la forza del mio spirito. Ti benedica tutta la mia anima e il mio corpo. Ti glorifichi tutto il mio intimo. Tutti i miei desideri si uniscano nell’elevare a te un unico canto di gioia, poiché tu solo sei degno di lode e di gloria nei secoli [Dn 3,52.56]. Il mio cuore e la mia forza mi hanno già abbandonato [cf Sal 37,11] e l’intimo del mio spirito se n’è andato dietro di te, o Dio che mi ami, che mi hai creato per te. La mia anima, che tu hai riscattato [Sal 70,23], gemendo per il ritardo causato dalla mia esistenza terrena, ti segue con la mente nel santuario dove tu stesso, o mio Re e mio Dio, dimori con la sostanza della mia carne.
Quanto sono beati coloro che abitano nella tua casa [Sal 83,5]! Infinitamente beati coloro che stanno dinanzi al tuo dolcissimo volto! Veramente, veramente ti loderanno nei secoli per la tua immensa gloria. Quando, quando la mia anima entrerà nel luogo della tua ammirabile dimora [Sal 41,5], perché la mia bocca possa lodarti in compagnia di questi beati, proclamando in eterno, con immensa gioia, dinanzi al tuo dolcissimo volto: Santo, Santo, Santo [Is 6,3; Ap 4,8]?
Quanto sei glorioso tu, o Dio mio, quanto sei degno d’amore e di lode sopra il santo trono della tua divinità! Quanto diletto dona agli occhi la tua luce [cf Qo 11,7]! Quale beatitudine, vedere te, Sole vero! Quanto è bella, quanto piacevole e quanto armoniosa la tua lode [cf Sal 146,1], là dove migliaia di migliaia stanno dinanzi a te per servirti [cf Dn 7,10]! Salendo lassù fino a te, Dio vivo, ed uscendo da me, già esultano il mio cuore e la mia anima [cf Sal 83,3]. Quanto immensa e di quale fulgore è la tua gloria, Dio mio, mia santa dolcezza, davanti al trono santo del tuo regno [cf Dn 3,54], dove ti lodano tutti i tuoi angeli e i tuoi santi!
Ecco che ormai la mia anima languisce e viene meno per il tedio di questa vita [Sal 118,28] e con tutto il cuore desidero venire sciolta da questi legami ed essere con te [Fil 1,23], affinché anch’io, il rifiuto [1Cor 4,13] di tutte le tue creature, possa offrire a te pingui olocausti [Sal 65,15] di gioia tra quelle beatissime schiere che cantano con giubilo la tua lode nell’alto dei cieli. Lì, sull’altare d’oro del tuo Cuore divino [cf Ap 8,3], brucerò per te il prezioso incenso del mio spirito e della mia anima, con il grasso della tua unzione tanto soave, della tua grande e abbondante dolcezza, con cui tu, mio Padre e Signore, mi hai consolato in tutte le mie tribolazioni e angosce.
Qui prorompi in esclamazioni di lode:
Ti benedicano, ti glorifichino e ti magnifichino per me tutte le tue ammirabili opere e tutti i tuoi generosissimi doni, che io ricevo da te, o Dio della mia vita. Ti benedicano i tuoi numerosi e grandi atti di compassione e di misericordia, e gli infiniti benefici con cui te, o Do del mio cuore, hai beneficato la mia anima. ti benedicano tutto il mio intimo [cf Sal 102,1] e tutto il mio essere e la mia forza, poiché tu sei il Dio della mia salvezza e il sostegno dell’anima mia [Sal 53,6; cf 61,3].
Qui esprimerai al Signore, davanti al trono di Dio e dell’Agnello [Ap 22,1], la tua gioia per tutti i suoi benefici:
Acclamino con gioia a te i desideri del mio cuore e i miei voti e ti celebrino i doni delle tue numerose grazie. Cantino con gioia a te i gemiti ei sospiri della mia infelice dimora terrena e ti benedica quella mia aspettativa che sei tu stesso, mio Dio, la mia pazienza e la mia lunga attesa. Canti con gioia a te la speranza e la fiducia che ripongo in te, poiché alla fine mi salverai dalla polvere per ricondurmi a te, o vita beatissima, Dio mio.
Canti con gioia a te il sigillo della fede, con cui mi hai contraddistinto perché fossi tua, poiché credo che infine, o mio caro Redentore, ti vedrò nella mia carne [cf Gb 19,26]. Ti canti con gioia il desideri oche provo per te, la sete che soffro per te, poiché dopo questa vita verrò infine a te, o vera patria, Dio mio. Anche l’amore divino, che prevenendo il mio amore mi obbliga ad amarti incessantemente, canti con gioia a te al di sopra di tutto, poiché tu, Dio mio, dolce amor mio, sei l’unico Dio benedetto nei secoli.
Qui ti prostrerai in adorazione dinanzi al volto del Signore tuo, pregando con devozione del cuore e della bocca che Gesù supplisca per te:
Quando, quando, Gesù d’immenso amore, entrerò nella tua casa con olocausti [Sal 65,13], per offrirti lì sacrifici di esultanza [Sal 26,6] e sciogliere a te i miei voti, che le mie labbra, pronunciarono nella mia tribolazione [Sal 65,14]? Quando, quando verrò e mi presenterò davanti al tuo trono santo, per contemplare il tuo dolcissimo volto, la cui divinissima luce sazia in se stessa il desiderio di tutti i santi e converte in dolce giubilo i loro cuori unitamente alle loro voci e alle loro labbra?
O diletto da me tanto desiderato, sii attento al mio grido [Sal 5,2]! Ascolta la mia preghiera [Sal 60,2] ed esaudiscimi, poiché, te, o mio Re e mio Dio, te chiama, te vuole, te ricerca il sospiro del mio cuore e il desiderio della mia anima. Cercando te i miei occhi grondano lacrime e verso di te si protende il mio sguardo. Sei proprio tu il mio Dio, la mia dolcezza e l’oggetto di tutto il mio amore, la mia speranza fin dalla mia giovinezza [Sal 70,5]: sei tu tutto ciò che voglio, che spero, che bramo.
Ed ora, o mio diletto, in quel vittoriosissimo amore in cui tu, sedendo alla destra del Padre nella mia stessa carne, mi tieni disegnata per te [cf Is 49,16] sulle tue mani e sui tuoi piedi e insieme nel tuo dolcissimo Cuore, affinché in eterno tu non abbia a dimenticare la mia anima, che hai redento a un prezzo tanto caro [1Cor 6,20; Sal 70,23], Dio mio, misericordia mia [Sal 58,18], innalza ormai al mio posto in tuo onore, per tutti gli atti di bontà che hai compiuto verso di me, che ora compi e che anche in futuro compirai, lodi eterne, immense ed immutabili. Lodi di tal genere tu puoi elevarle. In te stesso ne sei mirabilmente capace e sai farlo in modo adeguato alla reverendissima tua gloria e all’onore della tua maestà, prorompendo al mio posto, mio caro Gesù, nell’esclamazione di un tale e tanto intenso rendimento di grazie, quale a te si conviene, o mio Signore, veramente grande e mirabile. Loda te in te, in me e per me, con tutta la forza della tua divinità, con tutto l’affetto della tua umanità, da parte e con l’affetto di tutto l’universo, fino a che tu conduca me, atomo dell’intera tua creazione, attraverso di te che sei la via, con te che sei la verità e in te che sei la vita [Gv 14,6] mi introduca e mi nasconda [cf Col 3,3], affinché il tuo dolcissimo volto pieno di grazie sia la mia sorte in eterno [Sal 72,26]
Qui, come compiaciuta e rianimata nell’ammirazione della gloria di Dio, saluta il >Dio che ti ama con queste parole, leggendo il salmo celeste: “ Ti esalterò”, Dio, mio Re…” [Sal 144,1]:
Mio re e mio Dio, amore che sei Dio e gioia, a te canta con esultanza la mia anima e il mio cuore. Tu sei la vita dell’anima mia, mio Dio, Dio vivo e vero, fonte di luci eterne, e la luce del tuo dolce volto è stata impressa su di me, benché indegna; il mio cuore desidera salutarti, lodarti, magnificarti e benedirti! A te offro il fior fiore delle mie forze e dei miei sensi come olocausto di una nuova lode e di un intimo rendimento di grazie.
Che cosa renderò, o mio Signore, per tutti i beni che tu mi hai donato [Sal 115,12]? Ecco, come vedo, tu mi hai amato al di sopra della tua gloria, e non hai risparmiato te stesso per me [cf Rm 8,32; Gal 2,20]. A questo fine, inoltre, mi hai creata per te e mi hai redenta e scelta per te: per condurmi a te, per donarmi di vivere beatamente in te e di godere in eterno di te nella massima felicità. Che cosa infatti c’è ora per me in cielo all’infuori di te, o che cosa voglio o desidero al di là di tutti i tuoi beni, se non te [Sal 72,25]
Tu sei, mio Signore, la mia speranza, tu la mia gloria, tu la mia gioia, tu la mia beatitudine. Tu sei la sete del mio spirito. Tu la vita della mia anima. Tu il giubilo del mio cuore. dove mai potrebbe condurmi il mio stupore, al di sopra di te, Dio mio? Tu sei il principio e il compimento di ogni bene e in te è la dimora di tutti coloro che insieme si rallegrano. Tu sei la lode del mio cuore e della mia bocca. Tu risplendi nella primaverile piacevolezza del tuo gaio amore. La tua eminentissima divinità ti magnifichi e ti glorifichi, poiché tu sei la fonte della luce perpetua e la sorgente della vita [Sal 35,10]. Nessuna creatura è in grado di lodarti convenientemente. Tu solo basti a te stesso, in te non manchi mai nulla. Il tuo volto più dolce del miele e di un favo [Sal 18,11; Sir 24,27] sazia le anime dei santi.
Qui benedici il Signore Dio, tuo grande Re, per tutti i suoi atti di misericordia
Ti benedica per me la tua gloriosa e ammirabile luce, Dio mio, e ti lodi l’augusto onore della tua eccellentissima maestà. Ti benedica la solenne magnificenza della tua immensa potenza. Ti benedica la luce sorgiva del tuo eterno splendore e ti lodi il brillante incanto della tua risplendente bellezza.
Ti benedica l’abisso dei tuoi giusti giudizi e ti lodi l’imperscrutabile percorso della tua eterna sapienza. ti benedica l’infinito numero delle tue copiose manifestazioni di compassione e ti lodi l’immenso peso di tutti i tuoi atti di misericordia.
Qui offri al Signore un sacrificio di esultanza, dicendo con devozione:
Cantino con gioia a te tutte le viscere della tua tenerezza e la sovrabbondante ricchezza della tua infinita bontà. Canti con gioia a te l’immensa e straripante carità che tu hai per gli uomini, e la generosità inarginabile del tuo benevolissimo amore. Canti con gioia a te la forza trionfante della tua straripante dolcezza e la pienezza di ogni beatitudine, che dimora in te per chiunque ti è caro.
A questo punto adora il Signore Dio, domandandogli che ti introduca presto nella sua santa dimora e che egli stesso innalzi per te la lode; di’ pertanto queste parole:
O vita beatissima, Dio mio, a te solo sono rivolti i miei occhi! Quando, quando il tuo raggio di vita ricondurrà me, minima scintilla, tra gli splendori dei santi [Sal 109,3], affinché dinanzi al tuo trono risuoni anche sulla mia lingua il giubilo della tua lode, là dove a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo si innalza da parte di tutti i viventi un medesimo canto di lode in un’unica e dolce melodia di rendimento di grazie? Quando la corda del mio desiderio sarà unita a quella lira dei Serafini che incessantemente proclama in tuo onore un “Santo” ineffabile, così che la gioia e il giubilo del mio cuore canti all’unisono innanzi a te con questi beatissimi spiriti, in un medesimo genere di lode?
Quando accadrà che il vello candido come neve della tua purezza immacolata avvolgerà me, strappata al laccio dei cacciatori [Sal 123,7], perché io possa vedere te, bello d’aspetto più dei volti degli angeli, mentre precedi i cori dei vergini e dei santi, e possa ascoltare il cantico nuovo delle nozze eterne che tu, loro Re e Sposo, canti con tanta dolcezza accompagnandoti con la cetra [cf Ap 14,2-4]? La gloria della tua eccelsa voce è il cantico che risuona al di sopra di tutti i cembali del cielo e, rispetto a questa lode veramente degna di te, viene meno ogni altra voce e lingua.
Quanto immenso e di quale vivacità è il giubilo in cui al Signore uno e trino dalla Divinità una e trina si innalza all’unisono la somma ed eterna voce di lode e il ringraziamento! Quello è il giubilo durante il quale, lasciando cadere la sua magnificenza, tace umilmente tutta la musica del cielo, e tutta la schiera dei Serafini piega verso il basso le ali. O Dio del mio cuore e diletto da me tanto desiderato, tu, grazie all’abbondanza pienamente perfetta di te stesso, non manchi assolutamente di nulla: ti prego pertanto di unire in quest’ora alla tua voce, nel giubilo del tuo Cuore divino, un nuovo accento di lode e di ringraziamento che compia un perfetto circolo, fallo tu al mio posto, perché io ne sono indegna. Ti soddisfi pienamente, sempre al mio posto, il canto armonioso del tuo giubilo per tutto il bene che mi hai fatto creandomi, redimendomi, scegliendomi dal mondo [cf Gv 13,18; 15,16].
In quel circolo di lode, te ne prego, includi anche il mio amore per te con un nodo di affetto talmente indivisibile che l’intimo del mio cuore canti gioiosamente a te senza mai stancarsi per tutta la durata dell’infelice soggiorno terreno che mi tocca sopportare, sempre assetata della tua lode e desiderosa di ritornare a te che mi hai creata, sino a che, deposto il gravame del corpo, apparirò davanti al santuario. Là, alla vista del tuo divinissimo volto, il mio cuore si colmi di gioia e la mia lingua di esultanza [cf Sal 125,2]; là io possa esultare in perpetuo per la tua bontà e gloriarmi dell’eterno godimento del tuo dolcissimo volto. Amen
A questo punto, come se ti sentissi dissolta e senza respiro di fronte all’immensità delle ricchezze e delle delizie della gloria del tuo Dio, di fronte all’inestimabile bellezza della sua lode, di fronte alla bellezza soavemente dolce del suo splendidissimo e gloriosissimo volto, invita tutte le creature alla lode di Dio con l’inno: “benedite, opere tutte del Signore, il Signore [Dn 3,57] e con questa preghiera:
Il mio cuore e la mia carne esulteranno in te, Dio vivo [Sal 83,3], e la mia anima si rallegrò in te, o mia vera salvezza. Quanto è ammirabile il tuo tempio, Signore, re degli eserciti! Quanto è glorioso il luogo della tua dimora, dove tu, il Dio Altissimo, siedi davanti a tutti gli esseri nella tua maestà! L’energia della mia anima languisce nel desiderio [cf Sal 83,2] di entrare nella tua gloria. Dio, Dio mio, che del mio cuore sei l’amore e la gioia, il rifugio e la forza [Sal 45,2], Dio, mia gloria e mia lode, quando ti loderà la mia anima nell’assemblea dei santi [Sal 149,1]?
Quando i miei occhi vedranno te, Dio mio, Dio degli dei’ Dio del mio cuore, quando mi colmerai di gioia con la visione del tuo dolcissimo volto [cf Sal 20,7]? Quando soddisferai il desiderio del mio cuore [Sal 20,3], manifestandomi la tua gloria? Dio mio, mia sceltissima parte di eredità, mia fortezza e mia gloria, quando entrerò nelle tue potenze, per vedere la tua forza e la tua gloria [Sal 62,3]? Quando mi rivestirai del manto della lode al posto dello spirito di afflizione [Is 61,3], affinché insieme con gli angeli tutte le mie membra ti offrano un sacrificio di esultanza [Sal 26,6]?
Dio della mia vita, quando entrerò nel tabernacolo della tua gloria, perché anch’io possa proclamare in tuo onore il più splendido Alleluia e, al cospetto di tutti santi, la mia anima e il mio cuore possano esaltarti per il fatto che hai ampiamente dispiegato nei miei riguardi le tue misericordie [Gen 19,19]? Dio mio, mia splendida eredità, quando giungerà il momento in cui, spezzato il laccio di questa esistenza di morte [cf Sal 123,7], io ti vedrò e ti loderò senza intermediari? Quando dimorerò nella tua tenda per sempre [Sal 60,5], per lodare senza sosta il tuo nome e cantare un nuovo inno alla tua magnificenza per l’immensità della tua misericordia?
Nessuno è simile a te tra gli dei [1Cr17,20], mio Signore, e non c’è possibilità di paragone per la sublimità delle ricchezze della tua ammirabile gloria. Chi perlustrerà l’abisso della tua sapienza e chi enumererà gli infiniti tesori della tua generosissima misericordia? Veramente nessuno è tanto grande e ed eccelso quale sei tu, mio Dio, Re immortale! Chi saprà descrivere la gloria della tua maestà? Chi potrà saziarsi della visione del tuo splendore? Come potrà bastare l’occhio per vedere o l’orecchio per udire dinanzi all’ammirazione suscitata dalla gloria del tuo volto?
Dio, Dio mio, tu solo sei ammirabile e glorioso. Tu solo sei grande e degno di lode, tu solo sei dolce e degno di amore, tu solo bello e attraente, tu solo pieno di fascino e di delizie, tu solo sei tanto grande e meraviglioso da non aver l’uguale in tutta la gloria del cielo e della terra. La tua ammirabile luce [1Pt 2,9] per il mio cuore è amabile al di sopra di ogni gloria; solo quella luce può rallegrare il mio spirito e convertire il tedio di questa vita in gioia ed esultanza.
Quando sarai luce che mai potrà spegnersi alla lampada dell’anima mia [cf Sal 17,29] e mi riaccenderai in te, affinché io possa conoscere me in te, così come sono conosciuta [1Cor 13,12]? Quanto è fortunato, quanto è felice colui che la gloria del tuo volto custodisce già nascosto in sé [cf Sal 30,21]! Quando quel dolcissimo raggio assorbirà anche me, indegna, affinché possa divenire un solo amore e un solo spirito con te? Tutto l’intimo del mio cuore ti dice: “Signore, chi è simile a te [Sal 34,10]?” veramente nessuno è come te nella gloria, poiché tu solo sei il Dio glorioso ed eccelso nei secoli [Dn 3,52]. Quando innalzerai dalla polvere il misero [cf Sal 112,7; 1Sam 2,8; Lc 1,52] e potrò stare al tuo cospetto, dinanzi al tuo volto regale, e, al posto della cenere, tu mi darai la corona di una gioia perenne [Is 61,3], affinché con voce di eterno giubilo la mia anima ti renda lode per tutti i beni che gratuitamente mi hai elargito [cf Sal 115,3]?
Già la mia anima e il mio cuore ardono di desiderio per te, Dio del mio cuore e mia sorte, o Dio, in eterno [Sal 72,26]. In te esulta il mio spirito, o Dio, mio salvatore [Lc 1,47]. Se ogni creatura fosse in mio potere, tutte le radunerei per la gloria della tua lode, e così pure tutte le splendide opere delle tue dita [Sal 8,4]. Al ricordo della tua lode, già si struggono la mente e l’anima mia. Se avessi le forze di tutti gli angeli e gli uomini, volentieri le spenderei tutte per la tua lode senza averne niente in cambio, purché solo mi sia concesso di vedere gli inni di lode e gli omaggi gioiosi davanti al tuo trono santo dove tu ti riposi, tu e l’arca della tua potenza [Sal 131.8] insieme con te, in una quiete beatissima, là dove mille migliaia di migliaia [cf Dn 7,10] stanno davanti a te al tuo servizio, proclamando incessantemente giorno e notte: Santo, Santo, Santo.
Lì, lì nel turibolo d’oro del tuo Cuore divino, dove ininterrottamente brucia per la tua lode l’aroma soavissimo dell’eterno amore, getto anch’io un minuscolo granello di cuore, bramando con tutto l’ardore del desiderio che anch’esso, benché meschino e indegno, vivificato con potenza dal soffio del tuo Spirito, passi nell’unico braciere della tua lode e che quei lunghi sospiri, che traggo per te dagli abissi della terra a causa della mia prolungata attesa, tornino a tua perenne lode e gloria. Amen.
Qualora, pur avendo lo spirito e l’anima avidi di lodare Dio, non riuscissi a trovare parole adatte alla sua dignità, prega il Signore Gesù, che di te è innamorato, di essere lui stesso a glorificare sé al tuo posto, con una lode di tale e tanta perfezione quale a lui conviene, a lui piace e come lui stesso si compiace maggiormente di essere lodato; fallo dicendo con devozione del cuore e della bocca:
Ti benedica, Dio mio, mia dolcezza, la santa gloria della tua divinità, con cui ti degnasti di colmare e abitare per nove mesi il casto grembo di Maria Vergine. Ti benedica l’altissima potenza della tua divinità, che si chinò fino a raggiungere l’umile livello di questa valle verginale. Ti benedica la tua onnipotenza mirabilmente ingegnosa, o Dio altissimo, per la quale conferisti a questa virginea rosa tanta virtù, bellezza e grazia da potertene tu stesso invaghire.
Ti benedica la tua ammirabile sapienza, la cui abbondanza di grazia fece sì che tutta la vita di Maria, corpo e anima insieme, fosse adeguata alla tua dignità. Ti benedica il tuo amore forte, sapiente e dolcissimo, in virtù del quale tu, fiore e sposo della verginità, divenisti figlio di una vergine. Ti benedica l’annientamento della tua maestà [cf Fil 2,7], che mi procurò i tesori dell’eredità eterna. ti benedica l’assunzione della nostra umanità, che mi ha chiamata a partecipare alla tua divinità. Ti benedica l’esilio che per trentatré anni hai sopportato per me, per ricondurre la mia anima, che era perita [cf Lc 15,32; 19,10], alla fonte della vita eterna.
Ti benedicano tutte le tue fatiche, i dolori e i sudori della tua umanità,con cui santificasti tutte le mie difficoltà, tribolazioni e debolezze. Ti benedica l’esperienza della mia miseria, per cui sei diventato per me padre di abbondante misericordia e Dio d’infinita clemenza. Ti benedica la tua generosa dilezione, in virtù della quale sei divenuto tu stesso la preziosa redenzione dell’anima mia. Ti benedicano tutte, una per una, le gocce del tuo preziosissimo sangue, con cui vivificasti l’anima mia e mi redimesti a un prezzo tanto caro. Ti benedica l’amarezza della tua morte preziosa, che ti infisse a mio vantaggio il tuo forte amore: in base ad essa non mi vergogno di prendermi da te tutto ciò che in fatto di meriti, se conto su me stessa, mi manca, né di pensare con audacia e di essere sicura che tu hai veramente cura di me, dal momento che tu sei mio e io sono tua, per il diritto perpetuo dell’acquisto che mi ha reso tua proprietà. Ti benedica per me la gloria del tuo trionfo, per la quale tu siedi, con la mia carne, alla destra del Padre, Dio benedetto nei secoli. Ti benedica il tuo proprio splendore, onore e potenza, di cui mirabilmente si sazia e si pasce tutto l’esercito celeste.
Qui, come se aderissi tutta quanta al Dio che ti ama,prega il Signore che lui stesso, con la sua amatissima Madre, la Vergine Maria, e con tutta la milizia del cielo, offra a se stesso un sacrificio di esultanza, nella festosa allegrezza del suo amore che è fonte di immensa gioia. Pregalo anche di essere lui, soavissimo suonatore di cetra, a cantare per primo, accompagnandosi con lo strumento della sua divinità e con la cetra della sua umanità. Di’ dunque queste parole con il cuore e con la bocca:
Per me ti canti con gioia, o Dio della mia vita, la divinità della tua augusta Trinità, l’unità dell’essenza, la distinzione delle persone, il dolce vincolo che le lega, la reciproca ed intima familiarità. A te canti con gioia la sublimità della tua incomprensibile dignità, la tua immutabile eternità, la tua sorgiva santità, la tua gloriosa e perfetta felicità. A te canti con gioia la carne purissima della tua umanità, nella quale mi rendesti pura, divenendo osso delle mie ossa e carne della mia carne [Gen 2,23].
A te canti con gioia la tua anima sommamente eccelsa, preziosissimo pegno grazie al quale la mia anima è stata redenta. A te canti con gioia il tuo Cuore divino, che stilla miele di dolcezza e che nella morte fu squarciato per me dall’amore. A te canti con gioia il tuo tenerissimo e fedelissimo Cuore, nel quale la lancia mi aprì la strada, affinché il mio cuore, entrando in esso, vi trovasse riposo. A te canti con gioia questo Cuore dolcissimo, unico rifugio nel mio soggiorno terreno, che con tanta tenerezza si prende sempre cura di me, e non si placa mai nella sete che prova per me, sino a che non mi accolga per sempre presso di sé.
A te canti con gioia per me il degnissimo cuore e l’anima della gloriosissima Vergine Madre Maria, che scegliesti per te come madre per la necessità della mia salvezza, affinché mi sia sempre disponibile la sua materna clemenza. A te canti con gioia la fedelissima cura che tu hai per me, nella quale mi hai provveduta di un’avvocata e patrona tanto valida e tanto buona, che per suo tramite io possa trovare con estrema facilità la tua grazia e in cui, lo credo con fiducia, mi sia conservata la tua eterna misericordia. A te canti con gioia questo ammirabile tabernacolo della tua gloria, che solo ti servì in modo degno offrendoti una santa dimora e grazie al quale, presentandolo tu stesso al mio posto, tu puoi perfettamente supplire al canto di lode e di gloria che ti è dovuto da parte mia.
A te cantino con gioia per me i sette gloriosi spiriti che stanno al tuo cospetto davanti al tuo trono [Ap 1,4]. A te cantino con gioia le infinite schiere dei santi Angeli, che tu invii come tuoi servitori per amore della stirpe eletta che ti sei acquistato[1Pt 2,9]. A te cantino con gioia i quattro santi esseri alati [Ap 5,8], che dal profondo del loro cuore fanno sgorgare giorno e notte la tua lode.
A te canti con gioia la dignità degli Apostoli, tuoi intimi amici e fratelli, grazie a cui suffragi sostieni mirabilmente la tua santa Chiesa. A te canti con gioia la vittoriosa schiera dei Martiri, la cui assemblea è imporporata dal tuo preziosissimo sangue [Ap 7,14]. A te canti con gioia la perfettissima schiera dei Testimoni della fede, il cui spirito tu hai trasferito nella tua ammirabile luce [1Pt 2,9]. A te canti con gioia il santo e immacolato corteo delle Vergini, adornate insieme con te dalla stessa luminosità di un’unica purezza candida come la neve. A te canti con gioia, per me, questo cantico nuovo che risuona sulla loro bocca quando ti seguono dovunque tu vada, Gesù buono, re e Sposo delle vergini [Ap 14,3-4]. A te canti con gioia, per me, il cuore della tua divinità e il fior fiore della tua dolcezza, di cui si sazia lautamente la Gerusalemme celeste, nello splendore del tuo volto divino. A te canti con gioia tutta la schiera dei tuoi eletti, tua eredità e tuo popolo che ti appartiene, poiché essi sono con te e tu sei con loro, il loro Dio in eterno [cf Ger 31,33].
A te cantino con gioia tutte le stelle del cielo, che per te brillano con gioia e, chiamate ad un tuo cenno di comando, sono sempre pronte al tuo servizio [Bar 3,33.35]. a te cantino con gioia tutte le mirabili opere tue, tutte quelle che abbraccia l’immenso cerchio del cielo, della terra e degli abissi, e ti dicano quella perpetua lode che sgorgando da te, rifluisce in te, sua origine. A te canti con gioia il mio cuore e la mia anima, con tutta la sostanza della mia carne e del mio spirito, sprizzando dall’energia di tutto l’universo. A te, dunque, dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose [Rm 11,36], a te solo onore e gloria nei secoli. Amen.
Ora, sentendoti in un certo senso rinvigorita dalla lode del tuo Dio, del tuo Re, che è nel santuario [Sal 67,25], sorgi con cuore ormai dilatato [cf Sal 118,32] per trovare le tue delizie nel Dio che ti ama, gettando in lui tutto l’amore del tuo cuore, affinché lui stesso ti nutra qui con le benedizioni della sua dolcezza [Sal 20,4] e là ti conduca alla benedizione del suo perfetto e perpetuo godimento. Serviti per questo delle seguenti parole:
Dio, Dio mio, poiché tu sei mio, nulla mi manca [Sal 22,1]. E poiché io sono tua, mi glorierò in eterno di te, Dio, mio salvatore [Lc 1,47]. In ogni mia tristezza tu mi prepari in te il gioioso convito che desidero. E dove potrà mai trovarsi bene la mia anima, se non in te, Dio della mai vita? Se è così dolce il ricordo della tua lode nell’attuale miseria di quaggiù, che cosa sarà, o santa dolcezza, quando ti donerai a me in abbondanza? Se la tua consolazione già qui ricolma di beni il mio desiderio, che cosa sarà mai quando assorbirai il mio spirito in te, o Dio della mia salvezza? Quanto ampi e di quale rigoglio saranno i pascoli intimi del tuo volto che stilla dolcezza, quando già qui l’anima, collocata, ahimè, di rado e per un breve intervallo nel pascolo delle tue dolcezze, si trasferisce in e struggendosi completamente! Quale sarà il ristoro gustato alla presenza del tuo volto divino, quando quaggiù, lungo le acque del tuo ristoro interiore solamente, l’intimo dello spirito e dell’anima si nutre con tanto piacere e tanta dolcezza! Dio, Dio mio, da quando hai convertito a te la mia anima, tu non mi lasci più pensare o sentire nient’altro fuorché te e mi strappi a me stessa, portandomi in te, affinché io non possa assolutamente più preoccuparmi di me, poiché in te mi nascondi ai miei stessi occhi.
E quale sarà allora la gioia, quale l’esultanza, quale il giubilo, quando mi svelerai lo splendore della tua divinità, e la mia anima ti vedrà faccia a faccia [1Cor 13,12]? Allora di certo non proverò altro piacere se non quello di dedicarmi unicamente a contemplare [cf Sal 45,11] la tua gloria, Dio, e girare intorno all’altare [cf Sal 25,6] della mia riconciliazione ed immolare a te l’intimo della mia anima nella gioia e nella lode.
Allora, o anima mia, vedrai e sarai nell’abbondanza, ammirerà e si dilaterà il tuo cuore [Is 60,5], quando si riverserà su di te la moltitudine delle ricchezze e delle delizie e la magnificenza della gloria del vasto mare della potenza delle nazioni che il Re dei re e il Signore dei signori [1Tm 6,15; Ap 19,16] con la sua mano forte ha riscattato per sé dalla mano del nemico, quando ti sommergerà la traboccante misericordia e carità della divina onnipotenza, sapienza e bontà, recandoti in sorte l’adozione eterna.
Allora ti verrà offerto il calice della visione e ti inebrierà [Lam 4,21], il calice inebriante e sublime [Sal 22,5] della gloria del volto divino e ti disseterai al torrente delle delizie divine [Sal 35,9], quando la sorgente stessa della luce ti sazierà in eterno con le delizie della sua pienezza. Allora vedrai i cieli ricolmi della gloria di Dio e quell’astro verginale, che dopo Dio illumina tutto il cielo con lo splendore delle dita [Sal 8,4] di Dio e le stelle del mattino [Gb 38,7] che stanno sempre con tanta gioia davanti al volto di Dio [cf Tb 12,15] al suo servizio.
O Dio del mio cuore e mia sceltissima eredità [cf Sal 72,26], ahimè, ahimè, fino a quando, fino a quando sarà frustrato il desiderio della mia anima per la presenza del tuo dolcissimo volto? A te solo è ben noto quale fonte di infelicità sia per me dover dimorare quaggiù – e tu sai di che fragilità sia la miseria dell’esilio in cui vivo.
O diletto dei miei pensieri, di te ha sete l’intimo del mio cuore. Fa’ che ti possa presto raggiungere, o Dio, fonte viva, perché io possa presto attingere per sempre in te la vita eterna. fa’ splendere presto il tuo volto su di me [Sal 30,17], affinché possa vederti con gioia faccia a faccia. Presto, presto, mostrati a me, perché felicemente goda di te per sempre!
O vita del mio spirito, trasferisci il grido del mio desiderio e fondilo in un’unica voce con la melodia del tuo gioioso amore! Appropriati della mia vita e unisci al tuo amore la mia anima, in modo tale che tutta la mia vita e ogni mia azione cantino lode a te sull’arpa a dieci corde [Sal 143,9] e tutta la mia volontà unita a te cominci, proceda e finisca in e, o vera vita dell’anima mia.
O vero amore del mio cuore, per me, in questa ora, rendi a te stesso l’onore tanto solenne e tanto splendente della lode e del ringraziamento al cui giubilo si unisca cantando tutta la schiera celeste, per quel bene straordinariamente immenso e dolcissimo che tu stesso sei per me, Dio mio, e per quel bene che mi concedi degnandoti di essere conosciuto, amato e lodato da me rifiuto di tutte le creature, poiché tu sei il mio salvatore, l’intera causa della mia salvezza e la via dell’anima mia.
In quello splendore di lode, l’anima mia consumi davanti a te l’intimo del mio spirito, benché sia povera cosa, sciogliendosi nell’amore della tua lode, fino a che il mio spirito torni felicemente a te, o Dio. Ti prego, fa’ che in questa vita mi diletti tanto del ricordo della tua lode, che nell’ora della mia morte la sete e l’amore forte [cf Ct 8,6] di vedere te, di lodare te e di essere con te vinca in me la forza della morte e tu stesso sii per me in quella strettoia la porta della vita celeste, perché il mio spirito e la mia anima esultino in eterno in te.
Amen.
Poi, come tortorella solitaria, per la brama di vedere il dolcissimo volto del diletto [cf Ct 2,12-14; Sal 101,8], sentendoti venire meno per il tedio di questa vita, abbassando le ali dei tuoi desideri insieme con i santi viventi (Ap 4,8-10) davanti al trono di Dio, dichiara davanti al Signore tuo Dio che il tuo cuore è tutto lì dove si trova lui, il tuo tesoro [Mt 6,21], oggetto dei tuoi desideri, e chiedigli una morte felice.
Il mio cuore è fissato dove vuole Gesù, mia vita. O Gesù, amato al di sopra di tutto quanto è oggetto di amore, sei tu la vita fedele dell’anima mia. Tu sei tutto il languore della mia anima: di te solo ha sete nell’intimo il mio cuore. La tua deliziosa beatitudine, la tua mirabile bellezza, la tua nobile immagine, il tuo amabile aspetto, mi hanno inferto una ferita così soave che mi risulta pesante vedere la luce di questo mondo.
Provo noia di me stessa. Fino a quando, fino a quando, o mio diletto, dovrò aspettare il momento in cui potrò godere di te e contemplare il tuo amabile volto? Tu sei la sete dell’anima mia. Il cielo, la terra e tutto ciò che è in essi [cf Sal 95,11-12], senza di te, sono per me gelido ghiaccio invernale. Il tuo amabile volto è per me la sola consolazione e sollievo di primavera.
O amore, amore, quando riceverò da te questo dono, che cioè il mio corpo, che tu avrai annientato, ritorni in polvere e la mia anima rifluisca in te, Dio, sua viva origine? I tuoi purissimi, divini effluvi [cf Sap 7,25-26], che splendono in modo tanto amabile dal tuo trono eccelso coi loro raggi recanti impressa l’immagine della divinità, afferrano con forza tutto il mio spirito. Che cosa ancora starà ad aspettare la misera fogliolina dell’albero, nella tempesta così violenta di questo secolo? O amore, amore, tienimi nella tua potente mano destra, affinché la mia anima non ne venga sommersa! Il dolce mormorio dell’acqua viva, che scaturisce dalla sua stessa sorgente, ha rapito con forza il mio cuore: nessuna lira ha mai avuto un suono così dolce! Questa vita si è per me svilita apparendomi all’incirca come un sogno. Fino a quando, fino a quando dovrò sopportarne l’illusione?
O amore, amore, non sciogliermi mai dal laccio che mi lega a te, sino a quando mi presenterai all’unico diletto del mio cuore, nel suo seno dolcissimo. Dolce fragranza del frutto della vita, che sei tu stesso, o mio carissimo diletto, tu hai rapito il mio spirito [cf Ct 4,9], al punto che il corpo nella sua corruttibilità mi disgusta come un letamaio, per cui il mio sospiro verso di te non ha mai tregua.
O amore, amore, quando mi vuoi sciogliere dal corpo, perché io possa godere senza intermediario del diletto del mio cuore e rimanere con lui senza fine? Un unico raggio della tua divinità, a me donato attraverso la tua umanità, rallegra mirabilmente il mio spirito, al punto che se anche avessi mille corpi, li disprezzerei senza indugio. Quali saranno allora le delizie celate nel godimento del tuo distinto splendore’ Mille morti, le stimerei un nulla, se mi fosse concesso di contemplare la dolcezza della tua verità.
O amore, amore, trattami con misericordia e sollevami rapidamente a quella gioia insigne in cui contemplerò la gloria del fedele salvatore mio Sposo. Solo la pienezza della tua divinità può saziare la mia anima, che ti sei degnato di creare per te. Un’unica goccia della tua dolcezza da me assorbita rapisce il mio spirito con una forza tale che la morte risulterebbe per me intimamente più gustosa della vita, pur di poter contemplare senza fine il tuo volto.
O amore, amore, quando separerai dal corpo la mia anima, in modo che il mio spirito abiti ininterrottamente in te, che mi sei tanto caro? Il tuo amabile abbraccio ha un gusto così dolce che se anche avessi mille cuori, mi si scioglierebbero in un baleno. Quanto volentieri, quanto volentieri esalerei l’ultimo respiro, per poter immergermi perfettamente nel fiume della tua divinità!
O amore, amore quanto vorrei che tu compissi in me le tue liete nozze, affinché la mia anima, strappata dalla valle della miseria, sia assorbita nella sua origine come una goccia nel suo mare! O Gesù dolcissimo, prediletto del mio cuore, al di sopra di tutto ciò che può essere amato, ed unico eletto, sii tu la mia guida in questa miseria, affinché concluda i miei giorni nella tu lode e finisca bene la mia vita nella tua grazia e amicizia.
O Gesù, dolce amore, sii tu il rifugio per la tua povera sposa, che senza di te non ha nulla di proprio, né alcun bene. Nel vasto mare di questa vita sii per lei la rotta e nell’agghiacciante tempesta della morte sii la sua consolazione. Porgimi la mano della tua tenerezza e sii tu stesso il bastone della mia forza, a cui possa appoggiarmi con tale sicurezza, o dolce liberatore della mia anima, che siano ridotte al nulla, alla vista della tua potenza, tutte le frodi e le insolenze dei miei nemici!
O Gesù, mio fedele amico, l’abisso della tua immensa misericordia sia per me una baia sicurissima, che mi consenta di sfuggire agli orribili insulti di tutti i miei nemici: tu stesso sii allora il mio asilo sicuro, in cui con gioia mi lancerò, svincolandomi dalla prigionia di tutti i mali. O Gesù, mia dolce speranza, il tuo Cuore divino, squarciato per amor mio, che è aperto senza sosta a tutti i peccatori, sia il primo rifugio per la mia anima non appena sarà uscita dal corpo. Lì l’abisso del tuo infinito amore inghiotta in un momento tutti i miei peccati, affinché insieme a te, o diletto del mio cuore, io possa accedere senza ostacoli alle danze corali del cielo.
O Gesù, unica mia salvezza, mio salvatore e mio Dio, quando sarò giunta alla fine della vita, mandami il fedele aiuto di Maria, la tua amabile madre, fulgida stella del mare, affinché alla vista del roseo fulgore, simile all’aurora, del suo volto glorioso io comprenda che tu, Sole di giustizia [Ml 3,20], con lo splendore della tua luce ti stai avvicinando all’anima mia. O amato al di sopra di tutti, tu conosci il desiderio del mio cuore: infatti tu solo sei il sospiro dell’anima mia. Orsù, dunque, vieni al più presto, affinché davanti al tuo amabile volto io dimentichi del tutto i dolori del mio cuore.
O amore, amore, sorveglia l’ora della mia dipartita e apponile il tuo sigillo, affinché sotto la tua fedele custodia, grazie alla tua immensa bontà, alla quale unicamente mi appoggio, nulla mi possa nuocere nell’anima. Nel momento del mio trapasso mostrami la tua dolce sapienza e conforta lamia misera anima con tanta efficacia che in essa risplenda in eterno la straordinaria compassione con cui tu, Re glorioso, tanto durante la mia vita quanto al momento della mia morte, hai agito in lei. Consuma allora tutte le mie forze nella tua potenza e per la tua misericordia sommergimi nell’abisso della divinità, dove l’amabile volto di Gesù, diletto del mio cuore, mi sazierà, ristorerà e soddisferà in pienezza nella tua gloria.
A questo punto affida di nuovo a Dio la tua dipartita e la fine della tua vita, affinché egli ti venga in aiuto in ogni cosa ed ordini e disponga la fine della tua vita secondo la sua misericordia; fallo dicendo questa preghiera
Mio Dio e mio Signore [cf Gv 20,28], mio dolce creatore e redentore, in te solo ha sperato il mio cuore, in ho riposto la mia fiducia e ti ho pubblicamente riconosciuto. P primaverile fiore della divinità, irrorami con la rugiada della tua fiorentissima umanità, affinché sotto la piacevole pioggia della tua santa carità e dolcezza si rallegri l’anima mia, dimentichi i mali di questo esilio e alimenti in te la crescita dei germogli di tutte le virtù. O nobile gemma e fiore delle virtù, aiutami a sopportare serenamente con te la provvisoria dimora di questa miseria e a comportarmi con pazienza in tutte le tribolazioni e le difficoltà.
Mio Dio, mio Re, che sei nel santuario [Sal 67,25], nel quale la mia vita è nascosta con il mio Gesù [Col 3,3], ecco che le tue caste delizie sono straripate su di me. Ormai sono morta a me stessa e passata in te, e pur essendo in vita sono venuta meno. E ora dove potrò andare lontano da te? Poiché sia in cielo sia in terra non conosco null’altro che te. Dio mio, lode di Israele, che abiti nel santuario [Sal 21,7], in cui esisto, mi muovo e vivo [At 17,28], in te solo confido. In te si è dilatato il mio cuore [Sal 118,32; 2Cor 6,11], poiché tu sei tutta la mia gioia, l’unica, e tutto il mio desiderio. Il raggio della tua luce ha risvegliato il mio spirito che dormiva.
Quando la mia anima potrà essere assorbita dal flusso di vita del tuo dolcissimo ed eterno godimento? Quando il diluvio del tuo amore trascinerà via con sé il mio spirito e mi restituirà a te, perché io veda il tuo volto che stilla dolcezza, Dio della mia vita, autore della mia salvezza, sostegno dell’anima mia [Sal 53,6]? Senza di te non sono nulla, nulla so, nulla posso, né valgo nulla. In te spero, a te desidero venire; il tuo deliziosissimo volto, sorgente di vita, voglio vedere, a te bramo di essere unita in eterno in modo inseparabile, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Ti prego, consacra tu il mio essere e la mia vita per la lode e la gloria di te solo, affinché in tutti i miei pensieri, parole, opere e sentimenti sempre ti lodino e ti glorifichino l’intimo della mia anima e tutta la forza e la sostanza del mio corpo, nella perfetta pienezza della carità e della dilezione. La mia anima è costretta ad abitare nel carcere di questo corpo, pur desiderando, bramando e anelando intensamente a te, Dio, fonte viva [cf Sal 41,3]; ed è infelice in questa dimora, poiché ignora il mio ingresso e la mia uscita. E unicamente perché te, Padre delle misericordie, non disprezzi né abbandoni l’opera delle tue mani [Sal 137,8], tutto ciò induca l’abisso della tua compassione a riversarsi su di me, e il tuo sguardo si volga alla mia vita terrena con le stesse viscere di misericordia [Lci 1,78] con cui tu hai condiviso la mia sofferenza quando, per trentatré anni, ti sei degnato di provare questo medesimo esilio, come pure hai avuto compassione di me quando il tuo dolcissimo Cuore, per riscattarmi, si è lasciato squarciare sulla croce per amore.
Ti prego, o vita beatissima dell’anima mia, in tutte le mie tentazioni sii tu il mio trionfo e la mia vittoria, in tutte le mie infermità la mia pazienza, in ogni tribolazione lamia consolazione. In ogni pensiero, parola e opera sii tutta la mia attenzione, il mio inizio, la fine e il compimento. In tutta la mia vita sii tu la mia santificazione; nel prolungarsi della mia attesa, fino all’esito della buona battaglia [2Tm 4,7], sii tu la mia perseveranza.
O mia splendida eredità e parte migliore dell’anima mia, a cui solo mira il mio desiderio e la mia speranza, nell’ora della mia morte disponi ed ordina tutto ciò che è mio nella tua pietà e clemenza, affinché il vessillo della tua croce preziosa sia allora per me difesa sicurissima contro tutte le insidie di satana. Le gloriosissime armi della tua Passione vittoriosa, i chiodi insieme con la lancia, siano per me dardi infallibili contro i suoi mille inganni, affinché, cinta e protetta dalla trincea della tua morte trionfale e amorosa, con cui mi hai redenta [cf Ef 1,13-14], avendo te per guida e sostegno per il viaggio, possa attraversare senza timore il varco della morte.
Tu allora non abbandonarmi [Sal 26,9], o mia salvezza, ma mostrati a me nella tua carità, pietà e misericordia, affinché io ti veda faccia a faccia [1Cor 13,12], o Dio che mi ami e che mi hai creato per te. Là, o sostegno dell’anima mia [Sal 53,6], Gesù caro, nello specchio della tua contemplazione, senza più veli, mostrami la gloria della tua divinità [cf Es 33,18], affinché il mio respiro e la mia anima siano pieni della tua lode gioiosa e splendida e il mio cuore si rallegri in eterno in te, o mia dolce salvezza.
La mia anima, che tu hai redento [Sal 70,23], esulti dei beni della tua casa [Sal 64,5], pienamente saziata dal godimento eccelso del tuo volto che è tutto dolcezza, resa vivamente lieta e gioiosa per essere sfuggita alle infinite insidie e ai tranelli del diavolo, della carne e del mondo e alle angosce della morte, e per il fatto di possedere te, o mia dolcissima eredità e mia amabilissima vita. Là, dove tu sarai in me e io in te, inseparabilmente unita a te con amore eterno, possa io lodare ininterrottamente il tuo nome per tutti i tuoi atti di bontà nei miei riguardi; poiché tu sei il Dio della mia vita, il redentore della mia anima e colui che mi ama.
Qui domanda al Signore che ti benedica e ti confermi nel suo amore, sino a quando giungerai alla sua visione:
O amore che crei unità, Dio del mio cuore; amore, lode e giubilo del mio spirito, mio Re e mio Dio [Sal 5,3; 83,4]! O mio diletto, scelto fra mille [Ct 5,10], Sposo amabilissimo dell’anima mia! Signore, Re degli eserciti, per te solo il mio cuore prova amore, attrazione e desiderio. O Dio che sei amore, sii tu stesso la mia dote in questa vita, tu che sei colmo della benedizione della dolcezza divina. Il mio spirito aderisca a te con un solo spirito, un solo respiro, una sola volontà, una sola carità, sino a che non sia in eterno un solo spirito con te [1Cor 6,17]. Tu stesso, o amore di fuoco, sii per me benedizione efficace e viva, dolce e capace di incitare, durante questo mio pellegrinaggio, affinché la mia anima e tutta la mia energia e il mio essere arda in modo inestinguibile come una vera scintilla nella fiamma della tua carità.
Tu stesso, o vivo amore, sii per me benedizione che porta a totale pienezza e perfezione, e che conduce la mia anima incontro a te come degna sposa, in modo che tutta la mia vita sia ordinata nella tua carità. La mia morte si compia pienamente in te, o mia beatissima vita, nella vivacità della fede, della speranza e della carità, e sia degnamene preparata da tutti i sacramenti della Chiesa. Una volta che tutte le mie forze siano state annientate nel tuo servizio e le mie viscere e tutto il mio intimo bruciati nel tuo amore, la mia anima, lasciato il fardello del corpo, possa seguire te, o mio dolce innamorato, lieta, sicura e libera, sino a giungere al cuore della santa Trinità, ricco di ogni delizia e meraviglia. Là tutti i miei peccati saranno rimessi grazie alla tua pietà e tutte le mie colpe saranno coperte dalla tua inestimabile carità, mentre la mia vita, andata in rovina, con tutte le sue macerie sarà restaurata da te, o ricco di amore, con l’esistenza totalmente perfetta del mio Gesù. La mia anima che qui languisce e si consuma per il tedio di questa vita, lì, ringiovanendo in te, o amore florido di vita, e rinnovata nella sua giovinezza come un’aquila [Sal 102,3], esulti nell’allegria. E, piena di gioia davanti al tuo volto che stilla dolcezza, come chi ha finalmente trovato ed è giunto a stringerti, coglie le infinite gioie della vita eterna, che possederà in eterno in te, O Dio che sei amore.
Amen.
j.m.j.
Esercizi Spirituali di s. Gertrude la grande
settimo esercizio di riparazione per i peccati e di preparazione alla morte
Quando vorrai celebrare un giorno di riparazione, raccogliti tutta quanta dentro di te a ciascuna delle sette ore [Mattutino – Prima – Terza – Sesta – Nona – Vespro – Compieta], per poter avere un colloquio con Colui che è Amore; affida a lui l’incarico di intercedere per te presso il Padre delle misericordie [2Cor 1,3] come per placarlo, affinché, attingendo al tesoro della passione di suo Figlio rimetta ogni tuo debito [Mt 6,12], sino all’ultimo punto di negligenza, perché nel momento della tua fine tu sia sicura che tutti i tuoi peccati siano stati pienamente perdonati.
Incomincia leggendo a mattutino la prima strofa dell’inno:
Innalza a te, dispensatore del perdono,
l’amore della nostra coscienza;
perché tu si clemente coi nostri cuori,
purificati dalle loro sozzure.
Poi aggiungi:
“La tua pietà ti induca a vincere i nostri mali col perdono; e, per quanto sia indegna di veder esaudito il mio desiderio, nell’ora della morte, senza più alcun ostacolo, saziami con il tuo dolcissimo volto, perché io possa trovare in te il riposo eterno”.
E così in compagnia della Misericordia e dell’Amore placherai il Padre con queste parole, dicendo con il cuore e con la bocca:
O dolce misericordia di Dio, piena di pietà e di clemenza, ecco che io, misera, nel dolore e nell’angoscia del mio cuore ricorro ai tuoi consigli, poiché tu sei tutta la mia speranza e la mia fiducia. Tu non hai mai disprezzato il misero. Tu non hai respinto nessun peccatore, fosse anche il più disgustoso. Tu non hai rigettato nessuno che abbia cercato rifugio presso di te [cf Gv 6,37]. Tu non sei passata oltre ad alcuno [cf Lc 10,31] che si trovasse nelle angosce senza provarne compassione. Tu hai sempre soccorso come una madre chiunque fosse nell’indigenza. Tu hai assistito con tenerezza, secondo il tuo nome, tutti coloro che ti invocano. Non allontanandomi da te, benché indegna, a causa dei miei peccati, non mi respingere per via dell’inutilità della mia vita religiosa!
Non mi disprezzare e non dire di me: “Perché ancora occupa la terra [Lc 13,7]?”, ma secondo la tua natura, con pietà, con pietà, abbi cura di me! Ecco che io, pur essendo ultima per mancanza di meriti, vengo, vengo a quegli alberghi dei poveri pieni di carità che si trovano presso di te, per non morire all’addiaccio della mia vita infeconda, sferzata dal freddo e dalla pioggia. Spero che dalla tua mano generosa mi sia donata l’elemosina, grazie alla quale la mia vita perduta possa essere riparata. Lì, coi velli della tua abbondante compassione riscalda i fianchi della mia nudità [cf Gen 3,21; Ap 3,18], affinché dalla tua carità siano coperti tutti i miei peccati [cf Rm 4,7; Sal 31,1] e compensate tutte le mie negligenze. Aprimi le tue dimore sicure, affinché lì sia salvata dalla tua grazia! Per te mi venga in aiuto l’amorevole carità di Dio, in cui sola è sicura la salute della mia anima e del mio spirito.
O amore, amore, volgi il tuo sguardo al mio Gesù, quel tuo regale prigioniero, fregiato del diadema della misericordia, che in quest’ora catturasti con tanta violenza: puoi dunque rivendicare come tua proprietà, insieme con lui, tutti i suoi beni, arricchendo quanto si trova in cielo e sulla terra con quella nobilissima preda e riempiendo tutto di beni, attingendo all’abbondanza del tuo gloriosissimo prigioniero.
Con quel preziosissimo bottino, con quel tuo prigioniero mille volte prediletto, riscatta la mia vita sciupata e restituiscimi la mia inutile esistenza non già sette volte, ma cento volte. Anche se, infatti, possedessi da sola la vita di tutti gli uomini e gli angeli, non potrei assolutamente avere un prezzo paragonabile al valore di quel tuo prigioniero sommamente desiderabile: quanto meno l’avrò, dal momento che sono un vile essere umano, polvere e cenere? [Gen 18,27].
Oh, se mi fosse donato quanto desidero… che tu, cioè, insieme con il carissimo Gesù facessi prigioniera anche me, benché così piccina, mi incatenassi e mi ereditassi come tua personale proprietà! Per effetto della compagnia e del dialogo con quel prigioniero divino, da peccatrice diventerei santa; da persona inutile, veramente spirituale; da nemica, vera amica di Dio; da tiepida, veramente assetata di Dio; da sterile e infeconda, capace di far germogliare la perfezione di tutte le virtù e la santità dell’intera vita religiosa. Lì, o mio caro Gesù, il seno della tua misericordia sia il carcere della mia prigionia. Lì la catena del tuo Cuore divino sia per me come un laccio, in modo che, nella violenza del tuo vivo amore, io divenga tua prigioniera per sempre, unita a te in modo invisibile, interamente vivente per te e stretta a te al punto da non poter mai essere separata da te in eterno.
Amen.
All’ora di Prima intrattieni un colloquio con l’Amore e la Verità, affinché, essendo loro stessi a parlare per te, nell’ora della morte tu giunga sicura al giudizio, avendo lo stesso Gesù, tuo giudice, come pietoso avvocato e difensore.
Versetto: Con grande benevolenza, Signore,
tu conosci nell’uomo l’errore:
inferma è la materia,
ci troviamo nella miseria
Poi aggiungi come sopra:
“La tua pietà ti induca a vincere i nostri mali col perdono; e, per quanto sia indegna di veder esaudito il mio desiderio, nell’ora della morte, senza più alcun ostacolo, saziami con il tuo dolcissimo volto, perché io possa trovare in te il riposo eterno”.
Incomincia a placare Dio così:
O cara Verità, o giusta Equità di Dio [cf Sal 84], come comparirò dinanzi al tuo volto, recando la mia iniquità, la colpa di aver perduto la mia vita, il peso della mia smisurata negligenza? Il denaro della fede cristiana e della vita spirituale non l’ho affidato, ahimè, ahimè, ai banchieri al banco della carità, in modo che tu, come avresti voluto, potessi recuperarlo con gli interessi [Lci 19,23; Mt 25,27] di un aumento di tutta la perfezione. Il talento del tempo a me affidato non solo l’ho sperperato in vanità, ma l’ho addirittura trascurato, rovinato e perso completamente. Dove andrò, dove mi volgerò, dove fuggirò dal tuo volto [Sal 138,7]?
O Verità, tu hai sempre accanto a te, come compagne inseparabili, la giustizia e l’equità. Tu giudichi tutto secondo il numero, il peso, e la misura [cf Sap11,21]. Tutto ciò che esamini lo poni su di una bilancia assai giusta. Povera me, e mille volte povera me, se dovessi essere consegnata a te senza avere un avvocato che risponda per me! O carità, intervieni tu in mia divisa. Rispondi tu per me! O carità, intervieni tu in mia difesa. Rispondi tu per me. Ottienimi tu il perdono. Tratta tu la mia causa, affinché io viva per tua grazia.
So che cosa fare [Lc 16,4]: prenderò il calice della salvezza [Sal 115,13]. Porrò il calice di Gesù sulla bilancia vuota della verità. Così, così supplirò a tutto ciò che mi manca. Così coprirò tutti i miei peccati. Con quel calice riparerò tutte le mie rovine. Con quel calice supplirò in modo più che degno ad ogni mia imperfezione. O amore, quel tuo regale prigioniero, il mio Gesù, indebolito fin nelle intime fibre dal fremito di commozione delle viscere della tua misericordia, tu in quest’ora hai trascinato in tribunale con tanta violenza da addossare su di lui il peccato di tutto il mondo, benché egli non avesse alcuna macchia, se non unicamente la causa del mio amore, e la mia colpa di cui tu domandavi conto a lui. Quell’uomo innocentissimo, carissimo, condannato per amore dell’amore mio, e giudicato reo di morte al mio posto, possa io riceverlo oggi da te, o amore carissimo, come compagno del mio giudizio! Dammi un simile ostaggio, perché possa avere proprio lui come difensore di tuta la mia causa.
O cara Verità, venire a te senza il mio Gesù sarebbe per intollerabile, ma presentarmi al tuo cospetto col mio Gesù è infinitamente piacevole e amabile. O Verità, siedi ora in tribunale [cf Gv 19,13]: entra ora nel pretorio [cf Gv 18,33] ed esprimi su di me qualsiasi giudizio ti piacerà. Non temerò alcun male [Sal 22,4]: so, so che il tuo volto non potrà per niente confondermi, dato che è con me la mia grande speranza e tutta la mia fiducia. Vorrei sapere quale sentenza pronuncerai su di me ora che ho con me il mio Gesù, lui carissimo, lui fedelissimo, che ha preso su di sé la mia miseria, per ottenermi presso di te una grande misericordia.
Gesù mio dolcissimo, amabile pegno della mia redenzione, vieni tu con me al giudizio. Ti prego, stiamo insieme! Sii tu il mio giudice e il mio avvocato. Narra che cosa sei diventato per me, quali disegni di bene hai pensato a mio riguardo [cf Ger 29,11], a quale caro prezzo mi hai acquistata, affinché io non perissi. Tu hai portato i miei peccati. Tu sei morto per me, affinché io non morissi in eterno. Tu mi hai conferito tutto ciò che è tuo, affinché io divenissi grazie a te ricca di merito. Ti prego, nell’ora della morte giudicami secondo quella innocenza, secondo quella purezza immacolata che mi hai conferito in te, quando hai saldato tutto il mio debito, lasciandoti giudicare e condannare per me, affinché io, che da me stessa sono povera e indegne [Sal 85,1], possa abbondare di tutti i beni grazie a te.
All’ora Terza rivolgiti alla Pace e all’Amore, perché la forza e l’intimo dei tuoi sensi siano consacrati in eterno al Signore e, nell’ora della morte, tu possa essere trovata grazie a loro pienamente riconciliata con Dio. Di’, allora:
Versetto: La mia causa a te sia nota:
Nessuna anima a te è ignota;
Allontana da noi tutti i sogni
Del mondo che inganna
Poi aggiungi come sopra:
“La tua pietà ti induca a vincere i nostri mali col perdono; e, per quanto sia indegna di veder esaudito il mio desiderio, nell’ora della morte, senza più alcun ostacolo, saziami con il tuo dolcissimo volto, perché io possa trovare in te il riposo eterno”.
Quindi di’:
O pace di Dio,che sorpassi ogni conoscenza [Fil 4,8], soave e amabile, dolce e preferibile a tutto, dovunque tu giunga, l’ si trova una sicurezza imperturbabile, Tu sola puoi frenare l’ira del principe. Tu adorni di clemenza il trono del Re. Tu rendi illustre il regno della augusta gloria con la pietà e la misericordia. Ti prego, difendi la causa di questo colpevole e povero che sono io. Accoglimi sotto le tue ali [Sal 16,8; 35,8; 60,5; 62,8; 90,4], affinché lì trovi protezione dai mali che mi sovrastano e di cui ho timore per le mie numerose e gravi negligenze.
Ecco che già il creditore sta alla porta, reclamando da parte mia il deposito della mia vita. L’esattore esige da me il tributo del mio tempo: non è prudente per me parlare con lui, dal momento che non sono in grado di saldare il debito. O mia pace [cf Ef 2,14], Gesù dolcissimo, fino a quando starai in silenzio? Fino a quando farai finta di niente? Fino a quando tacerai? Parla almeno ora in mio favore, dicendo nella carità la parola: “Lo riscatterò io”. Tu sei davvero il rifugio di tutti i miseri. Tu non passi oltre a nessuno, senza avergli portato salvezza. Tu non hai mai rimandato nessuno che abbia cercato rifugio presso di te senza il dono della riconciliazione. Ti prego, non passare oltre a me, misero e disperato, senza dimostrarmi carità! Fa’ sì che il Padre torni ad essere sereno nei miei confronti. Accoglimi nel grembo della tua carità. Porgimi il sorso d’acqua fresca della santa speranza, affinché possa vivere. O carità, rinfresca tu la mia lingua [Lc 16,24]. Infondi tu nuova vita nella mia anima, che ormai si va spegnendo per la povertà dello spirito.
O amore, amore, donami il mio Gesù che in quest’ora per me fu flagellato, coronato di spine, inebriato di sofferenza da suscitare pietà, Gesù mio vero Re, all’infuri del quale non ne conosco altro, che tu rendesti obbrobrio degli uomini, abietto e disprezzato come un lebbroso [cf Is 53,3-4; Sal 30,12], al punto che la Giudea sosteneva che non fosse suo [re] [cf Gv 19,14-15], mentre io, per tua grazia, posso considerarlo propriamente mio… quell’innocentissimo , quel carissimo Gesù, che per me pagò in modo perfetto il prezzo di quanto lui non aveva rubato [Sal 678.5], se tu melo donassi, il mio Gesù, come sostegno dell’anima mia, perché io possa accoglierlo sul mio cuore, confortando così il mio spirito con l’amarezza dei suoi dolori e della sua Passione! Quell’amarissimo castigo che gli infliggesti e da cui derivò la mia pace [cf Is 53,5; 1Pt 2,25], assolva, te ne prego, tutte le mie negligenze e i miei debiti.
O Pace, sii tu il mio caro, perpetuo legame con Gesù. Sii tu la carissima colonna della mia fortezza, affinché, legata a te con un vincolo di amicizia indivisibile, io diventi un cuor solo e un’anima sola con Gesù. In te, o dolcissima Pace, riceverò i flagelli della carità, le intime ferite dell’amore; attraverso di te rimarrò per sempre unita al mio Gesù. o Pace, permettimi ancora una sola parolina. Aprimi quel prezioso vaso d’alabastro dell’amore [cf Mc 14,3; Mt 26,7; Lc 7,37] che è riposto presso di te e che col suo profumo i vita potrà risvegliare il mio spirito intorpidito.
Cospargi ed ungi i miei sensi col sangue di quel gloriosissimo capo, col dolore di quei sensi degni di venerazione, affinché, grazie a quel balsamico sapore, tutta io mi converta dall’ignavia e dal torpore del mio spirito, proprio come la sterilità della terra, in primavera, si trasforma ammantandosi di novità coi suoi fiori. O Gesù mio dolcissimo, gli atti dei tuoi santissimi sensi coprano ogni mia colpa, e suppliscano a tutte le mie negligenze, affinché tutto ciò che mi manca in me stessa, possa averlo per intero in te, che tutto ti sei speso per me.
Amen.
All’ora Sesta intrattieni un colloquio con la Sapienza e con l’Amore, perché si rinnovi tutto quanto ti appartiene e nell’ora della morte tu sia difesa dalla potenza della croce preziosa di Cristo contro ogni tentazione e contro le insidie del nemico; leggi dunque questo:
Versetto: Estranei, qui giungiamo,
Nell’esilio gemiamo:
Tu sei porto e patria,
Guidaci agli atri della vita.
Poi aggiungi come sopra:
“La tua pietà ti induca a vincere i nostri mali col perdono; e, per quanto sia indegna di veder esaudito il mio desiderio, nell’ora della morte, senza più alcun ostacolo, saziami con il tuo dolcissimo volto, perché io possa trovare in te il riposo eterno”.
Quindi di’:
O ammirabile Sapienza di Dio, quanto è forte, quanto è chiara la tua voce! Tu senza alcuna eccezione chiami a te tutti coloro che ti desiderano. Tu stabilisci negli umili la tua dimora. Tu ami quanti ti amano [Pr 8,17]. Tu giudichi la causa del povero. Tu hai pietà e compassione di tutti. Tu non odi nulla di quanto hai creato [Sap 11,24-25]. Tu non tieni conto dei peccati degli uomini e con misericordia li aspetti sinché giungano al pentimento [Sap 11,23]. Ti prego, dischiudi anche a me la sorgente della vita, porgendomi la coppa dell’indulgenza, perché io sappia che cosa è gradito ai tuoi occhi in ogni tempo [cf Sap 9,10].
O Sapienza, tu porti nella tua destra il santo vessillo del tempo: dietro a te si susseguono con prosperità tutte le cose. Tu, unica e sola, puoi tutto. Rimanendo in te stessa, tutto rinnovi [Sap 7,27]; sii dunque tu a rinnovare e santificare me in te, per poterti trasferire nell’anima mia. Tu formi amici di Dio [Ibid.]; ottienimi dunque tu l’amicizia di Dio! Fa’ che fin dal mattino io vegli per te [Is 26,9; Sal 62,2; cf Pr 8,17.34; Sap 6,15], per poterti trovare nella verità. Sii tu ad impadronirti per prima di me, onde io provi veramente desiderio per te.
Con questa prudenza procedi stabilendo ordine! Con quale provvidenza tutto disponi, quando, al fine di salvare l’uomo, accostandoti al re della gloria col tuo consiglio colmo di prudenza ti industriavi di convincerlo, mostrandogli chiaramente il pensiero della pace, il compimento della carità, e trattenendo la sua maestà originaria hai imposto alle sue spalle un’occasione di amore, in modo che portasse sul legno della croce l’iniquità del popolo [1Pt 2,24]. Ti prego, ti prego, o splendida Sapienza di Dio: le tue magnifiche opere non poterono essere ostacolate da alcuna malizia diabolica, i tuoi pietosi disegni non poté cambiarli l’ignoranza di tutta la malvagità umana; la tua abbondanza di misericordia, la tua immensità d’amore, la tua pienezza di bontà non riuscì a spegnerla nessuna gravità di colpe. Anzi, prevalse la tua operosità sovrana, perché tu disponessi tutto con dolcezza, estendendoti da un confine all’altro con forza [Sap 8,1].
O Sapienza, potenza assolutamente irresistibile della maestà divina, la tua efficacia abbia il sopravvento su di me, per quanto indegna! Se tu facessi spirare su di me, tanto piccina, il soffio della tua bocca e annientassi tutto quanto è d’intralcio alla tua volontà e al tuo beneplacito, affinché io per merito tuo possa vincere tutte le tentazioni, per merito tuo superare tutti gli ostacoli! Così, nell’immensità dell’amore, morendo a me stessa, io potrei vivere in te; e sotto la tua guida potrei felicemente sfuggire al naufragio di questa vita, ricevendo da te il rivestimento della carità, la copertura della benevolenza, stabilendo con te il patto di un amore vivo.
O Sapienza, quale gioco tu compi, con quale ludibrio raggiri il mio Gesù! Tu spogli il Re della gloria, rendendolo uno spettacolo che attira gli insulti. Tu inchiodi al patibolo il riscatto del mondo intero. Tu sola soppesi e distingui quale sia il valore di questo mistero per saldare il debito di ogni peccato. Tu innalzi da terra, sulla croce, colui che è la vita di tutti, affinché attirando ogni cosa a sé nella sua morte gli doni la vita [Gv 12,32].
O Amore sapiente, quale farmaco prepari perché abbia termine la rovina universale! Quale unguento medicinale tu applichi per curare la ferita di tutti! O Amore, il tuo disegno è di soccorrere chi è perduto. Tu condanni colui che è senza colpa per donare la salvezza al colpevole infelice. Tu versi sangue innocente per poter placare l’ira della giustizia e ottenere a chi è povero e indigente la clemenza del Padre. O sapiente amore, il tuo decreto è sollievo dei miseri. Tu difendi la causa della pace, Tu esaudisci l’intercessione della misericordia. Tu con il tuo prudente consiglio vieni in aiuto alle difficoltà di tutti, per la volontà infinitamente benevola della tua clemenza. Tu metti fine alla miseria universale grazie alla gloriosa opera della tua misericordia. O Amore, ciò che tu hai escogitato è occasione di salvezza per chi è perduto.
Ecco, o Sapienza, è ormai aperta la tua dispensa piena di tenerezza. Volgi il tuo sguardo su di me, colpevole, che sto fuori, alla porta della tua carità. Riempi il piccolo mantello [cf Rt 3,15] della mia povertà con la benedizione delle tue dolcezze! Ecco, sta davanti a te la piccola coppa vuota del mio desiderio [cf Sal 37,10]. Si apra, te ne prego, il chiavistello della tua pazienza! Insegna al mio cuore i tuoi casti consigli, i tuoi precetti luminosi, le tue veraci testimonianze [Sal 18,8-9]. Fa’ che mi ricordi i tuoi comandamenti perché li metta in pratica [Sal 102,18]. O mio Gesù, non trattarmi secondo i miei peccati, non ripagarmi secondo le mie colpe [Sal 102,10]! Come nel tuo sangue mi hai dimostrato di essermi veramente propizio, così per la potenza della tua croce preziosa ristabilisci per me nell’integrità originaria tutto ciò che la mia vita ha mandato in rovina. O Amore sapiente, copri ed occulta ogni mia colpa [cf 1Cor 13,7]. Supplisci per me ad ogni mia negligenza per il mio Gesù, che si è spontaneamente abbandonato alla tua volontà.
All’ora Nona intrattieni un colloquio con l’Amore e la Dilezione, affinché in cambio dei tuoi mali ti diano i loro beni e tu possa avvolgere la tua morte nella morte dell’Agnello, per affrontare il trapasso con sicurezza sotto una tale protezione. Recita dunque così:
Versetto: Da ricco ti sei fatto povero,
Per noi sei stato crocifisso;
Lavandoci con l’acqua sgorgata dal tuo costato
Purificaci dalla nostra vecchia vita.
Poi aggiungi come sopra:
“La tua pietà ti induca a vincere i nostri mali col perdono; e, per quanto sia indegna di veder esaudito il mio desiderio, nell’ora della morte, senza più alcun ostacolo, saziami con il tuo dolcissimo volto, perché io possa trovare in te il riposo eterno”.
Quindi di’:
O bella Dilezione di Dio,o passione della carità, più forte della morte [Ct 8,6]! Tu sei il rinnovamento della creatura, la salvezza e la redenzione di tutto il mondo. Quanto è dolce conversare con te! Cosa non è intrattenersi con te! Vivendo insieme con te non si conosce la noia [Sap 8,16]. Stare sempre in tua compagnia è gioia vera senza fine. Entra nella mia indegna stanzetta e riposa con me! Fammi ascoltare le tue conversazioni piene di Spirito Santo, affinché con te io dimentichi tutte le mie difficoltà e tribolazioni. Su questa via per la quale cammino [cf Sal 141,4], sii con me, poiché insieme con te mi raggiunge ogni bene [Sap 7,11]
O Dilezione degna d’onore, eccomi qui, misera e povera creatura umana, sconquassata da ogni parte dal vento impetuoso della mia negligenza e atterrita dal tuono della consapevolezza dei miei peccati: mi rifugio sotto il tetto della tua pietà, poiché avverto che non mi resta più nessuna speranza se non in te, né trovo riposo in nessun altro luogo all’infuori di te. Tu, come una madre, tieni in grembo [cf Lc 15,5], riscaldandolo, chi è perduto. Tu, con un disegno estremamente provvidenziale e accuratamente studiato, metti in pericolo il Figlio dell’Altissimo fino al punto di portarlo alla morte e non lo risparmi, pur di venire in aiuto di un misero disperato.
O Carità, o Dilezione, tu a vantaggio dei peccatori hai compiuto verso il Figlio della Vergine una cosa tale che in te hai donato speranza a tutti i disperati. Tu con la tua propria benevolenza spingi tutti ad agire con fiducia verso di te e, affinché nessun misero possa avere pretesti da addurre contro di te, tu poni sul Salvatore il giudizio che grava su tutti. O Carità, per me abbandonata, per me derelitta, prepara un luogo in cui possa trovar consiglio in te, un nido di rifugio in cui possa riposare [cf Mt 8,20] il mio spirito tribolato.
Porta con me la mia condizione di esilio. Infondi vigore al mio spirito tanto meschino [cf Sal 54,9]. Consola l’angoscia del mio cuore dicendomi: “Io non mi dimenticherò mai di te” [Is 49,15]. Si avveri in questo la tua parola, o Carità; e chiamami, per cortesia, alle tue calende [= giorni in cui si tenevano fiere e mercati]. La mia anima, infatti, brama con passione il tuo mercato, affinché, alla fiera della tua benevolenza, tu mi dia in cambio dei miei mali i tuoi beni. Tu tieni il mio Gesù, il mio dolce Salvatore, confitto con tanta forza alla croce che, spirando sotto la tua mano, viene meno per amore.
O Carità, che fai? Chi assali? Tu non ti dai pace, né tregua sino a che non sia venuta in soccorso dei miseri. Tu non poni nessuna misura all’amore. Tu tormenti con la sete [cf Gv 4,7; 19,28] la fonte della vita [Sal 35,10] in modo tale che non gli basta morire una sola volta, ma che, già morendo, si abbandoni ancora all’amore al punto da desiderare e aver sete di morire con parecchie morti per ciascuno degli uomini, riscattando coloro che erano perduti con un prezzo più caro. O amore, il tuo zelo ha toccato con tale violenza il vigore del cuore del mio Gesù che, sfibrato dall’amore, si è completamente consunto. O amore, ti basti ormai, poni ormai fine, ora che il mio Gesù pende morto ai tuoi occhi. Morto, del tutto morto, perché io abbia la vita in abbondanza [Gv 10,10]. Morto, perché il Padre mi adottasse come figlio con maggiore tenerezza: morto, perché io vivessi con più felicità.
O morte carissima, tu sei il mio felicissimo destino. Che la mia anima trovi in te il suo nido o morte! O morte che generi frutti di vita eterna, mi sommergano completamente i tuoi flutti di vita! O morte, vita perenne, ch’io speri sempre al riparo delle tue ali [cf Sal 90,4]. O morte salvatrice, la mia anima dimori tra i tuoi magnifici beni. O morte preziosissima, tu sei la mia carissima redenzione. Ti prego, assorbi in te tutta la mia vita ed immergi in te la mia morte.
O morte efficacissima, sotto la tua protezione la mia morte sia ben difesa e sicura. O morte che dai l vita, possa io dissolvermi all’ombra delle tue ali! O morte, goccia di vita, arda per sempre in me la dolcissima scintilla della tua azione vivificante! O morte gloriosa, o morte fruttuosa! O morte, culmine di tutta la mia salvezza, amabile alleanza del mio riscatto, saldissimo patto della mia riconciliazione. O morte che sei un trionfo, dolce dono di vita, in te splende per me una carità tale che in cielo e in terra non se ne è mai trovata una uguale.
O morte d’immensa tenerezza, tu sei la fiducia spirituale del mio cuore. O morte d’immenso amore, in te sono per me riposti tutti i beni9. Prenditi amorevolmente cura di me, affinché morendo io trovi dolcemente riposo sotto la tua ombra. O morte misericordiosissima, tu sei la mia vita felicissima. Tu sei la mia parte migliore. Tu sei la mia sovrabbondante redenzione. Tu sei la mia gloriosissima eredità. Ti prego avvolgimi tutta in te, nascondi in te tutta la mia vita, riponi in te la mia morte.
O morte che stilli dolcezza, provvedi tu alla mia morte: circondami interamente nelle strettezze della morte. Per merito tuo possa io avere un trapasso sicuro, senza briganti che si appostino per ostacolare la mia dipartita. Nel grembo della tua pienissima carità accogli l’anima mia, assorbi in te la mia vita, immergimi interamente in te. O cara morte, preparami allora in te il riposo. Fammi felicemente spirare e dolcemente addormentare in te. O morte amatissima, serbami allora in perpetuo per te, nella tua paterna carità, avendomi acquistata e dunque possedendomi per sempre.
O Amore, sei stato tu a farmi dono di quella morte quanto mai salutare, di quella preziosissima sorte. Tu hai fatto per me cose tanto meravigliose e di tale rilevanza da obbligarmi in perpetuo al tuo servizio. Che cosa ti renderò in cambio di beni tanto smisurati e infiniti [cf Sal 115,12]? Che lode e ringraziamento potrei offrirti, quand’anche offrissi me stessa mille volte? Che cosa sono io, misera creatura umana, rispetto a te, o mia ricchissima redenzione? Offrirò dunque a te tutta la mia anima, che tu hai redento, ti donerò la mai vita in te! Porta tutta me stessa in te e rinchiudendomi in te fa’ ch’io diventi una cosa sola con te.
O Amore, l’ardore della tua divinità mi ha dischiuso il dolcissimo Cuore del mio Gesù. O Cuore che diffondi dolcezza! O Cuore che trabocchi di tenerezza! O Cuore straripante di carità! O Cuore che stilla soavità! O Cuore pieno di compassione! Fammi morire per l’amore e la dilezione di te. O carissimo Cuore, ti prego, assorbi in te tutto il mio cuore. Perla quanto mai cara del mio cuore [cf Mt 13,45-46], invitami ai tuoi banchetti che donano vita. a me, benché indegna, offri da bere i vini della tua consolazione, affinché la rovina del mio spirito sia riempita dalla tua carità divina e attingendo all’abbondanza della tua carità sia compensata la povertà e la miseria della mia anima.
O Amore, quanto vorrei che questo Cuore, questo profumo dolcissimo, questo incenso immensamente soave, questo sacrificio sublime, tu ora lo offrissi per me sull’altare d’oro [Ap 8,3] della riconciliazione degli uomini, per supplire a tutti i giorni che io ho vissuto senza portare frutto per te [cf Lc 13,6-9]! O Amore, immergi il mio spirito nel fiume di quel Cuore stillante dolcezza, seppellendo nelle profondità della divina misericordia tutto il peso della mia iniquità e negligenza. In Gesù rendimi un intelletto limpidissimo, un affetto purissimo, affinché per merito tuo io possegga un cuore estraneo, lontano e libero da tutto ciò che è carnale, perché nell’ora della morte io riconsegni a Dio, sotto la tua guida, uno spirito immacolato.
O Cuore prediletto, a te grida il mio cuore. Ricordati di me: ti prego, la dolcezza della tua compassione si intenerisca per me, perché ho molte colpe per il male commesso, nessun merito per il bene compiuto. O mio Gesù, il merito della tua preziosa morte, che solo ebbe il potere di saldare il debito universale, in te condoni la colpa di qualunque male da me commesso e mi ridoni in te tutti i beni nei quali mi sono perduta. Mi converta a te in modo così efficace che, completamente rinnovata rispetto a quella che ero prima per la forza dell’amore divino, io trovi ai tuoi occhi quella grazia e ottenga quella misericordia che tu hai meritato per me quando, morendo in croce per amore dell’amore mio, sei venuto meno. Concedimi da ultimo di rendere alla tua morte un degno contraccambio, affinché nell’ora della morte io meriti di sperimentare senza alcun ritardo il frutto dolcissimo della mia redenzione e il merito eccelso della tua morte, con tanta efficacia quanta tu ne desiderasti per me quando, assetato della mia salvezza, emettesti lo spirito e mi riscattasti al caro prezzo del tuo sangue [cf 1Cor 6,20]. O Amore, al momento della mia morte dimmi tu un dolce Addio, affinché in te io riposi soavemente nella pace.
Amen.
Ai Vespri incontrati con l’Amore e la Pietà allo scopo di placare Dio, perché al termine della tua vita rispondano loro per te al Signore di ogni tuo debito e imperfezione. Leggi dunque:
Versetto: Felice chi ha sete, o Carità,
Di te, fonte viva:o verità,
Quanto sono beati gli occhi
Del popolo che ti contempla!
Poi aggiungi come sopra:
“La tua pietà ti induca a vincere i nostri mali col perdono; e, per quanto sia indegna di veder esaudito il mio desiderio, nell’ora della morte, senza più alcun ostacolo, saziami con il tuo dolcissimo volto, perché io possa trovare in te il riposo eterno”.
Quindi di’:
O Dolce Pietà di Dio! O cara liberalità di Dio! Tu sei pronta ad accogliere tutti in grembo, tu sei il rifugio dei poveri. O Pietà, che decisioni prendi? Dove fuggirò all’apparire del freddo, io che già non sono in grado di sopportare l’asprezza dell'inverno? La tiepidezza del mio animo [cf Ap 3,16] ha già stretto nella morsa del gelo tutti i campi del mio cuore. Proteggimi, ti prego, all’ombra delle tue ali [Sal 90,4], coprendola vergogna della mia nudità [Gen 3,21; Ap 3,18], cosicché io mi riscaldi sotto le tue piume e speri in eterno sotto la protezione delle tue ali [Sal 90,4].
O Pietà, Pietà, non abbandonarmi in preda all’angoscia! Non distogliere da me il tuo volto senza curarti dei miei singhiozzi e del grido con cui ti chiamo [cf Sal 21,25; 101,3]! La tua carità ti induca ad ascoltarmi con pazienza. Accoglimi nel tuo grembo, dove io possa riposare un po’ ed effondere davanti a te il mio spirito [cf Sal 61,9], certa della tua bontà, della tenerezza propria della tua stessa natura, del fatto che tu non disdegni nessuno che sia desolato, né disprezzi nessuno che sia tribolato. Quanto sono appropriate le tue maniere a chi è nella miseria! Quanto sono gradevoli i profumi dei tuoi unguenti [Ct 1,3] per coloro che sono ormai privi di forze!
Tu sollevi gli oppressi, tu liberi i prigionieri [Sal 145,7-8]. Tu non guardi con disprezzo nessuno che sia immerso nella tribolazione, ma con sguardo materno e misericordioso ti prendi cura delle necessità di tutti. Tu provvedi amorevolmente a chi è disperato. Tu con estrema bontà vieni incontro al bisogno di tutti. Porgi ora l’orecchio a me bisognosa, perché io possa avere con te preziosi colloqui e ricevere da te preziosi consigli per il bene della mia anima.
Ecco, temo fortemente le colpe da me commesse, arrossisco violentemente delle mie omissioni, tremo veramente di paura pensando a come ho sperperato la mia vita. Temo quell’esame a cui un giorno sarò sottoposta, durante il quale Cristo, uomo di nobile stirpe [Lc 19,12], farà i conti con me. Se vorrà riscuotere da me il tempo che mi aveva affiato in custodia e gli interessi del talento dell’intelligenza che mi aveva consegnato, non trovo proprio nessuna risposta conveniente da rivolgere alla tua carità.
Che fare? Dove mi rivolgerò? Zappare, non ho forza; mendicare, mi vergogno [Lc 16,3]. O Pietà, Pietà, apri ora la tua bocca! Il tuo dolce consiglio conforti, ti supplico, il mio spirito. Rispondimi, spiegandomi che cosa ti sembra opportuno fare nei miei riguardi in questa situazione, poiché tu, conformemente al nome che porti, hai un cuore veramente pietoso, e sai benissimo che cosa mi convenga in questa situazione. Ti prego, perdonami e aiutami, e non essermi indifferente in questa tribolazione. Possa commuoverti la povertà del mio spirito e, presa dalla compassione del cuore, dimmi amorevolmente: “Una sola borsa sia in comune tra me e te” [cf Pr 1,14].
O Pietà, Pietà, tu conservi riposate presso di te tante e tali ricchezze che il cielo e la terra non bastano a contenerle. Tu hai spinto il mio Gesù a dare per l’anima mia la sua anima, per la mia vita la sua, perché tu rendessi mie tutte le cose sue [cf Gv 17,10] e così, grazie alla tua abbondanza, crescesse il patrimonio di chi è nella povertà. Chiama la mia anima affamata a ricevere la tua offerta, perché io viva delle tue ricchezze per tutta la vita! Se sarai tu ad educarmi, tu a nutrirmi, io non verrò meno nella scuola del Signore, sino a quando, sotto la tua guida, ritornerò al mi oDio e renderò il mio spirito a Colui che l’ha dato [Qo 12,7].
O Pietà, o bontà, o dolce liberalità di Dio, tu tieni riposto nella tua stanza un dono ammirabile che costituisce lo stupore del cielo, la meraviglia della terra; dal principio dei secoli alla loro fine non se ne può trovare uno simile. Tu ogni giorno offri per me a Dio Padre, all’altare, un tale sacrificio, un tale incenso d’olocausto che supera ogni merito ed è davvero in grado di saldare ogni mio debito. Tu, al Padre, ripresenti il Figlio, oggetto, della sua vera e perfetta compiacenza, per renderlo nei miei confronti placato e veramente riconciliato.
Ti prego, per questo sacramento che può eccellentemente compensare la mia imperfezione e riparare ogni mio difetto, rinnova la mia vita e restituiscimi al centuplo tutto ciò che io ho perduto, affinché in te esulti la mia anima, per te si rinnovi la mia giovinezza come quella dell’aquila [Sal 102,5], a te si converta la mia vita, te serva tutta la mia forza, te glorifichi tutto il mio essere. O mio Gesù, per la tua pietà cancella tutte le mie colpe [Sal 50,11], con la tua carità copri e nascondi tutti i miei peccati [cf 1Pt 4,9], con la tua dilezione supplisci ad ogni mia negligenza, con il tuo amore restituiscimi a quella libertà di spirito con cui tu, erede dell’innocenza [cf Mt 21,38], mi rendesti libera morendo per me e offrendo come prezzo il tuo sangue. Rendimi conforme alla tua volontà, perché io trasformi in te la mia vita. Rendimi tutta come tu vorresti ch’io fosse, affinché dopo questa vita, lasciata la nuvolaglia del corpo, io veda nella gioia il tuo dolcissimo volto.
Amen.
A Compieta intrattieni un colloquio con l’Amore e la Perseveranza, affinché, avendo scambiato la tua vile esistenza con la degnissima vita del Signore Gesù, nell’ora della morte tu sia trovata, per suo merito, giunta a piena maturità in totale santità e perfezione di vita religiosa. Quindi leggi così:
Versetto: Grande è per te la gloria,
Della tua lode la memoria
Che senza fine celebrano
Quanti dal profondo il cuor elevano.
Poi aggiungi come sopra:
“La tua pietà ti induca a vincere i nostri mali col perdono; e, per quanto sia indegna di veder esaudito il mio desiderio, nell’ora della morte, senza più alcun ostacolo, saziami con il tuo dolcissimo volto, perché io possa trovare in te il riposo eterno”.
Quindi di’:
O perseverante Carità, davvero la tua voce è dolce e melodiosa, il tuo viso soave e leggiadro [cf Ct 2,14]. Tu raccogli dal deserto doni tanto rari, tanto numerose specie di virtù e aromi [cf 1Re 10,10], che il Dio del cielo guarda con gioia e rispetto il tuo volto, desiderando e lodando la tua bellezza e avvenenza. A preferenza di tutti, Dio viene in aiuto a te col suo sguardo: in mezzo a te, infatti, resta saldo, riposando come uno sposo nel suo talamo. O vero meriggio, soccorrimi prima del mattino [Sal 45,6], preservando in te la mia anima da ogni crepuscolo di cecità.
O perseverante Carità, tu sei la perfezione di tutte le virtù e la salute dello spirito. Tu rendi leggeri i pesi gravosi; se si ha una buona familiarità con te, tu fai diventare dolci le fatiche di tutte le virtù e la consuetudine con te le rende piacevoli. O perfetta carità di Dio, in t è riposta ogni dolcezza e soavità. Tu sei la vera pace e sicurezza. In te si trova imperscrutabile pace e tranquillità. Tu sei la fine e il compimento di tutti i beni, il pieno adempimento dei comandamenti di Dio. Tu sei il sabato dei sabati. In te la Sapienza stabilisce i lsuo riposo, in te l’Amore porta a compimento il suo lavoro.
O perseverante Carità, tu nel mio Gesù hai compiuto l’opera [cf Gv 17,4] che gli ingiunse la Pietà. Tu hai portato a compimento l’opera della nostra redenzione, per richiamare alla condizione di figli adottivi coloro che erano perduti. Tu fai dolcemente addormentare il mio Gesù nella pace, in te gli doni ristoro dalla fatica, sotto la tua ombra lo fai riposare, nella tranquillità gli fai godere con dolcezza la festa del sabato, chiuso e sepolto sotto il tuo sigillo [cf Mt 27,66] gli fai gustare il sonno dell’amore.
O Carità, sotto la tua custodia, sotto la tua sempre vigile attenzione, tu serbi il prezzo scelto dell’anima mia, più amato dell’oro e del topazio [Sal 118,27], il solo che può riparare ogni mio difetto e rimettere a posto ogni mia imperfezione. Colloca e riponi anche il mio cuore nel luogo in cui conservi in te risposto il mio carissimo tesoro, affinché per mezzo tuo il mio spirito rimanga tutto lì dove abita quanto mi è caro, anzi carissimo!
O invincibile Carità,o forte perseveranza del Signore Gesù, dal profondo del cuore sale a te il grido del mio spirito. Fammi tu da ambasciatrice, sii tu a parlare bene in mio favore, affinché il mio Gesù, mio Re e mio Dio, che in te ha compiuto l’opera che il Padre gli ha dato da fare [cf Gv 17,4] ponendogliela tra le mani, per tuo tramite doni anche a me, vile vermiciattolo, un cuore puro, uno spirito invincibile per servirlo con zelo diligente e fedele, la capacità di portare con perseveranza, sotto il giogo dell’amore, i suoi comandamenti, caricandomeli volontariamente sulle spalle. In tal modo tu, o amore efficace, invita così come dopo la morte, sarai la mia vera ricompensa centuplicata [cf Mt 19.29] e riceverò te stesso in premio, poiché in te si trova tutta la mia gioia, e gioia piena.
In una contrizione sgorgata dall’amore e in umile penitenza fammi sempre rodere come un cagnolino i miei peccati e le opere imperfette dovute ai miei difetti, affinché dopo questa vita io riceva quella dolcissima briciola [cf Mt 15,27] che è il dolcissimo godimento del volto del mio Gesù che stilla miele, così da essere saziata, grazie a te, in eterna letizia, quando apparirà la gloria del mio Gesù [Sal 16,15].
O Amore stabile, forte e insuperabile, la tua solerzia mi insegni ad amare Gesù con invincibile costanza e a servirlo con invitta perseveranza. Se tu mi svegli, se tu mi scuoti, sarò sempre pronta quando verrà il mio Signore, alla prima o alla seconda vigilia della notte [cf Lc 12,38], così da non essere assopita né sonnecchiare quando a mezzanotte si leverà il grido [Mt 25,6], ma se sarai tu ad accompagnarmi e a farmi strada, potrò entrare in modo degno alle nozze con l’Agnello. E allora sii tu, te ne prego, a fare in modo che la mia lampada sia trovata piena dell’olio della carità [cf Mt 25,4], piena della vampa infiammata dell’amore, piena della luce splendida delle opere di una fede viva, perché per merito tuo io entri in possesso delle delizie della vita eterna.
Gesù mio dolcissimo, Sposo amato al di sopra di tutto, risveglia ora in te il mio spirito immerso nel torpore, nella tua morte restituiscimi una vita che viva per te solo. Donami uno stile di vita che corrisponda in modo degno al prezzo del tuo sangue. Donami uno spirito che abbia gusto per te, una sensibilità che ti senta, un’anima che capisca la tua volontà, un’energia capace di compiere quanto ti è gradito, una stabilità che perseveri con te. Ti prego, nell’ora della morte aprimi senza indugio la porta del tuo Cuore colmo di benevolenza, in modo che, grazie a te, possa meritare di accedere senza alcun impedimento al talamo del tuo vivo amore, dove godrò di te, o vera gioia del mio cuore, e ti possederò! Amen.
Nello stesso giorno in cui celebri la suddetta riparazione, a mezzogiorno prega il Signore di introdurti nel giardino di delizie [cf Dn 13,7] del suo Cuore divino, affinché lì tu possa lavarti sette volte nel Giordano [2Re 5,10] dei meriti della sua vita e passione, cosicché, purificata da ogni macchia nel giorno della tua morte, tu sia introdotta tutta bella [Ct 4,7] nel talamo del suo amore divino.
O Gesù, mio vivente Salvatore, che vieni dalla terra degli angeli splendido e bello! Ahimè, ahimè, la mia anima, creatura da te amata, si trova nelle tenebre della cecità. Ti prego, sii tu la mia salvezza e la mia limpida illuminazione. O mio diletto, per le lacrime pure dei tuoi luminosissimi occhi, lava via tutte le macchie dei peccati dei miei occhi, perché al termine della mia vita io possa vedere, senza alcun impedimento, con l’occhio puro del cuore [cf Mt 5,8], il tuo volto dolcissimo nello specchio della Santa Trinità, poiché tu solo sei colui che desidero con tutto il cuore. Sommergimi al più presto, te ne prego, nell’abisso del godimento di te.
O Gesù, mia amabile speranza, Sposo fedele e pieno di misericordia, che non disprezzi mai i sospiri dei miseri, ahimè, ahimè, il mio orecchio è divenuto sordo a causa del suo peccato. Padre delle misericordie [2Cor 1,3], la mai vita ti obbedisca non appena il mio orecchio ti ode [Sal 17,45]! O mio diletto, per la dolce pietà delle tue orecchie benedette, lava ia tutta l’iniquità delle mie orecchie peccatrici, affinché nell’ora della morte io non tema di udire parole di sventura [Sal 111,7], ma al sentire la tua dolcissima chiamata il mio orecchio provi gioia e letizia [Sal 50,10], poiché tu solo sei la mia attesa. Sollevami al più presto all’unione con te!
O eterna dolcezza dell’anima mia, unico diletto del mio cuore, il cui volto è colmo di ogni amabilità, e il Cuore di ogni soavità, ahimè, ahimè, i miei pensieri vanno errando lontano da te. Ti prego, Dio del mio cuore, raccogli in te la dispersione della mia mente. O mio diletto, per la pura intenzione dei tuoi santissimi pensieri e l’ardente amore del tuo Cuore trafitto, lava via ogni peccato dei miei pensieri cattivi e del mio cuore colpevole, affinché la tua amarissima passione sia il mio riparo in punto di morte e il tuo Cuore squarciato dall’amore sia la mia perenne dimora, poiché tu solo sei per me l’amato al di sopra di ogni creatura. Non permettere che io stia a lungo lontano da te, unico diletto del mio cuore!
O Gesù, Figlio unigenito del Padre celeste, Signore clemente e misericordioso, che non lasci mai nella desolazione i tuoi figli d’adozione, ahimè, ahimè, molto ho peccato con la mia lingua! O mia gloria, riempi tu la mia bocca della tua lode [Sal 70,8]. O mio diletto, per la vivificante potenza delle dolci parole della tua bocca benedetta, cancella ogni offesa della mia bocca contaminata, affinché nel bacio della tua dolcissima pace io lasci lieta questo mondo, poiché solo la tua bocca che stilla miele può consolare l’intimo del mio cuore. O amore splendente di bellezza, conficca nel mio cuore il dardo della tua viva dilezione, così che io cada esanime nell’abisso della tua sorgente di vita.
O Gesù, che operi con estrema sapienza, eccelso artista, che hai riparato in modo così lodevole l’opera delle tue mani che io avevo distrutto, ahimè, ahimè, tutte le mie opere sono imperfette e non conformi alla tua legge. O mio rifugio e forza [Sal 45,2], ogni mia opera sia santificata in te dalla cooperazione del tuo vivo amore. O mio diletto, per la perfezione delle tue opere e la crocifissione delle tue mani, lava via ogni offesa delle mie mani empie, affinché senza impedimento, nell’ora della morte, io precipiti senza indugio nei tuoi dolcissimi abbracci, poiché tu sei il mio legittimo Sposo, scelto tra miele [Ct 5,10]. Ti prego, nella mia ultima ora, non per mio merito, ma per la tua innata bontà, riconoscimi come tua, appartenente a te.
O Gesù, giovane amabile, amichevole e desiderabile, la cui compagnia è tanto nobile e auspicabile, ahimè, ahimè, mi sono allontanata dalla via retta e non ho custodito i tuoi comandi. O mia cara guida, dirigi i miei passi nella tua volontà [cf Sal 118,133]. O mio diletto, per la dolorosa fatica dei tuoi piedi benedetti, e per le divine ferite che li hanno trapassati, lava via ogni macchia dei miei piedi peccatori, affinché per merito tuo, o fedele scorta del mio cammino, io acceda con gioia al luogo della mirabile dimora, fino alla casa di Dio [Sal 41,5], poiché tu sei il mio unico premio, per il quale corro [1Cor 9,24]. Ti prego, concedimi un amore ricco di slancio, che non mi consenta di agire in modo tiepido o negligente, ma che mi faccia correre dietro di te senza mai cedere alla stanchezza.
O Gesù, Dio grande, dolce e benevolo, che non sai dare se non immensi beni! O Dio vivente, il cui flusso infuocato riconduce al suo seno tutto ciò che da te sia mai scaturito, ahimè, ahimè, tutta la mia vita è andata in rovina, è inaridita, è giunta alla fine! Ti supplico, o Dio della mia vita, in te la mia vita possa rinverdire, rifiorire e ritrovare forza per produrre degni frutti. O mio diletto, per la nobile innocenza della tua vita e per la tua pura santità, lava via ogni bruttura della mia vita corrotta, affinché la mia vita ormai non sia più con me, ma sia totalmente portata via con te nella forza infuocata del tuo amore. Così, nell’ora della morte io mi troverò felicemente in te, o mia vera vita, poiché tu sei il mio sommo e prediletto bene e l’unico rifugio dell’anima mia. Concedimi di languire d’amore per te, di morire dal desiderio di lodarti con giubilo e di ardere in eterno nell’incendio della tua carità.
Amen.
Alla sera, come per cogliere fiori con il Diletto, prega per ricevere la sua benedizione e queste virtù:
Gesù caro, mi benedica oggi, te ne prego, l’anima tua. Mi benedica la tua sovrana divinità. La tua umanità ricca di frutti mi benedica con tanta efficacia che la tua regale munificenza mi lasci segni evidenti della tua benedizione e così, completamente trasformata in te, io aderisca inseparabilmente a te con amore invincibile. Rendimi perfetta nel tuo timore. Rendimi a te gradita nell’umiltà di spirito, nella carità fraterna, nella casta semplicità, nell’umile riserbo, nella dolce pazienza, nella disciplina spirituale, nella povertà volontaria, nella santa dolcezza, nella maturità dei costumi, nella giovialità dello spirito e in ogni verità, in una buona coscienza, nella costanza della fede, in santa perseveranza, nella fortezza della speranza, nella pienezza della carità e nel felice compimento della tua dilezione, affinché il cespuglio spinoso del mio cuore si trasformi nel paradiso di tutte le virtù e nel roveto di ogni perfezione, come un campo pieno di ogni pace, santità e pietà, che il Signore ha benedetto [Gen 27,27].
O Gesù, tu che mi sei immensamente caro, sii sempre con me, perché il mio cuore rimanga con te e il tuo amore perseveri con me senza possibilità di divisione e il mio transito sia benedetto da te, così che il mio spirito, sciolto dai lacci della carne, possa immediatamente trovare riposo in te.
Amen.
j.m.j.
S. GERTRUDE LA GRANDE
RIVELAZIONI
LIBRO SECONDO
INDICE DEI CAPITOLI DEL LIBRO SECONDO
Prologo
1 – La prima visita del Signore
2 – La luce del cuore
3 – La bellezza della dimora del Signore nell’anima
4 – L’impressione delle sacre Stimmate di Cristo
5 – La ferita d’amore
6 – Una più sublime visita del Signore nel giorno di Natale
7 – Una più intima unione della sua anima con Dio
8 – Unione ancora più intima
9 – L'inseparabile unione della sua anima con Dio
10 – L’ispirazione divina
11– Un ardito assalto del nemico
12 – La pazienza con cui Dio sopporta i nostri difetti
13 – La custodia del cuore
14 – L’utilità della compassione
15 – Riconoscenza per la grazia
16. Manifestazioni del Signore nel giorno di Natale e in quello della Purificazione
17 – Come Dio veli la sua divina presenza
18 – Una paterna lezione
19 – Una paterna lode della degnazione divina
20 – Gli speciali privilegi a lei concessi da Dio
21 – Gli effetti della visione di Dio
22 – Azione di grazie per un grandissimo segreto dono
23 – Azione di grazie, e relazione dei divini benefici che era solita leggere devotamente a epoche determinate insieme con le preghiere che la precedono e la seguono
24 – Offerta del presente libro
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO – PROLOGO
Nove anni dopo aver ricevuto questi favori divini (1), intorno alla festa del Corpus Domini, mentre aspettava insieme alla Comunità il momento di portare il Corpo del Signore ad un’inferma, presa da un forte impulso dello Spirito Santo, afferrò la tavoletta che pendeva al suo fianco e incominciò a scrivervi di sua propria mano, quasi in azione di grazie e di lode al Signore, quanto ora riferiremo sui suoi colloqui col Diletto.
(1) E cioè nel 1289. Allude alle grazie di cui si parla nei cc. 1, 3 e 23 del presente libro.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
1 – La prima visita del Signore
L’abisso della sapienza increata invochi l’abisso dell’ammirabile onnipotenza (cf Sal 61,8) per esaltare la bontà incomprensibile che ti ha indotto a riversare il torrente della tua misericordia nella valle della mia miseria.
Mi trovavo nel mio venticinquesimo anno. Era il 27 gennaio, un lunedì, (oh giorno per me salutare sopra ogni altro!), pochi giorni prima della festa della Purificazione della tua castissima Madre. Ed ecco, verso l’ora dolcissima di Compieta, al principiare del crepuscolo, Tu o mio Dio, verità più chiara di ogni luce e più intima a me di ogni mio più segreto pensiero, ti compiacesti di dissipare le spesse mie tenebre. Cominciasti col sedare con soavità e dolcezza il turbamento che da un mese avevi suscitato nel mio cuore. Tu lo avevi provocato, io penso, per abbattere quella torre di vanità e di curiosità che, pur portando, ahimè, e il nome e l’abito di religiosa, io ero andata innalzando con la mia superbia, onde almeno così trovar la via per mostrarmi la tua salvezza.
Nell’ora che ho detto, dunque, mi trovavo nel dormitorio. Ed ecco che, alzando il capo che avevo inchinato secondo l’uso dell’ordine per salutare una consorella più anziana che passava, mi accorsi della presenza di un giovanetto amabile e delicato che dimostrava circa sedici anni, tale nell’aspetto quale allora la mia giovinezza sarebbe stata lieta di vedere anche con gli occhi del corpo. Con volto sorridente mi disse con dolcezza: «Presto verrà la tua salvezza, perché ti consumi di dolore? non hai nessuno che ti consigli per lasciarti abbattere così dalla tristezza?» [Responsorio I della II Domenica di Avvento]. Mentre così diceva, benché avessi coscienza di essere fisicamente nel luogo che ho detto, mi parve di essere in coro, in quell’angolo in cui ero solita fare abitualmente la mia tiepida orazione, e là udii il seguito delle sue parole: «Ti salverò e ti libererò, non temere».
Mentre l’ascoltavo la sua destra fine e delicata prese la mia, quasi a confermare con una promessa queste sue parole. Poi aggiunse: «Hai lambito la terra coi miei nemici e hai succhiato il miele fra le spine. Ma ritorna a me e ti inebrierò al torrente della mia voluttà divina» (cf Sal 35). Mentre così diceva lo guardai e vidi tra lui e me, vale a dire tra la sua destra e la mi sinistra, una siepe che si estendeva all’infinito, così da non poterne vedere il termine né davanti né dietro a me. La siepe alla sua sommità era talmente difesa da un fitto groviglio di spine da non lasciare alcun varco verso il predetto giovane. Mentre perciò incerta esitavo, tutta presa dal desiderio e quasi venendo meno nell’attesa, Egli, afferratomi all’improvviso, mi sollevò senza alcuna difficoltà e mi collocò accanto a Sé. Riconobbi allora in quella mano, che poco prima mi aveva dato in pegno di promessa, la preziosa traccia di quelle piaghe che hanno abrogato tutti gli atti di accusa dei nostri nemici.
Ti adoro, ti benedico e rendo grazie come posso alla tua sapiente misericordia e alla tua misericordiosa sapienza, o mio Creatore e mio redentore! Ecco in qual modo cercavi di piegare l’indomita mia cervice al soave tuo giogo, adattando con dolcezza il rimedio alla mia infermità.
Da quel momento, rasserenata da una nuova luce spirituale, ho preso ad avanzare attratta dalla fragranza dei tuoi profumi, sì da trovar soave e leggero quel giogo che prima avevo giudicato impossibile portare.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
2 – La luce del cuore
Ave, o mia salvezza, o luce dell’anima mia! Ti rendano grazie i cieli, la terra e gli abissi e tutto ciò che in essi contiene, per la grazia inusitata con cui mi conducesti a considerare l’interno del mio cuore. non me n’ero curata fino allora più di quanto mi curassi per così dire di scrutare l’interno dei miei piedi. Da quel momento vi scoprii molte cose che offendevano la tua somma purità e molti moti disordinati ed incomposti che ti impedivano di stabilire in me la tua dimora. E tuttavia né questi desideri, né questi moti, né tutta la mia miseria ti hanno respinto, o mio Gesù diletto, ché anzi spesso in quei giorni, quando accedevo alla vivifica mensa del tuo Corpo e del tuo Sangue, Tu mi degnavi della tua presenza visibile, benché ti vedessi soltanto come si vedono le cose nella prima incerta luce dell’alba. Tu sollecitavi con questa tua misericordiosa degnazione l’anima mia ad unirsi più intimamente a Te, a contemplarti con occhi più puri, a goderne con libertà più grande.
E poiché mi disponevo con ogni sforzo a conseguire questa grazia per la festa dell’Annunciazione di Maria – giorno in cui degnasti di sposare la nostra umana natura nel di lei seno purissimo – tu che prima di essere invocato rispondi: Eccomi! (cf Is 58,9), volesti fin dalla vigilia prevenirmi con le benedizioni della tua dolcezza durante il Capitolo [=la riunione della Comunità] che, a ragione della domenica, si teneva in quel giorno dopo Mattutino. Io non saprei ridire in qual modo Tu, o Sole sorgente che spandi dall’alto la tua luce, visitasti nella dolcezza della tua misericordia l’anima mia. Concedimi pertanto, o Datore di ogni bene, concedimi di immolare sull’altare del mio cuore un’ostia di esultazione, onde ottenga a me e a tutti i tuoi eletti di sperimentare sovente quella dolce unione e quell’unitiva dolcezza che mai prima d’allora mi era stato dato di conoscere. Io so qual fosse la mia vita prima di quel giorno e so che cosa sia stata dopo: confesso dunque in tutta verità che ciò avvenne per un dono del tutto gratuito elargito a chi lo aveva tanto demeritato.
Da quel giorno la dolce intimità del tuo amore ti rivelò a me con luce più chiara di quanto non avrebbe potuto farlo la severità dei tuoi castighi.
Non ricordo tuttavia di aver goduto di tale grazia fuori dei giorni in cui mi invitavi alle delizie della tua mensa regale. Se poi questo avvenisse per provvida disposizione della tua Sapienza o per negligenza mia, non posso discernere con chiarezza.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
3 – La bellezza della dimora del Signore nell’anima
Così ti comportavi con me, così sollecitavi l’anima mia.
Un giorno, fra pasqua e l’Ascensione, ero andata poco avanti l’ora di Prima nell’orto, e seduta presso il vivaio dei pesci, contemplavo la bellezza di quell’angolo nascosto che mi piaceva per la limpidezza dell’acqua che vi scorreva, per il verde degli alberi che vi crescevano attorno, per gli uccelli e specialmente per le colombe che svolazzavano in libertà, e soprattutto per la gran pace che vi si godeva. Cominciai a domandarmi che cosa avrebbe potuto completare l’incanto di quel luogo che pur mi pareva perfetto e trovai che vi mancava soltanto l’intimità di un amico affettuoso, cordiale, socievole che rallegrasse la mia solitudine.
Allora Tu, o mio Dio, fonte di indicibili delizie, Tu che, come penso, avevi diretto l’inizio di questa mia meditazione, ne attirasti verso di Te anche la fine. Mi facesti comprendere infatti che, se io avessi per mezzo di una continua riconoscenza fatto risalire verso di Te il fiume delle tue grazie, e se, crescendo nell’amore della virtù io mi fossi rivestita come un albero vigoroso dei fiori delle buone opere, se ancora, disprezzando le cose terrene, avessi preso il volo come colomba verso quelle celesti per aderire a Te con tutta la mente, fatta estranea nei sensi al tumulto delle cose esteriori, oh, davvero il mo cuore sarebbe diventato allora per Te una splendida e gradita dimora!
Vi ripensai tutta la giornata, e la sera, al momento di andare a letto, messami in ginocchio per pregare, mi venne in mente all’improvviso quel versetto del Vangelo: «Se qualcuno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui» (Gv 14,23). In quello stesso momento sentii che Tu eri realmente venuto nel mio cuore, nel mio cuore di fango! Oh potessi io, non una, ma mille volte, far passare sul mio capo tutta l’acqua del mare cambiata in sangue per purificare la sentina vilissima dell’anima mia che Tu, Maestà incomparabile, ha degnato eleggere a tua dimora! Oh potessi, e fosse pur subito, strapparmi il cuore dal petto per gettarlo a brani su dei carboni ardenti, sì che, purificato da ogni scoria, diventasse per te, non dico una degna, ma una non troppo indegna dimora!
Da quel momento Tu ti sei mostrato a me, o mio Dio, con un volto ora più dolce, ora più severo, secondo la maggiore o minor diligenza che mettevo nell’emendar la mia vita. Confesso però in tutta verità che quand’anche questa diligenza fosse stata perfetta – ciò che non fu mai, neppure per un momento – e quand’anche avesse perdurato tutto il tempo della mia vita, mai avrei potuto meritare di vederti anche una sol volta, sia pure con quell’aspetto severissimo che i miei trascorsi e i miei, ahimè, gravi peccati avrebbero meritato. Tu invece, nell’estrema tua dolcezza, spesso dopo le mie mancanze ti mostravi a me più triste che adirato, volendomi così far comprendere che la tua longanimità nel sopportare con tanta pazienza i miei numerosi difetti era superiore ancora a quella che nel tempo della tua vita mortale mostrarsi verso Giuda, il tuo traditore.
Da allora, per quanto mi sia distratta o anche compiaciuta nelle cose più vane, ogni volta che dopo ore, ahimè anche dopo giorni e, lo dico con dolore, anche dopo settimane sono rientrata in me stessa, sempre ti trovavo presente. Ma neppure per un istante da quell’ora fino a questo momento ,e sono già passati nove anni, ti sei sottratto a me, eccetto una volta sola, per undici giorni prima della festa di S. Giovanni Battista, durante la Messa Ne timeas Zacharia. Nella tua dolce umiltà e nella tua mirabile carità, vedendo che ero così stolta da non avvertire nemmeno che avevo perduto tanto tesoro – non ricordo infatti (a qual follia ero mai preda!) di averne provato alcun rincrescimento o di aver minimamente desiderato di ritrovarlo – volesti farmi sperimentare in me stessa questa parola di S. Bernardo: «Quando noi fuggiamo tu ci insegui, se ti voltiamo le spalle tu ti ripresenti davanti a noi; supplichi e sei disprezzato, ma nessuna confusione, nessun disprezzo può allontanarti, ché anzi, senza stancarti, continuamente ti adoperi per attirarci a quei gaudi che occhio mai non vide, orecchio non udì e il cuor dell’uomo nono sospetta». E come la prima volta mi avevi concessa questa grazia senza che io l’avessi meritata, così allora mi rendesti la letizia della tua presenza salutare, che ancora oggi perdura dopo che l’avevo positivamente demeritata: poiché il ricadere è peggio assai del cadere. Te ne sia resa quella lode e quell’azione di grazie che procede soavemente dall’Amore increato e che, incomprensibile ad ogni creatura, in Te rifluisce.
Per ottenere di poter conservare tanto tuo dono, ti offro quella sublime preghiera che la stretta della tua imminente passione, attestata dal sudore di sangue, ha reso così intensa, l’innocenza e la semplicità della tua vita così fervente, e l’amore infuocato della tua divinità così efficace.
Per virtù di questa perfetta orazione attirami e uniscimi tutta intimamente a Te. Se per necessita dovrò darmi alle cose esteriori, fa’ che mi ci presti soltanto, e che, dopo averle compiute a tua lode con la maggior perfezione possibile, subito ritorni tutta a cercarti nell’intimo del mio cuore con l’impeto di un torrente che, rimossa la diga, precipita a valle. Possa Tu sempre trovarmi intenta a Te come tu sei a me presente, e possa la tua misericordia condurmi, per questa via, a tutta quella perfezione a cui la tua giustizia può permettere che giunga un’anima gravata dal peso della carne e che tanto ha resistito alla tua grazia.
Fa’ che io spiri l’anima stretta fra le tue braccia e nel tuo bacio onnipotente, e fa’ che senza indugio essa si trovi colà dove, non circoscritto da spazio e non diviso, vivi nella tua gloria in una sempre rinnovata eternità, col Padre e con lo Spirito Santo, Dio vero per tutti i secoli immortali.
Amen.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
4 – L’impressione delle sacre Stimmate di Cristo
Nei primi tempi, forse nel primo o secondo anno, durante l’inverno, trovai un girono in un libro una breve preghiera così concepita:
«Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente,
fa’ che con tutto il cuore, con ogni mio desiderio,
con animo assetato io aspiri a Te; fa che in Te respiri,
o Somma Dolcezza e Somma Soavità;
fa’ che con tutto il mio essere io aneli a Te,
o Suprema Beatitudine!
Scrivi, o Signore misericordiosissimo,
le tue piaghe nel mio cuore col tuo prezioso sangue,
perché in esse io legga insieme il dolore e l’amore tuo
e la loro memoria rimanga sempre nell’intimo del mio cuore
per eccitarvi una dolorosa compassione e
un ardente amore per Te.
Fa’ che ogni creatura mi lasci vuota e
che in Te solo possa trovare la mia dolcezza».
Questa breve preghiera mi piaceva assai e la ripetevo sovente; e Tu, che non disprezzi i desideri degli umili, mi stavi vicino preparandoti ad esaudirla. Poco tempo dopo infatti, in quello stesso inverno, trovandomi dopo il vespro in refettorio per la «collatione» serale [lettura da farsi dopo la refezione serale secondo la Regola di S. Benedetto], avvenne che fossi seduta accanto ad una persona a cui avevo in parte rivelato il mio segreto. Dirò fra parentesi, per il vantaggio spirituale di chi legge, che spesso, in seguito a tali confidenze, ho sentito crescere in me il fervore della devozione. Non saprei dire se fossi indotta a tali confidenze per effetto del tuo Spirito, o mio Signore e mio Dio, o se lo facessi spinta da un affetto puramente umano. Ho inteso dire però da una persona di molta esperienza, che è sempre più utile rivelare tali segreti a qualcuno che non soltanto ci dimostri un fedele affetto, ma sia insieme superiore a noi per anzianità e ci ispiri perciò anche un senso di riverenza. Ignoro dunque, come ho detto, per qual motivo lo facessi, e me ne rimetto a Te, o mio fedelissimo Dispensatore, il cui spirito più soave del miele è la forza che regge le schiere celesti. Se ciò provenisse da un affetto puramente umano, è ben giusto che mi immerga in un abisso di gratitudine tanto più profondo quanto maggiore è la degnazione con cui, o mio Dio, ha voluto unire l’oro della tua Maestà al fango della mia bassezza per potervi incastonare le gemme delle tue grazie.
In quel momento dunque stavo devotamente pensando a questa orazione, quando sentii che, indegna com’ero, mi veniva conferita dal cielo la grazia che da tempo chiedevo con questa preghiera. Sentii cioè in spirito che venivano fisicamente impresse nel mio cuore le venerande e adorabili stimmate delle Tue santissime piaghe, la cui virtù salutare Tu applicasti nell’anima mia offrendomele insieme come un calice inebriante d’amore.
Ma non in questo si esaurì per me, indegnissima, l’abisso della tua dolce misericordia, poiché dalla sovrabbondanza della tua munifica generosità io ricevetti ancora il dono memorabile di non andar priva di una speciale benedizione ogni volta che in spirito intendessi venerare questi segni del tuo amore recitando i cinque primi versetti del Salmo «Benedic anima mea».
Ricevetti infatti per il primo versetto: «Benedici anima mia», la grazia di poter deporre sulle piaghe dei tuoi piedi tutta la ruggine dei miei peccati e il nulla dei piaceri del mondo.
Per il secondo versetto: «Benedici e non dimenticare», ottenni di poter lavare in quel lavacro d’amore scaturito col sangue e con l’acqua [dal cuore del Signore trafitto sulla Croce dalla lancia] ogni macchia carnale ed di effimera dilettazione.
Per il terzo versetto: «Che perdona i tuoi peccati», mi fu dato, simile a colomba che si industria a fare il nido nel cavo della pietra, di poter riposare il mio spirito nella piaga della tua mano sinistra.
Per il quarto: «Che redime dalla perdizione l’anima mia», mi fu concesso di attingere con fiducia, nel tesoro che la tua mano destra mi offre, tutto ciò che manca alla perfezione della mia vita.
E così, magnificamente ornata, purificata da ogni peccato, arricchita di meriti, possa io per il quinto versetto: «Che riempie di beni l’anima mia», godere del tuo casto abbraccio . pur indegna che sono ma fatta degna di te – la tua desiderabilissima e dolcissima presenza.
Insieme a questa grazia, Tu mi concedesti inoltre ciò che detta orazione ti chiede, e cioè di poter leggere nelle tue piaghe il tuo dolore insieme e il tuo amore. ma, ahimè, per ben poco tempo: e non già perché tu mi abbia sottratto questo favore, ma perché la mia ingratitudine e la mia deplorevole negligenza han fatto sì che lo perdessi. Tu però nella immensa tua misericordia e nella tua copiosa bontà, dissimulando questi miei falli, mi hai conservato fino ad oggi senza alcun mio merito, e benché indegnissima, il primo e più grande di questi tuoi favori: l’impressione cioè delle tue sacre stimmate. Per questo dono sia a te gloria ed imperio, lode ed esaltazione per tutti i secoli eterni.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
5 – La ferita d’amore
Sette anni dopo questa grazia, prima dell’Avvento, e certamente per tua disposizione o Autore di ogni bene, io avevo indotto una certa persona ad aggiungere nella preghiera che essa faceva ogni giorno per me davanti al Crocifisso queste parole:
«Per il tuo Cuore trapassato dalla lancia, o dilettissimo Signore,
trafiggi il suo cuore col dardo dell’amore tuo,
così che non possa più avere attacco per alcuna cosa terrena,
ma sia tutto posseduto dalla potenza della tua divinità».
Mosso, come credo, da questa preghiera, nella Domenica «Gaudete» [III d’Avvento] durante la Messa, mentre per tua misericordia, così disponendo la tua infinita liberalità, mi accostavo alla santa Comunione del tuo sacratissimo Corpo e Sangue, mi infondesti un tale desiderio di Te che fui costretta a prorompere in queste parole: «Signore confesso che per parte mia non son degna di ricevere il minimo dei tuoi doni; tuttavia per i meriti e i desideri di tutte le persone qui presenti, ti supplico di trapassare il mio cuore col dardo dell’amore tuo».
Subito sentii, sia per l’infusione di una grazia interiore, sia per un certo segno esterno apparso su di un’immagine che ti raffigurava crocefisso, che queste parole erano giunte al tuo Cuore.
Ritornata infatti al mio posto dopo aver ricevuto il Sacramento della vita, mi parve che dal lato destro di un Crocifisso dipinto sul mio libro, dal lato cioè della piaga del costato, uscisse come un raggio di sole foggiato a guisa di dardi che, a più riprese, dapprima si mostrava, poi si ritraeva, poi appariva di nuovo, sì da attirare dolcemente la mia attenzione. Il mio desiderio però non fu esaudito in quel giorno.
Il mercoledì seguente [il mercoledì delle Tempora d’Avvento, nel quale alla Messa, ricorre il Vangelo dell’Annunciazione], mentre dopo la Messa mi univo ai fedeli nell’onorare, se pur con minor devozione di loro, il mistero dell’adorabile tua Incarnazione e Annunciazione, ecco che Tu all’improvviso ti presentasti a me e mi trafiggesti il cuore dicendo: «Che tutti gli affetti dell’anima tua si concentrino qui: il tuo sommo diletto, la tua speranza, la tua gioia, il tuo dolore, il tuo timore e ogni altro affetto trovino qui, nel mio amore, il loro fondamento».
Subito mi venne in mente ciò che spesso avevo udito, e cioè che le piaghe bisogna lavarle, ungerle e fasciarle. Ma tu non mi insegnasti allora come potessi compiere questi uffici: me lo insegnasti più tardi per mezzo di un’altra persona che, ne son certa, aveva con bene maggiore delicatezza e maggior costanza di me avvezzato l’orecchio del suo cuore a cogliere il tenue bisbiglio delle tue amorose parole.
Essa mi consigliò di attingere nella continua e pia meditazione dell’amore del tuo Cuore trafitto sulla Croce, l’acqua della devozione che l’impeto della tua ineffabile carità ha ivi fatto scaturire a lavacro di ogni offesa – di cercare in questo Cuore il balsamo della riconoscenza che la dolcezza del tuo amore inestimabile vi ha istillato a rimedio di ogni avversità – e di servirmi della fascia della giustificazione, tessuta dalla fortezza della tua incomprensibile carità, come vincolo di indissolubile unione con Te nei miei pensieri, nelle mie parole e nelle mie opere.
O mio Dio, che la forza di quell’amore la cui pienezza abita in Colui che siede alla tua destra e che si è fatto ossa delle mie ossa e carne della mia carne, supplisca a tutto ciò che la mia maliziosa nequizia può aver tolto alla forza di questa devozione. Per Lui, nella virtù dello Spirito Santo, ci dai di poterci rivestire della sua stessa nobile compassione, umiltà e reverenza; per Lui dunque ti offro il mio dolore per la disgrazia di aver tante volte offeso la tua divina bontà in pensieri, parole e opere e specialmente per essermi servita dei predetti tuoi doni con tanta infedeltà e irriverente negligenza. Ahimè! se Tu non mi avessi dato per tuo ricordo, indegna come sono, anche un filo solo di stoppa, avrei pur dovuto riguardarlo con maggior rispetto e reverenza di quanto ne abbia avuta per questi tuoi doni!
Tu lo sai, o Dio che mi conosci nell’intimo: se ho potuto indurmi, non per mia iniziativa, ma anzi contro ogni mia inclinazione personale, a stendere questa relazione, è solo perché ho così poco approfittato delle tue grazie che non posso risolvermi a credere che mi siano state elargite per me sola, non potendo la tua eterna sapienza venir frustrata da alcuno. Fa’ dunque, o Datore di ogni bene che mi hai gratuitamente elargito doni così indebiti, che, leggendo questo scritto, il cuore di uno almeno dei tuoi amici sia commosso al pensiero che lo zelo delle anime ti ha indotto a lasciare per tanto tempo una gemma di valore così inestimabile in mezzo al fango abominevole del mio cuore. Che egli lodi ed esalti la tua misericordia e ti dica col cuore e colla bocca: «Te, o Dio, Padre ingenito da cui tutto procede. Te a buon diritto lodano tutte le creature! A te onore e imperio, benedizione e gloria ecc.» [antifone dell’Ufficio della SSma Trinità]. E supplisca così in qualche modo alla mia insufficienza.
Qui essa cessò di scrivere fino al mese di ottobre (1)
(1) Nota del cod. Moguntino, riportata nell’edizione di Lanspergio
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
6 – Una più sublime visita del Signore nel giorno di Natale
O inaccessibile e ammirabile altezza di onnipotenza! O profondità inscrutabile di abissale Sapienza! O immensa ed agognata ampiezza di carità! Con quale impeto di torrenti vivificanti della tua divinità più dolce del miele si sono gonfiati per riversarsi in tanta copia su di me, misero verme di terra strisciante sulla sabbia dei miei difetti e delle mie negligenze! Per essi mi è stato dato di poter gustare anche nell’esilio della mia peregrinazione terrena, se pur nella limitata misura delle mie capacità, il preludio di questa beatificante delizia e di quella soavissima dolcezza per le quali chi aderisce a Dio diventa uno stesso spirito con Lui (1Cor 6,17). Sì, è stato concesso a me, piccolo atomo di polvere, di assaporare qualche goccia di quell’infinita beatitudine che si effonde senza misura. Ed ecco in qual modo.
Era la notte sacratissima della Natività del Signore, la notte in cui per tutto l’universo, i cieli, fatti melliflui, stillano sulla terra la dolce rugiada della divinità. La mia anima, simile ad un vello esposto sull’aia della carità e tutto impregnato da tal celeste rugiada [cf Gd 6,37], era assorta nella contemplazione, quasi desiderasse, con la sua devozione, prestare il suo ministero a quel parto divino in cui, a guisa di stella che emette il suo raggio, la Vergine diede al mondo un Figlio, vero Dio e vero Uomo.
Mi parve ad un tratto che mi venisse presentato e che io accogliessi nel cuore un bambinetto appena nato, nel quale doveva certo esser nascosto un dono di somma perfezione, il dono per eccellenza.
La mia anima dunque l’accolse in sé, ed ecco che all’improvviso le parve di trovarsi tutta mutata in Lui quasi sotto l’apparenza di uno stesso colore, se posso chiamare colore ciò che non può essere paragonato ad alcuna specie sensibile. Essa ricevette allora l’intelligenza di quella ineffabile dolcissima parola: «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28): sentiva infatti di contenere in sé, nel suo intimo, il suo Diletto, e godeva e si rallegrava della dolce presenza di uno Sposo che le era fonte di così gaudiosa dolcezza. Bevve perciò con avida sete le seguenti parole che Dio le fece udire: «Come io sono, in quanto Dio, la figura della sostanza di mio Padre (cf Eb 1,3), così tu sarai la figura della mia sostanza in quanto uomo. Tu riceverai nella tua anima deificata l’influenza della mia Divinità, come l’aria riceve i raggi del sole, e, penetrata fino al midollo da questa luce unificante, diventerai capace di una più intima unione con Me».
O balsamo inestimabile della Divinità che da ogni parte ti spandi in torrenti di amore, che eternamente germini e fiorisci in una effusione che tocca la sua pienezza in questa fine dei tempi!
O virtù invincibile della destra dell’Altissimo per cui un fragile vaso ignominiosamente rigettato a motivo dei suoi vizi ha potuto accogliere in sé questo preziosissimo balsamo!
O testimonianza irrefragabile della sovrabbondante bontà di Dio che non mi ha mai abbandonato quando erravo nei tortuosi sentieri del vizio, e mi ha fatto conoscere, per quanto la mia miseria poté esserne capace, la dolcezza di questa beatissima unione!
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
7 – Una più intima unione della sua anima con Dio
Qualche tempo dopo, nella santissima festa della Purificazione, mentre giacevo a letto dopo una grave infermità e, verso l’alba mi rammaricavo fra di me, tutta mesta, di dover rimanere priva per la mia debolezza fisica della visita divina di cui spesso ero stata favorita in tal giorno, ebbi la consolazione di udire da Colei che è la nostra Mediatrice presso il Mediatore unico fra Dio e gli uomini (cf 1Tm 2,5), le seguenti parole: «Tu non ricordi di aver fisicamente sofferto dolori più acuti di quelli che hai provato in questa malattia: ebbene, sappi che non hai mai neppure ricevuto dal mio Figliolo dono più grande di quello che con la presente infermità corporale ti ha preparato a ricevere».
Fui molto sollevata da queste parole; ed ecco che poco prima dell’ora della Processione, mentre, dopo aver ricevuto il Sacramento della vita, me ne stavo tutta intenta alla presenza del Signore in me, vidi che la mia anima, simile ad una cera sciolta dolcemente al fuoco, era posta davanti al petto del Signore pronta a ricevervi un sigillo, e che ad un tratto veniva ed esso applicata entrando in parte dentro a quel sacrario in cui la pienezza della Divinità abita corporalmente (cf Col 2,9) per ricevervi l’impronta della fulgida e sempre tranquilla Trinità.
O Dio, brace che consumi, Tu mi hai mostrato e poi comunicato il vivo ardore che è in Te quando, divampando sull’umido e lubrico terreno dell’anima mia, Tu facesti inaridire ogni acqua di piaceri mondani, e sciogliesti con la tua vampa la rigidezza di quell’attaccamento al mio proprio giudizio a cui il tempo aveva conferito tanta forza!
O Fuoco consumante che non divampi contro i vizi se non per infondere nell’anima la soave unzione della tua grazia, in Te, e in Te soltanto, possiamo trovare la forza di riformarci a tua immagine e somiglianza!
O Fornace ardente, attraverso la quale ci è dato giungere alla beatifica visione della pace vera, Tu cambi con la potenza della tua azione le nostre scorie in oro puro ed eletto quando l’anima, stanca di fallaci visioni, si induce a cercar con tutte le sue forze Te, suo sommo Bene e vera Verità!
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
8 – Unione ancora più intima
La domenica seguente Esto mihi [Domenica di Quinquagesima], durante la Messa, Tu eccitasti i desideri della mia anima per farla aspirare ai favori più sublimi di cui volevi gratificarla. E lo facesti per mezzo di due parole del Responsorio Benedicens benedicam tibi: Ti colmerò di benedizione, e del versetto di un altro Responsorio, il nono: Tibi enim et semini tuo dabo ha regionesi: Darò questa terra a te e ai tuoi discendenti. Mentre infatti lo si recitava Tu, ponendoti la mano sul petto, mi indicasti dove si trovava questa terra promessa dalla tua infinita liberalità.
O beata terra che colmi di felicità i tuoi abitanti, o terra ricca di benedizioni, campo di delizie il cui più piccolo seme può soddisfare a sazietà la fame di tutti gli eletti procurando loro tutto ciò che v ipuò essere di desiderabile, di amabile, di delizioso, di giocondo, di soave per il cuore dell’uomo!
Mentre ero intenta, se non come dovevo almeno come potevo, allo svolgimento dell’Ufficiatura, ecco apparirmi la benignità ed umanità del Salvatore nostro Dio, non per merito di opere di giustizia con cui io, indegna, potessi meritare tanta grazia, ma per l0ineffabile sua misericordia, che con una gratuita rigenerazione mi rese capace, nonostante la mia estrema vilezza e indegnità, di una più profonda unione con Lui: unione davvero stupenda e tremenda, degna di amore e di adorazione, celeste ed inestimabile.
Per quali miei meriti, mio Dio, o per quale tuo occulto giudizio è ciò avvenuto? Come mai, Signore mio dolcissimo, che, dimentico della tua dignità, sei incline solo a condiscendere, come mai il tuo amore a guisa di un amore umano che non sopporta indugio di riflessione né freno di ragione, ti ha portato, se posso osare di esprimermi così, a tale folle ebbrezza da congiungere cose tanto dissimili? Ma ben piuttosto convien dire che la soave bontà, che ti è connaturale ed ingenita, come tocca da quella dolce carità, che non solo ti induce ad amare, ma fa di Te l’Amore per essenza e ti ha spinto un giorno a salvare tutto il genere umano, ti ha ora indotto a chiamare dall’estrema sua bassezza una miserabile creatura, bisognosa di tutto, spregevole per vita e costumi, onde farla partecipe della tua regale e divina grandezza.
Tu volesti con questo accrescere la fiducia di tutti coloro che appartengono alla tua Chiesa; e questo io auguro ad ogni cristiano per amore del mio Signore, sperando che nessuno dia al prossimo lo scandalo che io ho dato per il cattivo uso che ho fatto dei Tuoi doni.
Mi parve dunque – ho già detto altra volta che le cose invisibili di Dio possono essere afferrate dall’intelligenza per mezzo delle cose sensibili – mi parve dico, che da quel lato del petto del Signore nel quale, il giorno della Purificazione, Egli aveva accolto l’anima mia sotto forma di cera ammollita al fuoco, emanassero con forza come delle gocce di sudore, quasi che per la violenza del calore interno la suddetta cera si fosse del tutto liquefatta. Queste gocce però per una virtù mirabile e misteriosa venivano riassorbite in questo divino sacrario, quasi a rivelare l’invincibile forza di espansione e di attrazione che l’amore aveva racchiuso nelle imperscrutabili profondità di quel Cuore.
O solstizio eterno, mansione sicura, luogo che racchiudi in Te ogni delizia, paradiso di perenne gaudio! O torrente di diletti inestimabili che attiri con la grazia della primavera in fiore, alletti col suono e la melodia di una musica spirituale, ricrei col profumo di vivificanti aromi, inebrii con la penetrante dolcezza di mistici sapori, trasformi con l’ammirabile soavità dei tuoi santi amplessi! O tre volte felice, quattro volte beato, e, se posso esprimermi, mille volte santo chi sotto l’impulso della grazia, merita di giungere a Te con mani innocenti e labbra e cuore puri. O quali cose mai gli è dato vedere, udire, odorare, gustare, sentire! Ma perché cercare di balbettarne qualcosa con la mia lingua impedita? Se col favore della divina bontà sono stata ammessa in qualche modo a goderne, tuttavia, avvolta come sono da ogni parte, quasi da spesso cuoio, dalla scorza dei miei vizi e delle mie negligenze, non ho potuto afferrare che l’ombra di queste divine realtà, della cui sovraeminente eccellenza tutta la scienza angelica ed umana riunita insieme non riuscirebbe a dire neppure una sola parola
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
9 – L'inseparabile unione della sua anima con Dio
Non molto tempo dopo, e cioè a metà Quaresima, mi trovavo di nuovo a letto per una grave infermità. Una mattina, tutte essendo occupate chi in una cosa chi in un’altra, mene stavo sola sola, quando il Signore, che non abbandona chi è abbandonato da ogni umano conforto, degnò di apparirmi avverando le parole del profeta: «Sono con lui nella tribolazione» (Sal 90,15). Egli mi indicò nella parte sinistra del suo costato una fonte di acqua che aveva insieme la solidità e la trasparenza del cristallo e che pareva sgorgare dalle profondità del suo Cuore. Continuando a scaturire dal suo sacro petto, essa lo ricopriva a guisa di una collana scintillante di riflessi di porpora e d’oro. E il Signore mi disse: «La presente infermità ha santificato l’anima tua così che d’ora innanzi, ogni qualvolta per amor mio consacrerai al servizio del prossimo i tuoi pensieri, le tue parole e le tue azioni, non per questo ti allontanerai da me più di quanto se ne allontani quest’acqua che ti ho mostrato. E come nella sua cristallina purezza essa si adorna di questi riflessi color di porpora e d’oro, così la cooperazione della mia divinità raffigurata nell’oro e la perfetta pazienza della mia umanità designata nella porpora mi renderanno gradita ogni tua intenzione».
O dignità di quell’atomo di polvere che la Gemma divina, la più preziosa delle gemme del cielo, si degna di sottrarre al fango della strada per incastonarsi in esso!
O eccellenza di quel fiorellino che questo Raggio di Sole degna di far spuntare in luoghi paludosi per riflettere in esso il suo splendore!
O felicità di quell’anima beata e benedetta che il Signore della Maestà tanto apprezza da non disdegnare di abbassarsi, benché piccola, a crearla, Lui Creatore onnipotente! Di quell’anima dico che, se pur nobilitata dall’immagine e somiglianza divina, resta pur sempre, in quanto creatura, a una distanza infinita dal suo Creatore!
E mille volte beata perciò quell’anima a cui è dato persistere in quello stato a cui io temo di non esser pervenuta, haimè, neppur per un momento! E però prego la divina clemenza di concedere anche a me un qualsivoglia piccolo dono di grazia per i meriti di coloro che essa, come spero, ha mantenuto in tale stato per un lungo periodo di tempo.
O dono che supera ogni dono, poter in questo sacrario saziarsi a piacimento con gli aromi divini! Potersi appieno inebriare, anzi saturare, in questo delizioso tinello, col liquore della carità, fino a non voler più muovere i passi verso i luoghi in cui si sospetti che possa svanire l’efficacia di così preziosa aroma! Oh, poter portare con sé, quando la carità costringa ad allontanarsene, almeno qualcosa della sua virtù, onde poter comunicare anche agli altri la straordinaria dolcezza di questa divina fragranza!
Io credo, o Signore Iddio, che la tua onnipotenza possa elargire questo dono a tutti i tuoi eletti e non dubito che, nella benignità del tuo amore, tu voglia darlo anche a me. Come però Tu possa darmelo, indegna come sono, è un mistero della tua inscrutabile sapienza che io non valgo ad investigare. Ma glorifico ed esalto la sapienza e la bontà della tua onnipotenza, lodo e adoro l’onnipotenza e la bontà della tua sapienza, benedico e ringrazio, o mio Dio, la sapienza e l’onnipotenza della tua bontà, perché dalla tua munificenza sempre ho ricevuto tutte le grazie che potevano essermi accordate, in una misura che supera infinitamente ogni mio possibile merito.
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10 – L’ispirazione divina
Giudicavo così inopportuno di continuare a scrivere queste cose che non potevo indurmi in alcun modo a consentire in questo alla voce interiore(1). Differii dunque di farlo fino all’Esaltazione della Santa Croce, e in questo giorno, durante la Messa, già avevo preso la decisione di applicarmi ad altro lavoro, quando il Signore mi fece capire la ragione con queste parole: «Sappi che non uscirai dal carcere del corpo finché non ti sarai decisa a pagare anche quest’obolo che ancora ritieni».
Andavo tuttavia pensando fra me che, in qualche modo, se non per iscritto almeno con la parola, già avevo fatto servire i doni di Dio a vantaggio del prossimo; ma il Signore mi oppose le parole che in quella stessa notte avevo udito a Mattutino: «Se il Signore avesse destinato la sua dottrina soltanto ai suoi contemporanei, si sarebbe accontentato di parlare e non avrebbe fatto scrivere nulla: invece i suoi insegnamenti sono stati scritti a utilità di molti».
E il Signore aggiunse: «Non contraddire: voglio che in questi ultimi tempi nei quali ho stabilito di effondere le mie grazie su molte anime, i tuoi scritti siano una testimonianza irrefragabile della mia divina bontà».
Sotto il peso di questo comando, cominciai a pensare tra me quanto fosse difficile per non dire impossibile rendere con parole adatte, senza pericolo di scandalo per la mente umana, il senso delle cose che già ho raccontato(2).
Ebbi allora l’impressione che il Signore, venendo incontro alla mia pusillanimità, facesse discendere sulla mia anima come una pioggia abbondante. Ma, miserabile creatura come sono, simile ad una piantagione novella che, ormai appassita, si piega verso terra, non riuscii a trar profitto da quella abbondante irrigazione. Afferrai solo alcune parole pronunciate con gran forza, delle quali però non riuscii a penetrare il senso, onde sempre più oppressa, mi chiedevo che cosa mai stesse per accadere.
Ma la tua tenera bontà, o mio Dio, volle con la consueta dolcezza sollevarmi e consolarmi con queste parole: «Poiché questo scroscio di pioggia ti sembra inutile, ecco: ti stringerò al mio cuore per istillarti poco per volta, con soavità e dolcezza, e nella misura della tua capacità, le grazie che ti occorrono».
O Signore mio Dio, confesso che tu mi hai dato perfetto compimento alla tua verissima promessa! Ogni mattina infatti, nell’ora più adatta, per quattro giorni di seguito, Tu mi ispirasti una parte delle cose che ho scritto, con tanta chiarezza, con tanta soavità che, pur non avendoci pensato prima, mi fu possibile stenderle senza alcuna fatica, come se le avessi avute in mente da lunghissimo tempo.
Lo facesti però con misura, poiché, una volta finito il compito del giorno, non riuscivo più a trovare anche applicandomi con tutte le forze, una sola di quelle espressioni che il giorno dopo dovevano venirmi con tanta abbondanza e senza sforzo alcuno. Tu volesti così moderare e dirigere la mia impetuosità, secondo quel detto che non si deve dare all’azione in tal modo che la contemplazione abbia a scapitarne.
È così, o Signore, che Tu ti mostri geloso della mia salvezza in ogni circostanza, permettendomi cioè a volte di gustare il giocondo amplesso di Rachele senza perciò privarmi della gloriosa fecondità di Lia(3). Che il tuo sapiente amore, o mio Dio, mi permetta di compiere come a te piace e l’una e l’altra cosa.
Gertrude vuole qui rendere conto di una interruzione nella stesura del presente libro II (interruzione che il copista ha rilevato alla dine del c. 5). Essa non voleva più continuarne la redazione, ma ebbe dal Signore, nel giorno dell’Esaltazione della Croce (14 settembre) l’espresso comando di riprenderla, come qui si riferirà, e stese allora nei quattro giorni successivi i quattro capitoli che precedono (6-7-8-9). Il presente c. 10 rappresenta dunque una specie di parentesi giustificativa, e il filo della narrazione riprenderà con il c. 11.
Nei quattro capitoli di cui alla nota precedente.
Cf Gen 29-30: Rachele era la moglie amata di Giacobbe che fu sterile per molti anni, mentre l’altra moglie, Lia,era feconda.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
11– Un ardito assalto del nemico
Quante volte e in quanti modi durante questo tempo mi hai fatto provare la gioia della tua salvifica presenza! Con che larga benedizione di dolcezza hai prevenuto la mia miseria, soprattutto durante i tre primi anni e in modo speciale quando ero ammessa a ricevere il tuo Corpo e il tuo Sangue prezioso! Poiché non posso renderti, o mio Dio, neppure l’uno per mille, mi affido a quell’eterna, immensa, immutabile azione di grazie per la quale, o fulgida e sempre tranquilla Trinità, da Te, per Te e in Te soddisfi pienamente ogni nostro debito.
Simile ad un granello di polvere mi nascondo in questa azione di grazie e ti offro, per mezzo di Colui che siede alla tua destra rivestito della mia natura, il ringraziamento che in Lui mi hai dato di poterti offrire. Te l’offro per mezzo suo, nello Spirito Santo, per tutti i benefici di cui mi hai colmata, e soprattutto per il luminoso ammaestramento col quale mi hai rivelato la mia insipienza, facendomi comprendere in qual modo io offuscavo la purezza dei tuoi doni.
Un giorno infatti, mentre assistevo ad una Messa durante la quale dovevo comunicarmi, Tu ha degnato farmi sentire la dolcezza della tua presenza, e, servendoti per istruirmi di un’immagine sensibile, ti presentasti a me con l’aspetto di chi è arso dalla sete, chiedendomi da bere. Io mi dolevo di non poterti soccorrere, perché nonostante tutti i miei sforzi non riuscivo a trarre dal mio cuore inaridito neppure una goccia di compassione.
Mi parve allora che Tu mi porgessi di tua propria mano una coppa d’oro. Io la presi, ed ecco che il mio cuore all’improvviso si sciolse in un flotto impetuoso di lacrime ardenti. In quell’istante vidi alla mia sinistra un essere odioso che mettendomi in mano, senza parere [cioè senza il mio consenso], qualche cosa di avvelenato e di amaro, fece in modo che io lo lasciassi cadere nel calice, per corromperne il vino. Subito si sollevò nel mio cuore un moto così impetuoso di vanagloria, da farmi comprendere con evidenza quale sia l’astuzia con cui l’antico avversario ci assale quando lo spinge l’invidia dei doni che largisci alle tue creature.
Ma siano rese grazie alla tua fedeltà, o mio Dio, siano rese grazie alla tua protezione, o Dio vero e uno, o Verità Una e Trina, o Trina e Una Divinità che non permetti che veniamo tentati di là dalle nostre forze! Tu, per esercitarci nelle virtù, concedi qualche volte al nemico la facoltà di privarci con la tentazione, ma se vedi che contiamo con fiducia nel tuo aiuto, fai tua la nostra causa e nella tua immensa generosità, riservando a Te la lotta, attribuisci a noi la vittoria. Tu ci chiedi soltanto di aderire a Te con la nostra volontà, in forza di quel libero arbitrio che Tu non permetti ci venga tolto dal nemico e che non vuoi Tu stesso forzare, conservandocelo con la tua grazia sopra ogni altro tuo dono ad aumento del nostro merito.
In un’altra circostanza e per mezzo di un’altra immagine, Tu mi insegnasti che chi presta al nemico un facile consenso accresce in lui l’audacia. Per tal ragione la tua ammirabile giustizia ti costringe talvolta a nascondere in qualche modo la tua potenza e la tua misericordia nei pericoli in cui siamo incorsi per nostra negligenza. Quanto più pronta invece è la nostra resistenza al male, tanto più utile, efficace e felice è l’effetto che conseguiamo.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
12 – La pazienza con cui Dio sopporta i nostri difetti
Ti rendo anche grazie, mio Dio, per un’altra visione non meno gradita che utile con la quale mi facesti conoscere con quanta pazienza Tu sopporti i nostri difetti, pur di vederci emendati e farci un giorno partecipi della tua beatitudine.
Una sera mi ero adirata, e la mattina seguente prima che facesse giorno, avendo avuto agio di darmi all’orazione, Tu mi apparisti sotto un aspetto insolito, come una persona estenuata di forze e priva di ogni soccorso.
Poiché mi rimordeva la coscienza per la caduta del giorno prima, cominciai a riflettere con dolore che indegna cosa fosse l’offendere Colui che è la santità e la pace seguendo l’impulso di una passione viziosa. E pensai che sarebbe stato meglio, anzi giunsi persino a desiderare, che Tu non fossi venuto in quell’ora (in quell’ora soltanto però!) in cui avevo il rimorso di non aver resistito al nemico che mi spingeva a sentimenti così contrari alla tua santità.
Ma ecco la risposta che Tu mi desti: «Come un malato che è riuscito a farsi portare ai raggi del sole si consola al sopraggiungere improvviso di un temporale, con la speranza del pronto ritorno del bel tempo, così Io, vinto dal tuo amore, voglio rimanere con te anche durante le tempeste delle tue passioni, in attesa che il pentimento riporti il sereno e ti diriga verso il porto dell’umiltà».
La mia lingua non vale ad esprimere quale abbondanza di grazia la prolungata tua presenza mi abbia elargito in quest’occasione! Possa supplirla, te ne prego, l’affetto del cuore, e da quell’abisso di umiltà in cui mi ha attirato la degnazione dell’amor tuo, m’insegni a far risalire verso la tua immensa misericordia la mia azione di grazie.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
13 – La custodia del cuore
Confesso ancora al tuo amore, o Signore benignissimo, che anche in altro modo ti adoperasti per scuotere il mio torpore. Ti servisti bensì dapprima dell’intermediario di un’ altra persona, ma poi compisti da solo l’opera tua con non minor degnazione che misericordia.
Questa persona mi fece osservare che i primi a trovarti appena nato, secondo la narrazione del Vangelo, furono i pastori; e poi, da parte tua, mi disse che se desideravo veramente trovarti anch’io dovevo vegliare sui miei sensi come i pastori vegliavano sui loro greggi.
Non fui molto soddisfatta del consiglio. Lo trovavo inopportuno per me, perché sapevo che Tu mi inclinavi a servirti per amore e non già come un pastore mercenario serve il suo padrone.
Continuai a ripensarci tutto il giorno fino a Vespro con un senso di abbattimento spirituale, ed ecco che dopo Compieta, essendomi raccolta in preghiera al mio solito posto, Tu addolcisti con questo pensiero la mia tristezza: Una sposa può ben occuparsi di dar da mangiare ai falconi del suo sposo senza per questo venir privata delle tue carezze. Allo stesso modo anch’io se mi applicassi a custodir i miei sensi e i miei affetti, certo non per questo verrei privata della dolcezza della tua grazia.
Tu mi desti allora, sotto forma di una verga di fresco recisa, lo spirito del timore, affinché non allontanandomi mai neppure per un momento dalle tue braccia potessi, senza danno, attraversare le impervie contrade in cui sogliono smarrirsi gli affetti umani. Ed aggiungesti che se qualche cosa cercasse di far deviare i miei affetti, sia destra per mezzo della gioia e della speranza, sia a sinistra col dolore, il timore e la collera, subito mi servissi della verga del tuo timore e, richiamato al mio cuore per mezzo del raccoglimento dei sensi quell’affetto, lo penetrassi col calore della carità e te l’offrissi in saporoso sacrificio così come ti si offrirebbe il sacrificio di un agnellino appena nato.
Ahimè, ogni qualvolta da allora, spinta dalla mia malizia, dalla mia leggerezza e dalla mia vivacità nel parlare e nell'agire, ridavo la libertà a ciò che prima ti avevo offerto, sempre ho avuto l’impressione di strappartelo per così dire di bocca per darlo al tuo nemico. Eppure Tu, nel frattempo, continuavi a guardarmi con tanta serena bontà come se, non sospettando neppure il mio tradimento, Tu pensassi che io lo facessi per gioco.
Per tal via richiamasti sovente il mio cuore a tanta dolcezza di commozione e di pietà, da farmi persuasa che con nessuna minaccia avresti mai potuto indurmi a un desiderio di correzione e a un proposito di emendazione altrettanto grande e fermo.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
14 – L’utilità della compassione
Una volta, nella Domenica precedente la Quaresima (1) mentre si intonava la Messa «Esto mihi…Sii per me un luogo di rifugio», credetti di intendere che, perseguitato e tormentato da molti tuoi nemici Tu mi chiedessi con le parole di questo Introito di accoglierTi e di lasciarTi riposare nel mio cuore. E per i tre giorni successivi, ogni qualvolta mi raccoglievo internamente, mi pareva di vederti riposare sul mio petto come un povero infermo. Non trovai in questi tre giorni nulla che potesse offriti un più alto sollievo che il darmi per amor tuo alla preghiera, al silenzio e alla mortificazione per la conversione di coloro che vivono secondo lo spirito del mondo.
(1) E cioè la Domenica di Quinquagesima.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
15 – Riconoscenza per la grazia
Nella tua bontà ti degnasti rivelarmi con la luce della tua grazia che l’anima, finché rimane nel fragile involucro del corpo, si trova avvolta come in una nube, così come una persona racchiusa in un’angusta stanza sarebbe da ogni parte circondata dal vapore che in essa si producesse. Quando però il corpo viene colpito da qualche male, attraverso al membro paziente si infiltra nell’anima come un raggio di sole che mirabilmente la rischiara. Quanto più il male è esteso e grave, tanto più chiaro è il raggio di luce che inonda l’anima. Le ferite che il cuore incontra nell’esercizio dell’umiltà, della pazienza e simili, sono quelle che, toccando l’anima più profondamente e più da vicino, le apportano maggior copia di luce. Sovra ogni altra cosa però la rasserena e la rischiara la pratica delle opere di carità.
Grazie ti siano rese, o Amico degli uomini, di avermi in tal modo spesso attirata alla pratica della pazienza. Ma, ahimè, mille volte ahimè, ben raramente e ben poco ho corrisposto alla tua grazia e certo mai nel modo in cui avrei dovuto corrispondervi! Tu conosci, o Signore, il mio dolore, la mia confusione e il mio abbattimento al riguardo, e sai quanto il mio cuore desideri che altri supplisca alle mie deficienze.
Un’altra volta durante la Messa, mentre stavo per comunicarmi, avendomi Tu concesso di godere del solito della tua presenza, io mi sforzavo di capire che cosa potessi fare per ricambiare almeno in parte tanta tua degnazione. O Maestro sapientissimo: «Desideravo essere io stessa anatema per i miei fratelli» (Rm 9,3).
Io avevo ritenuto fino allora che, secondo quanto mi avevi lasciato credere, l’anima risiedesse soltanto nel cuore. Tu mi insegnasti in quel momento che essa risiede anche nel cervello cosa che poi ho trovata anche scritta, ma che prima non sapevo. Mi dicesti dunque esser cosa di grande merito se l’anima, abbandonata per amor tuo la dolcezza della fruizione affettiva, vigilasse alla custodia dei sensi esterni e si affaticasse nelle opere di carità a salvezza del prossimo.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
16. Manifestazioni del Signore nel giorno di Natale e in quello della Purificazione
Nel santissimo giorno di Natale ti ricevetti dal Presepio, sotto forma di tenero bambino tutt’avvolto in fasce, e ti tenni stretto al mio cuore. Volevo fare di tutte le sofferenze causate dalle tue infantili necessità come un fascetto di mirra da tener sul mio petto onde trarne per l’anima abbondante balsamo di divina dolcezza. E mentre io pensavo di non poter ormai ricevere dono più grande di questo, Tu, che ad un primo favore ti compiaci di far seguire un altro più alto, ti sei degnato di variare per me, come ora ti dirò, la sovrabbondanza della tua salvifica grazia.
L’anno seguente, infatti, in questo stesso giorno di Natale, durante la Messa «Dominus dixit ad me [Il Signore mi ha detto]», ti ricevetti sotto la forma di un delicatissimo e tenerissimo bambino dal grembo della tua Vergine Madre e ti tenni per qualche tempo sul mio petto. Forse la compassione che alcuni giorni prima di questa festa avevo dimostrato ad una persona afflitta pregando per lei, aveva contribuito ad ottenermi questo favore. Confesso però che dopo averlo ricevuto non lo custodii con la dovuta devozione. Non so se ciò accadde per una disposizione della tua giustizia o per mia negligenza. Spero tuttavia che sia accaduto per disposizione insieme e della tua giustizia e della tua misericordia, al fine di farmi meglio comprendere la mia indegnità e farmi nello stesso tempo temere di esserne stata io la causa con la mia negligenza nell’allontanare i pensieri inutili.
Ma, se sia stato per questo o per quel motivo, rispondi Tu per me o Signore mio Dio.
Mi sforzavo dunque di riscaldarti con le mia affettuose carezze, ma avevo l’impressione di non riuscire fino a che non mi misi a pregare per i peccatori, per le anime del Purgatorio e per tutti quelli che si trovassero a quell’ora in qualche afflizione. Avvertii subito allora l’effetto della mia preghiera e l’avvertii in modo particolare una sera in cui presi la risoluzione di incominciare da allora in poi le mie preghiere per i defunti con l’Oremus: «Dio onnipotente ed eterno che mai supplichiamo senza speranza di misericordia, abbi pietà delle anime dei tuoi fedeli e degnati annoverare fra i tuoi Santi coloro che uscirono da questa vita confessando il tuo nome», in favore dei tuoi amici, anziché, come avevo fatto fino allora con l’Oremus: «O Dio che ci hai comandato di amare il padre e la madre…» [questo Oremus si trova ancora nel Messale Romano] in favore dei miei genitori. Mi parve che ciò tornasse più accetto.
Mi sembrò che anche Tu provassi soave compiacimento quando, cantando a piena voce le tue lodi, mi applicavo a fissare in Te, ad ogni nota, la mia attenzione, così come ci si applica a tenere gli occhi fissi sul libro quando non si sa bene la melodia a memoria. Ma ti confesso, o Padre pieno di bontà, che ho commesso molte negligenze in queste ed in alcune altre cose che capisco tornare a tua lode. Te lo confesso nell’amarezza della passione del tuo innocentissimo Figliuolo Gesù Cristo, nel quale hai detto di trovare tutte le tue compiacenze: «Questo è il mio Figliuolo diletto nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 17,5). Per mezzo suo ti offro il mio desiderio di emendazione affinché Egli supplisca alle mie negligenze.
Nel santissimo giorno della Purificazione, durante quella Processione in cui Tu, salvezza e redenzione nostra, volesti essere portato al Tempio insieme con le offerte, mentre si cantava l’Antifona «Cum inducerent…», la tua Vergine Madre mi ingiunse di renderle il Figliuolino diletto del suo seno, mostrandomi un volto molto severo quasi non ti avessi custodito come a Lei piaceva, Tu che sei la gloria ed il gaudio della sua immacolata verginità. Ricordandomi allora che per la grazia che ha trovato al tuo cospetto essa è chiamata la riconciliatrice dei peccatori e la speranza dei disperati, proruppi in queste parole: «O Madre di pietà, non ti è forse stato dato in figlio Colui che è la sorgente stessa della misericordia, perché tu ottenessi grazia a tutti coloro che ne son privi, e perché la tua sovrabbondante carità coprisse la moltitudine dei nostri peccati e difetti?». Mentre parlavo il suo volto prese un’espressione serena e benevola per farmi capire che, se le mie colpe l’avevano costretta a mostrarsi severa, Essa non ha tuttavia per noi che viscere di misericordia, essendo tutta penetrata dalla dolcezza della divina carità. E ne avevo certo in quel momento stesso, una chiarissima prova poiché alcune parole erano bastate a dissipare quell’espressione severa e a far apparire la sua innata serena dolcezza. La copiosa indulgente bontà della Madre tua interceda dunque per tutti i miei peccati presso la tua misericordia.
Mi facesti infine comprendere con luminosa evidenza che Tu non sai contenere la sovrabbondanza della tua dolcezza, perché l’anno seguente, nello stesso santissimo giorno di Natale, mi elargisti un dono simile a questo di cui ho parlato, ma ancora più belo. Ti comportasti come se il mio grande fervore dell’anno precedente avesse potuto meritarmelo, mentre invece, non un altro dono, ma un castigo mi sarebbe stato dovuto per la mia negligenza nel custodire il primo dono. Mentre infatti nel Vangelo venivano lette le parole: «Diede alla luce il suo Figliuolo primogenito…», la tua immacolata Madre con le sue purissime mani ti porse a me, o frutto benedetto del suo seno verginale. Sì, ti offrì a me piccolo ed amabile, mentre Tu con tutte le forze ti protendevi per farti prendere in braccio. Io ti presi – nonostante, ahimè, la mia estrema indegnità! – e tu circondasti con le tue braccine il mio collo e mi ristorasti tutta col soffio soavissimo del respiro che usciva dalle tue benedette labbra. Che la mia anima ti benedica, o Signore mio Dio, e che tutto ciò che è in me benedica il tuo santo nome.
Quando poi la tua beatissima madre ti avvolse nelle fasce, io avrei voluto chiederle di avvolgermi insieme con Te, per non essere separata neppure da un semplice pannolino da Colui le cui carezze vincono di gran lunga la dolcezza del miele. Mi parve allora che Tu fossi involto nel candido lino dell’innocenza e stretto nell’aurea fascia della carità; se dunque volevo essere avvolta e stretta insieme a Te, bisognava che mi applicassi, ben più di quanto avevo fatto fino allora, ad acquistare la purezza di cuore e a praticare le opere di carità.
Grazie ti siano rese, o creatore degli astri, che rivesti di splendore i luminari del cielo e di svariati colori i fiori di primavera. Tu non hai bisogno dei nostri doni e tuttavia nella seguente festa della Purificazione mi chiedesti di vestirti prima di essere presentato al Tempio e, aprendomi il segreto tesoro delle tue ispirazioni, me ne insegnasti il modo. Mi applicai dunque con ogni studio ad esaltare l’immacolata innocenza della tua umanità senza macchia con una devozione fedele e disinteressata da rinunciare personalmente, qualora mi fosse stato possibile averla, a tutta la gloria della tua dolce innocenza pur di vederla maggiormente esaltata in Te. Per questa mia intenzione Tu, la cui onnipotenza chiama tutto ciò che è come tutto ciò che non è (cf Rm 4,17) mi apparisti rivestito di una veste candida come quella di un bambino appena nato.
Ammirai poi con la stessa devozione l’abisso della mia umiltà e mi parve che su detta veste tu indossassi allora una tunica verde, quasi a significare che nella valle dell’umiltà la tua grazia verdeggia e fiorisce senza mai inaridire. Meditai ancora sul movente di ogni tua azione e ti vidi vestito di un purpureo manto che mi fece comprendere come la carità sia la veste senza la quale nessuno penetra nel regno dei Cieli.
Contemplai in seguito queste stesse virtù nella tua gloriosa Madre e la vidi vestita allo stesso tuo modo. Poiché dunque questa benedetta Vergine, rosa fiorita senza spine, candido giglio senza macchia, è ornata dei fiori di tutte le virtù, interceda Essa sempre, te ne preghiamo, per noi, onde per mezzo suo venga arricchita la nostra indigenza.
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17 – Come Dio veli la sua divina presenza
Un giorno, dopo essermi lavata le mani per andare a mensa, in piedi al mio posto attendevo insieme alla comunità di entrare in refettorio, e intanto ammiravo la chiarezza del sole che in quel momento brillava in tutto il suo splendore, e pensavo fra me: Se il Signore che ha creato questo sole e che è Egli stesso un fuoco divorante di cui, come è detto, lo stesso sole e la luna ammirano la bellezza [Cuius pulchritudinem sol et luna mirantur – Antifona all’Ufficio di S. Agnese]; se il Signore, dico, fosse veramente con me come spesso mi pare che sia, come sarebbe mai possibile che il mio cuore rimanesse così freddo e che fossi così dura e cattiva nel trattare gli altri?
Ed ecco che Tu, la cui parola, pur sempre così dolce, mi riesce tanto più soave, quanto più è necessaria al mio cuore titubante, subito rispondesti: «Come potresti esaltare la mia onnipotenza se io non potessi velare, dovunque lo creda opportuno, la mia presenza, per non rivelarla e renderla percepibile se non nella misura che precisamente conviene a quel tempo, a quel luogo e a quella determinata persona? Dall’inizio della creazione del cielo e della terra, in tutta l’opera della redenzione, mi son servito più della sapienza dell’amore che della potenza della maestà; e questa mia sapienza di amore riluce soprattutto quando sopporto gli imperfetti al fine di attirarli nella pienezza del loro libero arbitrio sulla via della perfezione».
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18 – Una paterna lezione
In un certo giorno di festa avevo visto accostarsi alla santa Comunione diverse persone che si eran raccomandate alle mie preghiere. Io invece, trattenuta da un’infermità, o piuttosto, come temo, respinta per disposizione divina a causa della mia indegnità, stavo ripensando tra me, o mio io, a tutti i benefici di cui mi hai colmata.
Cominciai ad un tratto a temere che il vento della vanagloria potesse essiccare il fiume della grazia divina e desideravo essere illuminata in qualche modo da te per potermene premunire in futuro. Ecco in qual modo la tua paterna bontà degnò istruirmi al riguardo.
Io dovevo raffigurarmi il tuo affetto per me come l’affetto di un padre che gode nel vedersi circondato da numerosi figli ammirati da tutti, in casa e fuori, per la loro grazia e la loro bellezza. Uno di questi figli però non ha ancora raggiunto il suo pieno sviluppo ed il padre, per questo motivo, pieno di affettuosa compassione, lo prende sulle ginocchia più spesso degli altri e lo colma di carezze e di piccoli doni.
Aggiungesti poi che se veramente con piena convinzione mi fosse ritenuta più imperfetta degli altri, il torrente delle tue divine consolazioni non avrebbe mai cassato di riversarsi nell’anima mia.
O Dio pieno di amore, che sei l’Amico dell’uomo, per questo e per tutti gli altri salutari ammaestramenti coi quali volesti istruire la mia insipienza, io ti offro il mio ringraziamento in unione alla mutua azione di grazie dell’adorabile tua Trinità. Deploro le innumerevoli negligenze con le quali ho spento in me il dolcissimo tuo Spirito, le deploro nell’amarezza della passione del Signore, offrendoti per esse le sue pene e le sue lagrime; mi unisco alla efficacissima orazione del diletto tuo Figlio e ti chiedo, in virtù dello Spirito Santo, l’emendazione di tutti i miei peccati e la compensazione di tutte le mie deficienza. Degnati di concedermi questa grazia per quell’amore che ritenne la tua collera, quando fu annoverato tra gli scellerati questo dilettissimo tuo Figliolo unigenito, delizia della tua paternità.
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19 – Una paterna lode della degnazione divina
Rendo grazie, o Dio amantissimo, alla tua benigna misericordia e alla tua misericordiosa benignità per l’attenzione di amore con cui hai degnato confermare la mia anima incerta e vacillante, quando, come son solita, ti chiedevo con desideri importuni di liberarmi dal carcere di questa miserabile carne. Non che intendessi sottrarmi alle sue miserie: ma volevo veder sciolta la tua bontà dal debito di grazia che, nel tuo immenso divino amore, ti eri impegnato a pagarmi per la salvezza dell’anima mia. E questo non perché la tua divina onnipotenza e la tua eterna sapienza me la conferissero contro voglia, quasi fossi forzato a farlo, ma perché la tua liberalità e bontà infinita l’elargivano a me, indegnissima ed ingrata.
Mi pareva che Tu, corona ed onore della celeste gloria, quasi lasciando per così dire il regale soglio della tua maestà, con lieve e soavissimo gesto ti inchinassi verso di me. E mi pareva che a questo tuo gesto di degnazione come dei torrenti di dolcezza si diffondessero per tutti gli spazi del cielo, e che tutti i Santi, inchinandosi con riconoscenza, come inebriati da questo torrente di soavità divina, prorompessero in un canto dolcissimo in lode di Dio.
Io intanto udivo queste parole: «Considera quanto sia dolce e gradita questa lode all’orecchio della mia maestà e come penetri e commuova le intime profondità del mio Cuore amantissimo. Cessa dunque di desiderare con tanta insistenza di essere sciolta dai lacci di questa carne a cui elargisco il dono della mia gratuita pietà; poiché quanto più indegno è colui verso il quale mi inchino, tanto maggiore è la riverenza con cui vengo esaltato, e ben a ragione, da ogni creatura».
E poiché questa tua consolazione mi veniva concessa nel momento in cui mi accostavo al Sacramento della vita e a questo, come era giusto, era rivolta ogni mia attenzione, aggiungesti al dono suddetto anche un altro ammaestramento. Mi dicesti infatti che tutti dovrebbero accostarsi alla Comunione del tuo sacratissimo Corpo e del tuo preziosissimo Sangue con tali disposizioni da non esitare per amore del tuo amore e della tua gloria a ricevere in questo Sacramento anche la propria condanna (se ciò fosse possibile) purché potesse maggiormente risplendere la tua divina bontà che non disdegna di comunicarsi a creatura tanto vile.
E volendo io addurre come scusa che chi si astiene dalla Comunione in considerazione della propria indegnità lo fa per non profanare con presuntuosa irriverenza un così eccelso Sacramento, ricevetti questa risposta benedetta: «Chi si accosta con l’intenzione che ho detto non può accostarsi con irriverenza». Te ne sian rese lode e gloria nei secoli dei secoli
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
20 – Gli speciali privilegi a lei concessi da Dio
Che il cuore e l’anima mia, che tutte le facoltà e i sensi del mio spirito e del mio corpo, insieme a tutte le creature dell’universo ti rendano lodi e grazie, o Dio dolcissimo, fedelissimo amico della nostra salvezza, per la tua immensa degnazione e misericordia. Non bastò alla tua pietà il dissimulare l’irriverenza con cui tante volte ho osato accostarmi senza la dovuta preparazione all’ineffabile convito del tuo santissimo Corpo e del preziosissimo tuo Sangue: volesti ancora elargire a me, il più inutile e il più vile degli strumenti di cui ti servi, un nuovo dono in aggiunta ai tuoi precedenti favori.
Tu volesti darmi la certezza che se un’anima, desiderosa di accostarsi al tuo Sacramento ma trattenuta dalla trepidazione della sua coscienza, umilmente viene a cercare conforto da me, l’ultima delle tue serve, Tu, per questa sua umiltà, nella tua ineffabile misericordia la giudicherai degna di tanto sacramento, ed essa lo riceverà veramente con frutto per la sua eterna salvezza. Ed aggiungesti ancora che se la tua giustizia non ti permettesse di giudicarla degna, non permetteresti neppure che essa si umiliasse a chiedermi consiglio.
O Dominatore eccelso, che abiti nell’alto dei cieli e volgi il tuo sguardo sulla nostra bassezza, a che cosa ma ti ha indotto la tua divina misericordia! Quante volte mi vedesti accedere indegnamente a questo divino Sacramento, meritando così dalla tua giustizia un severo giudizio! Ma Tu volevi che altri se ne rendesse degno con la virtù dell’umiltà e, pur potendo meglio riuscire in questo tuo intento senza il mio concorso, decretasti, per provvedere nella tua bontà alla mia indigenza, di servirti di me, affinché almeno così potessi aver parte ai meriti di coloro che, seguendo il mio consiglio, venissero a conseguire il frutto della salvezza.
Non bastava prò questo solo rimedio alla mia miseria e perciò non se ne accontentò la tua bontà, o benigno Signore! Volesti ancora assicurarmi che, pur indegna come sono, se alcuno con cuore contrito e con spirito di vera umiltà verrà a parlarmi con rammarico di qualche suo difetto, Tu lo giudicherai o colpevole o innocente secondo che io avrò stimato la sua colpa o grave o leggera. Per tua grazia, inoltre, e a suo sollievo, da quel momento mai più le sue cadute in tal difetto saranno così gravi come lo erano prima. Anche con ciò volesti venire incontro alla mia estrema indigenza, facendo sì che dopo essere sempre stata in tutti i giorni della mia vita tanto negligente da non riuscire mai, ahimè, a vincere del tutto neppure il più piccolo dei miei difetti, ora meritassi di aver almeno parte nella vittoria altrui. Sì, o Dio mio buono, Tu degnasti assumermi a tuo vilissimo strumento, onde potere per le mie parole concedere ad altri tuoi amici, più degni di me, la grazia della vittoria.
In una terza maniera la tua immensa liberalità volle arricchire la mia indigenza, assicurandomi cioè che a tutti coloro ai quali, confidando nella tua divina misericordia, avrò promesso qualche beneficio o il perdono di qualche peccato, il tuo misericordioso amore lo concederà secondo la mia volontà, come se Tu stesso glielo avessi giurato con la tua benedetta bocca. In prova di ciò aggiungesti che se il salutare compimento di questa promessa sembrasse loro protrarsi troppo a lungo, dovessero insistere nel ricordarti che io l’avevo loro promesso in tuo nome. E così provvedesti ancora una volta al mio proprio bene secondo il detto evangelico: «Con la stessa misura con cui misurate agli altri sarà misurato a voi» (Lc 6,38) poiché, non cessando io purtroppo di cadere in colpe gravi, almeno per questo privilegio che mi hai concesso, ti sia dato motivo di giudicarmi con minor severità.
Ancora un quarto beneficio mi concedesti con l’assicurazione che chiunque si raccomandasse alle mie preghiere con umile e devota intenzione, senza alcun dubbio conseguirà tutto il frutto che è lecito sperare da una intercessione. E anche che per questa via provvedesti alla mia negligenza poiché, assolvendo io assai male il dovere della preghiera sia pubblica che privata per la Chiesa – la quale ritornerebbe a mio proprio vantaggio secondo la parola del profeta: «La tua preghiera ritornerà nel tuo seno» (Sal 34,13) – Tu volesti supplirvi facendomi in qualche misura partecipe del merito di coloro a cui elargisci le tue grazie per la mia indegnissima intercessione.
E un quinto modo trovasti per operare la mia salvezza e fu lo speciale dono per cui nessuno che voglia con buona volontà, retta intenzione e umile fiducia parlarmi dei suoi interessi spirituali, potrà mai partirsi da me senza essere stato edificato e consolato. Tu vedevi quanto questo dono convenisse alla mia indigenza, poiché spesso, ahimè, perdendomi in parole inutili, sciupo il talento dell’eloquenza naturale, concessomi, benché tanto indegna, dalla tua liberalità. In questo modo almeno, spendendolo a servizio degli altri, ne ricaverò qualche frutto spirituale.
Il sesto dono della tua liberalità, o Dio benignissimo, fu un dono a me necessario sopra ogni altro. Tu mi assicurasti che chiunque mi userà la carità di pregare con viva fiducia per me, vilissima fra tutte le creature di Dio, o si adopererà con parole od opere buone ad emendarmi dai peccati e dalle ignoranze della mia gioventù e a correggermi della mia malizia e cattiveria, riceverà come premio dalla tua liberalissima misericordia di non uscire da questa vita senza aver conseguito la grazia di esserti tanto accetto, da meritare la dolcezza della tua particolarissima familiarità.
Con questo dono la tua paterna tenerezza volle venire incontro alla mia estrema necessità. Tu non ignoravi infatti quanto bisogno avessi di emendarmi dai miei innumerevoli difetti e negligenze. Il tuo amore misericordioso non voleva a nessun costo lasciarmi perire, e d’altra parte la tua ammirabile giustizia non poteva in alcun modo permettere che io mi salvassi con tante imperfezioni. Provvedesti dunque al mio bene facendo sì, che dividendo il merito fra più persone, crescesse il profitto di ciascuna.
Per ultimo, la tua incontenibile liberalità, o benignissimo Iddio, volle ancora elargirmi questo dono: se alcuno dopo la mia morte, ricordando la divina condiscendenza con cui durante la vita ti chinasti verso la mia pochezza, vorrà raccomandarsi umilmente alle mie benché indegne orazioni, Tu lo esaudirai senz’altro purché, in riparazione della sua negligenza passata, ti ringrazi con umile devozione per cinque particolari benefici a me conferiti:
Il primo è l’amore con il quale la tua gratuita misericordia ha degnato eleggermi da tutta l’eternità. E questo è veramente, lo confesso, il più gratuito dei tuoi doni! Pur prevedendo infatti il susseguirsi delle mie cattive azioni e la mia malizia, nequizia e nera ingratitudine, per cui avresti dovuto giudicarmi indegna, anche fra i pagani, del privilegio della ragione, volesti tuttavia superare nella tua tenerezza tutte le mie miserie ed eleggermi a preferenze di altri cristiani, alla dignità dello stato religioso.
Il secondo beneficio è quello di avermi attirata a te per la mia salvezza, e anche questo, lo confesso in tutta giustizia, lo devo alla mansuetudine e benignità che ti son proprie per natura. Per essa il mio cuore indomabile (a cui meglio sarebbero convenute delle catene di ferro) fu da te attirato con soavissima tenerezza, come se, riconoscendomi partecipe della tua stessa mansuetudine, Tu provassi nell’unirti a me, ogni possibile diletto.
Il terzo beneficio fu la tua familiare unione con me, che allo stesso modo devo, per giustizia, attribuire alla tua immensa incontenibile liberalità. Come se il numero dei giusti non fosse sufficiente per accogliere l’abbondanza della tua divina misericordia, ti degnasti di chiamare anche la più sprovvista di meriti, affinché il miracolo della tua degnazione meglio rilucesse in che meno era preparato ad accoglierlo.
Il quarto beneficio è che tu abbia voluto trovare in me le tue delizie e questo, come non ha disdegnato di affermare, devo attribuirlo, se posso esprimermi così, alla follia del tuo amore – a meno che la tua onnipotente sapienza trovi la sua delizia nel potersi unire, in qualche inconcepibile modo, a un essere così dissimile da te e sotto ogni riguardo così inetto a tale unione!
Il quinto beneficio è che ti degni consumarmi tutta in te. E questo beneficio, benché indegnissima, umilmente e fermamente spero di riceverlo, secondo la tua fedele verace promessa, dalla dolcissima misericordia del tuo amore. E nella carità che me ne rende certa, lo accolgo fin d’ora con gratitudine, riconoscendolo, non già da alcun merito mio, ma soltanto dalla tua gratuita clemenza e misericordia, o mio sommo, o mio solo, o mio unico, eterno Bene!
Tutti questi tuoi benefici sono effetto di una degnazione così stupenda e sono così sproporzionati alla mia bassezza, che in nessun modo potrei mai bastare a rendertene grazie. Ma anche in questo volesti sovvenire alla mia indigenza inducendo, con le più dolci promesse, altre anime, a farlo per me, affinché dai loro meriti potesse venire completata e supplita la mia pochezza. Ti rendano degne lodi e grazie per questa degnazione tutte le creature del cielo, della terra e degli abissi.
Il tuo amore onnipotente degnò poi confermare tutte queste grazie nel modo seguente: Un giorno ripensavo fra me a questi tuoi benefici, e – misurando dalla mia malvagità la tua paterna misericordia la cui sovrabbondanza mi riempie di gioia – giunsi a tanto di presunzione da rimproverarti di non aver confermato le tue promesse dandomi la tua mano, come è d’uso fra quelli che si promettono qualcosa.
La tua condiscendente dolcezza mi promise di soddisfare questo desiderio dicendo: «Non volgi oche tu abbia motivo di pena, vieni e ricevi la conferma del mio patto». E subito dal fondo del mio nulla, vidi che mi aprivi con entrambe le mani quell’arca della divina fedeltà e della verità infallibile che è il tuo Cuore divino, e invitavi me, che perversa ti chiedevo come i Giudei un segno, ad introdurvi la mia mano destra. Chiudesti allora l’apertura, trattenendovi dentro la mia mano e mi dicesti: «Ecco, ti prometto di mantenere intatti i doni che ti ho conferito, e se accadrà che per qualche tempo ritenga opportuno di sottrartene l’effetto, mi impegno a restituirteli in seguito triplicati in nome dell’onnipotenza, della sapienza e della bontà della Trinità santissima in seno alla quale vivo e regno, Dio vero, nei secoli dei secoli».
Dopo queste parole di soavissima pietà, ritirando la mano la vidi ornata di sette cerchietti d’oro a guisa di anelli, uno per ciascun dito e tre nell’anulare, in fede che i sette predetti privilegi mi venivano confermati secondo il mio desiderio.
E nella tua incontenibile bontà aggiungesti ancora: «Ogni volta che ripensando alla tua miseria ti riconoscerai indegna dei miei doni e ti abbandonerai con fiducia alla mia bontà, tu mi offrirai il tributo che mi devi per tutti i beni che ti ho elargito».
E con quanta sapienza la tua paterna bontà sa provvedere ai suoi figli caduti in un abisso di degenerazione, quando, non potendo essi più offrirti per la perduta innocenza l’omaggio di una perfetta devozione, ti degni di gradire da parte loro almeno il riconoscimento della loro propria indegnità, la cui misura non potrebbe d’altronde rimanere nascosta ad alcuno! O Datore supremo da cui procede ogni bene, e senza cui nulla è valido, nulla è santo, concedimi di sapere, a tua lode e a mia salvezza, riconoscere in ogni tuo dono materiale o spirituale la mia estrema indegnità, ma fa insieme che in ogni cosa io sempre confidi, con fiducia pienissima, nella tua misericordia!
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
21 – Gli effetti della visione di Dio
Riterrei ingiusto, ripensando ai gratuiti benefici della tua amorosa clemenza verso di me indegna creatura, il lasciar cadere in ingrata dimenticanza il favore che, per un’ammirabile degnazione della tua amorosissima pietà, ricevetti durante la Quaresima di un certo anno. Nella seconda domenica, mentre alla Messa che precede la Processione si cantava il responsorio «Vidi Dominum facie ad faciem: Vidi il Signore faccia a faccia», Tu illuminasti la mia anima con un incredibile fulgore di luce divina e in questa luce vidi, quasi applicato al mio volto, un altro volto, quello di cui Bernardo dice: «Non formato, ma formante, non tale da colpire gli occhi del corpo, ma da infondere letizia nel cuore, accetto e gradevole non per lo splendore dell’incarnato ma per l’amore che spira» (S. Bernardo, Sermo XXXI, In Cantica).
Tu solo conosci, o Soavità ineffabile, la dolcezza di cui penetrasti non solo la mia anima, ma il mio cuore e tutte le mie membra in questa visione in cui i tuoi occhi, ma due soli, parevano fissarsi proprio nei miei. Possa io finché vivo rendertene grazie col servizio pi devoto.
Benché la rosa piaccia assai più in primavera quando tutta in fiore olezza rigogliosa, che non in inverno quando avvizzita da un pezzo rammenta soltanto il passato profumo, tuttavia anche allora, col richiamare il piacere altra volta provato, sempre ci arrechi un certo diletto. Desidero perciò, a lode del tuo amore, esprimere con qualche immagine ciò che la mia piccolezza ha provato in questa deliziosa visione. Se chi leggerà queste parole avrà sperimentato un favore simile o anche maggiore sarà eccitato, nel ricordarlo, a renderne grazie. Ed io stessa, rievocandolo più di frequente, forse riuscirò a diradare alquanto la caligine della mia negligenza, rendendone grazie a quel Sole divino che ha riflesso su di me i suoi raggi.
Quando dunque, come ho già detto, applicasti contro il mio indegno volto il tuo volto desideratissimo spirante tanta copia di beatitudine, sentii che dai tuoi occhi si infondeva nei miei una luce ineffabile e soavissima, che pervadendo l’intimo del mio essere, sembrava penetrare tutte le mie membra con un’inesprimibile virtù. Parve dapprima che essa mi privasse del midollo delle ossa, poi che consumasse le mie ossa stesse insieme alla carne e che tutto il mio essere si immedesimasse con questo splendore divino che, cangiando in se stesso con ineffabile giuoco, tutta mi penetrava di una giocondissima serenità.
O che altro posso dire di questa dolcissima visione? Ma la chiamerò visione? Credo infatti che l’eloquenza di tutte le creature si sarebbe invano affaticata a descrivermi, per lo spazio di una vita intera, questo sublime modo di contemplarti se, per tua degnazione, o mio Dio, unica salvezza dell’anima mia, non ne avessi fatto la felice esperienza. Una cosa tuttavia voglio aggiungere. Se accade delle cose divine come delle umane, se cioè la virtù del bacio divino sorpassa ancora, come bene credo, l’efficacia di questa visione, mai, senza il soccorso di Dio, potrebbe rimanere unita al suo corpo un’anima a cui tale dono fosse concesso sia pur per un breve momento. Ma non ignoro che la tua inscrutabile onnipotenza e la tua immensa misericordia ti fanno mirabilmente adattare così le visioni come gli amplessi ed i baci e le altre attenzioni di amore alle circostanze di luogo, tempo e di persona, come io stessa ho potuto sperimentare più volte.
Sì, ti rendo grazie in unione al tuo mutuo amore che regna nella tua adorabile Trinità, di aver spesso degnato concedermi anche il tuo soavissimo bacio. Spesso mentre, seduta in coro, tutta raccolta in te, leggevo le Ore canoniche o l’Ufficio dei Defunti, dieci volte e anche più nel corso di uno stesso Salmo, il tuo soavissimo bacio si posò sulle mie labbra: bacio divino, la cui dolcezza sorpassa quella di tutti gli aromi e del miele. Molte volte pure sentii posarsi su di me il tuo sguardo pieno di amore, e spesso ancora avvertii nella mia anima la fortissima stretta del tuo amplesso. Confesso tuttavia che, per quanto grande sia stata la dolcezza di questi favori, mai sperimentai in alcuno l’effetto profondo che operò in me il sublime sguardo di cui sopra ho parlato. Per questo, come per tutti gli altri favori di cui Tu solo conosci l’efficacia, io ti offro quel gaudio superiore ad ogni senso che in seno alla Divinità le tre Persone si comunicano a vicenda.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
22 – Azione di grazie per un grandissimo segreto dono
E così pure ti sieno rese grazie e anche maggiori, se è possibile, per un certo altissimo dono a Te solo noto. La sua eminente dignità fa sì che io non lo possa esprimere a parole, e non mi permette d’altra parte di passarlo del tutto sotto silenzio. Se l’umana fragilità – mai sia! – dovesse un giorno farmene perdere il ricordo, questo scritto mi permetterebbe almeno di richiamarlo alla memoria onde eccitare la mia gratitudine. Ma la tua benignissima misericordia, o mio Dio, impedisca alla più indegna delle tue creature di giungere a tanta demenza! Mai, neppure per un istante, possa sottrarsi al mio ricordo e alla mia gratitudine il dono che mi concedesti in questa gaudiosa tua visita – dono che la tua incontenibile liberalità mi ha così gratuitamente elargito e permesso di conservare per tanti anni senza alcun mio merito.
Benché sia l’ultima delle tue creature confesso che questo dono supera tutto ciò che è possibile all’uomo ottenere quaggiù.
Prego dunque la dolcezza della tua pietà che, con la stessa degnazione con cui me lo conferisti senza alcun mio merito, ti degni ancora di conservarmelo a gloria tua, e di operare in me per questo dono un’azione così profonda da esserne in eterno lodato da ogni creatura. Quanto più evidente infatti è la mia indegnità, tanto più grande è la gloria di cui rifulge la tua condiscendente misericordia.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
23 – Azione di grazie, e relazione dei divini benefici che era solita leggere devotamente a epoche determinate insieme con le preghiere che la precedono e la seguono
Che la mia anima ti benedica, o Signore Iddio, che lamia anima ti benedica, o mio Creatore, e che dall’intimo dell’essere proclami le liberalissime e gratuite misericordie con cui mi hai prevenuta, o mio dolcissimo Amico. Ne rendo grazie come posso alla tua immensa misericordia, e lodo e glorifico la longanime pazienza che ti fece come dimenticare gli anni della mia infanzia, della mia adolescenza e della mia gioventù. Li trascorsi infatti, fino al mio venticinquesimo anno, in un tale accecamento di mente che sarei stata capace, come ora ben comprendo, di pensare, dire o fare senza alcun rimorso tutto ciò che mi fosse piaciuto e dovunque avessi potuto, se tu non mi avessi prevenuta, sia con un insito orrore del male ed una naturale inclinazione per il bene, sia con la vigilanza esterna degli altri. Mi sarei comportata come una pagana che vive in ambiente pagano, come se non avessi mai capito che la tua giustizia rimunera il bene e punisce il male – e ciò che pur avendo Tu voluto che fin dall’infanzia e cioè dal mio quinto anno di età, abitassi nel santuario benedetto della religione per esservi educata fra i tuoi amici più devoti.
Benché la tua beatitudine, o mio Dio, non possa crescere dé diminuire, e benché Tu non abbia alcun bisogno dei nostri beni, pure in un certo senso la mia vita piena di colpe e di negligenze ha sottratto qualcosa alla tua gloria, dal momento che in ogni istante e senza alcuna interruzione il mio essere come quello di ogni altra creatura, avrebbe dovuto cantar le tue lodi. Tu solo sai ciò che il mio cuore, sul quale hai degnato chinarti per scuoterlo fin nel profondo, ora provi a questo pensiero!
Compresa di questi sentimenti ti offro in riparazione dei miei peccati, o Padre amantissimo, la passione del diletto tuo Figlio a cominciare dal momento in cui deposto nel presepio emise il primo vagito, su su attraverso le privazioni dell’infanzia, e alle sofferenze dell’adolescenza e della giovinezza, fino all’ora in cui, chinato il capo sulla croce, con un gran grido emise lo spirito.
E ti offro pur, o Padre amatissimo, per tutte le mie negligenze l’intera santissima vita del tuo Unigenito, perfetta nei pensieri, nelle parole, nelle azioni dal primo momento in cui, scendendo dall’eccelso suo trono, entrò per il «fiat» della Vergine nella terra del nostro esilio, fino all’ora in cui si presentò al tuo paterno sguardo nella gloria della sua carne vittoriosa.
Ma è giusto che il cuore dei tuoi amici risenta e ripari ogni ingiuria a te fatta. Ti prego perciò per il tuo Unigenito e nella virtù dello Spirito Santo, di voler applicare quest’offerta della vita e della passione del tuo Figliuolo diletto anche alla remissione delle colpe di coloro che, o pregati da me o indotti a farlo per altra via, (sia durante la mia vita, sia dopo la mia morte) vorranno, a tua lode, supplire in qualche misura al mio difetto, anche con un solo sospiro o con qualsivoglia altro benché minimo atto.
Rimanga valido presso di te, te ne supplico, questo mio desiderio fino alla consumazione dei secoli, anche quando per la tua grazia già regnerò con Te nei cieli.
Ti rendo dunque grazie dall’abisso della mia umiltà, e lodo e adoro quella bontà dolcissima per cui Tu, Padre delle misericordie, volesti avere verso di me, che vivevo una vita così insensata, pensieri di pace e non di afflizioni. Ti lodo, perché degnasti esaltarmi con la grandezza e la moltitudine dei tuoi favori, come se, superiore agli altri mortali, avessi condotto fino allora una vita angelica.
Cominciasti durante un certo Avvento, prima di quella festa dell’Epifania in cui ricorreva il mio venticinquesimo compleanno, toccandomi il cuore con un misterioso turbamento per il quale ogni follia giovanile prese a venirmi a noia. Così cominciasti a preparare il mio cuore. Al principio poi del ventiseiesimo anno, un certo lunedì precedente la festa della Purificazione, all’ora del crepuscolo dopo Compieta, Tu, vera luce che splendi nelle tenebre, mettesti termine così alla notte di quel mio turbamento come al giorno della mia leggerezza giovanile oscurato fa tanta tenebra di ignoranza spirituale.
In quell’ora infatti degnasti farmi avvertire chiaramente la tua presenza in modo mirabile e oltre ogni dire soave, e con una riconciliazione piena di bontà mi unisti a Te nella conoscenza e nell’amore. Mi insegnasti a raccogliermi nell’interno della mia anima, fino allora per me inesplorata, e cominciasti a trattar con me in modo mirabile e misterioso, come se ti compiacessi di abitare con l’amico, anzi lo sposo con la sposa.
Continuasti poi per questa tua misericordia a visitarmi in altri momenti e in diversi modi, soprattutto nella vigilia di una certa festa dell’Annunciazione, e poi ancora in un altro giorno prima dell’Ascensione, in cui cominciasti affettuosamente a visitarmi fin dal mattino e compisti lo stupendo dono che ogni creatura dovrà in eterno ammirare. Da quel momento infatti fino ad ora – eccetto una sola volta , in cui non ti sentii per lo spazio di undici giorni – mai, neppure per un istante, ti allontanasti dal mio cuore, ché ogni volta che mi raccolgo nell’intimo dell’anima sempre ti sento presente.
Io non so ridire quanti altri eminenti doni volesti unire a questo della tua salutare presenza in me. Concedimi dunque, o Datore di ogni bene, di offrirti in spirito di umiltà un’ostia di giubilo per tutti i tuoi favori, ma soprattutto per esserti preparata, secondo il tuo e il mio desiderio, una così gioconda abitazione nel mio cuore! Tutto ciò che ho detto o udito, infatti, intorno al Tempio di Salomone o alle sale del banchetto di Assuero non potrebbero essere paragonato al luogo di delizie che con la tua grazia Tu stesso ti sei preparato nell’anima mia, e che mi hai concesso, se pure indegnissima, di condividere con Te, quasi regina col re.
Due di questi favori mi sono cari sopra ogni altro: le stimmate delle tue salutari piaghe che mi imprimesti, quasi preziosi monili, nel cuore, e la profonda e salutare ferita d’amore con cui mi segnasti. Tu mi inondasti con questi Tuoi doni di tanta beatitudine che, anche dovessi vivere mille anni senza nessuna consolazione né interna né esterna il loro ricordo basterebbe a confondermi, illuminarmi, colmarmi di gratitudine.
Volesti ancora introdurmi nella inestimabile intimità della tua amicizia, aprendomi in diversi modi quel sacrario nobilissimo della tua Divinità che è il tuo Cuore divino. Tu mi facesti trovare in esso l’abbondanza di tutte le tue delizie, ora offrendomelo spontaneamente, ora, in segno ancor più manifesto di mutua amicizia, dandomelo in cambio del mio. Mi elargisti così la conoscenza dei tuoi segreti giudizi e l’esperienza delle tue più nascoste delizie e mi inondasti spesso l’anima di tanta dolcezza che, se non conoscessi la tua ineffabile degnazione, sarei stupita di vederti prodigare queste testimonianze di amore anche alla più degna di tutte le creature: la tua stessa Madre che con Te regna nei cieli.
Spesso poi mi inducesti con soave delicatezza alla salutare conoscenza dei miei difetti. Me ne risparmiasti con tanta delicatezza la confusione da sembrare, se fosse lecito esprimersi così, che avresti preferito perderla metà del tuo regno piuttosto che spaventare la mia puerile timidezza. Con abile diversione Ti mi rivelavi quanto ti dispiacessero i difetti di talune persone. Rientrata in me stessa, io mi ritrovavo al riguardo ben più colpevole di loro: eppure nessun segno da parte tua mi aveva fatto neanche lontanamente sospettare che questo mio difetto ti avesse in qualche modo rattristato.
Mi attirasti inoltre a Te con la promessa delle grazie di cui volevi colmarmi e in vita e in morte; e certo, anche se non avessi avuto alcun altro dono, questo solo basterebbe a farmi anelare a Te con la più ardente speranza.
Ma neppure così esauristi l’oceano della tua incontenibile misericordia. Volesti ancora esaudire spesse volte le mie preghiere elargendomi incredibili grazie, sia per i peccatori sia per altre anime, e ancora in altre circostanze; e grazie così grandi che mai ho trovato un amico a cui senza esitazione osassi comunicarle, per l’esperienza che ho fatta della pusillanimità del cuore umano.
A questo cumulo di benefici aggiungesti quello di darmi per Avvocata la santissima Vergine Maria Madre Tua, e di avermi spesso raccomandata al suo affetto come il più fedele degli sposi potrebbe raccomandare alla propria madre la sposa sua diletta.
Hai poi spesso deputato al mio speciale servizio, o Dio pieno di bontà, i più nobili Principi della tua corte, scegliendo, non solo fra gli Angeli e gli Arcangeli, ma anche tra le stesse gerarchie più alte, quelli che, per il particolare ministero loro affidato, la tua misericordia giudicava più atti per incoraggiarmi a renderti, in questo o quell’esercizio di pietà, un ossequio più conveniente.
A volte, per mio maggior bene, mi sottraevi, in parte e per qualche tempo, la tua consolazione sensibile io, con vergogna ingratitudine, subito dimenticavo tutti i tuoi doni come se non avessero avuto alcun valore. Ma quando poi, per tua grazia, me ne pentivo e te li richiedevo, Tu all’istante me li restituivi intatti, come se con diligentissima cura te li avessi affidati per custodirli.
C’è un’altra grazia ancora più meravigliosa: ed è quella che mi concedesti una volta nel santissimo giorno di Natale, e poi ancora nella Domenica «Esto mihi» e in un’altra dopo la Pentecoste, quando mi rapisti ad una così intima unione con Te da ritener più che un miracolo l’aver potuto, dopo, continuare a vivere sulla terra come creatura umana fra le creature umane. Ben più atto però a suscitare stupore e orrore insieme è il fatto che dopo, ahimè, io non mi sia emendata, come avrei dovuto, dei miei difetti!
Ma non per questo la sorgente delle tue misericordie si inaridì, o Signore Gesù che ami come nessuno sa amar, e solo veramente ami, e ami gratuitamente, anche i più indegni!
Dopo un po’ di tempo infatti – vilissima, indegnissima e perciò anche sommamente ingrata qual sono – cominciai a non trovare più gusto in questi doni che cielo e terra dovrebbero magnificare con indicibile tripudio, per la degnazione con cui l’infinitamente grande si è chinato su di una creatura infinitamente piccola. Tu allora, Datore, rinnovatore e Conservatore di ogni bene, per scuotere il mio torpore e rieccitarmi alla gratitudine rivelasti ad alcune persone, che so esserti devote e familiari, i doni che mi avevi elargito. Questi tuoi servi non potevano aver appreso queste cose da altri, poiché io non le avevo rivelate a nessuno; eppure dalle loro labbra io udii le parole che mi avevi detto nel segreto del cuore.
Con queste parole e con altre ancora che spesso mi ricorrono alla memoria, io ti rendo ciò che è tuo, o mio Dio. Io le sento come risuonare, in virtù dello Spirito Santo, sull’organo dolcissimo del tuo Cuore divino, e canto: o mio Signore e mio Dio, Padre adorato, sian lodi e grazie a Te, in cielo, in terra e negli abissi, da parte di tutte le creature che sono, che furono e che saranno!
Ma poiché lo splendore dell’oro riceve maggior rilievo se è messo a confronto coi diversi colori, e specialmente col nero per la maggior dissomiglianza, aggiungerò qui, a contrasto con gli innumerevoli doni che hai fatti divinamente rifulgere in me, quel che veramente mi appartiene in proprio, e cioè la tenebrosità della mia vita sconoscente ed ingrata.
Tu mi elargivi i doni a Te convenienti, secondo la liberalità della tua regale, o meglio divina natura, e io, secondo la mia ingenita rozzezza, non li ricevevo altrimenti che guastando da creatura vilissima ogni tuo dono. La tua regale mansuetudine pareva però ignorarlo e non cessavi per questo di elargirmeli. Ma mentre Tu, che nell’amore del Padre tuo riposi in una celeste dimora, degnavi di cercar ricovero nella mia povera casa, io, ospite tua vilissima, rozza e negligente, trascuravo di occuparmi di Te, e ti trattavo come certo non avrei dovuto trattare per puro senso di umanità, un lebbroso che mi avesse colmata di ingiurie e di oltraggi, e fosse poi stato spinto dalla necessità a chiedermi di ospitarlo sotto il mio tetto.
Tu, che rivesti di splendore le stelle, mi imprimesti nel gaudio dello spirito le stimmate delle tue santissime piaghe, mi rivelasti i tuoi segreti, mi ammettesti alla dolcezza della tua più affettuosa intimità, colmandomi di maggior copia di gaudio spirituale di quella che mai avrei potuto procurarmi nell’ordine sensibile se avessi percorso il mondo dall’Oriente all’Occidente. E io ingrata, facendoti ingiuria, tutto ho disprezzato e, avida di diletti esteriori, ho anteposto alla tua manna celeste gli agli e le cipolle dell’Egitto.
Diffidando, o Dio verace, delle tue promesse, quasi fossi stato un mentitore infedele alla sua parola, ho impedito alla speranza di portare in me il suo frutto. Non solo, ma, mentre Tu benignamente condiscendevi alle mie indegne orazioni, ho spesso indurito il mio cuore alla tua volontà e son giunta (lo dovrei dire piangendo) fino a fingere di non comprenderla per non essere istigata a compiere la voce della coscienza.
Tu mi avevi concesso il patrocinio della gloriosa tua Madre e degli Spiriti beati, e io, miserabile, ho spesso impedito loro di soccorrermi col cercare l’aiuto degli amici terreni, invece di contare soltanto su di Te. La tua benignità, fra tutte queste negligenze, mi conservava infatti i tuoi doni e io, invece di essertene ancora più grata e di guardarmi da ogni trascuratezza, rendendo con malizia diabolica male per bene, sembravo prenderne incitamento a vivere senza cautela.
Ma la colpa mia più grave sta in questo: che dopo l’unione così incredibile con Te che Tu solo conosci, non ho temuto di macchiare di nuovo l’anima mia con quei difetti che Tu mi avevi lasciato solo per darmi occasione, lottando, di vincerli col tuo aiuto e di averne eternamente con Te una maggior gloria nel cielo. E sta ancora in quest’altro: che avendo Tu, per eccitarmi a maggior gratitudine, svelato ai tuoi amici i miei segreti, io, dimenticando il fine che ti proponevi, ne trassi qualche volta una soddisfazione del tutto umana, trascurando di rendertene la dovuta azione di grazie.
E ora,o Signore che hai creato il mio cuore, lascia che, per tutte queste offese e per altre ancora che mi possono tornare in mente, salga a Te il gemito del mio cuore! Accetta la deplorazione che ti offro di tutte queste mie infedeltà – troppe, invero, di fronte alla tua magnanima divina clemenza! Salga a Te questo gemito da parte di tutte le creature del cielo, della terra e degli abissi, e sia da Te accolto con quella nobile compassione ed indulgenza che ci hai fatte conoscere per mezzo del Figliuolo tuo dilettissimo, nello Spirito Santo!
Nella mia impotenza a produrre, o Signore dolcissimo che tanto mi ami: ispira nella tua pietà a coloro il cui cuore devoto e fedele può placarti, di supplire con gemiti, orazioni e buone opere, alla mia insufficienza, e di renderti così la lode che a Te solo è dovuta, o Dio e Signore nostro! Tu vedi il mio cuore, Tu conosci con chiarezza che solo il puro amore della tua lode, di fronte a tanta tua immensa bontà, mi ha indotto a scrivere queste cose, onde molti, leggendole dopo la mia morte, siano tocchi dalla grandezza della tua misericordia. Ma infatti per amore della nostra salute scendesti così in basso come quando volesti permettere che innumerevoli e immensi tuoi doni fossero da una tua creatura tenuti a vile e profanati, come io purtroppo ho fatto.
Ma rendo grazie come posso alla tua misericordiosa clemenza, o mio Signore e mi oDio, mio Creatore e mio Redentore, per avermi resa certa, nell’abisso della tua pietà, che chiunque, sia pur peccatore, vorrà con l’intenzione che ho detto e con la maggior devozione possibile ricordarsi a loda tua di me, sia pregando per i peccatori, sia rendendo grazie per gli eletti o facendo qualsiasi altra opera buona, non uscirà da questo mondo prima che Tu lo abbia ricompensato con una tal grazia speciale da renderti accetta la sua vita e farti trovar diletto a dimorare nel suo cuore.
Per tanto dono ti sia resa quella lode eterna che, procedendo dall’Amore increato, eternamente in Te rifluisce.
S. GERTRUDE LA GRANDE – LE RIVELAZIONI – LIBRO SECONDO
24 – Offerta del presente libro
Ecco, o amantissimo Signore: per amore del tuo amore e ad accrescimento della tua gloria, io ti rendo qui, con quanto ho scritto sia nella prima che nella seconda parte di questo libro (1), il talento di quel commercio familiare con Te che con immensa degnazione hai voluto affidare a questa tua creatura indegna, la più vile tra le vili.
Spero fermamente infatti, osa anzi per tua grazia affermare con certezza, che nessun altro fine mi ha indotto a scrivere o dire tali cose se non quello di consentire alla tua volontà, e il desiderio della tua lode e lo zelo per le anime. Tu mi sei testimone di questo desiderio di lodarti e ringraziarti per l’incontenibile pietà che ti ha indotto a non sottrarti a me, benché indegna; e ancora del mio desiderio che altri, leggendo queste pagine, presi dalla dolcezza del tuo amore, siano attratti a sperimentare nella tua intimità grazie grandi. Chi si dà agli studi comincia dall’alfabeto e arriva talvolta alla filosofia; possano molti allo stesso modo per queste descrizioni e queste immagini esser condotti a gustare quella nascosta manna che non comporta in sé alcun elemento sensibile e di cui solo può avere fame chi già se ne è cibato.
Di questa manna, o Dio onnipotente elargitore di ogni bene, degnati di pascerci sempre lungo il cammino del nostro esilio, fino al giorno in cui, contemplando faccia a faccia la gloria del Signore, siam trasformati nella stessa immagine, di gloria in gloria (2Cor 3,18) per opera del tuo soavissimo Spirito.
Intanto, secondo la tua fedele promessa e l’umile mio intento e desiderio, fa che tutti coloro che con umiltà leggeranno questo scritto condividano con me il gaudio di tanta tua degnazione, compatiscano la mia indegnità e ricevano una grazia di compunzione a loro profitto. E possa salire a Te, dall’aureo incensiere del loro cuore ardente di carità, tale soave profumo che valga a compensare abbondantemente ogni mia negligenza ed ogni mia ingratitudine. Amen.
(1) Prima, cioè, e dopo l’interruzione di cui alla nota del capitolo quinto.
S. GERTRUDE LA GRANDE
RIVELAZIONI
LIBRO TERZO
INDICE DEI CAPITOLI DEL LIBRO TERZO
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S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
1 – La particolare protezione della Madre di Dio
Aveva saputo per rivelazione che, ad accrescimento dei suoi meriti, sarebbe stata provata dall’avversità; e questa parola l’aveva riempita di timore a motivo della sua debolezza. Il Signore però ebbe pietà di lei e le assegnò come dispensatrice di grazia la sua propria Madre,la Regina del cielo, affinché, quando il peso della sofferenza fosse superiore alle sue forze, potesse invocare questa Madre della misericordia sicura di sentirsi sollevata per sua intercessione.
Poco tempo dopo avvenne che si trovasse in grave afflizione perché una persona consacrata a Dio la sollecitava a manifestare le grazie speciali che il Signore le aveva elargito in una precedente festa. Essa stimava la cosa assai difficile per diverse ragioni, e temeva tuttavia, con l’opporsi, di resistere alla volontà di Dio. Ricorse perciò alla Consolatrice degli afflitti,col desiderio di conoscere che cosa le convenisse fare. Ne ebbe questa risposta: «Distribuisci ciò che possiedi: mio Figlio è ricchissimo e ti compenserà di quanto avrai elargito in suo onore». Ma poiché essa si era ingegnata a coprire in mille modi il suo segreto, non trovava ora facile poterlo scoprire, e per questo motivo si prostrò ai piedi del Signore supplicandolo di rivelare il suo beneplacito e di darle la volontà di compierlo. Meritò così di essere illuminata dalla divina bontà con la seguente risposta: «Metti a frutto il mio capitale, affinché quando torno possa esigerlo con gli interessi». Capì allora che i motivi che fino a quel momento aveva ritenuto ragionevoli e ispirati dallo Spirito Santo, erano in realtà motivi umani fondati sull’amor proprio. Così da quel momento non fu più tanto rigida nel serbare i suoi segreti, e ben a ragione, perché, come dice Salomone: «È gloria dei re l’occultare la parola, ma è gloria di Dio l’investigarla»(1).
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Veramente in Proverbi 35,2 è detto: «È gloria di Dio l’occultare la parola, ma è gloria dei re l’investigarla». Ma in Tobia 12,7 si legge: «È bene nascondere il segreto del re, ma torna a lode il rivelare e confessare le opere di Dio».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
2 – Gli anelli delle nozze spirituali
Mentre una volta con una breve preghiera offriva al Signore tutte le sofferenze dell’anima e del corpo da cui era gravata, e tutte le delizie spirituali e il sollievo fisico di cui era priva, le apparve il Signore. Le sue mani erano adorne di due anelli gemmati che simboleggiavano le sue due offerte: la privazione cioè del gaudio, e la pazienza nel soffrire. Gertrude lo capì e cominciò da allora a ripetere spesso detta orazione. Dopo qualche tempo, mentre stava recitandola, sentì che il Signore le toccava l’anello della mano sinistra, simbolo della sofferenza fisica, l’occhio sinistro. Subito provò, dove il Signore l’aveva toccata, un vivo dolore, e quest’occhio anche in seguito non guarì mai del tutto. Poiché l’anello è simbolo delle nozze, essa comprese che l’avversità, sia fisica sia spirituale, (che quell’anello raffigurava è il segno verissimo del’elezione divina e per così dire dello sposalizio dell’anima con Dio. Chi soffre può dunque dire con tutta fiducia: «Il mio Signore Gesù mi ha sposata con il suo anello» (Vedi Ufficio di S. Agnese, Antifona dei Vespri, e Pontificale Romano, Antififona del rito della Congregazione delle vergini). E se all’anima afflitta è insieme concessa la grazia di saper innalzare con riconoscenza il cuore a Dio in un atto di lode e ringraziamento, essa può allora aggiungere con gaudio anche le altre parole: «E come una sposa mi ha ornata di una corona». La riconoscenza a Dio nell’avversità è infatti una magnifica corona di gloria, incomparabilmente più preziosa dell’oro delle gemme.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
3 – Il merito della sofferenza
Le fu anche dimostrato in modo evidente che la mancanza di sollievo quando si soffre procura un accrescimento di gloria: essa non lo aveva ancora compreso.
Un giorno pertanto, in prossimità della festa di Pentecoste, fu assalita da un dolore al fianco così tremendo che le persone che l’assistevano avrebbero potuto aspettarsi di vederla morire in quello stesso giorno, se non avessero saputo che molte altre volte aveva superato simili crisi. Il vero Consolatore e il misericordioso Amico della anime nostre si era assunto il compito di assisterla pietosamente e di lenirle con la sua soave presenza il dolore, ogni qualvolta, per negligenze delle infermiere veniva a trovarsi senza assistenza. Quando invece questa le era prestata con maggior cura, il Signore si sottraeva a lei, e il dolore le aumentava. Essa comprese chiaramente da ciò che, più si è abbandonati dagli uomini, più si diventa oggetto della misericordia di Dio.
Verso sera, mentre tormentata dall’eccesso di questo dolore cercava di impetrare dal Signore qualche sollievo alla sua sofferenza, il Signore scostando le braccia, le mostrò che portava sul petto, come un gioiello, il dolore che essa aveva sopportato durante tutta la giornata. Al vedere la perfezione di questo monile che pareva non avere difetto alcuno, essa prese a sperare con gioia che quel dolore sarebbe presto cessato. Ma il Signore le disse: «Ciò che avrai a soffrire in seguito accrescerà lo splendore di questo gioiello». In realtà esso era bensì ornato di gemme, ma queste non avevano tutto il loro splendore ed apparivano come velate. Venne in seguito colpita da peste, però in forma benigna, cosicché ebbe a soffrire più per la mancanza di qualsiasi conforto che per la gravità del male in se stesso.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
4 – Il disprezzo dei beni temporali
In prossimità della festa di S. Bartolomeo, in seguito a una crisi di tristezza ed insieme di impazienza, fu colta da tanta tenebra spirituale che le pareva di aver quasi smarrito del tutto la gioia della divina presenza. Questo durò fino al sabato seguente, quando, per intercessione della Vergine Madre di Dio, ritrovò la gioia proprio mentre si cantava in suo onore l’Antifona Stella Maris Maria.
La domenica successiva, mentre si rallegrava di godere della dolce presenza di Dio, si ricordò della sua precedente impazienza e di altri suoi difetti e, provandone grande rammarico, prese a supplicare il Signore di volerli correggere con la sua grazia. Lo fece con tanto abbattimento di spirito per la molteplicità e la gravità dei difetti di cui si vedeva come irretita che, disperando di sé, disse al Signore: «O misericordiosissimo Signore, degnati di porre un termine a questi mali a cui io non so mettere né limite né misura: “Liberami Signore e mettimi accanto a te,e allora che si alzi pure contro di me il braccio di qualsivoglia nemico” (Gb 17,3)».
Il Signore, compatendo allora la sua desolazione, le mostrò un giardinetto pieno di svariati fiori, circondato da una siepe di spine e attraversato da un ruscelletto di acqua dolcissima e le disse: «Vorresti anteporre a me il piacere che puoi trovare nella bellezza di questi fiori?». «Oh, Signore, giammai», essa esclamò. Il Signore allora le mostrò un giardinetto fangoso in cui vegetava a malapena qualche po’ d’erba insieme a qualche smorto fiorellino di nessun pregio, e le domandò di nuovo: «Mi preferiresti forse a quest’altro?». Ma essa, allontanandosene quasi indignata, rispose: «Non sia mai che anteponga a Te, solo vero, stabile ed eterno bene, ciò che, lungi dall’avere qualche attrattiva, è anzi spregevole e vile». E il Signore: «Perché temere allora di non possedere la carità, dal momento che i doni coi quali arricchisco l’anima tua potrebbero rassicurare in proposito chiunque? e perché disperarti per i tuoi peccati se la Scrittura dice: La carità copre una moltitudine di peccati? (1Pt 4,8). Tu non mi hai anteposto né una vita dedita ai piaceri carnali, che io ho voluto farti presente sotto l’immagine del giardino fangoso ed incolto, né una vita comoda, facile e tranquilla, in cui potresti godere il favore degli uomini e una reputazione di santità, raffigurata nel giardino fiorito». «Oh, volesse il cielo, essa rispose, che io avessi rinunciato e cercare il mio proprio piacere allontanandomi dal giardinetto fiorito! ma temo di averlo disprezzato con tanta facilità solo grazie alla sua piccolezza». E il Signore: «Infatti l’abbondanza della mia misericordia fa sì che il rimorso della coscienza faccia apparire angusti ai miei eletti tutti i beni di quaggiù, onde indurli più facilmente a non farne alcun caso».
Essa allora, rinunciando risolutamente a ogni piacere terreno, si abbandonò sul cuore del suo Diletto con tale ferma decisione da sembrarle che gli sforzi riuniti di tutte le creature non sarebbero riusciti a staccarla da questo luogo di riposo ove godeva di attingere dal costato del Signore, un liquore vivifico di balsamica soavità.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
5 – Il Signore si china verso chi si umilia
Nella festa dell’Apostolo S. Matteo, il Signore la prevenne con una abbondante benedizione di dolcezza, e alla Messa, durante l’elevazione del Calice, essa offrì questo Calice al Signore in azione di grazie. Ma poi prese a riflettere che a poco avrebbe servito l’oblazione di questo Calice se non avesse offerto insieme se stessa per soffrire insieme con Cristo. E allora,in un impeto di generosità, staccandosi dal petto del Signore in cui prendeva le sue delizie, si stese sul pavimento come corpo morto, dicendo: «Ecco, o Signore, mi offro a sopportare tutto ciò che può ritornare a tua gloria». Il Signore allora, alzandosi prontamente, si chinò fino a terra quasi per raccoglierla a sé e disse: «Ecco qualcosa che veramente è mio». Essa, rianimata dalla sua presenza, si rialzò e rispose: «Sì, o mio Signore, io sono l’opera delle tue mani». E il Signore. «Ancor questo aggiungerò: che senza di te mancherebbe qualcosa alla mia felicità». Piena di stupore a tanta degnazione, essa disse: «Ma perché mai, o Signore, dici così, dal momento che, oltre a deliziarti nella creazione dell’universo, possiedi ancora in terra come in cielo innumerevoli anime nelle quali potresti trovar le tue delizie, anche se io non fossi mai stata creata?». Al che il Signore: «Chi è stato sempre privo di un membro non soffre di questa privazione come colui al quale esso venisse amputato nel vigore della sua virilità. Così, dal momento che ho messo in te il mio amore, non potrei tollerare che tu fossi separata da me».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
6 – La cooperazione dell’anima con Dio
Nel giorno di S. Maurizio, quando giunse nella Messa il momento in cui vengono pronunciate sottovoce le parole della Consacrazione, essa disse al Signore: «Il mistero che Tu compi in questo momento, o Signore, è così inestimabile e degno di tanta reverenza, che nella mia pochezza non oso neppure alzare gli occhi per contemplarlo. Me ne starò dunque sprofondata nella valle dell’umiltà, e li aspetterò la mia parte di questo Sacrificio dal quale viene la salvezza di tutti gli eletti». Al che il Signore: «Quando una mamma, abile nel ricamo, vuol fare un lavoro in seta e perle, fa qualche volta sedere il suo piccino accanto a sé su un seggiolino più alto affinché le porga il filo o le perle, o le presti qualche piccolo aiuto del genere. Così anch’io ho voluto assegnarti in certo modo un posto più alto nell’assistenza a questa Messa. Se tu infatti acconsentirai a sopportare di buon grado qualsivoglia fatica o pena affinché questo sacrificio porti il suo pieno frutto in tutti i cristiani così vivi come defunti, tu mi avrai, nonostante, la tua pochezza, efficacemente aiutato nel compimento della mia opera».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
7 – La compassione del Signore per noi
Il giorno dei SS. Innocenti, sentendosi impedita nella preparazione alla santa Comunione dal tumulto delle distrazioni, invocò l’aiuto divino, e ricevette dalla misericordiosa degnazione del Signore questa risposta: «Se un’anima quando è tentata si rifugia con ferma speranza sotto la mia protezione, ben di lei posso dire: La mia colomba è unica, eletta fra mille: con uno solo dei suoi sguardi mi ha ferito il cuore [cf Ct 5,10; 6,9]. Se non potessi aiutarla il mio cuore ne sarebbe così desolato che tutte le delizie del cielo non lo potrebbero consolare; ma il corpo ho preso nell’Incarnazione, unendolo alla mia Divinità, mi obbliga a farmi l’Avvocato di tutti gli eletti e a compatirli in tutti i loro bisogni». «Come mai, o Signore – essa disse – il tuo corpo immacolato, che non fu mai preda di alcuna infermità, può trarti a compatire le nostre svariate debolezze?». Il Signore rispose: «Chi sa comprendere può persuadersene facilmente perché l’Apostolo ha detto di me: Ha dovuto farsi in tutto simile ai suoi fratelli per divenir misericordioso» (Eb 11,17) – E soggiunse: «Lo sguardo poi col quale la mia diletta mi ferisce il cuore è la sicura fiducia che deve riporre in me, persuasa che io possa, sappia e voglia aiutarla fedelmente in ogni cosa. Questa fiducia fa tale violenza alla mia misericordia che io non posso sottrarmici». Ed essa: «Signore se la fiducia è un bene così grande e se nessuno può possederla se non per tua grazia, come può demeritare colui che non l’abbia?». Al che il Signore: «Tutti possono in qualche modo vincere la loro pusillanimità, se non altro per l’autorità della Sacra Scrittura. Se non sentire nel cuore, possono almeno volermi ripetere con la bocca queste parole di Giobbe: Quand’anche fossi piombato nel più profondo degli inferi, tu mi libererai; e ancora quest’altra: Quand’anche tu mi uccidessi, io spererò in te» (Gb 13,15).
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S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
8 – Le cinque parti della Messa
Un giorno in cui, costretta a letto, non poteva assistere alla S. Messa, disse al Signore tutta turbata: «Ecco, o mio amatissimo Signore, che, per disposizione della tua Provvidenza, oggi non posso assistere al santo Sacrificio. Come posso dunque prepararmi a ricevere il tuo Corpo e il tuo Sangue sacratissimo, dal momento che la mia preparazione abituale consiste nel seguire la S. Messa?».
Il Signore le rispose: «Poiché mi rivolgi questo rimprovero, ascolta e Io ti intratterrò con un canto che ti riempirà di dolcezza e di amore. Considera dunque che sei stata redenta col mio Sangue e che per trentatre anni mi sono affaticato sulla terra a preparare le tue nozze con me, e questo ti serva come preparazione alla prima parte della Messa.
Considera che ti ho fatta partecipe del mio Spirito e come mi sono fisicamente affaticato per trentatre anni a preparare le tue nozze, così ho anticipato in ispirito la gioia di questa mia unione con te, e questa sia la seconda parte della Messa.
Considera poi che sei stata ricolmata di doni dalla mia divinità e riconosci che questa divinità può procurarti, anche in mezzo alle sofferenze fisiche, le più dolci e soavi delizie spirituali, e sia questa la terza parte della tua Messa.
Considera ancora che sei stata santificata dal mio Amore e riconosci che non hai da te stessa nulla per cui tu possa piacermi, ma che tutto ti viene da me, e questo ti serva come quarta parte della Messa.
Considera infine a quale altezza sei stata sublimata per questa tua unione con me e come, ogni potere essendomi dato in cielo e in terra, nulla può impedirmi di farti partecipare alla mia gloria: conviene infatti che la sposa del Re sia chiamata regina e come tale sia onorata.
Compiaciti dunque nel meditare questi favori e non lamentarti di essere stata privata della Messa».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
9 – La dispensazione della grazia divina
Una certa persona aveva appreso per rivelazione divina che, per le preghiere della comunità, il Signore si sarebbe degnato di liberare dalle loro pene una moltitudine di anime, edera pertanto stata ingiunta a tutta la comunità una preghiera speciale. Colei di cui si parla in questo libro, una domenica stava recitando come le altre detta orazione col maggior fervore possibile, quando il Signore le si fece vicino, circondato di gloria, in atto di distribuire come un Re io suoi benefici. Non riuscendo però a distinguere con chiarezza in che cosa precisamente si mostrasse tanto occupato, gli disse: «O Dio misericordiosissimo, l’anno scorso nella festa di Santa Maria Maddalena, Tu rivelasti qualcosa alla tua indegna serva. Mi dicesti infatti che la tua misericordia ti induceva a mettere tutta la tua bontà a disposizione di coloro che, sull’esempio di questa beata peccatrice che tanto ti ha amato, vengono in detto giorno a prostrarsi umilmente ai tuoi piedi. Degnati dunque anche oggi di rivelarmi l’azione che stai compiendo, poiché il mio intelletto non riesce a penetrarla». Al che il Signore: «Sto distribuendo i miei doni». Essa comprese allora che Egli applicava a suffragio delle anime dei defunti, le preghiere della comunità, ma, benché queste anime fossero presenti, essa non riusciva in nessun modo a scorgerle. Il Signore aggiunse: «Non vuoi anche offrirmi i tuoi meriti per accrescere la liberalità dei miei doni?». Soavemente intenerita da queste parole, e ignorando che la comunità stava facendo la stessa offerta per esortazione della persona a cui era stata fatta la predetta promessa, piena di riconoscenza che il Signore le chiedesse qualcosa di speciale, rispose gioiosamente: «O sì, Signore, e non solo ti offro i miei meriti, che non sono niente, ma anche quelli della comunità che considero miei per il vincolo di carità che ad essa mi unisce, e te li offro spontaneamente, con immenso gaudio, in unione alle tue perfezioni infinite». Il Signore mostrò di gradire quest’offerta con molta benignità.
Subito dopo, il Signore quasi sospendendo l’azione in cui era occupato, l’avvolse come in una leggera nube e poi chinandosi su di lei e attirandola dolcemente a Sé, disse: «Occupati soltanto di me e godi della soavità della mia grazia». Allora essa: «Perché, o Signore mio dolcissimo, hai rivelato a questa persona con tanta chiarezza ciò che intendevi fare per le anime dei defunti, e hai privato me di ogni luce al riguardo, mentre pur ti degni misericordiosamente di svelarmi la maggior parte dei tuoi segreti?». Al che il Signore le disse: «Tu spesso ti umilii riconoscendoti indegna dei miei doni e pensando che essi ti siano dati solo come si dà la mercede al mercenario per indurlo a prestare i suoi servizi. Ti sembra infatti che la tua fedeltà dipenda unicamente da questi benefici, e anteponi a te gli altri che mi son fedeli pur senza esser indotti a tale fedeltà da alcun speciale favore. Ebbene, ho voluto in questa occasione assimilarti a loro affinché, applicandoti anche tu a suffragare fedelmente le anime dei defunti senza aver ricevuto alcuna illuminazione al riguardo, tu possa condividere il merito che esalti negli altri».
Mentre ascoltava queste parole fu rapita in estasi: comprendeva che la divina bontà, per una mirabile ed ineffabile degnazione, a volte condiscende alla debolezza dell’uomo riversando su di lui le grazie più grandi, a volte nega dei favori molto più piccoli per custodire queste stesse grazie, tutto facendo in tal modo concorrere al bene dell’anima che lo ama. E quasi tratta fuori di sé dall’ammirazione e dalla riconoscenza per l’infinita bontà di Dio verso di lei, e quasi soprafatta dall’azione divina, si gettò sul petto del Signore dicendo: «O mio Signore, la mia piccolezza non può reggere a tanto peso di grazia». Allora il Signore attenuò la luce di quella intuizione, ed essa, riprese le forze, gli disse: «O Dio pieno di bontà, dal momento che l’incomprensibile sapienza dei tuoi ordinamenti vuole che io resti priva di questo dono, d’or innanzi non voglio più desiderarlo».
Poi soggiunse: «Signore, vorrei sapere se mi esaudisce quando prego per i miei amici». E il Signore le confermò solennemente: «Per la mia virtù divina, sii certa che ti esaudisco». Ed essa: «Allora ti prego per quella persona che mi è stata spesso raccomandata». Subito vide uscire dal petto del Signore come un rivoletto d’acqua di una purezza cristallina che si riversava nell’anima della persona per cui pregava. Essa disse allora: «Signore, questa persona non sente l’effusione di questa grazia: a che cosa dunque le gioverà». E il Signore: «Quando il medico propina a una ammalato qualche pozione medicinale, gli astanti non vedono l’infermo risanato non appena abbia bevuto la pozione, e neppure l’infermo si sente subito guarito; e tuttavia il medico, che consoce la virtù della sua medicina, è sicuro che essa gli gioverà».
«Ma perché, Signore – essa disse – non le togli le sue cattive abitudini e quegli altri difetti per cui ti ho spesso pregato?». «Di me quando ero bambino – le rispose il Signore – è detto: Cresceva in età, sapienza davanti a Dio e davanti agli uomini (Lc 2,53). Allo stesso modo questa persona, progredendo continuamente, cambierà i suoi vizi in virtù, e Io le perdonerò tutte le sue debolezze, così che, dopo questa vita, possa conseguire i beni preparati per l’uomo, che Io ho stabilito di esaltare al disopra degli Angeli».
Intanto, poiché si avvicinava l’ora in cui doveva ricever la Santa Comunione, supplicò il Signore che si degnasse anticipare l’ora della grazia anche per tanti peccatori, quante erano le anime che quel giorno avrebbe liberato dalle loro pene per le preghiere di quella persona già nominata. Dicendo «peccatori» essa intendeva quelli che dovevano essere salvati, poiché non presumeva di pregare per quelli che erano sulla strada della dannazione. Ma il Signore, rimproverandole la sua pusillanimità, disse: «Forse che la dignità del mio Corpo immacolato e del mio prezioso Sangue realmente presenti nel Sacramento non possono meritare la grazia di un ritorno a una vita migliore anche a coloro che sono in via di dannazione?». Piena di ammirazione per la larghezza di misericordia racchiusa in queste parole, essa esclamò: «Dal momento che la tua inestimabile pietà si degna di condiscendere a tal punto alla mia preghiera, ti supplico, unendomi all’amore e al desiderio di tutte le tue creature, di voler richiamare alla tua grazia, in qualunque luogo si trovino, tanti peccatori quante sono le anime del purgatorio che libererai dalle loro pene. Non designo con questa preghiera alcuno dei miei amici, parenti od affini, ma i peccatori che ti sono più cari». Il Signore accolse benignamente la sua preghiera e l’assicurò che l’avrebbe esaudita.
Essa disse allora: «Signore, vorrei sapere che cosa ti piacerebbe che io aggiungessi a questa preghiera che ti ho rivolta». Non ricevendo alcuna risposta, disse: «Penso, Signore che non merito di ricevere risposta per la mia infedeltà: Tu che tutto conosci forse prevedi che sarei tanto negligente da non compiere poi ciò che Tu volessi ingiungermi». Allora il Signore le rispose con volto sereno: «La sola fiducia basta per ottenere facilmente tutto: ma se la tua devozione vuole aggiungere qualcosa, recita 365 volte il Salmo Laudate Dominum omnes gentes (1), per le lodi che essi hanno trascurato di rendermi».
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Salmo 117 (116)
[1]Alleluia.
Lodate il Signore, popoli tutti,
voi tutte, nazioni, dategli gloria;
[2]perché forte è il suo amore per noi
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e la fedeltà del Signore dura in eterno.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
10 – Le tre oblazioni
Nella festa di S. Mattia, per molte ragioni aveva risoluto di astenersi dalla Santa Comunione. Durante la prima Messa, mentre la sua anima era tutta raccolta in Dio, il Signore le testimoniò tutto l’affetto che l’amico più affettuoso può testimoniare all’amico. Ma essa non se ne accontentava, perché, avvezza a ricevere favori più insigni e per vie più alte, avrebbe desiderato di perdersi nel suo Diletto che è chiamato Fuoco Divorante, e, liquefatta dall’ardore della sua carità, diventare una sola cosa con Lui.
Questo non le fu però concesso per quella volta, ed essa vi rinunciò a gloria di Dio e ritornò al suo consueto modo di orazione. Prese cioè ad esaltare anzitutto l’immensa degnazione della sempre adorabile Trinità per tutte le grazie che dall’abisso della sua misericordia si sono riversate nel corso del tempo su tutti i Beati; poi per tutte le grazie concesse all’augusta Madre di Dio; e infine per tutte quelle infuse nell’Umanità santissima di Gesù Cristo. E supplicava tutti i Santi insieme, e ciascuno in particolare, di offrire alla fulgida e sempre tranquilla Trinità, in riparazione delle sue negligenze, tutto l’amore e tutta la perfezione con la quale, nel giorno della loro morte, si erano presentati al Dio della gloria per ricevere la loro ricompensa. Recitò tre volte con questa intenzione il Laudate Dominum omnes gentes; la prima in onore di tutti i Santi, la seconda in onore della beata Vergine Maria e la terza a gloria del Figlio di Dio. Ma il Signore le disse: «E come vorrai tu ricompensare i miei Santi che si apprestano a pregare per te, dal momento che tu oggi intendi omettere quell’oblazione che eri solita offrirmi per rendermi grazie in loro onore?». Essa non seppe che cosa rispondere.
Quando la Messa giunse alla consacrazione dell’Ostia, fu presa da grande desiderio di trovare un’offerta degna di esser con quella presentata a Dio Padre in eterna lode. E ricevette questa risposta dal Signore: «Se tu ti preparassi oggi a ricevere il Sacramento del mio Corpo e del mio Sangue vivifico certamente potresti conseguire le tre cose che hai desiderato durante la messa: cioè di godere la dolcezza della mia amicizia, di sentire la tua anima liquefarsi nella fornace della mia divinità e di poterti unire a me come l’argento si unisce all’oro nel crogiolo. Allora possederesti un preziosissimo tesoro da presentare come degnissima offerta a Dio Padre a eterna sua lode, ed i Santi per essa vedrebbero crescere la loro ricompensa».
Persuasa da queste parole essa si infiammò di tanto desiderio, che non avrebbe trovato difficile slanciarsi verso questo salutare Sacramento anche attraverso a una selva di spade.
Dopo aver ricevuto il Corpo del Signore, mentre faceva devotamente il suo ringraziamento, il Signore stesso, il vero amico nostro, le parlò così: «Tu volevi oggi confonderti con la folla e servirmi fabbricando con paglia e fango dei mattoni(1), ma io ho voluto che tu avessi parte fra quelli che si saziano delle delizie della mia mensa regale».
In questo stesso giorno un’altra persona si era astenuta senza ragione dalla S. Comunione. Essa perciò disse al Signore: «Perché, o io misericordiosissimo, hai permesso che essa fosse in tal modo tentata?». «È forse colpa mia se essa ha voluto così a lungo coprirsi gli occhi con il velo della sua indegnità, da non poter più scorgere la tenerezza del mio paterno affetto per lei?»
(1) Volevi cioè prestarmi il servizio di uno schiavo – con allusione ai mattoni che il popolo di Israele era costretto a fabbricare con paglia e fango quando era schiavo in Egitto.
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11 – Una certa indulgenza
Una volta, avendo sentito dire che secondo l’uso si predicava un’indulgenza di parecchi anni per attirare le offerte dei fedeli, disse devotamente al Signore: «Signore, se possedessi molte ricchezze offrirei volentierissimo una grande quantità di oro e di argento per poter così meritare di essere assolta, per questa indulgenza, dai miei peccati, a lode e gloria del tuo nome». Il Signore le rispose: «E allora, per la mia autorità divina Io ti concedo piena remissione di tutti i tuoi peccati e negligenze». Subito essa vide la sua anima splendere più bianca della neve senza la minima macchia.
Dopo alcuni giorni, raccoltasi in se stessa, vide che la sua anima era sempre candida allo stesso modo. Cominciò allora a temere di essersi ingannata a riguardo della visione. Pensava infatti che, se fosse stata vera, il candore dell’anima apparirebbe ora almeno un po’ offuscato per le continue negligenze e leggerezze in cui era incorsa per umana fragilità. Ma il Signore la consolò con queste parole: «Io mi son riservato un potere ben più grande di quello che ho conferito alle mie creature. Se dunque ho dato al sole tanta virtù da far sparire in pochi momenti, per l’azione dei suoi raggi, una macchia su di un panno bianco, tanto da farlo diventare in quel punto più candido di prima, quanto più l’anima su cui io, il Creatore del sole, avrò diretto i raggi della mia misericordia, si conserverà pura da ogni ombra di peccato e di negligenza, per la virtù purificatrice del mio eccessivo amore?».
Un’altra volta, alla vista della sua indegnità e pusillanimità, si sentì così scoraggiata da non riuscire in alcun modo a celebrare le lodi del Signore e neppure ad aspirare, come era solita, alle gioie della contemplazione. E tuttavia, per gratuita misericordia del Signore che la fece partecipe dei meriti della sua santissima vita, si sentì ad un tratto tutta rianimata. Secondo quanto aveva desiderato, le parve come di uscire da se stessa e di trovarsi alla presenza del Re dei re rivestita della bellezza di Ester quando comparve davanti ad Assuero (cf Est 5). Il Signore allora, nella sua bontà, si degnò di rivolgerle queste parole: «Che cosa comandi o Signora e Regina?». Ed essa: «Chiedo, o Signore e desidero con tutto il cuore che si compia in me la tua volontà santissima secondo la pienezza del tuo beneplacito». Allora il Signore, nominando singolarmente tutte le persone che si erano raccomandate alle sue preghiere, disse: «E che cosa chiedi per questa, e quest’altra, e quest’altra ancora che si sono oggi raccomandate in modo particolare alla tua intercessione?». «Null’altro mi piace, Signore, per esse, se non il compimento della tua santissima volontà». E di nuovo il Signore: «»E per te? che cosa vuoi che faccia?
. «Desidero come suprema delizia, che così in me come in ogni altra creatura, si compia la tua pacificante e amabile volontà; e per il suo compimento sarei prontissima ad esporre a qualsivoglia tortura ciascun membro del mio corpo». La benignissima misericordia di Dio, che l’aveva prevenuta con la sua aspirazione, volle a queste parole premiarla con la sua ricompensa e rispose: «Dal momento che con tanto devoto affetto hai desiderato il compimento della mai volontà, voglio benignamente ricompensarti col dono di riuscire d’or innanzi accetta ai miei occhi come se mai tu avessi, neppur nella minima cosa, trasgredito il mio volere».
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12 – La trasformazione che si compie per opera della grazia
Mentre si cantava l’Antifona Sul mio letto, lungo la notte cercai l’amato del mio cuore (Ct 3,1) nella quale per ben quattro volte vengono ripetute le parole: «L’Amato del mio cuore», essa comprese che l’anima fedele può cercare Dio in quattro modi. Dalle parole: «Sul mio letto, lungo la notte cercai l’amato del mio cuore», essa capì che il primo modo col quale si cerca Dio è quello di lodarlo nel riposo della contemplazione. Le seguenti: «Mi alzerò e farò il giro della città, per le strade e per le piazze voglio cercare l’Amato del mio cuore», le fecero comprendere che il secondo modo di cercarlo è quello di rendergli grazie riandando con la mente ai diversi benefici che Dio prodiga alle sue creature. E poiché è impossibile che la nostra lode sia ad essi adeguata, perciò si aggiunge: «Lo cercai ma non lo trovai». Con la terza parola: «Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda», comprese che gli ammonimenti della giustizia e della misericordia di Dio fanno rientrare l’anima in se stessa. Questa allora, mettendo a confronto i benefici di Dio con la propria indegnità, prende a rammaricarsi dei suoi peccati e a farne penitenza, e invoca la misericordia di Dio dicendo: «Avete forse visto l’Amato del mio cuore?». E non trovando appoggio nei suoi propri meriti, con umile fiducia si volge alla divina misericordia e trova così l’Amato dell’anima sua, sia nella devozione della preghiera, sia nelle ispirazioni della grazia.
Finita questa Antifona durante la quale la misericordia divina le aveva fatto gustare le consolazioni di cui abbiamo parlato ed altre ancora che sarebbe impossibile descrivere, il suo cuore e le sue membra furono scossi da una forza così potente che le parve di venir meno. Disse allora al Signore: «Ora mi pare di poter dire in verità: Ecco, o mio Diletto, non solo l’intimo del mio essere, ma tutte le mie membra hanno sussultato al tuo approssimarsi». E il Signore: «Io conosco perfettamente la virtù che da me esce ed in me rifluisce. Ma tu, circondata come sei di carne mortale, non puoi ancora comprendere in qual modo la dolcezza della mia grazia divina abbia potuto riversarsi su di te». E aggiunse: «Sappi tuttavia che, per virtù di questa grazia, tu hai ricevuto una gloria simile a quella di cui il mio corpo è stato rivestito sul monte Tabor davanti ai miei tre discepoli. Nella dolcezza del mio amore posso dunque ben dire anch’io di te: «Questo è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 17,5). È infatti proprio della mia grazia il far sempre risplendere per via mirabile, così nell’anima come nel corpo, un fulgido raggio di gloria.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
13 – La riparazione
Un giorno mentre si riponevano i paramenti sacri, cadde a terra un’ostia, che non si sapeva se fosse o no consacrata. Costei, avendone interrogato il Signore, apprese che non era stata consacrata e si rallegrò molto, come era giusto, che nessuna negligenza era stata commessa. Ma poiché ardeva di zelo per tutto ciò che poteva tornare a maggior gloria di Dio, disse: «La tuaimmensa misericordia, Signore, ha impedito questa irriverenza verso il Sacramento dell’altare. Non voglio tuttavia ri8velare che quest’ostia non era consacrata, perché non voglio defraudarti, o mio Dio e Signore, di un omaggio di riparazione considerando, ahimé, gli oltraggi che tanto spesso ti sono inflitti non soltanto dai pagani e dai giudei, ma anche dai tuoi amici più intimi, dai fedeli cche sono stati redenti dal tuo preziosissimo Sangue e qualche volta, lo dico piangendo anche dagli stesssi sacerdoti e dai religiosi».
E aggiunse: «Fammi capire, o mio Signore e mi oDio, quale riparazione ti sarebbe più gradita per tute queste offese, perché la compirei con tutta l’anima, a tua lode e gloria, anche se vi dovessi consumare tutte le mie forze». Comprese allora che il Signore avrebbe gradito l’offerta se, in unione all’amore per cui Egli si fece uomo, si recitassero in onore della sue sacratissime membra duecentoventicinque Pater noster e si compissero altrettante opere di carità verso il prossimo per riverenza della sua parola: «Ciò che avete fato al più piccolo dei miei, lo avrete fatto a me» (Mt 25,40). E ancora se si offrissero per amor suo altrettanti atti di rinuncia a vane e inutili soddisfazioni.
O come grande e ineffabile è la pietà e la misericordia del Signore! Nel suo amore per noi Egli gradisce e anzi ricompensa simili offerte quando il rifiutargliele, ben giustamente, ci attirerebbe un castigo proporzionato alla colpa.
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14 – Due mezzi di purificazione
Il Signore, che sempre vuole il bene dei suoi eletti, suole talvolta permettere che riesca loro difficile anche il compimento di una cosa da nulla, perché si accresca così, e di molto, il cumulo dei loro meriti.
Così accadde un giorno all’anima di cui parliamo, riguardo alla confessione che le pareva di non poter riuscire a fare quella senza uno speciale aiuto di Dio. Si raccomandò perciò al Signore nella preghiera con tutta la devozione possibile, e ricevette da Lui questa risposta: «Vuoi affidare a me con piena fiducia questa tua confessione e non preoccuparti più del modo come farla?». «Oh, Signore amatissimo, io confido pienamente nell’onnipotenza della tua bontà; ma mi pare sconveniente, dopo averti offeso coi miei peccati, il non ripensarvi nell’amarezza dell’anima, per offriti così una qualche prova di resipiscenza». Il Signore gradì questa risposta ed essa si immerse allora nella considerazione dei suoi peccati. Tutto ad un tratto le sembrò di vedere la sua pelle tutta graffiata, come se si fosse avvolta tra le spine; e poiché essa scopriva la sua miseria al Padre della misericordia, quasi a espertissimo e fidato medico, per essere guarita, Egli chinandosi con bontà verso di lei, le disse: «Col mio divino soffio Io riscalderò per te il lavacro della confessione e quando ti sarai in esso ben lavata, la tua anima si presenterà a me senza macchia alcuna». Essa allora facendo come l’atto di svestirsi per esser immersa in quest’acqua purificatrice, disse al Signore: «O mio Signore, io sono così desiderosa di deporre per amo della tua gloria ogni rispetto umano che sarei pronta a manifestare le mie miserie al mondo intero». Allora il Signore sostituì con la propria la di lei veste, e poi degnò tenerla accanto al suo Cuore finché giunse l’ora di questo spirituale lavacro.
Quando però questo momento fu prossimo essa si trovò assalita da molesti pensieri e perciò disse al Signore: «Poiché il tuo piissimo e misericordiosissimo cuore di Padre sa quanto mi sia grave il far questa confessione, perché permetti inoltre che io sia molestata da questo turbamento?». E il Signore: «Quando si prende un bagno si suole cercare di assecondare l’effetto con un massaggio; allo stesso modo la molestia di questa prova servirà a fortificarti».
Essa vide allora alla sinistra del Signore una piscina calda da cui saliva del vapore. Nello stesso tempo il Signore le mostrò alla sua destra un bellissimo e delizioso giardino pieno di svariati fiori, tra i quali spiccavano delle bellissime rose senza spine che coi loro vivi colori ed il loro soave profumo attraevano mirabilmente. Il Signore l’invitò ad entrare in quel bel giardino qualora lo preferisse al lavacro che le riusciva così intollerabile. «Giammai, Signore, essa rispose. Entrerò senz’altro in quest’acqua purificatrice che il tuo divino Spirito mi ha preparato». E il Signore: «Così sia, disse, a tua eterna salvezza».
Essa comprese allora che il giardino predetto significava l’interna dolcezza della grazia che, al soffio soave dell’amore, inonda l’anima fedele con la vivificante rugiada delle lagrime dei devozione. Essa la rende all’istante più bianca della neve e le dà la certezza non solo del perdono dei peccati, ma anche di un sovrabbondante cumulo di meriti. E capì per conseguenza quanto fosse stato gradito al Signore che essa, per amor suo, avesse rinunciato alla via più dolce per scegliere la più aspra.
Quando, dopo la confessione, essa ritornò al suo posto in coro, sentì che il Signore si degnava di starle vicino e comprese che solo per disposizione sua le era riuscito così grave confessare cose che altri, senza alcun senso di confusione, suol ripetere anche in pubblico.
Si deve dunque tenere presente che l’anima si purifica dal peccato soprattutto in due modi. Primo, con l’amarezza della penitenza e di tutto ciò che essa porta con sé, ed è il mezzo raffigurato dal lavacro. Secondo, per il soave ardore del divino amore e di tutto ciò che ad esso consegue, ed è il mezzo raffigurato dal delizioso giardino.
Dopo la confessione essa cercò, come per una reazione riposante, di raccogliersi nella contemplazione delle piaghe del Signore, in attesa di poter fare la penitenza sacramentale. Si affliggeva però che questa fosse tale da doverla differire perché temeva di non poter godere familiarmente della presenza del suo dolcissimo e amantissimo Signore prima di averla compiuta. Perciò durante la Messa, mentre veniva immolata dal sacerdote l’Ostia sacrosanta che cancella ogni colpa e riconcilia l’uomo con Dio, essa l’offrì al Signore in azione di grazie per il beneficio di questo lavacro spirituale e a soddisfazione di tutte le sue colpe. La sua offerta riuscì accetta, ed essa stessa fu accolta nel seno del Padre sorgente di ogni bontà, ove prese coscienza che veramente l’aveva visitata, per le viscere della sua misericordia e della sua verità, Ciolui che è la luce che splende dall’alto, Oriens ex alto.
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15 – L’albero dell’amore
Il giorno dopo, durante la Messa, al momento dell’elevazione dell’Ostia si trovò in uno stato di sopore che le rendeva difficile il raccogliersi. Al suono della campana però si svegliò quasi di soprassalto e vide il Re – il Signore Gesù – che teneva con le due mani una pianta tagliata al livello del suolo. Le foglie, quasi fossero stelle, mettevano fulgentissimi raggi, e i rami erano carichi di splendidi frutti che il Signore, scuotendo la pianta, faceva gustare a tutta la corte celeste. Dopo qualche momento il Signore piantò quest’albero, come in un giardino, in mezzo al cuore della nostra eletta affinché facesse produrre frutti più abbondanti ed essa potesse nello stesso tempo riposare alla sua ombra e ristorare così le sue forze.
Non appena l’ebbe nel cuore, essa per moltiplicarne i frutti cominciò a pregare per una certa persona che poco prima l’aveva contristata, protestandosi pronta a sopportare di nuovo l’acerba pena che aveva provato affinché la grazia di Dio fosse restituita più abbondantemente a colei che l’aveva offesa. Ed ecco apparire subito sulla cima dell’albero un fiore dagli smaglianti colori che – com’essa comprese – si sarebbe cambiato in frutto qualora avesse tradotto in atto il suo buon proponimento. Quell’albero simboleggiava infatti la carità, che non solo produce i frutti delle buone opere, ma si adorna anche dei fiori dei buoni propositi e delle splendenti foglie dei santi desideri. Perciò i cittadini del cielo si rallegrano mirabilmente quando un’anima, presa da compassione, cerca come meglio può venire in soccorso alle necessità del prossimo.
In quello stesso momento dell’elevazione dell’ostia, essa ricevette ancora un mirabile monile d’oro, che venne ad aggiungersi al dono di quella rosea veste di cui il Signore l’aveva rivestita il giorno precedente, quando aveva degnato di tenerla vicina al suo Cuore.
Sempre in quello stesso giorno, durante la recita di Nona, il Signore le apparve sotto l’aspetto di un giovane pieno di grazia e di bellezza. Egli la pregò di cogliergli dall’albero alcune noci, e, nel dir così la sollevò da terra e la sedette su di un ramo. Essa osservò: «O dolcissimo giovane, perché chiedi a me di cogliertele? Io sono debole, così per la virtù come per il sesso: a te piuttosto si converrebbe di offrirmele». «Non è così – egli disse – la sposa che si trova in casa propria, presso i suoi genitori, può agire con maggior libertà di un fidanzato discreto che viene a trovarla. E la sposa che, tenendo conto della di lui delicatezza, lo previene con bontà quando lo riceve, a sua volta sarà poi ricevuta da lui con ogni attenzione di onore». Egli le faceva così comprendere quanto siano riprensibili coloro che dicono: «Se Dio volesse che io facessi questo o quest’altro me ne darebbe certamente la grazia». È giusto invece che l’uomo sacrifichi a Dio la propria volontà: ciò gli varrà in futuro una dolce ricompensa.
Essa dunque si disponeva a porgergli i frutti quando il giovane, salito anche lui sull’albero, si sedette vicino a lei e pregandola di sbucciarglieli perché li potesse mangiare. Voleva farle comprendere che non basta vincere la propria volontà per far del bene in circostanze difficili (per es. al proprio nemico), ma che bisogna anche cercare di farlo con la maggior perfezione possibile. Proprio questo infatti voleva insegnarle il Signore sotto il simbolo delle noci. Detti frutti dalla scorza dura ed amara si trovavano frammisti sull’albero dell’amore ad altri teneri e dolci: è necessario infatti che la carità verso i nemici vada unita alla soavità della’more verso Dio, poiché questo rende l’anima pronta a subire per Cristo anche la morte.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
16 – I vantaggi della tribolazione. La Comunione spirituale
Nell’ultimo giorno in cui la comunità celebrava l’Ufficio divino che, per un interdetto dell’autorità ecclesiastica, doveva venire sospeso [a causa dell’interdetto fulminato, sede vacante, dai Canonici di Halberstadt per una competizione di diritti relativi a beni temporali], mentre si cantava la Messa Salve sancta Parens in onore della Madre di Dio, essa disse al Signore: «E come potrai consolarci, o Dio pieno di bontà, della tribolazione presente?». E il Signore: «io troverò in voi la mia gioia in modo più abbondante. Come lo sposo si compiace della sposa più nel segreto della camera nuziale che in pubblico, così io troverò la mia gioia nel segreto delle vostre lagrime e dei vostri sospiri. E in voi l’amor mio crescerà come il fuoco che, racchiuso, divampa. Avverrà dell’una e dell’altra cosa, e cioè della mia gioia e del vostro amore, come di un corso d’acqua che, trattenuto da argini, da prima si gonfia e poi si riversa con impeto maggiore».
«E quanto durerà – essa chiese – questo intervento?». «Finché durerà – rispose il Signore – dureranno anche le grazie che ti ho dato». «Ai grandi della terra sembrerebbe disdicevole l’ammettere nella loro intimità persone di bassa condizione. Allo stesso modo tu devi certo ritenere sconveniente il rivelare a me, l’infima di tutte le creature, i tuoi divini segreti, e perciò, pur conoscendo perfettamente il principio e la fine di tutte le cose, tu hai voluto con la tua risposta tenermi nell’incertezza». E il Signore: «Non è così: l’ho fatto invece per il tu»o bene: qualche volta ti rivelo o miei segreti nella contemplazione e ti innalzo così al disopra del tuo stato,altre volte te li nascondo per fondarti nell’umiltà. Quando te li rivelo tu ti accorgi di quello che sei per grazia mia; quando te li nascondo, tu riconosci quello che sei per te stessa».
All’Offertorio della Messa, «Recordare Virgo Mater: ricordati, o Vergine Madre», quando si giunse alle parole «Ut loquaris pro nobis bona: di intercedere per noi», mentre essa era tutta intenta alla Madre di ogni grazia, il Signore le disse: «Non è necessario che alcuno interceda per voi, perché io vi sono già pienamente favorevole». Essa però, ricordando parecchie mancanze, così sue come di alcune sue consorelle, stentava a credere che il Signore potesse affermare di essere del tutto placato a loro riguardo. Si sentì allora dire dal Signore con dolcezza: «La mia connaturale bontà mi spinge a considerare di preferenza quello che c’è di meglio in ciascun’anima. la mia divinità gradisce allora questo bene che in essa si trova, lasciando nell’ombra ciò che vi è di meno perfetto». «O liberalissimo Signore – essa disse allora – come mai hai potuto elargire tante grazie di consolazione a me così indegna e così poco preparata a riceverle?». E il Signore: «Il mio amore mi ci ha costretto». «E dove è allora la colpa d’impazienza di cui mi sono macchiata poco fa e che ho anche un po’ manifestata esternamente con parole?». «Il fuoco della mi divinità l’ha consumata, così come distrugge ogni macchia di peccato in qualsivoglia anima verso la quale gratuitamente mi inclini la mia bontà».
Ed essa: «O Dio clementissimo, dal momento che la tua grazia è spesso così propizia alla mia indegnità, desidererei sapere se, dopo morte, la mia anima debba purificarsi di colpe come l’impazienza predetta e altre simili». Il Signore nella sua bontà esitava a rispondere, perciò essa soggiunse: «Oh, Signore, in verità, se il decoro della tua giustizia lo esigesse, io sarei pronta a discendere spontaneamente nell’inferno per darti una più degna soddisfazione! Ma se al contrario il far sì che tutto sia consumato nell’amore può esaltare maggiormente la tua connaturata bontà e misericordia, oh, allora te ne scongiuro, purifica col fuoco del tuo amore ogni macchia della mai anima anche se ne sono sommamente indegna». E il Signore, nell’abbondanza della sua divina misericordia, degnò di accogliere la sua preghiera.
Il giorno dopo, mentre si celebrava la Messa per il popolo [nella Chiesa parrocchiale – nota di Lanspergio] al momento della Comunione disse al Signore: «o Padre clementissimo, non ti muoverai a pietà di noi che, a motivo di quei miserabili beni temporali che devono mantenerci nel tuo santo servizio, siamo prive del bene assai più prezioso del tuo Corpo e del tuo Sangue?». E il Signore: «Perché dovrei compiangere la mia sposa se, volendo introdurla nella festosa e fiorita sala del convito nuziale, la tiro prima in disparte per riparare di mai propria mano qualche piccola negligenza del suo abbigliamento e presentarla così più bella agli occhi di tutti?». Ed essa: «Ah, Signore! ma come possono essere in grazia tua coloro che ti sono causa di tanta sofferenza?». E il Signore: «Non te ne occupare: questo riguarda me».
Al momento dell’elevazione della santa ostia, essa l’offrì a eterna lode di Dio e a salvezza di tutta la comunità. Il Signore accolse in Sé quest’Ostia e, aspirandone la vivifica fragranza, disse: «Ecco, per questa aspirazione Io ristorerò con un cibo divino le anime delle mie spose». Essa allora gli disse: «O Signore, stai forse per comunicare tutta la comunità?». «No, soltanto quelle che ne hanno il desiderio, o desiderino averlo. Alle altre, perché appartengono alla comunità, concederò soltanto di cominciare a desiderarlo efficacemente, così come colui che non appetisce il cibo materiale, a poco a poco, per il grato odore delle vivande, è tuttavia indotto ad assaggiarle con piacere».
Nel giorno dell’Assunta, all’elevazione dell’Ostia, essa sentì queste parole del Signore: «Vengo ad offrirmi a Dio Padre per le membra del mio corpo mistico». Disse perciò: «O mio Signore amantissimo, permetterai dunque che noi, tue membra, venivano separate da te per l’anàtema di cui ci minacciano coloro che vogliono impadronirsi dei nostri beni?». E il Signore: «Vi separi da me colui che potrà strappare dall’intimo del mio essere l’amore che mi tiene unito a voi». E aggiunse: «Un’anàtema scagliato per questa causa non vi nuoce più di quanto un coltello di legno possa scalfire qualcosa di duro; non riuscirà a penetrarvi, ma vi lascerà soltanto una lievissima traccia». «O mio Signore e mi oDio, che se i la Verità infinita – essa disse allora – tu hai voluto rivelarmi, benché ne sia tanto indegna, che ti proponi in questa circostanza di accrescere il nostro amore per te e di prendere perciò con maggiore abbondanza le tue delizie in noi; com’è dunque possibile che alcune si lamentino di sentire che il loro amore per te si è illanguidito?». E il Signore: «Io sono la sorgente di ogni bene, e do a ciascuno ciò che gli conviene nel momento più adatto».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
17 – La condiscendenza del Signore nella distribuzione della grazia
Nella domenica in cui celebrava la festa di S. Lorenzo ed insieme l’anniversario della Dedicazione della Chiesa, alla prima Messa, mentre stava pregando per alcune persone che si erano devotamente raccomandate alle sue orazioni, vide scendere dal trono di Dio fino a terra una vita i cui verdi tralci formavano come una scala.
Comprese che simboleggiava la fede per la quale gli eletti si innalzano alle cose celesti. Essa vide che a sinistra del trono, stavano diverse persone appartenenti alla Comunità e lo stesso Figlio di Dio, il quale si teneva con grande riverenza alla presenza del Padre suo celeste.
Si avvicinava il momento in cui la Comunità avrebbe dovuto accostarsi alla sacra mensa se l’interdetto non l’avesse impedito, ed essa fu presa da un grande desiderio che, per quella divina clemenza a cui nessun potere umano può opporsi, il Sacramento della vita venisse spiritualmente distribuito così a lei come alle altre consorelle presenti. Vide allora che il Signore Gesù immergeva nel seno del Padre un’Ostia che teneva in mano, ritirandola poi tutta rossa e come tinta di sangue. Molto perplessa, stava pensando cosa volesse significare questo fatto, poiché il color rosso simbolo della passione, non poteva convenire a Dio Padre e così, assorta in questo pensiero, non poté rendersi conto se il suo desiderio venisse esaudito.
Solo qualche momento dopo avvertì che il Signore aveva scelto come luogo del suo riposo l’anima della consorella che aveva visto alla sinistra del trono, senza comprendere tuttavia come ciò fosse avvenuto.
Si ricordò intanto di una certa persona che si era umilmente e devotamente raccomandata a lei prima della messa, e si mise a pregare affinché il Signore volesse concederle questo stesso favore. Ricevette questa risposta: «Nessuno può salire la scala della fede che ti ho mostrata dianzi se non sulle ali della fiducia; e la persona per cui preghi ne ha ben poca». «Signore – essa rispose – mi pare che essa non confidi per umiltà, e Tu, di solito, profondi maggiori grazie appunto a che è umile». «Bene, allora discenderò e comunicherò i miei doni a le e ad altre ancora che io vedo stabilite nella virtù dell’umiltà».
Le parve allora che il Signore discendesse come per una scala di porpora. Dopo qualche istante essa lo vide in mezzo all’altare, rivestito dei paramenti pontificali e con in mano una pisside simile a quella in cui si conservano le Ostie consacrate. Durante la Messa, fino al Prefazio, Egli se ne stette così, rivolto verso il sacerdote. Lo attorniava una moltitudine di Angeli adoranti, che tutta la chiesa alla destra del Signore, e cioè verso settentrione, ne appariva gremita. Essi si mostravano particolarmente pieni di gioia per il fatto di aggirarsi in un luogo in cui veniva spesso offerta a Dio la devota orazione dei loro concittadini, intendo dire della Comunità [Gaudeni chori Angelorum, consortes et concives nostri, si canta in un Responsorio della Solennità dell’Assunta]. Alla sinistra invece il Signore, cioè verso mezzogiorno, stava un solo coro di Angeli, poi, distinti da questo, un coro di Apostoli, uno di Martiri, uno di Confessori e uno di Vergini.
Essa stupita li guardava, e, mentre piena di ammirazione rifletteva che secondo la Scrittura la purezza avvicina a Dio (Sap 6,20), si accorse che fra il Signore e il coro delle Vergini splendeva una luce speciale, quasi un candore di neve, che sembrava indicare il particolare vincolo di soavissima dolcezza e di mirabile intima gioia con cui quelle anime gli erano unite. E vide anche che alcuni raggi di meraviglioso splendore colpivano in particolare alcune persone della Comunità, quasi che fra esse e il Signore non ci fosse alcun impedimento, mentre invece parecchi muri le separavano dalla chiesa dove avveniva la visione.
Mirabilmente rallegrata e presa nello stesso tempo da sollecitudine anche per il resto della Comunità, disse al Signore: «Dal momento che la tua infinita misericordia ricolma me, o Signore, di una grazia di così indicibile soavità, che cosa dai a quelle che in questo momento si affaticano nei lavori manuali e sono certamente prive di simili dolcezze?». E il Signore: «Io effondo su di loro il mio balsamo anche se la loro anima si trova come in uno stato di dormiveglia». Essa rimase molto stupita che potessero conseguire gli stessi frutti quelle che si davano agli esercizi spirituali e quelle che non li praticavano, quasi che il balsamo del Signore agisse come il balsamo che rende imprutrescibili le piaghe, il quale produce lo stesso effetto così applicato durante il sonno come durante la veglia. Fu allora illuminata da un paragone più intellegibile: un uomo mangia e si sente ristorato in tutte le membra, benché solo la bocca gusti il sapore dei cibi. Allo stesso modo quando viene elargita ad anime privilegiate qualche grazia speciale, subito per misericordia di Dio essa accresce il merito anche in tutti quelli che sono in comunione con loro e in particolre nei membri della loro stessa Congregazione, eccetto quelli il cui cuore è posseduto dall’invidia e dalla mala volontà.
Nel frattempo, quando si giunse all’intonazione del Gloria in exelsis Deo, il Signore Gesù, Pontefice sommo, mandò verso il cielo, a gloria del Padre, un soffio divino a guisa di un’ardente fiamma. E alle parole: «Et in terra pax hominibus bonæ: pace in terra agli uomini di buona volontà», diresse questo stesso soffio sui presenti sotto forma di un raggio di candida luce. Al «Sursum corda: in alto i nostri cuori», il Figlio di Dio si alzò e attrasse a sé, come in un’aspirazione potente, i desideri di tutti gli astanti; poi si volse verso l’oriente e, circondato da immense schiere di Angeli ministranti, stette con le mani alzate, offrendo a Dio , con le parole del Prefazio, i voti dei fedeli.
All’intonazione del primo Agnus Dei, il Signore si elevò in mezzo all’altare in tutta la sua maestà. Al secondo Agnus Dei effuse nelle anime dei fedeli presenti qualcosa della sua insondabile sapienza. Al terzo Agnus Dei infine, rivolto al cielo, presentò a Dio Padre, come suoi, i voti e i desideri di tutti gli astanti. Poi, nell’abbondanza della sua pietà, diede con le sue labbra divine il bacio di pace a tutti i Santi presenti, onorando con un privilegio speciale il coro delle Vergini che ricevette, dopo il bacio di pace, anche il dolce bacio della carità, sul cuore.
Dopo di che, effondendo anche sulla Comunità il suo dolcissimo divino amore, Egli disse: «Io mi do tutto a voi affinché ciascuno possa trovare in me il suo gaudio».
Allora essa disse al Signore: «Signore, benché or ora tu mi abbia saziata con un’incredibile dolcezza, tuttavia se resti sull’altare mi sembri ancora troppo lontano: concedimi dunque che durante la benedizione di questa stessa Messa la mia anima si senta intimamente unita a te». E il Signore la esaudì in tal modo che essa si sentì divinamente stretta e unita al suo Cuore in un amplesso la cui forza era pari alla dolcezza.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
18 – Un dono in preparazione alla santa Comunione e diverse altre grazie
Un giorno, mentre si cantava l’Antifona «Gaudete et lætare», si disponeva ad avvicinarsi all’altare a ricevere il Sacramento della vita. Quando intonò il canto del Sanctus, Sanctus, Sanctus, essa, prostrandosi con profonda umiltà, pregò il Signore che degnasse Egli stesso prepararla ad accostarsi degnamente al celeste banchetto, a di Lui lode e a vantaggio di tutti i suoi fratelli. Il Figlio di Dio allora, il dolce Amico delle anime nostre, chinandosi verso di lei impresse nella sua anima, durante il canto del secondo Sanctus, un bacio soavissimo. «Ecco, a questo Sanctus che è rivolto alla mia persona, Io ti faccio dono di tutta la mia santità divina ed umana, affinché ti serva di degna preparazione per accostarti a ricevermi».
Il giorno dopo, che era una domenica, mentre rendeva grazie a Dio per questo dono, ecco che il Figlio di Dio, più belo di tutti gli Angeli, la sollevò in alto con le sue proprie braccia, come se trovasse in lei la sua gloria, e la presentò a Dio Padre rivestita di quella perfezione di santità di cui le aveva fatto dono. E Dio Padre si compiacque tanto di lei, attraverso il suo Unigenito, che, nell’effusione del suo amore le applicò anch’Egli la perfezione che gli viene attribuita dal primo dei tre Sanctus, e così fece lo Spirito Santo in riferimento al terzo. In tal modo essa ricevette la pienezza di una benedizione di perfetta santità, così dall’onnipotenza come dalla sapienza e dall’amore di Dio.
Un’altra volta, mentre stava per ricevere la Comunione, vide parecchie consorelle che, o per una ragione o per un’altra, erano impedite di farla, e, piena di riconoscenza e di gioia, disse al Signore: «O Dio di amore, ti ringrazio di avermi messa in condizioni tali che né parenti né alcun’altra causa possono impedirmi di partecipare al tuo letificante convito». Il Signore con la sua consueta dolcezza le rispose: «poiché ti rallegri che nulla ti impedisca di venire a Me, sappi che nulla, né in cielo, né in terra, neppure il rigore dei miei giudizi e della mia giustizia varranno a trattenermi dal colmarti dei miei benefici secondo il beneplacito del mio Cuore».
Un’altra volta, in procinto di accostarsi alla sacra mensa, ardeva dal desiderio di esservi degnamente preparata dal Signore stesso; ed Egli con somma condiscendenza e bontà le disse: «Ecco, Io mi rivesto di te, per poter stendere, senza ferirla, la mia divina mano ai più rozzi peccatori onde far loro del bene; e ti rivesto di Me affinché coloro che tu mi presenti nella preghiera, anzi tutti coloro che ti sono simili per natura, possano divenir degni di ricevere i benefici della mia regale munificenza».
Un’altra volta ancora, disponendosi a partecipare ai divini Misteri, ripensava ai tanti benefici che Dio le aveva elargito e le venne in mente questo passo del libro dei Re: «Chi sono mai io e che cos’è la casa di mio padre?» (2Sam 7,18 = 1Cr 17,16). Essa non riferì queste parole alle persone e alle circostanze a cui nel sacro testo si applicavano, ma le riferì a se stessa. Le parve di essere una povera piccola pianticella che, continuamente irradiata dal benefico calore del Cuore di Dio, ne aveva naturalmente sentito la vivificante influenza. Ma poi, inaridita a poco a poco per colpa delle sue negligenze, si vedeva ormai quasi del tutto disseccata, e fatta simile a un povero steccolino carbonizzato. Si volse perciò a Gesù, Figlio di Dio e Mediatore nostro, e lo pregò di volerla, benché tanto indegna, presentare riconciliata al Padre suo. Il Signore Gesù parve allora attirare a sé la pianticella della sua anima con la forza che emanava dal suo Cuore divino, per innaffiarla con l’acqua che scaturiva dalla sua ferita e vivificarla con la linfa del suo preziosissimo Sangue. Ed ecco che il piccolo carboncino, riavendosi a poco a poco si ricoprì di verde e si trasformò in un albero i cui rami si dividevano in tre parti a modo del giglio. Il Signore allora lo presentò in azione di grazie e di lode all’adorabile Trinità che degnò benignamente chinarsi su di esso. Dio Padre, in virtù della sua onnipotenza, fece apparire sui rami più alti dell’albero tutti i frutti che quest’anima avrebbe potuto portare assecondando nel debito modo l’onnipotente azione della grazia divina. Analogamente il Figlio e lo Spirito Santo fecero apparire sulle altre due parti dei rami i frutti delal sapienza e dell’amore.
Quando poi ebbe ricevuto il Corpo del Signore, le parve che la sua propria anima fosse un albero piantato nella ferita del costato di Cristo. Lo sentì penetrato in modo mirabile da una virtù che proveniva insieme dall’Umanità e dalla Divinità del Signore e che, salendo dalla radice, si spandeva nei rami, nelle foglie e nei frutti. In tal modo la vita stessa del Signore pareva prendere nella sua anima un nuovo splendore, precisamente come l’oro che sembra brillare di più quando è visto attraverso il cristallo. La SS. Trinità e tutti i Santi provavano a questa vista una gioia indicibile: i Santi poi si alzarono in piedi con riverenza e, inchinandosi profondamente, presentarono ciascuno i propri meriti in forma di corone che appesero ai rami di detto albero, a lode e gloria di Colui che degnandosi di effondere la sua luce attraverso la sua creatura li ricolmava di una letizia nuova.
Pregò il Signore di rendere almeno ora partecipi dei beni che la sua bontà le aveva elargito tutti coloro che, in cielo, in terra e nel purgatorio, avrebbero in passato potuto trarre un qualche profitto dal frutto delle sue opere se essa non fosse stata così negligente nel compierle. Ed ecco che tutte le sue opere, raffigurate nei frutti dell’albero, presero a trasudare un prezioso liquore che si effuse parte sui Santi del cielo di cui accrebbe la letizia, parte sulle anime del purgatorio di cui mitigò le pene; e parte sulla terra, dove accrebbe ai giusti le consolazioni della grazia e ai peccatori la salutare amarezza del peccato.
Un giorno, mentre al momento dell’elevazione essa offriva a Dio Padre l’Ostia sacrosanta a degna espiazione di tutti i suoi peccati e a riparazione di tutte le sue negligenze, conobbe che la sua anima, presentata al cospetto della Maestà divina, veniva da essa accolta con lo stesso compiacimento dell’Agnello senza macchia, Cristo Gesù, splendore e immagine del Padre, che in quel momento si offriva in sacrificio sull’altare per la salvezza del mondo, Dio Padre, attraverso l’innocentissima umanità di Gesù Cristo, la vedeva infatti pura e monda da ogni peccato, e per la di Lui Divinità la vedeva arricchita ed ornata di tutte le virtù.
Essa rese grazie al Signore con tutta l’anima per questa mirabile degnazione della divina pietà, e, in quel momento, la sua anima comprese che ogni qual volta uno assiste con devozione alal santa Messa, unendosi al Signore che in quel momento si offre sull’altare per la redenzione del mondo intero. Dio Padre lo guarda con la stessa compiacenza con cui guarda l’Ostia sacrosanta che gli viene offerta. La sua anima all’istante si trova inondata di luce, come all’improvviso si trova illuminato dal sole colui che, uscendo dalle tenebre, si espone ai suoi raggi. Domandò allora al Signore: «Ma, Signore mio, se uno poi cade nel peccato non perde forse questa luce, precisamente come rientra nelle tenebre chi si ritira dal sole?». Il Signore rispose: «No: benché col peccato si offuschi la luce della mia misericordia, tuttavia la mia pietà fa sì che l’uomo conservi sempre un vestigio di questa grazia per la vita eterna e che egli possa accrescerla e moltiplicarla ogni qual volta assiste con devozione ai santi Misteri».
Un altro giorno, dopo aver ricevuto la Comunione, pensava con quanta diligenza ci si debba guardare dai peccati della lingua proprio perché la bocca, fra tutte le membra, ha l’onore di accogliere in sé i preziosi misteri del Cristo. Un paragone allora la illuminò: se uno non si guarda dalle parole inutili, dalle bugie, dal turpiloquio, dalla maldicenza, dalla mormorazione, ecc., e, senza pentirsene, s’accosta alla Comunione, riceve Cristo allo stesso modo di chi dalla porta scagliasse in testa all’ospite le pietre ammassaste a quest’intento sulla soglia, oppure gli assestasse sul capo un colpo di bastone.
Chi legge queste righe consideri con lagrime di compassione quanto poco s’accordi tanta durezza di cuore con tanta bontà, e tanta crudele persecuzione da parte dell’uomo con la mansuetudine di Colui che viene a salvarlo, con sì grande bontà. E lo stesso si pensi di qualsivoglia altro peccato.
Una volta, in procinto di comunicarsi, giudicandosi insufficientemente preparata, disse alla propria anima: «Ecco, lo Sposo ti chiama! Come potrai andargli incontro, se non sei ornata di nessuno dei meriti che dovrebbe prepararti a riceverlo?».
Più rifletteva e più si riconosceva indegna, ma, non avendo d’altra parte alcuna fiducia in se stessa, mise tutta la sua speranza nella misericordia di Dio e disse: «A che pro indugiare? Se anche mi impiegassi mille anni, certo non varrei mai da sola a dispormi a riceverlo convenientemente, che certo non son da tanto. Gli andrò dunque incontro con umiltà e fiducia, e quand’Egli mi vedrà da lontano, il suo amore lo indurrà a mandarmi quanto è necessario perché mi possa presentare a Lui degnamente preparata».
Si avanzò dunque verso la sacra Mensa con questi sentimenti, tenendo fissi gli occhi dell’anima sulla propria miseria e indegnità. Fatti alcuni passi, il Signore le apparve: la guardò con sguardo di compassione e insieme di amore e per prepararla le mandò la propria Innocenza perché le servisse di candida e morbida tunica, e l’Umiltà che lo induce ad unirsi ai più indegni, perché la rivestisse di una veste violacea. Ed ancora: la Speranza che gli fa desiderare l’amplesso delle anime nostre, perché se ne servisse come di una verde guarnizione; l’Amore di cui circonda le anime, perché l’avvolgesse con un mantello d’oro; la Gioia che fa trovare in noi le sue delizie perché le cingesse il capo come una corona gemmata; e infine la fiducia con la quale egli non sdegna il fragile fango della nostra umanità perché le servisse di calzatura. Così preparata si presentò al Signore.
Dopo averlo ricevuto, mentre era tutta raccolta in sé, il signore le si mostrò in figura di un pellicano, che, come spesso lo si suol rappresentare, si apre il cuore col becco. Piena di ammirazione essa disse: «O Signore, che cosa vuoi farmi comprendere con questa figura?». «Voglio che tu consideri quanto smisurato sia l’amore che mi induce a fare agli uomini un sì eccelso dono. Se l’espressione potesse convenire a Me, direi che la morte mi parrebbe meno amara del rifiutare questo dono a un’anima amante, Considera in quale mirabile modo la tua anima riceva da questo dono una grazia che è come un anticipo della vita che non avrà mai fine, così come i piccoli del pellicano ricevono la vita dal sangue che cola dal cuore del padre».
Una lunga predica sulla divina giustizia l’aveva un giorno talmente atterrita che, piena di spavento, non osava più accostarsi al Sacramento divino. Fu misericordiosamente riconfortata da Dio con queste parole: «Se non vuoi più considerare con gli occhi della mente la bontà che ti ho dimostrata in mille modi, guarda almeno con gli occhi del corpo in che angusta pisside Io me ne stia racchiuso per venire a te, e tieni per certo che allo stesso modo il rigore della mia giustizia è come trattenuto dalla dolcezza della misericordia che in questo Sacramento degno mostrare all’uomo con tanta evidenza».
Un’altra volta, mentre si trovava in identiche condizioni di animo, la divina bontà la invitò con queste parole a gustare la dolcezza del divin Sacramento: «Considera come sia piccola l’Ostia nella quale vengo a te con la mia Divinità e la mia Umanità. Paragona le sue proporzioni con quelle del corpo umano e rifletti quanto sia grande la mia degnazione: poiché, come il corpo umano supera per dimensioni il mio corpo – vale a dire le specie del pane che contengono il mio corpo – così la mia misericordia e la mia carità mi inducono a permettere che in questo Sacramento l’anima umana sembri per così dire più potente di me».
Un’altra volta, mentre si distribuiva la santa Comunione, il Signore le provò la sua grande condiscendenza con queste parole: «Osserva il sacerdote che distribuisce le Ostie: vedi, per reverenza a l Sacramento è rivestito di un paramento ampliassimo, ma per distribuire la Comunione lo ripiega sulle braccia [l’ampia forma della pianeta antica richiedeva questa precauzione] e tocca il mio corpo con la mano scoperta. Questo ti facci comprendere che quantunque Io gradisca tutto ciò che si fa a mia gloria, come le preghiere, i digiuni, le veglie e cose simili, tuttavia (anche se ciò riesce incomprensibile a chi ha poca intelligenza delle cose spirituali) Io accolgo con maggior compassione ed amore coloro che, convinti della loro debolezza, cercano rifugio nella mia misericordia. Questo tu lo vedi simboleggiato dalle mani scoperte del sacerdote che mi son più vicine dei suoi ricchi paramenti».
Un’altra volta ancora, sentendo suonare la campana della Comunione, riconoscendosi insufficientemente preparata, disse al Signore quando già era intonato il canto: «Ecco che ti appresti a venire a me! Perché, o Signore, tu che puoi tutto, non mi hai mandato qualche bel monile onde potessi presentarmi a te più convenientemente adorna?». Il Signore rispose: «Lo sposo si compiace d i più della sua sposa che non delle sue collane che la adornano e preferisce prendere le di lei mani nelle sue anziché vedergliele coperte di ricchissimi guanti: allo stesso modo a volte Io mi diletto di più nella virtù dell’umiltà che nella grazia della devozione».
Parecchie persone della Comunità erano state un girono costrette ad astenersi dalla Comunione. Essa invece si era accostata ai santi Misteri e rendendo grazie al Signore diceva: «Tu mi hai invitata al tuo convito, e io son venuta piena di riconoscenza». Il Signore rispose con parole più dolci del miele: «Io desideravo con tutto il cuore che tu venissi». Ed essa: «O Signore, quale gloria può mai trarre la tua divinità dal fatto che io indegnamente spezzi coi denti il tuo sacramento immacolato?». E il Signore: «L’amore con cui si ama l’amico fa trovar nei miei eletti delle dolcezze che da parte loro essi spesso ignorano».
Un’altra volta, durante la distribuzione della Comunione, desiderava dal suo posto di poter vedere l’Ostia , ma ne era impedita dalla folla di quelli che s’accostavano alla sacra Mensa. Sentì allora che il Signore l’invitava dolcemente, dicendo: «Conviene che il dolce mistero dell’unione resti nascosto a coloro che da me si allontanano. Se tu vuoi conoscerlo, vieni e sperimenta col gusto, non colla vista, la dolcezza di questa manna nascosta».
Vide un giorno una delle sue consorelle accostarsi con eccessiva trepidazione al Sacramento della vita, e, indignata, da quel momento si allontanò da lei quasi con sdegno. Il Signore paternamente la redarguì di questo sentimento: «Non capisci che la riverenza e il rispetto mi son dovuti non meno della tenerezza e dell’amore? Siccome però per la fragilità della sua natura l’uomo non può offrirmi queste due cose insieme, è giusto che, essendo voi membra di uno stesso corpo, il difetto dell’uno sia compensato dall’altro. Così chi, per es., più tocco dalla dolcezza dell’amore non mi presta in grado uguale l’ossequio della reverenza, deve essere lieto che il suo difetto sia compensato da chi sente più profondamente il dovere del rispetto, e deve desiderare che questi a sua volta venga confortato dall’unzione della grazia divina».
Un’altra volta vide una consorella in preda a grande timore per una ragione consimile. Pregò per lei e il Signore le rispose: «Vorrei che i miei eletti non mi ritenessero tanto crudele, ma credessero invece che io accetto per buono, anzi per ottimo, un servizio che mi venga da essi reso a loro proprie spese. E mi serve a sue spese chi per esempio, pur non sentendo alcuna devozione, mi presta tuttavia l’ossequio delle sue preghiere, genuflessioni, ecc., confidando che la mia bontà e misericordia degni ugualmente accettarle».
Un giorno pregava il Signore per una persona che si lamentava che la grazia della devozione le fosse elargita con maggior frequenza nei giorni ordinari che nei giorni di Comunione. Il Signore le rispose: «Ciò non avviene a caso, ma per mia divina disposizione: quando in un giorno ordinario all’improvviso Io infondo la grazia della pietà, è perché voglio costringere il cuore dei miei fedeli ad innalzarsi a Me, mentre forse, senza questo aiuto, resterebbe in quel momento nel suo torpore. Quando invece nei giorni di festa e al momento della Comunione Io sottraggo la mia grazia, il cuore dei miei eletti si sforza di concepire dei buoni desideri, o almeno si esercita nell’umiltà. E tale sforzo e tale costrizione riescono più vantaggiosi alla loro salvezza che non alla grazia della devozione».
Pregava un giorno per una persona che si era astenuta, in seguito a leggere colpe, dal ricevere la Comunione per timore di scandalizzare quelli che l’avessero veduta. Il Signore l’istruì con questa similitudine: «Chi scopre una macchia su una mano, subito se la lava e, dopo che l’ha lavata, non solo la macchia non c’è più, ma entrambe le mani sono più pulite. Lo stesso avviene ai miei eletti: Io permetto che cadano in qualche lieve colpa affinché, purificandosene con la penitenza, mi diventino più graditi per la loro umiltà. Alcuni di essi però contrariano talvolta il mio intento perché, facendo poco conto della bellezza interiore dell’anima che si consegue attraverso la penitenza, si preoccupano invece solo della correttezza esterna che si basa sul giudizio degli uomini. Così fanno per es. quando si privano della grazia della santa Comunione per timore di essere biasimati dagli altri che li vedono accostarsi a riceverla apparentemente senza la dovuta riverenza».
Un giorno, appressandosi il momento della Comunione, si sentì interiormente invitare dal Signore con tanta dolcezza da darle l’impressione di trovarsi già negli atri eterni, in procinto di assidersi nel regno della gloria alla mensa del Padre suo celeste. Riconoscendosi sommamente impreparata, confusa dalla sua miseria, cercava con ansia di sottrarsi a questo invito. Il Figlio di Dio allora sembrò trarla in disparte per prepararla Egli stesso. Cominciò, così le parve, col lavarle le mani in segno della remissione di ogni peccato che le concedeva per i dolori della sua passione. Poi, spogliandosi dei suoi monili se ne servì per adornarla, e l’invitò poi ad avanzarsi verso la sacra Mensa con quella compostezza e quel decoro che impongono rispetto, e non come gli stolti che, ignari delle convenienze, col loro incedere goffo non destano che un sorriso di compatimento. Questo paragone le fece comprendere che coloro che camminano come degli stolti rivestiti degli ornamenti del Signore sono quelli che, dopo aver considerato le proprie imperfezioni, supplicano il Figlio di Dio a voler supplire alla loro miseria; ma poi, ricevuto il beneficio, rimangono pavidi come prima, perché non hanno piena fiducia nella perfetta soddisfazione che il Signore ha offerto in loro vece.
Un altro giorno, nell’atto di comunicarsi offrì a Dio il sacrificio del Corpo del Signore in suffragio di tutte le anime del purgatorio, e sentì che le anime dei defunti ne ricevevano un grande sollievo. Piena di ammirazione disse allora: «O benignissimo Signore, benché io sia tanto immeritevole, Tu per tua bontà sempre degni di visitarmi, anzi di rimanere in me con la tua presenza; come si spiega allora che Tu non sempre operi per mio mezzo quanto operi in questo momento in cui ho ricevuto il tuo santissimo Corpo?». E il Signore: «Un Re, quando abita nel suo proprio palazzo, non è facilmente accessibile a tutti; ma quando, attirato dal suo amore per la Regina, scende a visitarla in città, tutti gli abitanti dei dintorni godono più largamente e più facilmente delle liberalità del Re, e si rallegrano delle sue elargizioni. Così, quando, spinto dalla bontà e dalla tenerezza del mio Cuore Io mi abbasso nel Sacramento della vita verso un’anima che non sia in peccato mortale, tutti gli abitanti del cielo, della terra e del purgatorio, ricevono in dono di inestimabili benefici».
Un’altra volta, mentre si preparava alla Comunione, sentì un gran desiderio di inabissarsi e di nascondersi nella valle dell’umiltà per onorare la degnazione del Signore che nutre i suoi eletti col prezioso suo Corpo e col suo Sangue. Ebbe allora l’intelligenza della profondissima umiliazione del Signore quando discese al Limbo per liberare le anime che vi eran prigioniere. Mentre cercava di unirsi a quest’umiliazione , le parve d’un tratto di essere discesa nell’abisso del purgatorio e udì queste parole del Signore: «Quando mi riceverai nel SS. Sacramento ti attirerò a Me in modo tale che tu trascinerai a tua volta tutte le anime a cui giungerà il profumo del santo desiderio di cui saranno impregnate perfino le tue vesti».
Dopo questa promessa, si accostò al Sacramento con l’ardente desiderio che il Signore le concedesse la liberazione di tante anime del purgatorio quante sarebbero state le particelle in cui l’Ostia si sarebbe divisa nella sua bocca. Mentre cercava perciò di dividerla in parecchi frammenti il Signore le disse: «Per farti comprendere come le mie misericordie sorpassano veramente tutte le altre opere mie [“Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” – Sal 145,9] e come nessuno possa esaurire l’abisso della mia pietà, ecco che per i meriti di questo vitale Sacramento mi accingo a concederti molto più di quanto la tua preghiera osi domandare».
Un altro giorno, in procinto di accostarsi alla sacra Mensa, cercava con più impegno del solito di umiliarsi per la sua indegnità e pregava il Signore di voler ricevere Egli stesso l’Ostia sacrosanta in vece sua, di incorporarla a sé, e di concederle poi che per mezzo del uso soffio divino essa ne aspirasse ad ogni ora l’influsso nella misura che Egli avrebbe veduto convenire alla sua debolezza.
Si riposò dopo per qualche momento sul petto del Signore, quasi protetta dalle sue braccia, appoggiata col suo lato sinistro sul lato destro del suo Diletto. Dopo qualche istante s’accorse che la ferita del costato del Signore aveva lasciato sul suo lato sinistro l’impronta di una rosea cicatrice. Recatasi in seguito a far la Comunione le parve che il Signore ricevesse nella sua divina bocca l’Ostia sacrosanta e che questa, dopo aver attraversato il suo petto, uscisse poi dalla piaga del costato e vi rimanesse applicata. Il Signore le disse: «Quest’Ostia ci unirà in modo che uno dei suoi lati coprirà la tua ferita e l’altro la mia. Ogni giorno tu la toccherai meditando l’inno Jesu nostra redemptio: O Gesù redenzione nostra». E per accrescere la di lei devozione si compiacque di ingiungerle di prolungare ogni giorno più questa preghiera, recitandola una volta il primo giorno, due il secondo, tre il terzo, ecc. fino alla Comunione seguente.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
19 – Come pregare e salutare la Madre del Signore
Un giorno, durante l’orazione, domandò al Signore su che cosa avrebbe desiderato che meditasse. Egli rispose: «Tieni vicina la Madre mia che siede accanto a Me, e applicati a onorarla con le tue lodi». Salutò allora devotamente la Regina del Cielo con questo versetto: Paradisus voluptatis ecc.: Paradiso di delizie, congratulandosi che ella fosse stata scelta a giocondissima abitazione dell’inesauribile Sapienza di Dio che prende nel Padre le sue delizie e a cui nulla è nascosto.
La pregò poi di ottenerle un cuore così adorno delle più belle virtù che Dio potesse compiacersi di abitarvi. La beata vergine parve chinarsi come per piantare nel cuore di chi le rivolgeva questa preghiera i fiori di svariate virtù, e cioè la rosa della carità, il giglio della castità, la viola dell’umiltà, il girasole dell’ubbidienza e altri ancora, facendole in tal modo comprendere quanto pronta essa sia ad esaudire le preghiere di coloro che la invocano.
La salutò in seguito col versetto: Gaude morum disciplina: rallegrati o noma dei costumi, per lodarla di aver custodito e governato i suoi sensi, i suoi affetti, le sue volontà e tutti i moti dell’anima sua con tanta diligenza da aver potuto offrire coi suoi pensieri, le sue parole, le sue opere, un perfetto ossequio d’amore al Signore che dimorava in lei. E poiché la pregava di volerle ottenere lo stesso favore, le parve che la Vergine Madre le mandasse i suoi propri affetti sotto forma di delicate fanciulle perché si unissero agli affetti dell’anima che la pregava. La eccitassero a servir meglio il Signore e supplissero alle sue deficienze. Lasciò così intendere anche per questa via quanto grande sia la sua prontezza nell’aiutare che la invoca.
Dopo un momento di silenzio essa disse al Signore: «Poiché, Signore, ti sei fatto uomo e hai voluto essere nostro fratello per supplire alle nostre incapacità, degnati anche in questo momento di supplire alla deficienza delle lodi che ho rivolto alla Madre tua». A queste parole il Figlio di Dio si alzò e inchinandosi davanti alla Madre sua la salutò piegando il capo con tale affettuoso ossequio che essa dovette certamente gradire l’omaggio di una creatura di cui il Figlio suo suppliva così abbondantemente l’imperfezione.
Il giorno dopo, stando di nuovo in orazione, la Vergine Madre le apparve sotto il simbolo di un candido giglio a tre petali, di cui uno era eretto e due piegati in fuori. Essa comprese allora che ben a ragione la beata Madre di Dio è chiamata il «Candido Giglio della Trinità», poiché essa ha partecipato più di ogni altra creatura alla pienezza delle virtù della Trinità santissima, pienezza che non ha mi offuscato con la polvere del più piccolo peccato veniale. Il petalo eretto simboleggiava l’onnipotenza del Padre e i due petali ricurvi la sapienza del Figlio e la bontà dello Spirito Santo che la Madre di Dio ricopiava fedelmente in sé. La santa Vergine le fece comprendere che chiunque la salutasse devotamente chiamandola «Candido Giglio della Trinità, fulgida Rosa di celestial bellezza», la loderebbe per il potere che l’onnipotenza del Padre le ha conferito, per le ingegnose misericordie che la sapienza del Figlio le ispira a salvezza del genere umano, e per la ricchezza immensa di carità di cui lo Spirito Santo l’ha fatta partecipe. E aggiunse: «Al momento della morte io apparirò a quest’anima rivestita di tale bellezza da riempirla di consolazione e di celestiale beatitudine». Da quel giorno essa si propose di salutare la SS. Vergine o anche le sue immagini con queste parole: «Salve o candido Giglio della fulgida e sempre tranquilla Trinità; salve o fulgida Rosa di celestiale bellezza da cui volle nascere e del cui latte volle cibarsi il Re del cielo: pasci di divini influssi anche le anime nostre».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
20 – L’amore particolare che essa aveva per il Signore. Un saluto alla beata Vergine Maria
Essa soleva riferire all’oggetto del suo amore – come fanno del resto tutti coloro che amano – tutto ciò che le piaceva e le riusciva in qualche modo gradito. E pertanto, qualunque cosa sentisse leggere o cantare in lode della beata Vergine o degli altri Santi che eccitasse devotamente il suo affetto, essa sempre lo riferiva più al Re dei Re, suo Signore amato ed eletto fra tutti, che non ai Santi di cui si celebrava la festa o si faceva memoria. Così un giorno, nella festa dell’Annunciazione, accadde che un predicatore si dilungasse sulle lodi della Beata Vergine e che non facesse menzione alcuna dell’Incarnazione del Verbo per cui operò la nostra redenzione. Essa ne fu dispiacente, e di ritorno dalla predica, passando davanti all’altare della gloriosa Vergine, non si sentì commossa, nel salutarla, dalla solita dolcezza e il suo affetto e la sua lode si portarono piuttosto verso Gesù frutto benedetto del suo seno. Temette però di essere in tal modo incorsa nello sdegno di una così potente Regina. Ma il suo benigno consolatore la rassicurò dolcemente: «Non temere, o mia diletta: la mia carissima Madre gradisce assai che salutandola o cantando le sue lodi tu diriga di preferenza a Me la tua attenzione. Tuttavia, poiché la coscienza te lo rimprovera quando passi davanti al suo altare cerca di salutare devotamente l’immagine della mia immacolata Madre e non salutare la mia».
«Non sia mai, Signore, unico bene dell’anima mia, che io abbandoni te, che sei la mia salvezza e la mia vita, per dirigere il mio saluto e il affetto ad altri». Rispose dolcemente il Signore: «Fa come ti dico, o mia diletta, e ogni volta che avrai salutata la Madre mia e non me, Io gradirò il tuo atto e lo ricompenserò come l’atto di un cuore fedele e perfettissimo che non esita a lasciare la somma dolcezza della mia presenza per procurare la mia maggior gloria».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
21 – Il tranquillo riposo del Signore
Il Signore le apparve una volta nella prima Domenica dopo la Festa della Trinità, in un bel giardino pieno di fiori e di verde. Era seduto su di un soglio regale e sembrava riposare nell’ora del meriggio come se, inebriato dalla potenza dell’amore, si fosse dolcemente assopito. Essa si prostrò allora ai suoi piedi baciandoli ripetutamente, e prese a circondarlo di tutte le attestazioni della sua tenerezza. Passarono tuttavia tre giorni senza che avesse la gioia di vedersi corrisposta. Il quarto giorno pertanto, durante la Messa, non sopportando oltre il sonno del suo Diletto, lasciati i piedi del Signore si alzò e nell’impeto della sua tenerezza si gettò sul suo petto per cercar di svegliarlo. Il Signore allora aprendo gli occhi e attirandola a sé la strinse dolcemente al suo cuore, dicendo: «Ecco, ora posseggo ciò che ho desiderato. La volpe che vuol attirare gli uccellini si stende a terra fingendosi morta e quando questi, ingannati, cominciano a posarsi su di lei per beccarla, essa li afferra all’improvviso. Così Io nel mio vivo amore per te mi son servito di un’astuzia simile per impossessarmi di tutta la tua anima nell’atto in cui essa mi avrebbe cercata».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
22 – La sofferenza della malattia può riparare molte negligenze
Una volta, non potendo per infermità seguire la regola in tutto il suo rigore, stava seduta in disparte per ascoltare i Vespri. Piena di desiderio e di tristezza, disse al Signore: «Signore, non ti glorificherei forse meglio se in questo momento mi trovassi in coro con la Comunità e potessi prender parte alla salmodia e agli altri esercizi regolari, piuttosto che starmene qui a sciupare tanto tempo a far niente a causa della mia debolezza?». E il Signore: «La gioia dello sposo quando segretamente si intrattiene con la sposa in dolce e tranquilla intimità è forse minore della compiacenza che prova quand’essa si adorna per comparire in pubblico?». Da queste parole essa comprese che l’anima è come la sposa che si adorna per comparire in pubblico quando pratica le opere buone onde procurare la gloria di Dio; ed è invece come la sposa che si trattiene in tranquilla intimità con lo sposo, quando dalla malattia le viene interdetto l’esercizio delle opere esteriori. Privata della gioia che le viene dall’attività, essa si abbandona allora interamente alla volontà divina, e il Signore tanto più si compiace in lei quanto meno essa trova in sé di che alimentare la propria vanagloria.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
23 – Una triplice benedizione
Un giorno in cui assisteva con la maggior devozione possibile alla S. Messa, giunta al Kyrie eleison le parve che il suo Angelo Custode la prendesse fra le braccia come si prende un bambino, e la offrisse a Dio dicendo: «Benedici, o Dio nostro Signore e Padre, benedici la tua figliuolina». Dio Padre indugiava a rispondere come se ritenesse indegno di sé benedire una così misera creatura, ed essa, piena di confusione, prese a riflettere sulla propria miseria e indegnità. Ma ecco che il Figlio di Dio, alzatosi in piedi, le applicò tutti i meriti della sua santissima vita ed essa all’improvviso si trovò ornata di splendide ricchissime vesti, e si accorse di essere giunta alla pienezza dell’età di Cristo (cf Ef 4,13). Dio Padre allora, abbassandosi verso di lei con misericordiosa bontà, le concesse una triplice benedizione a cui si accompagnò una triplice remissione di tutti i peccati, che in pensieri, parole ed opere aveva commesso contro l’Onnipotenza di Dio.
In azione di grazie essa offrì a Dio Padre tutti i meriti della santissima vita del suo Unigenito. A quest’atto tutte le pietre preziose di cui erano ornate le sue vesti presero a urtarsi a vicenda rendendo un suono dolcissimo che pareva un canto di gloria all’Eterno Padre, ed essa comprese da ciò quanto a Lui gradita sia l’offerta perfettissima dei meriti del Figlio suo.
Il suo Angelo Custode la presentò poi allo stesso modo al Figlio di Dio, dicendo: «Benedici, o Figlio del Re, questa tua sorella». E anche dal Figlio di Dio essa ricevette una triplice benedizione con una triplice remissioni di tutti i peccati che aveva commesso contro la Sapienza di Dio. E infine l’Angelo la presentò allo Spirito Santo, dicendo: «Benedici, o Amico degli uomini, la tua sposa». E anche dal divino Spirito essa ricevette una triplice benedizione in remissione di tutti i peccati commessi contro la divina Bontà.
Ciascuno, volendo, potrà meditare su queste nove benedizioni durante il canto del kyrie eleison.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
24 – L’attenzione durante la salmodia
Un giorno in cui si sforzava di cantare con la più grande devozione l’Ufficio in onore di Dio e del Santo di cui si celebrava la festa, le sembrò che le parole del canto, quasi acutissime frecce scoccate dal suo cuore, si infiggevano profondamente nel Cuore di Cristo procurandogli un diletto di inesprimibile dolcezza.
Dalla punta di ogni freccia emanavano dei raggi luminosi come stelle, che, riflettendosi su ciascuno dei Santi, e in particolare su quello di cui si celebrava la festa, li arricchivano di un nuovo riflesso di gloria. Dall’altra estremità della freccia invece cadeva in abbondanza come una pioggia di goccioline , che procuravano agli uomini un particolare aumento di grazia e alle anime del purgatorio un salutare refrigerio.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
25 – Il Cuore di Dio desidera supplire alle nostre deficienze
Un’altra volta, cercava di concentrare tutta la sua attenzione sulle singole parole e note dell’Ufficio divino; ma vedendo che ad ogni momento cadeva in distrazioni per la debolezza della sua natura, disse fra sé con tristezza: «Che frutto posso cavare da uno sforzo che produce così raramente il suo effetto?». Il Signore, non sopportando il suo abbattimento, le presentò allora con le sue proprie mani il suo Cuore divino in figura di una lampada, dicendo: «ecco, ti presento ilo mio Cuore, organo dolcissimo dell’adorabile Trinità, affinché tu gli possa chiedere con fiducia di supplire ad ogni tua deficienza. Tutte le tue opere saranno allora perfette agli occhi miei. Come infatti un servo fedele si tiene sempre pronto ad eseguire i comandi del suo padrone, così d’ora innanzi il mio Cuore ti sarà sempre vicino per supplire in qualsiasi momento alle tue negligenze».
Questa inaudita condiscendenza la riempì insieme di ammirazione e di timore, sembrandole cosa immensamente disdicevole che il Cuore del suo Signore, degnissimo sacrario della Divinità, fonte di tutti i beni, degnasse di stare vicino a lei come un servo sta presso il suo padrone pronto a a supplire ad ogni sua mancanza. Ma il Signore compatì benignamente la sua pusillanimità e l’incoraggiò con questa similitudine: «Se tu avessi una voce sonora e gradevole e ti piacesse molto cantare, e vicino a te si trovasse una persona dalla voce bassa e stonata al punto che solo con grande sforzo arrivasse a proferire qualche suono, ti sentiresti certamente indignata se essa non consentisse a lasciar cantare a te, che potresti farlo con facilità e grazia, una melodia che essa stenta a balbettare. Allo stesso modo il mio Cuore divino, conoscendo la fragilità e l’instabilità umana, aspetta con sommo desiderio che tu l’inviti con la tua preghiera, o anche solo con un moto di desiderio, a supplire alle tue deficienze, e a fare per te ciò che tu non riesci a compiere. Come da una parte la sua insondabile sapienza e la sua onnipotenza tutto gli rivelano e tutto gli rendono possibile, così d’altra pare la sua connaturale bontà gli fa desiderare con gioioso amore di renderti questo servizio».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
26 – Le abbondanti grazie che il Cuore divino spande nell’anima
Nei giorni che seguirono, meditando con riconoscenza su questo magnifico dono, le venne il desiderio di sapere per quanto tempo il Signore avrebbe degnato di conservarglielo, e glielo domandò. E il Signore: «Fino a tanto che tu desidererai di conservarlo non avrai mai a dolerti che Io te lo tolga». «Ma come avviene, Signore – essa disse allora – che io pur sapendo che il tuo Cuore si trova sospeso come una lampada ardente nel mio cuore indegnissimo, tuttavia poi, quando mi è concesso per tua grazia di avvicinarmi a te, ho la gioia di ritrovarlo nel tuo petto e di attingervi le più grandi delizie?». E il Signore: «Quando tu vuoi afferrare qualcosa stendi la mano, e quando poi l’hai afferrata la ritiri. Allo stesso modo quando vedo che tu sei inclinata verso le cose esteriori, Io ti mando il mio Cuore per attirarti a me; e viceversa, quando vedo che tu seguendo il mio invito ti raccogli nell’intimo per unirti a me, Io di nuovo ritiro in me il mio Cuore per farti trovare in esso il gaudio di ogni perfezione».
Prese allora a meditare con immensa ammirazione e gratitudine su questa gratuita bontà di Dio e, considerando come la molteplicità delle sue imperfezioni e delle sue miserie la rendessero indegna di ogni grazia, si sprofondò con grande disprezzo di sé nella valle, a lei ben nota, dell’umiltà. Vi si tenne per così dire nascosta per qualche tempo, finché il Signore che, pur abitando nell’alto dei cieli, si compiace di elargire abbondantemente la sua grazia agli umili, parve far uscire dal suo proprio Cuore – sospeso in figura di una lampada sulla di lei anima inabissata nella valle dell’umiltà – come una cannuccia d’oro. Attraverso questa cannuccia Egli le infuse le più mirabili grazie. Se essa si umiliava riflettendo sulle sue imperfezioni, subito il Signore, pieno di misericordia, con l’influsso del suo Cuore divino faceva spuntare in lei i fiori delle più belle virtù. Ogni difetto era allora cancellato così che la misericordia del Signore non me trovava più traccia,. Similmente, se bramava qualche dono particolare o qualche grazia tra le più desiderate e accette al suo Cuore, subito con grande gioia e dolcezza se le sentiva infondere nell’anima nella stessa maniera.
Quando già aveva trascorso qualche tempo in queste delizie e, con la grazia di Dio, sembrava ormai perfetta in tutte le virtù (non nelle sue, veramente, ma nelle virtù del Signore), sentì risuonare nel cuore una voce dolcissima, simile alla soave melodia di un’arpa toccata da mano d’artista. Essa diceva: «Veni mea ad me. Intra meum in me. Mane meus mecum». Il Signore degnò di darle l’intelligenza di questo canto: «Veni mea ad me: vieni a me o mia sposa, perché, amandoti come tale, desidero che tu sia sempre con me, e perciò ti chiamo! Così pure: Intra meum in me: tu che sei il mio gaudio entra e dimora nel mio Cuore: lo desidero come il fidanzato desidera il giorno delle nozze che farà entrare la sposa nella sua casa. E ancora: Mane meus mecum: vieni e rimani come oggetto del mio amore in me che sono il Dio dell’amore e che ti ho eletta perché tu mi sia unita con unione indissolubile, simile a quella che esiste fra l’anima e il corpo».
Mentre avveniva questo dolcissimo colloquio si sentì attrarre in modo mirabile e misterioso verso il Signore e si trovò introdotta nella beata intimità del Cuore del suo Sposo e del suo Dio. Ciò che sentì, ciò che vide, ciò che udì, gustò e toccò del Verbo della vita, è noto soltanto a lei sola e a Colui che degnò ammetterla in così sublime unione, Gesù, Sposo delle anime amanti, che è Dio benedetto sopra ogni cosa per tutti i secoli eterni.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
27 – Il seppellimento del Signore nell’anima
Un Venerdì Santo, dopo l’Ufficio divino, mentre si stava commemorando la sepoltura del Signore, lo pregò di volersi seppellire per sempre nell’anima sua. E il Signore, benignamente consentendo, le disse: «Io stesso, che son chiamato Pietra, sarò la pietra che chiude la porta dei tuoi sensi; e vi porrò a custodia dei soldati, vale a dire i miei affetti, che d’ora innanzi custodiranno il tuo cuore da ogni affetto contrario e ti ecciteranno a operare sempre a mia eterna gloria».
Qualche tempo dopo, avendo giudicato severamente, così almeno temeva, il modo di agire di una certa persona, piena di compunzione disse al Signore: «Signore, Tu avevi posto delle guardie a custodia del mio cuore, ma, ahimè, temo che non ci siano più, perché ho giudicato con molta durezza gli atti del mio prossimo!». Il Signore le rispose: «E come puoi dire che non ci siano più, dal momento che con questa compunzione tu avverti la loro presenza? Se tu non mi fossi più unita, non rimpiangeresti con amarezza di aver commesso ciò che mi dispiace».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
28 – Il tempio spirituale del corpo del Signore
Una volta, a Vespro, mentre si cantava: «Vidi aquam egredientem de templo: vidi un’acqua uscire dal tempio», il Signore le disse: «Guarda il mio Cuore: questo è il tuo tempio; poi considera le altri parti del mio corpo e scegliti in ciascuna di esse una dimora in cui condurre la tua vita di religiosa, poiché d’ora innanzi il mio sacro corpo sarà il chiostro in cui devi abitare». Ed essa: «Signore, io né potrei né saprei cercare una dimora più dolce del tuo Cuore che Tu ti degni chiamare il mio tempio, poiché trovo in esso tanta abbondanza di grazia che non potrei cercare di prendere altrove né il mio cibo né il mio riposo, l’uno e l’altro necessario tuttavia al sostentamento della vita religiosa». Le disse allora il Signore: «Se così vuoi, potrai certo trovare entrambe queste cose nel mio Cuore. Hai udito come alcuni, il Beato Domenico fra gli altri, non si allontanavano mai dal tempio prendendo in esso non solo il loro cibo, ma anche il loro riposo (1). Scegli tuttavia nel mio corpo tutti gli altri luoghi che ti occorrono per la vita regolare». A questo comando, scelse dunque come luogo di passeggio i piedi del Signore; come laboratorio le sue mani; come parlatorio la sua bocca; pose la sua sala di studio negli occhi del Signore per leggere e studiare attraverso ad essi, e scelse le orecchie del Signore come confessionale. A proposito di quest’ultimo ilo Signore le insegnò poi ad accostarsi dopo ogni colpa a questo tribunale di penitenza salendovi come per cinque gradini di umiltà, da ricordare con queste cinque parole: Io miserabile, peccatrice, povera, cattiva, indegna, vengo a Te, che sei l’abisso della misericordia, per essere lavata da ogni macchia e purificata da ogni peccato.
(1) «Il Beato Domenico soleva spesso passare l’intera notte nelle chiese: sembra infatti che ben di rado si servisse di un letto per dormire… Quando per l’eccesso della fatica fisica e spirituale lo coglieva la necessità del sonno, chinava il capo e si addormentava per qualche momento sia davanti all’altare sia altrove, appoggiando talvolta la testa su di una pietra, come già il patriarca Giacobbe, e dopo aver riposato un po’ riprendeva la sua veglia», Vita di S. Domenico del Beato Giordano, cap. IV.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
29 – Il saluto del Signore
Essa rifletteva un giorno sull’instabilità, spesso sperimentata, del cuore umano e, volgendosi ad un tratto al Signore, gli disse: «Quanto a me, o mio Diletto, tutto il mio bene consiste nell’attaccarmi soltanto a Te». E il Signore, chinandosi per abbracciarla, rispose: «E a me è sommamente dolce lo star con te, o mia diletta». A queste parole tutti i Santi si alzarono e, inchinandosi con reverenza davanti al trono del Signore, gli offrivano tutti i loro meriti perché degnasse applicarli a quest’anima e renderla in tal modo una più degna dimora di Dio.
Comprese allora quanto è grande la degnazione del Signore verso le anime, e come siano pronti i Santi a cercare la sua gloria dal momento che offrono con gioia i loro meriti per colmare le insufficienze di un’anima. Perciò, mentre piena di santi affetti esclamava: «Io vile creatura, ti saluto, o Signore amatissimo», ricevette dalla sua bontà questa risposta: «E Io ricambio il tuo saluto, o mia amatissima sposa!». Capì allora che ogni qualvolta con vera devozione uno dice al Signore. «Mio Signore diletto, dolcissimo, amatissimo» o altre espressioni del genere, altrettante volte riceve da Lui una risposta simile. tale risposta gli varrà in cielo il privilegio di una grazia speciale analoga a quella conferita in terra a S. Giovanni l’Evangelista che fu chiamato il discepolo che Gesù amava (Gv 21,7).
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
30 – Il merito della buona volontà e dell’offerta del cuore – Altre luci su alcune parole dell’Ufficio divino
Durante la Messa Veni et ostende [Messa del Sabato delle Tempora d’Avvento], il Signore le apparve tutto dolcezza e grazia, spirante dalla sua persona una virtù vivifica e divina, in atto di scendere dal trono della sua gloria come per riversare con più abbondanza sulle anime il torrente delle sue grazie nell’imminenza della festa del suo santo Natale. Essa pregò allora per le persone che le erano state raccomandate, chiedendo per ciascuna di esse un accrescimento di grazia. Le fu risposto: «Io ho dato ad ogni anima una cannuccia d’oro onde possa attingere dalle profondità del mio Cuore divino tutto ciò che desidera».
Capì che questa cannuccia era la volontà buona con la quale l’uomo può appropriarsi tutte le ricchezze del cielo e della terra. Se uno desidera offrire a Dio le lodi, le azioni di grazie, l’obbedienza e la fede di cui alcuni Santi gli han dato l’esempio, subito la divina bontà accetta questa intenzione come se già fosse compiuta. La cannuccia però diventa d’oro solo quando l’uomo ringrazia Dio del prezioso dono della volontà che può acquistare beni infinitamente superiori ad ogni altro bene che possa esser raggiunto dallo sforzo umano.
Vedeva intanto che tutte le sue consorelle raccolte intorno al Signore cercavano, ciascuna secondo la misura delle proprie forze, di attirare a sé con questo mirabile mezzo la grazia divina. Alcune sembravano attingerla direttamente dal Cuore del Signore, altre invece dalle sue mani. Quanto più erano lontane dal Cuore, tanto più incontravano difficoltà nell’ottenere quanto desideravano; quanto più invece si sforzavano di avvicinarsi al Cuore del Signore, tanto più vi attingevano la grazia con facilità, dolcezza ed abbondanza.
Nelle consorelle che attingevano direttamente al Cuore eran raffigurate tutte le anime che si sottomettono alla volontà di Dio e desiderano che essa si compia perfettamente nei loro riguardi, sia nelle cose spirituali sia nelle temporali. Queste anime commuovono così profondamente ed efficacemente il Cuore di Dio che ricevono, a suo tempo, il torrente della grazia divina con tanta maggior abbondanza e soavità quanto più piena è stata la loro adesione alla volontà di Dio. Quelle che attingevano la grazia dalle altre membra del Signore, figuravano le anime che si sforzavano di ottenere da Dio i doni e le virtù seguendo l’attrattiva dei loro desideri personali e della loro volontà propria. Esse ricevono con tanta maggiore difficoltà ciò che desiderano, quanto meno si affidano alla divina Provvidenza.
Un giorno offrì al Signore il suo cuore con queste parole: «Ecco, Signore, di mia spontanea volontà ti offro il mio cuore libero da ogni affetto umano, pregandoti di purificarlo nell’acqua che sgorga dal tuo sacratissimo costato, di arricchirlo coi meriti del prezioso sangue del tuo dolcissimo Cuore, e di unirlo intimamente a te nel soave Spirito del tuo amore divino». Allora il Figlio di Dio le si mostrò in atto di offrire a Dio Padre il cuore della sua diletta unito al suo proprio Cuore divino, sotto forma di un calice che risultava di due parti unite insieme. Non appena lo vide, disse umilmente al Signore: «O Dio pieno di amore, fa che il mio cuore sia sempre vicino a Te come una di quelle anfore che i servi, ad un cenno, porgono ai loro padroni per ristorarli. Possa Tu sempre trovarlo pronto per infondervi ed attingervi in qualunque momento ciò che vorrai e per chiunque vorrai». Il Figlio di Dio accolse benignamente questa preghiera, e disse al Padre suo: «O Padre santo, che le grazie di cui il mio Cuore è la sorgente possano, a tua eterna lode, riversarsi su molte anime attraverso il cuore di questa creatura».
Dopo di allora, ogni volta che ripeteva la sua offerta con le stesse parole, vedeva il suo cuore riempirsi di grazia. Questa grazia poi, alle volte si effondeva in canti di lode e di ringraziamento che accrescevano in cielo il gaudio dei Santi; a volte invece andava a profitto degli uomini, come si vedrà più tardi. È da quel momento che il Signore desiderava che queste cose fossero scritte perché molte anime potessero trarne vantaggio.
Recitando una volta in Avvento il responsorio «Ecce veniet Dominus protector noster, sanctus Israel: ecco verrà il Signore, il nostro protettore, il santo d’Israele» [Ia Domenica di Avvento], capì che se un’anima, abbandonandosi completamente a Dio, desidera con tutto il cuore di essere sempre diretta così nella prospera come nell’avversa fortuna dalla sua santissima volontà, rende a Dio in tal modo tanto onore e gloria quanta ne procura all’Imperatore colui che gli impone sul capo la corona a riconoscimento della sua autorità.
Un’altra volta, alle parole del Profeta Isaia: «Elevare, elevare, consurge Jerusalem: sorgi, sorgi, Gerusalemme!» (Is 51,17) comprese quali benefici provengono alla Chiesa militante dalla santità dei suoi eletti. Quando infatti anche una sola anima piena d’amore si volge al Signore con ardente preghiera e con vivo e sincero desiderio di riparare, potendo, tutte le offese recate al suo onore, Dio ne resta tanto placato che qualche volta, riconciliandosi coi peccati, perdona al mondo intero. Ed è ciò che viene espresso nella parole che seguono: «Usque ad fundum calicis bibisti: hai bevuto il calice fino in fondo», poiché allora la severità delal giustizia si cambia nella dolcezza della misericordia. Ma ciò che ancora segue: Potasti usque ad fæces: hai bevuto fino alla feccia, lascia comprendere che per i dannati cui non spetta che la feccia della giustizia, non è possibile alcuna redenzione.
U’altra parola di Isaia: «Glorificaberis, dum non facis vias tuas: sarai glorificato se non segui le tue inclinazioni» (Is 58,13), le fece intendere ch e chi fa dei progetti e poi, riconoscendone la vanità, rinuncia al piacere di attuarli, consegue un triplice beneficio. Il primo è quello di poter trovare in Dio una gioia più profonda, come è detto: «Delectaberis in Domino: ti rallegrerai nel Signore!» (Sal 97,12). Il secondo è quello di sottrarsi più profondamente all’influsso sei pensieri cattivi, come sta scritto: «Sustollam te super altitudinem terræ: ti innalzerò al disopra di ogni più alta cima della terra». Il terzo è quello di ricevere poi dal Figlio di Dio nell’eterna vita una più piena partecipazione al frutto dei suoi meriti per la nobile e gloriosa vittoria che avrà riportato sulla tentazione. È detto infatti: «Cibabo te hæriditate Jacob patris tui: ti ciberò del retaggi odi Giacobbe tuo padre».
In quest’altro testo di Isaia: «Ecce merces ejus cum eo: egli porta in sé la sua ricompensa» (Is 62,2), comprese che Dio nel suo amore è Egli stesso il premi o dei suoi eletti. Egli si unisce a loro in un’unione così soave che ciascuno di essi potrà affermare in tutta verità di essere stato ricompensato immensamente al disopra di ogni suo merito, come è detto: «Et opus illius coram illo: e il premio dell’opera sua gli sta dinnanzi».
Comprese ancora che quando un’anima si affida tutta alla divina Provvidenza e desidera che la divina Volontà si compia in lei in ogni cosa, essa, per grazia di Dio, appare già perfetta al di Lui sguardo.
Il testo «Sanctificamini filii Israel: santificatevi o figli di Israele» [Responsorio della Vigilia di Natale] le fece comprendere che se un’anima prontamente si pente dei suoi peccati, deplora di non aver fatto tutto il bene che poteva fare, e propone con sincerità di cuore di obbedire d’ora innanzi ai precetti di Dio, subito essa appare santa al suo sguardo come quel lebbroso del Vangelo che il Signore degnò di purificare dalle sue colpe dicendogli: «Volo, mundare: lo voglio, sii mondato»(Mt 8,3).
Quest’altra parola della S. Scrittura: «Cantate Domino canticum novum: cantate al Signore un cantico nuovo» (Is 42,10), le fece comprendere che canta al Signore un nuovo cantico colui che conta con grande devozione. Infatti, per la grazia che Dio gli ha concessa di dirigere verso di Lui la sua attenzione, egli è interamente rinnovato e reso accetto al Signore.
Ancora: attraverso il testo di Isaia: «Spiritus Domini super me: lo Spirito del Signore è sopra di me» (41,1), con quel che segue: «Ut mederer contritos corde: per consolare i cuori spezzati», essa capì che il Figlio di Dio, mandato dal Padre per confortare coloro che son nell’afflizione, suole talvolta provare i suoi eletti con qualche sofferenza, anche lieve ed esteriore, per avere occasione di aiutarli. E lo fa, non togliendo loro la prova che è stata occasione della sua venuta e che è in sé un male (anche se il cuore ne soffre), ma piuttosto portando rimedio a ciò che veramente possa esserci di male in quell’anima.
Il versetto: «In splendoribus Sanctorum: nello splendore dei Santi», le diede l’intuizione dell’immensità e dell’incomprensibilità della luce di Dio. Capì che se ciascuno dei Santi, da Adamo fino all’ultimo uomo, ne avesse una conoscenza personale, chiara, profonda e vasta quanto è possibile ad umana creatura, distinta da quella di ciascuno degli altri Santi – e se per giunta il numero dei Santi fosse mille e mille volte più grande, la profondità della luce di Dio rimarrebbe inesausta e infinitamente al disopra di ogni intelligenza creata. Per questa ragione non sta scritto in splendore: nello splendore, ma «in splendoribus Sanctorum, ex utero ante luciferum genui te: negli splendori dei Santi, prima dell’aurora, prima dell’aurora io ti ho generato».
Una volta, nella festa di un Martire, mentre si cantava l’antifona: «Qui vult enire post me: chi vuol venire dietro a me», vide il Signore avanzarsi per una strada bella e fiorita, ma angusta e irta di spine. Lo precedeva una croce che, dividendo le spine, apriva un comodo passaggio. Il Signore si voltava indietro e con volto sereno invitava i suoi a seguirlo dicendo: «Qui vult venire post me, abneget semetimpsum et tollat crucem suam et sequatur me: chi vuol venirte dietro a me, prenda la sua croce e mi segua». Essa comprese che per ciascuno la sua tentazione è la sua croce. Per qualcuno sarà un a croce l’obbedienza che gli impone qualcosa di contrario alla sua inclinazione; per un altro sarà l’infermità che gli impedisce di occuparsi in cose di suo gradimento, ecc. Ciascuno pertanto deve prendere la propria croce, sopportando volentieri ciò che gli riesce contrario e non trascurando nulla, per quanto gli è possibile, di ciò che può tornare a gloria di Dio.
Il versetto: «Verba iniquorum, ecc: le parole degli empi», le fece comprendere che se qualcuno per umana fragilità commette qualche colpa ve vien corretto duramente e non soltanto a parole, l’eccesso di severità provoca la misericordia di Dio ed è occasione di accrescimento di meriti per chi ha commesso la colpa.
Mentre un giorno si cantava la Salve Regina, alle parole: «Illos tuos misericordes oculs ad nos converte: volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi», essa desiderò di ottenere la salute del corpo, e il Signore sorridendo dolcemente le disse: «Non sai che il mio sguardo si posa su di te pieno di misericordia quando sei oppressa dalla sofferenza fisica o spirituale?».
Nella festa di alcuni Martiri, mentre si cantava il responsorio «Viri sancti gloriosum sanguinem fuderunt: I Santi sparsero il loro sangue glorioso» [dal Comune dei Martiri], osservò fra sé che, se il sangue ispira ripugnanza, tuttavia, quando è versato per Cristo, viene esaltato nella Sacra Scrittura. Allo stesso modo certe trasgressioni materiali della regola che son dovute o all’obbedienza o a qualche motivo di fraterna carità, piacciono tanto al Signore che ben a ragione possono anch’esse esser considerate gloriose.
Un’altra volta comprese che per un occulto giudizio, Iddio permette talvolta che quando un malvagio con male arti cerca di estorcere un segreto a un suo eletto, riceva una risposta atta a confermarlo nella sua ostinazione e nella sua malvagità. È ciò che dice il Profeta Ezechiele: «Chi dà ricetto nel cuore alle sue infamie e fa buon viso alle occasioni della sua iniquità, e poi venga dal Profeta, volendo per suo mezzo interrogare me, gli risponderò ben io, il Signore, rinfacciandogli la moltitudine delle sue infamie affinché senta una stretta al cuore» (Ez 14,4-5).
Le parole che si cantano in nome di S. Giovanni: «Haurit virus hic lethale: Egli beve il veleno mortale» [Dall’antica vita di S. Giovanni e dal responsorio della sua festa], le fecero capire che, come la virtù della fede preservò Giovanni dagli effetti del veleno, così il mancato consenso della volontà fa sì che l’anima resti pura da colpa, per quanto velenosa sia la suggestione che si insinua, suo malgrado, nel cuore.
Il versetto: «Dignare Domine die isto: Degnati, o Signore, in questo giorno», fu l’occasione di un’altra illuminazione. Chi si raccomanda con questa preghiera al Signore per essere preservato dal peccato, per un occulto giudizio di Dio può anche darsi che poi si accorga di esser ugualmente caduto in qualche mancanza grave. Però non accadrà mai che non trovi pronto il sostegno delle grazia per aiutarlo a tornare a Dio e rendergli più facile la penitenza.
Un giorno, mentre si cantava il responsorio: «Benedicens ergo Deus Noe: Dio benedicendo Noè» [Responsorio dell’antico breviario monastico per la Domenica di Sessagesima], essa, quasi in persona di Noè, si presentò davanti al Signore per chiedere la sua benedizione. Quando l’ebbe ricevuta, le parve che il Signore a sua volta aspettasse di essere da lei benedetto, e cioè magnificato. Gertrude comprese allora che l’uomo benedice e cioè santifica Iddio quando si pente di averlo offeso e implora il suo soccorso per non ricadere nel peccato. Il Signore dei cieli si china allora verso la sua creatura per mostrare che questa preghiera gli è gradita come se da essa dipendesse la salvezza del mondo intero.
Le parole: «Ubi est frater tuus Abel?: dov’è tuo fratello Abele?» (Gen 4,9), le fecero capire che il Signore chiederà conto a ciascun religioso di ogni mancanza contro la regola commessa da un suo confratello, qualora egli avesse potuto impedirla ammonendo il fratello stesso o avvertendo i Superiori. La scusa che si suol portare: Io non ho avuto l’incarico di correggere gli altri, oppure: Io son peggio di lui, non vale davanti a Dio più della risposta di Caino: «Nunquid custos fratis mei sum ego?: sono io forse il custode di mio fratello?». Davanti a Dio infatti ciascuno è tenuto a ritrarre dal male il fratello suo e ad esortarlo al bene; ogni volta pertanto che trascura questo suo dovere di coscienza pecca contro Dio. E poco gli giova affermare di non avere avuto l’incarico, perché questo incarico gli è stato dato da Dio in tutta verità come attesta la sua propria coscienza. Se lo trascura, il Signore ne chiederà conto a lui ancor più che al Superiore, il quale o non è stato presente al fatto o non l’ha rilevato. Perciò la Scrittura dice: «Vae facienti , vae, vae, consentienti: guai a chi fa il male, ma due volte guai a chi vi dà il consenso». Dà il suo consenso al male chi lo dissimula tacendo, mentre avrebbe potuto, manifestandolo, evitare un’offesa alla gloria di Dio.
Il responsorio: «Induit me Dominus: il Signore mi ha rivestita» [Dal Comune delle Vergini secondo il breviario monastico], le fece capire che chi cerca di promuovere con le parole e con le azioni la giustizia e l’osservanza religiosa, è come se rivestisse il Signore di una veste ricchissima. E il Signore lo ricompenserà nella vita eterna con la liberalità della sua regale munificenza, rivestendolo a sua volta di una veste di letizia e ponendogli sul capo una corona di gloria. Comprese ancora che chi nel combattere per il bene e per la religione avrà sopportato delle avversità, riuscirà particolarmente accetto a Dio, così com’è particolarmente gradito al povero un indumento che insieme lo veste e lo riscalda. Anche se, per l’opposizione del malvagio, il suo buon volere e il suo sforzo non fossero riusciti a nulla, la ricompensa che Dio gli riserva non soffriva alcun detrimento.
Si cantava una volta il responsorio: «Vocavit Angelus Domini: l’Angelo del Signore chiamò, ecc.» [Responsorio della Domenica di Quinquagesima], e comprese un’altra verità. L’assistenza degli Angeli sarebbe più che sufficiente a proteggere contro ogni male gli eletti, ma il Signore, nella sua paterna provvidenza, sospende talvolta la loro protezione e permette che gli eletti siano tentati, onde poterli poi ricompensare tanto più liberalmente quanto più, per la sottrazione dell’aiuto angelico, essi han trionfato del male con maggior loro sforzo.
Il responsorio che segue: «Vocavit Angelus Domini Abraham: l’Angelo del Signore chiamò Abramo», l’aiutò a capire che come il Padre dei credenti meritò per la sua fede di esser trattenuto da un Angelo nel momento in cui stendeva il braccio per compiere gli ordini del cielo, così il giusto che, per amore di Dio, si sottomette e si accinge con perfetta buona volontà a compiere un’opera difficile, merita al momento opportuno di essere sostenuto dalle dolcezze della grazia e consolato dalla testimonianza della sua coscienza. E questo è il dono col quale la munifica liberalità di Dio anticipa l’eterna ricompensa che verrà concessa a ciascuno in proporzione del merito.
Una volta, ripensando ad alcune avversità incontrate nella vita passata, domandò al Signore perché avesse permesso a certe persone di molestarla. Il Signore rispose: «Quando la mano del padre vuol correggere il figlio, la verga non potrebbe opporsi alla mano. Perciò i miei eletti non dovrebbero mai riferire i mali che soffrono agli uomini che ne sono lo strumento, ma dovrebbero sempre solo considerare il mio paterno affetto. Io non permetterei che il minimo soffio d’aria li molestasse se non avessi di mira la salvezza eterna con cui ricompenserò la loro sofferenza. Piuttosto dovrebbero compatire coloro che, perseguitandoli, macchiano la loro propria coscienza. Questo è il loro castigo».
Un giorno, alle prese con un lavoro difficile, disse all’eterno Padre: «Signore, ti offro questo lavoro per il tramite del Figlio tuo unigenito, nella virtù del tuo Santo Spirito, a eterna tua gloria». Capì in quel momento tutta la forza di questa preghiera. Si rese conto infatti che tale intenzione dà alla cosa offerta un valore più che umano e la rende gradita a Dio Padre. Come un oggetto guardato attraverso ad un vetro colorato assume per l’occhio lo stesso colore del vetro, così un’offerta fatta attraverso l’Unigenito figlio di Dio appare a Dio Padre sommamente accetta e gradita.
Stando in orazione, chiese un giorno al Signore che vantaggio ricavavano i suoi amici da tante preghiere che per essi faceva, dato che non ne vedeva alcun effetto. Il Signore l’illuminò con questa similitudine: «Quando il figlio, ancora bambino, di un nobile ritorna dalla corte dell’Imperatore che l’ha investito di un grandissimo feudo, coloro che lo vedono passare non scorgono in lui che il bambino, e non si accorgono affatto dell’investitura che farà di lui più tardi un grande e potente signore. Non ti stupire dunque se non puoi constatare con gli occhi l’effetto delle tue preghiere, perché Io ne dispongo secondo la mia eterna sapienza per il tuo maggior bene. Quanto più spesso si prega per qualcuno, tanto più grande è la felicità che gli si procura. Nessuna preghiera rimane senza frutto, anche se gli uomini non possono rendersi conto del modo con cui essa opera».
Desiderò una volta di capire qual frutto di santità provenga all’anima dallo sforzo di dirigere ogni suo pensiero a Dio. Ricevette questo insegnamento. Quando l’uomo meditando e pregando tiene il suo pensiero fisso in Dio, è come se presentasse davanti al trono della divinità uno specchio tersissimo, nel quale il Signore contempla con gioia la propria immagine. Infatti è Lui che ispira e dirige tutto ciò che è bene. L’uomo, per la sua debolezza, incontra talvolta nell’esercizio della preghiera delle difficoltà, ma quanto più grave è lo sforzo che egli deve fare, tanto più terso sarà lo specchio che egli presenta all’adorabile Trinità e a tutti i Santi. E questo specchio rimarrà in eterno, a gloria di Dio e a perenne gioia dell’anima.
In una certa festa non poté prender parte al canto per il suo solito mal di capo. Domandò allora al Signore perché mai permettesse che questo mal di capo le venisse di preferenza nei giorni festivi. E il Signore: «Per impedire che, tutta presa dal piacere del canto, tu diventi meno atta a ricevere le mie grazie». «Ma, Signore – ella disse – la tua grazia potrebbe preservarmi da questo pericolo». E il Signore: «Sì, ma riesce di maggior vantaggio all’uomo che l’occasione di una caduta gli sia tolta dalla prova delle sofferenza, perché in tal caso ha doppio merito: quello della pazienza e quello dell’umiltà».
Nell’impeto del suo affetto, un giorno diceva al Signore: «O Signore, se un fuoco ardente potesse liquefare la sostanza della mia anima, sì da permetterle di potersi più facilmente trasfondere in Te!». «Sia la tua volontà questo fuoco» le rispose il Signore. Essa comprese da questa parola che con la sola volontà l’uomo può conseguire il pieno effetto di tutti i desideri che hanno Dio per oggetto [sempre supponendo che nulla possiamo di buono senza la grazia di Dio]
Cercava spesso di ottenere da Dio con la preghiera l’estirpazione di qualche vizio in sé o negli altri; e le pareva che il miglior modo in cui Dio poteva concederle questa grazia fosse quello di indebolire la forza degli abiti cattivi, perché allora, tenuta a freno da una specie di necessità che risulta dalla consuetudine e che è chiamata una seconda natura, l’anima può facilmente resistere al male. Ma riconobbe poi anche in ciò un’ammirabile disposizione della divina bontà a salvezza del genere umano. Per accrescere l’eterno peso di gloria delle anime, Dio permette che esse siano talvolta violentemente attaccate dalla tentazione affinché possano esultare di un più felice trionfo.
Durante una predica, intese dire una volta che nessuno si salva senza l’amore di Dio, almeno senza quel minimo grado di amore verso Dio che induce a pentirsi dei peccati per amor suo e ad emendarsene. Essa pensò fra sé che molti se ne vanno da questo mondo pentiti dei loro peccati più per il timore dell’inferno che per amore di Dio. ma il Signore le disse: «Quando vedo in agonia un’anima che qualche volta ha pensato con dolcezza a Me durante la sua vita, o che ha compiuto qualche opera buona almeno nei suoi ultimi giorni, Io mi mostro a lei con tanta bontà e misericordia che essa si pente dal profondo del cuore di avermi in passato offeso, e questo pentimento la salva. Vorrei che i miei eletti mi rendessero particolari azioni di grazie per tale beneficio».
Una volta, meditando su stessa, fu così colpita dalla propria interiore deformità e ne provò tanto disgusto, che con ansia cominciò a chiedersi se potesse mai riuscire accetta a Dio che vedeva la sua anima macchiata di tante colpe. Essa ne vedeva infatti qualcuna, ma per lo sguardo penetrante di Dio esse erano innumerevoli. Il Signore le diede questa consolante risposta: «È l’amore che mi rende accette le anime». Capì allora che se, sulla terra, l’amore ha tanta forza da rendere amabili anche esseri deformi, tanto da far persino desiderare di essere simili a loro, come potremmo diffidare di Dio, e pensare che Egli che è Carità, non possa in forza del suo amore compiacersi in coloro che ama?
Desiderava ardentemente, come l’Apostolo, di venir liberata dal corpo per essere col Cristo, e dal profondo del cuore faceva salire a Dio il suo gemito di implorazione. Il Signore degnò un giorno di consolarla con questa risposta: Ogni qual volta essa, con sincerità di cuore, avesse espresso il desiderio di venir liberata da questo carcere di morte, aderendo però alla volontà di Dio e accettando di rimanere nel corpo finché a Lui piacesse, altrettante volte il Figlio di Dio le avrebbe applicato i meriti della sua santissima vita, onde prepararla in questo mirabile modo a comparire al cospetto del Padre suo.
Ripensava un giorno alle numerose e svariate grazie che la liberale misericordia di Dio le aveva elargito, e si riconosceva misera ed indegna di ogni bene per aver sciupato con la sua negligenza innumerevoli doni. Non ne aveva ricavato alcun frutto per sé, non aveva saputo renderne grazie, e d’altra parte il prossimo, che le ignorava, non aveva potuto trarne alcuna edificazione né aiuto per elevarsi ad una più profonda conoscenza di Dio. Fu confortata dal Signore con questa illuminazione. Il Signore non spande i suoi doni sugli eletti perché attenda da ciascun dono un frutto speciale – Egli sa che la fragilità dell’uomo non può esser da tanto – ma perché non può contenere la ricchezza della sua misericordia e della sua liberalità, e vuole in tal modo preparare la creatura alla sovrabbondanza della celeste beatitudine. Suole accadere così anche per i beni terreni di cui qualche volta viene arricchito un bambino: egli non sa trarne per il momento alcuna utilità, ma quando sarà adulto entrerà in possesso di grandi ricchezze. Così il Signore conferendo in questa vita la sua grazia agli eletti, li arricchisce di un bene di cui potranno godere soltanto quando entreranno nel giardino eterno del cielo.
Una volta si doleva in cuor suo di non sentire un desiderio abbastanza grande di lodare il Signore. Una illuminazione soprannaturale le apprese che Dio si accontenta che l’anima, quando non può far di meglio, si applichi a voler avere un grande desiderio del bene: quanto più intensa è questa volontà, tanto più grande è in realtà il suo desiderio agli occhi di Dio. Quando il cuore contiene questo desiderio – Dio si compiace di abitare in esso come l’uomo si compiace di abitare in primavera in un luogo ameno e fiorito.
Una volta, a causa delle sue infermità, aveva per alcuni giorni atteso a Dio con minor diligenza, e, ritornata poi in sé; piena di rimorso cercava con umile devozione di confessare la sua colpa al Signore. Era presa dal timore di dover sospirare chissà quanto tempo prima di poter di nuovo sperimentare la soavità della grazia di Dio. Ma ecco che in quello stesso momento, si sentì circondata con grande dolcezza dalla misericordia divina che si chinava su di lei e le diceva: «Figliuolina, tu sei sempre con me, e tutto ciò che è mio è tuo». Queste parole le fecero capire che se, per fragilità, l’uomo talvolta trascura di dirigere a Dio la sua intenzione, tuttavia la pia misericordia del Signore non cessa dal giudicare degna di eterna ricompensa ogni sua opera, purché la sua volontà non si allontani da Lui ed egli sia sempre pronto a pentirsi di ogni colpa di cui abbia coscienza.
All’approssimarsi di una certa festa, ebbe il presentimento di una prossima malattia, e pregò il Signore di conservarla in salute fin dopo la solennità, o almeno di far in modo che il male non le impedisse di prender parte alla festa, sottomettendosi però in tutto alla sua volontà divina. «La disposizione d’animo che t’induce a farmi questa preghiera – rispose il Signore – e a rimetterti insieme alla mia volontà, è per me come un giardino di delizie tutto pieno di aiuole fiorite. Ma se ti esaudisco e ti lasci prender parte alla festa, sarò io che ti seguirò verso l’aiuola che preferisci; se invece non ti esaudisco e tu conservi la pazienza, sei tu che segui me verso l’aiuola che più mi piace. Se questo buon desiderio sarà unito in te a un po’ di sofferenza, Io potrò infatti compiacermi in te assai di più che se tu mi esprimessi la tua devozione con la gioia di veder soddisfatto il tuo desiderio».
Si domandava un giorno per qual segreto giudizio alcuni godessero di tanta ricchezza di consolazioni nel servizio di Dio e altri rimanessero invece tanto aridi. Fu così illuminata dal Signore: «Dio ha creato il cuore dell’uomo per la gioia, come la brocca è stata fatta per contenere l’acqua. Se però la brocca perdesse il liquido attraverso impercettibili incrinature, finirebbe per vuotarsi e rimanere asciutta. Allo stesso modo se l’uomo quando ha il cuore pieno di gaudio spirituale lo lascia sfuggire attraverso i sensi esterni, guardando ed ascoltando tutto ciò che gli piace e soddisfacendo tutte le sue inclinazioni, può darsi che lasci svaporare tutto il suo contenuto spirituale, tanto da ridursi a non saper più trovare la sua gioia in Dio».
«Ciascuno può farne l’esperienza in se stesso quando gli viene il desiderio di guardar qualcosa o di dire una parola da cui possa ricavare poco o nessun profitto. Chi segue subito l’impulso naturale dà prova di poco amore per i beni spirituali, e il cuore allora ne resta privo come resta priva d’acqua la brocca incrinata. Se invece per amor di Dio resiste all’impulso, la gioia spirituale cresce di tanto che il cuore non vale più a contenerla. Chi impara a vincersi in queste cose si avvezza a poco a poco a cercar in Dio le sue delizie, ed esse sono tanto più grandi quanto maggiore sarà stato lo sforzo con cui ha dovuto conquistarle».
Un giorno in cui si sentiva profondamente depressa per una piccola cosa, offrì durante l’elevazione dell’Ostia la sua desolazione al Signore ad eterna sua gloria. Il Signore parve allora attirarla a sé con l’Ostia sacrosanta attraverso ad una misteriosa porta, e la fece dolcemente riposare sul suo petto dicendo: «Ecco, qui troverai sollievo ad ogni tua pena; ma ogni volta chete ne allontanerai, l’amarezza del cuore ti riprenderà e ti servirà da antidoto salutare per richiamarti a Me».
Un giorno, sentendosi spossata di forze, diceva al Signore: «Signore, che cosa succederà? Che disegno hai su di me?». Il Signore rispose: «Come una madre consola i suoi figli, così Io sempre ti consolerò». E aggiunse: «Hai visto qualche volta una madre nell’atto di consolare il suo figliuolino?». Essa tacque, non avendo presente lì per lì alcun ricordo del genere. Il Signore allora le ricordò che, circa sei mesi prima, aveva appunto visto una mamma che consolava il suo bambino, e le fece rilevare tre cose che allora aveva avvertito. Anzitutto la mamma chiedeva spesso al suo bambino di abbracciarla, e il piccino, le cui membra erano ancora tenere e delicate, cercava tuttavia di fare uno sforzo per alzarsi. Allo stesso modo, le disse il Signore, essa doveva fare tutto quanto stava in lei per giungere, attraverso la contemplazione, a godere la dolcezza del suo amore.
In secondo luogo la madre metteva a prova la volontà del suo bambino dicendogli: «Vuoi che faccia così? vuoi che faccia in quest’altro modo?», ma poi non faceva né l’una né l’altra cosa. Così Dio alle volte prova l’uomo mettendogli davanti la possibilità di qualche pena che poi non sopraggiunge, e tuttavia, poiché l’uomo ha fatto un atto di adesione alla sua volontà, il Signore è contento e lo giudica degno di un’eterna ricompensa. Infine le fece osservare che nessuno dei presenti, all’infuori della madre, capiva il linguaggio del bambino che no nera ancora capace di articolare le parole. Così solo Dio comprende l’intenzione dell’uomo e secondo questo lo giudica, ben diversamente da quanto fanno gli uomini che giudicano soltanto dalle apparenze esterne.
Una volta, il ricordo dei suoi peccati passati la coprì di tanta confusione che nella sua umiltà avrebbe voluto nascondersi anche agli occhi di Dio. Ma il Signore si chinò su di lei con tanta degnazione che tutta la corte celeste, quasi presa da stupore, avrebbe voluto trattenerlo. «Non posso fare a meno, dichiarò il Signore, di chinarmi verso quest’anima che con tanta forza di umiltà attira a sé il mio Cuore divino».
Chiese un giorno al Signore a che cosa desiderava che si applicasse in quel momento: «Voglio che ti applichi alla pazienza». Essa, che era tutta agitata per una certa contrarietà, rispose: «E in che modo e con quale mezzo posso impararla?». Il Signore allora attirandola a sé come un buon maestro fa col suo piccolo discepolo, le propose tre esempi che dovevano animarla a praticar questa virtù: «Osserva con quanta familiarità il Re tratta coloro che, più degli altri, son sempre pronti a seguirlo in ogni impresa; e pensa quanto s’accresca, per conseguenza, il mio affetto per te quando per mio amore sopporti come ho fatto le ingiurie». Poi passò al secondo esempio: «Osserva ancora con quanto rispetto tutti i membri della corte trattino colui che il Re onora della sua particolare amicizia e associa a tutte le sue imprese; e pensa perciò quanta gloria avrai in cielo per la tua pazienza». In terzo luogo le disse: «Considera quanto conforto si trova nell’affettuosa compassione di un amico fedelissimo; e pensa con quanta soave bontà Io ti consolerò in cielo per ogni pena che avrai provata anche solo per un pensiero che ti sia causa di contrarietà».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
31 – Una processione col Crocifisso
Un giorno, mentre rientrava in coro, preceduta dalla croce, una processione che era stata prescritta per ottenere il ritorno del tempo buono, essa udì che il Figlio di Dio dalla croce diceva: «Ecco, o Padre: rivestito della natura umana che ho assunta per redimere il mondo, Io vengo a supplicarti». Essa comprese che il Padre celeste era stato placato da queste parole come se gli fosse stata offerta una riparazione cento volte più grande di quella che gli era dovuta per tutti i peccati del mondo. E le parve che il Padre eterno innalzasse la croce nel cielo dicendo «Hoc signum ereit fœderis inter me et terram: questo sarà il segno del patto tra me e la terra» (cf Gen 9,13).
Un’altra volta la popolazione era estremamente afflitta per il perdurare del maltempo. Essa, che aveva spesso supplicato insieme agli altri la misericordia di Dio e non vedeva esaudita la sua preghiera, disse infine al Signore: «O Signore che sei pieno di bontà per noi, come puoi rimandare così a lungo di esaudire le preghiere di tanta gente? Io benché indegna, ho tanta fiducia nella tua pietà che da sola ardirei di far violenza alla tua misericordia anche in cose più importanti». E il signore: «Tu non troveresti strano che un padre negasse ripetutamente al figlio una piccola moneta se, nello stesso tempo, ad ogni richiesta mettesse da parte per lui cento marchi. Allo stesso modo m, non ti stupire se io in questa circostanza non esaudisco prontamente le vostre preghiere. Ogni volta infatti che voi mi invocate, anche con poche parole o con il più piccolo pensiero, Io metto da parte per voi dei beni eterni che superano infinitamente il valore di cento marchi».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
32 – Frequenza di buoni desideri – Sogni molesti
Durante la Messa dei defunti, mentre si cantava il Tratto «Sicut cervus: come il cervo», alle parole «sitivit anima mea: la mia anima ha sete de te, ecc.» essa, per scuotere la sua tiepidezza, disse al Signore: «Ahimè, Signore! Tu sei il vero mio bene, eppure il mio desiderio di possederti è così tiepido che ben raramente posso applicare a me questa parola: sitivit aniam mea ad te!». e il Signore: «Ripetimi, non di rado, ma spesso che la tua anima ha sete di Me, perché il mio misericordioso amore per la salvezza dell’uomo mi costringe a ritenere che, qualunque cosa desiderino i miei eletti, sempre in realtà desiderino Me che sono la fonte di questi beni, o qualche altro bene. Se un uomo desidera per esempio la salute o la scienza o la sapienza o qualche altro bene, Io per accrescere i suoi meriti riferisco a Me, che son la fonte di questi beni, il suo desiderio. A meno che egli deliberatamente mi respinga, come sarebbe se desiderasse la sapienza per vanagloria o la salute per poter commettere il male». E il Signore aggiunse: «Perciò spesso Io visito con l’infermità fisica o con la desolazione spirituale o altre afflizioni i miei eletti: affinché cioè desiderino di conseguire detti beni per un fine spirituale, e il geloso amore del mio Cuore possa ricompensarli secondo il beneplacito della mia liberalità».
Un insegnamento simile ricavò un’altra volta da un’ispirazione divina. Comprese cioè che il Signore «cuius deliciæ filiis hominu,: la cui delizia è di stare con i figli degli uomini» (Pr 8,31), quando non trova nulla in una creatura che la renda degna della sua presenza, le manda delle tribolazioni e delle pene, sia fisiche che spirituali, per avere l’opportunità di rimaner con lei secondo la verace parola della Scrittura: «Juxta est Dominus his qui tribulato sunt corde: il Signore è vicino ai tribolati di cuore» (Sal 33,19), e ancora: «Cum ipso sum in tribulatione: io sono con lui nella tribolazione» (Sal 90,15).
Questa considerazione riempie di affettuosa riconoscenza la creatura che, conscia della sua piccolezza, grida insieme all’Apostolo con tutta la forza del suo amore: «O altitudo divinarum sapientiæ et scientiæ Dei, quam incomprehensibilis sunt judicia ejus, et investigabiles viæ ejus: o insondabile profondità della sapienza e della scienza di Dio, come sono incomprensibili i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie» (Rm 2,33).
Una notte le parve che il Signore la visitasse in sogno con tanta dolcezza da sembrarle di esser saziata dalla sua presenza come dai cibi più squisiti. Svegliatasi, ne ringraziò il Signore dicendo: «Che cosa ho mai meritato, Signore, io indegnissima più degli altri che Tu affliggi spesso con sogni così penosi, che qualche volta spaventano con le loro grida anche i vicini?». Il Signore le rispose: «Se coloro che la mia provvidenza paterna dispone di santificare con la sofferenza cercano durante il giorno tutto ciò che può procurare il loro benessere fisico (privandosi così di molte occasioni di merito) io nella mia paterna misericordia mando loro delle pene nel sonno per dar loro, almeno così occasione di qualche merito». «Ma Signore – essa disse – può forse esser loro imputato a merito ciò che soffrono senza intenzione e anche contro il loro volere?». E il Signore: «Nel mondo ci son delle persone che per adornarsi si servono di perle di vetro e di gioielli di metallo vile; e ce ne sono poi altre che invece si adornano di oro e di gemme preziose. Lo stesso avviene fra le anime.»
Un giorno in cui recitava le Ore canoniche con minore attenzione del solito, s’accorse ad un tratto che le stava vicino l’antico nemico del genere umano che, quasi per deriderla, recitava lui il resto del Salmo: Mirabilia testimonia tua ecc. (Sal 118,128), smozzicando le parole. Quand’ebbe finito disse: «Ha impiegato bene i suoi doni il tuo Creatore, il tuo Salvatore, il tuo Amico, dandoti tanta facilità di parola! Sai sempre fare un bel discorso su qualunque argomento ti piaccia, ma quando parli a Lui te la spicci così in fretta che in questo solo salmo ti sei già mangiata tante lettere, tane sillabe, tante parole». Comprese che se l’astuto nemico si era data pena di contare tutte le lettere e tutte le sillabe saltate, era certamente perché dopo la nostra morte egli intende farsi il grande accusatore di coloro che sogliono recitare in fretta e distrattamente le Ore canoniche.
Un’altra volta, mentre era intenta a filare con alacrità, raccomandando nello stesso tempo con devota intenzione il suo lavoro al Signore, le accadde di buttar via alcuni bioccoli di lana. Vide allora che il diavolo li raccoglieva, quasi a testimonianza della sua negligenza. Essa invocò il Signore ed Egli scacciò il demonio rimproverandolo di aver ardito di ingerirsi in un’opera che era stata offerta a Lui.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
33 – La fedeltà del Signore nell’assisterci
Una volta, accesa di più ardente amore per il suo Dio, disse al Signore: «O mio Signore, potrei in questo momento pregarti?». Il Signore con bontà le rispose: «Sì, mia Regina e mia Signora, puoi comandarmi, perché Io desidero esaudire le tue volontà e i tuoi desideri con prontezza maggiore di quella che un servo attesta alla sua padrona . Ed essa: «Non sia mai che io dubiti di questa tua parola di piissima degnazione, o dio pieno di bontà. Come mai tuttavia la mia orazione speso non ottiene alcun effetto, mentre Tu ti affermi così pronto ad esaudire la tua indegnissima creatura?». Il Signore le rispose: «Supponi che la Regina, tutta intenta al suo lavoro, dica al servo che sta dietro a lei: Dammi il filo che pende dalla mia spalla sinistra (persuasa che sia così perché non può vedere dietro a sé). Il servo, che vede il filo pendere dalla spalla destra e non dalla sinistra, lo prende tuttavia dove lo trova e lo porge alla sua padrona, e non pensa certo a togliere un filo a sinistra dalla veste della sua padrona per eseguire il comando alla lettera. Così Io, nella mia inscrutabile sapienza, se qualche volta non esaudisco le tue preghiere e i tuoi desideri sempre però ne dispongo nel modo che vedo riuscirti più utile, anche se tu nella tua umana debolezza non sai discernere cosa sia meglio per te».
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34 – Come possiamo offrire per noi i meriti del Signore e dei Santi
Essa doveva un giorno ricevere la santa Comunione e, dolendosi di essere insufficientemente preparata, pregò la beata Vergine e tutti i Santi di offrire per lei al Signore quella perfetta disposizione che, durante la loro vita, li aveva preparati a ricevere la grazia. Pregò inoltre il Signore Gesù affinché si degnasse di offrire per lei la perfezione con la quale, al momento della sua Ascensione, si presentò a Dio Padre per essere glorificato.
Cercò, più tardi, di capire quale accrescimento di grazia avesse conseguito con questa preghiera, e il Signore le disse: «Hai conseguito la grazia del cielo rivestita dei loro meriti. E aggiunse ancora: «Perché non credere che Io, tuo Dio onnipotente e misericordioso, possa compiere ciò che può compiere chiunque sulla terra? Chi infatti possiede un ricco abito può con esso o con altro simile rivestire un suo amico, e far sì che egli comparisca agli occhi degli altri con una veste altrettanto splendida della sua».
Si ricordò intanto che aveva promesso ad alcune persone di comunicarsi in quel giorno secondo le loro intenzioni, e pregò devotamente il Signore di voler elargire anche a loro il dono che essa aveva ricevuto. Ebbe questa risposta: «Io lo concedo, ma dipenderà da loro il volersene servire».
Chiese allora in qual modo desiderava che queste anime utilizzassero il suo dono e il Signore aggiunse: «Quando, in qualunque momento, si rivolgeranno a Me con cuore puro e sincera e buona volontà, e invocheranno anche una sola parola o con un sospiro la mia grazia, subito appariranno ai miei occhi rivestite di quei meriti che tu ha impetrato per loro con la tua preghiera».
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35 – Gli effetti della Comunione
Pregò una volta il Signore di concederle la grazia che nell’ora della morte il suo ultimo cibo fosse il vivifico Sacramento del Corpo di Cristo; ma un’illuminazione soprannaturale le fece comprendere che con questa preghiera non aveva chiesto la cosa migliore. L’effetto di questo Sacramento non è però per nulla intralciato dalle cure che per necessità si prestano al corpo, e tanto meno da quel po’ di cibo che le misere condizioni di un ammalato possono esigere e che egli prende anche contro sua voglia per sostentare la sua vita a gloria di Dio. Anzi, se in virtù dell’unione che si attua fra l’anima e Dio per l’azione sacramentale tutto ciò che è buono nell’uomo prende un valore più grande, tanto più diventerà meritorio nell’ora della morte tutto ciò che si farà con intenzione pura dopo aver ricevuto il SS.mo Sacramento. La paziente sopportazione della sofferenza, la necessità del cibo e della bevanda e simili, tutto diventerà occasione di un esterno cumulo di meriti in virtù dell’unione sacramentale col Corpo di Cristo.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
36 – L’utilità della Comunione frequente
In un’altra occasione, mentre stava per comunicarsi, disse al Signore: «O Signore, che dono mi accorderai?». «Tutto Me stesso con la mia divina virtù – rispose il Signore – così come mi ha ricevuto la mia Vergine Madre». Ed essa: «Tu ti dai sempre tutto, Signore: che cosa avrò dunque in più di coloro che ieri ti hanno ricevuto e che oggi si astengono dalla Comunione?». «In antico, chi otteneva per la seconda volta il consolato si sentiva più onorato di chi lo aveva ottenuto una volta sola; come potrebbe dunque non godere di una gloria maggiore nel cielo l’anima che più spesso mi ha ricevuto in terra?». Essa allora sospirò: «Ah, di quanto allora mi precederanno nella gloria i sacerdoti, che per il loro ministero si comunicano tutti i gironi?». E il Signore: «Coloro che mi avranno degnamente ricevuto rifulgeranno certo di una grande gloria, ma non bisogna confondere l’amore con cui l’anima mi riceve con la dignità di cui può essere rivestita. La ricompensa di coloro che si accostano alla Comunione con desiderio ed amore sarà quindi diversa da quella di chi mi riceve soltanto con timore e riverenza, e da quella ancora di chi si prepara a comunicarsi con lunghi e frequenti esercizi di pietà. Nessuna di queste tre ricompense riceverà però il sacerdote che celebra i divini misteri per semplice abitudine».
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37 – Come il Signore riparò le sue negligenze
In una certa festa della beata Vergine, ritornando in sé dopo aver ricevuto mirabili e particolarissimi doni, prese a considerare la sua ingratitudine e negligenza. Le pareva di avere insufficientemente attestato la sua reverenza alla Madre del Signore e agli altri Santi, che avrebbe invece dovuto maggiormente onorare in quel giorno per i favori speciali che in esso aveva conseguito. Il Signore la consolò con la solita bontà, dicendo alla Madre sua e agli altri Santi: «Non avrò forse riparato abbastanza le sue negligenze verso di voi, quando in vostra presenza mi sarò comunicato a lei nelle delizie della mia Divinità?». «La riparazione sorpasserà invero ogni misura», essi risposero. Il Signore si rivolse allora con dolcezza a lei: «E a te basta questa riparazione?». «Mi basterebbe di certo, o Signore mio, se non vi mancasse una cosa: penso infatti che quando avrai riparato le mie negligenze passate io ne aggiungerò subito delle altre. Conosco troppo bene la facilità con cui commetto della mancanze!». E il Signore: «Io mi darò a te in modo tale che riparerò anche le future, a condizione che tu, dopo avermi ricevuto nel sacramento dell’Eucaristia, ti conservi pura da ogni macchia di peccato». «Ahimè Signore – essa rispose – temo di non essere capace neanche di questo, e perciò ti prego di insegnarmi, o benignissimo Maestro, come potrò purificarmi dalle macchie che avrò contratto». Il Signore rispose: «Non permettere che rimangano neppur per un momento sulla tua anima, ma non appena te ne accorgi dì subito devotamente: Abbi pietà di me, o mio Dio; oppure: O unica mia salvezza, Cristo Gesù, concedimi per la tua salvifica morte il perdono di tutti i miei peccati».
Si accostò poi a ricevere il Corpo del Signore, e la sua propria anima le parve allora limpida come un cristallo di abbagliante luce. La Divinità di Cristo splendeva attraverso questo cristallo o compiva nella sua anima operazioni così mirabili e di tale inesprimibile dolcezza da essere oggetto di delizia alla Trinità santissima e a tutti i Santi. Comprese allora quanto sia vero che tutto ciò che si è perduto spiritualmente può essere ricuperato col ricevere in modo degno il Corpo di Cristo. Queste divine operazioni erano fonte di tale gaudio, che tutta la Corte celeste sembrava prendere le sue delizie nell’anima in cui esse si compivano.
Quanto a ciò che sopra si è scritto della promessa del Signore di cancellare anche le sue negligenze future, bisogna intenderlo così: Come ciò che è racchiuso in un prisma di cristallo può esser visto dia guardandolo da una parte come guardandolo dall’altra, così l’operazione divina sarebbe ugualmente visibile in quest’anima sia che essa fosse fedelmente intenta a qualche opera buona, sia che, per umana fragilità, la sua attenzione venisse meno; sempre però a condizione che nessuna nebbia di peccato oscurasse il cristallo. Il peccato solo infatti poteva impedire nella sua anima questa meravigliosa operazione.
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38 – L’effetto dello sguardo di Dio
La sua grande devozione faceva sì che essa desiderasse spesso di ricevere il Corpo del Signore. Una volta si era preparata con fervore più grande del solito per alcuni giorni, ma poi nella notte precedente la Domenica avvertì una tale prostrazione di forze che le parve impossibile di potersi comunicare. Domandò, com’era solita, al Signore che cosa desiderava che facesse. Il Signore degnò risponderle: «Lo sposo che si è saziato di diversi cibi trova più gradito starsene tranquillo in disparte con la sposa che non continuare a star a tavola con lei. Così questa volta Io gradisco di più che, per discrezione, tu tralasci di comunicarti». Ed essa: «Ma, Signore mio amatissimo, Tu come puoi asserire di esserti saziato?». «Il tuo spirito di silenzio – rispose il Signore – il raccoglimento dei tuoi sensi, i desideri ardenti e le preghiere con le quali ti sei preparata a ricevere il mio Sangue e il mio Corpo Sacratissimo, sono stati per me come altrettanti cibi deliziosi che mi hanno ottimamente saziato».
Nonostante la sua debolezza, intervenne però ugualmente alla Messa col vivo desiderio di ricevere almeno spiritualmente la santa Comunione. Accade che, per caso, ritornasse proprio in quel momento dal villaggio un sacerdote che aveva portato la santa Comunione ad un infermo, ed essa, avvertendo il suono della campana, accesa di santo desiderio disse al Signore: «Oh, quanta gioia, o vita della mia anima, ti riceverei ora almeno spiritualmente ,se avessi il tempo di fare un po’ di preparazione!». Il Signore le rispose: «Il mio sguardo di misericordia ti preparerà convenientemente». In questo istante le parve che il Signore dirigesse il suo sguardo, simile ad un raggio di sole, sulla sua anima dicendo: «Firmabo super te oculos meos: fermerò su di te il mio sguardo» (Sal 31,8). A queste parole essa comprese il triplice effetto che, come i raggi del sole, lo sguardo di Dio opera nell’anima, e anche il triplice modo in cui l’anima deve prepararsi a riceverlo. Anzitutto lo sguardo della misericordia di Dio rende candida l’anima, purificandola da ogni macchia e rendendola più bianca della neve; e a tale effetto ci si prepara con l’umile riconoscimento delle proprie mancanze. In secondo luogo lo sguardo della divina misericordia addolcisce l’anima e la rende atta a ricevere i doni spirituali, così come la cera, riscaldata ai raggi del sole, diventa molle e atta a ricevere l’impronta del sigillo; e quest’effetto l’anima lo consegue disponendovisi con la buona volontà. Infine lo sguardo della divina misericordia feconda l’anima e la fa produrre i fiori delle divine virtù, così come il sole rende la terra fertile e atta a produrre ogni genere di frutti; e tale effetto si ottiene abbandonandosi con fiducia alla infinita misericordia di Dio, che fa cooperare a nostro bene così la prospera come l’avversa fortuna.
Quando poi la comunità ricevette la comunione alle due sante Messe [evidentemente una parte della Comunità si comunicava alla prima e l’altra alla seconda], il Signore degnò apparirle in atto di distribuire Egli stesso a ciascuna religiosa l’Ostia sacrosanta con le sue proprie mani, mentre il sacerdote tracciava semplicemente su ciascuna il segno di croce. Il Signore Gesù poi per ogni Ostia che porgeva alle altre religiose, pareva mandare a lei una particolare benedizione. Tutta stupita essa disse: «Oh, Signore, Tu mi previeni gratuitamente con tutte queste tue divine benedizioni! Come può essere possibile che ricevendoti sacramentalmente altri possa ricevere qualche cosa di più?». Il Signore rispose: «Che te ne pare? È più ricco colui che si orna di tutte le sue pietre preziose e dei suoi monili, o colui che nascostamente possiede un equivalente tesoro di oro puro?». Con queste parole il Signore volle farle comprendere che colui che si comunica sacramentalmente consegue un’abbondanza di grazia il cui effetto si fa sentire così nell’anima come nel corpo; ma chi con intenzione pura, per un atto di obbedienza e di discrezione insieme, si astiene dal ricevere sacramentalmente il Corpo del Signore (pur essendo infiammato dal desiderio di comunicarsi, almeno spiritualmente) merita di ricevere dalla divina bontà la stessa abbondanza di benedizioni che il Signore aveva conferito a lei in detta occasione e consegue così in modo misterioso una grazia più efficace.
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39 – Quanto sia utile meditare sulla Passione di Cristo
Una volta, meditando sulla propria indegnità, sentì talmente venir meno la fiducia nei suoi propri meriti, che si lasciò per così dire cadere a terra nel suo cammino spirituale verso Dio. Il Signore con misericordiosa bontà si chinò su di lei e le disse: «Per il vincolo che li lega, conviene che il Re si rechi premurosamente a visitare la Regina dovunque essa si fermi durante un viaggio». Essa comprese da queste parole che il Signore nella sua bontà si sente legato all’anima che, secondo le sue capacità, si applica spesso a meditare con amore la sua Passione, come il Re si sente legato alla Regina in virtù del vincolo matrimoniale. Sentì infatti di aver meritato questa visita divina così piena di degnazione perché ogni venerdì si applicava a meditare la Passione del Signore, e comprese che, quand’anche la sua devozione si fosse intiepidita, sempre tuttavia sarebbe stata guardata da Lui con occhi di misericordia se fosse sempre stata fedele a celebrare il ricordo della sua Passione.
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40 – In qual modo il Figlio di Dio placa il Padre suo
Un’altra volta cercava di capire quale fra i divini doni che la liberale misericordia di Dio le aveva elargito fosse più utile rivelare agli uomini a loro vantaggio spirituale. Il Signore allora, entrando nel suo pensiero e nel suo desiderio, le disse: «È opportuno dir loro che ritrarranno un grande profitto dal ricordarsi che Io, il Figlio della Vergine, sempre intercedo davanti al Padre per la salvezza degli uomini, e che quando essi per fragilità macchiano il loro cuore, Io offro al Padre in riparazione il mio Cuore santissimo. Quando peccano con la bocca, Io offro la mia bocca innocente; quando peccano nelle loro opere offro le mia mani trafitte per loro. In qualsivoglia modo infine abbiano peccato, subito la mia innocenza placa il Padre mio in modo tale che, possano facilmente ottenere il perdono. Vorrei che i miei eletti ogni volta che impetrano perdono sempre mi rendessero grazia di averlo così facilmente ottenuto».
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41 – Uno sguardo al Crocifisso
Un certo venerdì serra, essa guardò una immagine del Crocifisso e poi disse al Signore con amorosa compunzione: «O dolcissimo Signore, quanti dolori hai sopportato oggi per la mia salvezza! E io, infedelissima tua sposa facendone poco conto, ho trascorso la mia giornata così presa dalle mie occupazioni che ho lasciato passare un’ora dopo l’altra senza fermarmi a meditare ciò che hai sofferto per me, o mia Salvezza eterna, e come Tu sia morto per mio amore, Tu che sei la Vita che vivifica ogni cosa!» . Il Signore le rispose dalla croce: «Ho supplito Io alla tua negligenza, poiché Io ho raccolto nel mio Cuore i sentimenti che avrebbero dovuto essere nel tuo, e il mio Cuore ne fu presto così pieno che con grande desiderio aspettavo il momento in cui mi avresti rivolto la preghiera che ora mi hai fatta. Io l’offro al Padre mio insieme a ciò che oggi ho fatto in vece tua, e che non ti sarebbe stato altrettanto salutare se tu non vi avessi unito la tua intenzione». Ben possiamo qui ammirare il fedelissimo amore del Signore per l’uomo: non appena egli, pentito delle sue mancanze, si rivolge a Lui, subito Egli placa il Padre suo e supplisce con tale pienezza a tutte le nostre negligenze, che l’uomo non saprebbe mai lodarlo quanto deve.
In un’altra occasione, contemplando l’immagine di Cristo crocifisso, comprese che se qualcuno guarda con amore il Signore dalla croce, è a sua volta guardato da Lui con tanta bontà e misericordia che la sua anima, simile a un tersissimo specchio, riflette l’immagine contemplata, con grande delizia della corte celeste, E ogni volta che una persona compie con amore e rispetto questo atto, ne ricava grande gloria per il cielo.
A questo proposito ricevette un altro insegnamento. Quando contempliamo il Crocifisso dobbiamo pensare che il Signore ci dica queste parole: «Per amore tuo sono stato inchiodato alla croce, nudo e disprezzato, colpito da una crudele flagellazione, slogato in tutte le sue ossa. Mail mio amore per te è così grande, che sari disposto, se ciò fosse necessario alla tua salvezza, a soffrire per te solo tutti i tremendi dolori che ho sopportato per il mondo intero». Eccitiamo con questi pensieri il nostro cuore alla riconoscenza.
In verità, non accade mai che uno veda un Crocifisso senza una speciale grazia di Dio. E perciò come non è mai senza colpa, per un cristiano, il guardare con ingrata indifferenza il prezzo inestimabile del suo riscatto, così non è mai senza frutto il guardarLo con amore.
Mentre un giorno meditava la Passione del Signore, capì che nessun esercizio di pietà porta maggiori frutti di tale contemplazione. Come non ci si può avvicinare alla farina senza rimanerne imbiancati, così non è possibile pensare alla Passione del Signore, sia pure col minimo sentimento di devozione, e non ricavarne qualche profitto. Anche una semplice lettura su tale argomento prepara l’anima a riceverne i frutti, perché una sola meditazione di chi ha spesso presente la Passione di Cristo è più fruttuosa di molte meditazioni di chi non si cura di pensarci. Sforziamoci dunque di trattenere nel nostro spirito questo sacro ricordo, affinché a poco a poco esso diventi come miele per la nostra bocca, melodia per il nostro orecchio, letizia per il nostro cuore.
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42 – Un fascetto di mirra
C’era vicino al suo letto un Crocifisso. Una notte, vedendolo tutto inclinato verso di lei e quasi in procinto di cader, lo raddrizzò dicendo affettuosamente: «O mio dolcissimo Gesù, perché sei così inclinato?». Egli rispose subito: «L’amore del mio Cuore divino mi inclina verso di te». essa allora prese fra le mani il Crocifisso e lo strinse dolcemente fra le sue braccia coprendolo di carezze e di baci e dicendo: «Fasciculus myrrhæ Dilectus meus mihi: il mio Diletto è per me come un fascetto di mirra» (Ct 1,12), e il Signore quasi prendendole la parola di bocca continuò: «Inter ubera mea commorabitur: esso rimarrà sempre sul mio petto» (Ct 1,12). Comprese allora che dobbiamo unire alla Passione di Cristo tutte le nostre contrarietà e le nostre pene, disponendole intorno ad essa come si farebbe di un mazzetto di fiori intorno ad un sostegno. Se, ad esempio, oppressi dalle contrarietà, ci sentiamo tentati di impazienza, dobbiamo ricordare l’ammirabile dolcezza del Figlio di Dio che, come mansuetissimo agnello, si lasciò immolare per la nostra salvezza senza aprire la bocca al minimo lamento. Davanti ad un’occasione di vendicarci del male che ci è stato fatto, pensiamo con quanta mansuetudine il nostro amorosissimo Dio non abbia reso male per male né abbia cercato di vendicarsi neppure con una sola parola, ma come anzi abbia ricambiato tutto ciò che ebbe a sopportare col massimo dei beni, redimendo con la sua Passione e morte coloro che l’avevano perseguitato fino a togliergli la vita. E così sull’esempio del Signore, cerchiamo di rendere bene per male, e se sentiamo nascere in noi un movimento di odio verso coloro che ci hanno offeso, ricordiamo l’immensa mansuetudine con la quale il Figlio di Dio, in mezzo agli indicibili strazi della sua Passione e alle ambasce della sua morte, abbia pregato per i suoi crocifissori dicendo: «Pater ignosce illis…: Padre perdona loro…» (Lc 33,34), e, unendoci a quest’amore, cerchiamo a nostra volta di pregare per i nostri nemici.
Il Signore aggiunse: «Chi avrà così unito le sue contrarietà e le sue pene al fascetto di mirra della mia Passione e si sarà confortato nel proposito di imitarmi seguendo i miei esempi, in verità riposerà sempre sul mio petto, poiché Io gli applicherò, in accrescimento dei suoi meriti, tutto ciò che ho sofferto nella mia Passione, e ancora le altre mie virtù».
Essa disse allora: «E come accetti, Signore, l’omaggio della devozione che si dimostra alla tua santa Croce?». «L’accetto con riconoscenza – rispose il Signore – tuttavia coloro che venerano la mia immagine e poi non imitano gli esempi della mia Passione, rassomigliano a una madre che regala alla figlia dei begli abiti semplicemente per seguire la propria inclinazione a far bella figura e non già per soddisfare i suoi desideri, perché rifiuta anzi duramente di accontentarla. Fintanto che la figlia non ottiene ciò che desidera, non le sarà certo grata delle spese che fa per lei, perché pensa ce sua madre le impone quelle vesti per soddisfare la propria vanità e non per l’amore che le porta. Allo stesso modo tutte le testimonianze d’amore, d’onore e di rispetto che si rendono all’immagine della mia croce,m non possono essermi veramente gradite se non si cerca nello stesso tempo di imitare gli esempi della mia Passione».
43 – Un’immagine del Crocifisso
Aveva un grande desiderio di procurarsi un Crocifisso onde venerarlo spesso per amore del Signore. Era però trattenuta da uno scrupolo di coscienza, temendo che quest’esercizio potesse impedirle il godimento delle grazie interiori. Il Signore le disse: «Non temere, carissima, non ti sarà di alcun impedimento, poiché Io soltanto sono la causa di questa tua devozione. Ti dirò anzi che essa mi è molto gradita. Un Re non può sempre rimanere con la sposa che teneramente ama e perciò talvolta lascia presso di lei, a rappresentarlo, qualche suo carissimo parente. Ogni attestazione tuttavia di cordialità e di amicizia che la sposa dimostra a questo suo familiare, l o sposo la ritiene come rivolta a sé, perché sa che non proviene da un illecito sentimento verso un estraneo, ma da un casto amore della sposa per lo sposo. Allo stesso modo Io gradisco gli onori resi alla mia croce perché sono un’attestazione di amore per Me. Non bisogna tuttavia accontentarsi di possedere una croce, ma bisogna applicarsi a meditare l’amore e la fedeltà con la quale ho subito per l’uomo l’amarezza della mia Passione, e non soddisfare semplicemente un’inclinazione naturale trascurando di seguire i miei esempi».
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44 – Come la divina soavità attrae l’anima
Una notte in cui meditava devotamente la Passione del Signore, quasi sconvolta dalla forza dell’emozione, sentì che il suo cuore veniva meno sotto l’impeto di questi santi ardori, e disse al Signore: «O Amico mio dolcissimo, se gli uomini sapessero ciò che provo in questo momento, direbbero che dovrei moderare questo fervore per non perdere la salute. Ma Tu che penetri fin nell’intimo della mia anima, Tu sai bene che tutti i miei sforzi non varrebbero a impedire la potente emozione che provo alla tua visita». Il Signore rispose: «E chi dunque se non un pazzo può ignorare che la potente, infinita dolcezza della mia Divinità sorpassa ogni diletto umano e carnale? Tutte le consolazioni della terra in confronto ai gaudii celesti sono come un a goccia di rugiada di fronte all’immensità dell’oceano. Gli uomini si lasciano attirare dal fascino dei piaceri sensibili fino a mettere qualche volta in pericolo non soltanto la loro salute fisica, ma anche la loro eterna salvezza. Con ben maggior ragione, un cuore tutto penetrato di dolcezza divina si trova nell’impossibilità di resistere a un amore che sa essere per lui fonte di eterna beatitudine».
Essa obiettò: «Gli uomini direbbero forse che, avendo fatto professione in un Ordine cenobitico, dovrei moderare i miei trasporti per essere in grado di poter praticare la Regola in tutto il suo rigore». Il Signore degnò istruirla con questo paragone: «Se davanti alla tavola del Re dovessero stare diversi cortigiani pronti a servirlo con zelo e rispetto, e se il Re, stanco o indebolito dall’età, sentisse il bisogno di appoggiarsi ad un tratto ad uno di essi, non sarebbe forse sconveniente che questo cortigiano lasciasse cadere a terra il suo signore, sotto pretesto che gli è stato ordinato di occuparsi solo del servizio della tavola? Allo stesso modo sarebbe cosa assai deplorevole che un’anima chiamata gratuitamente alle delizie della contemplazione volesse sottrarvisi per seguire in tutto il suo rigore la Regola del suo Ordine. Io sono il Creatore e il Riformatore dell’universo, e mi compiaccio infinitamente di più di un’anima amante che di qualsivoglia esercizio o attività che si compia senza amore e senza purezza di intenzione». Il Signore aggiunse ancora: «Se uno però non si sente con tutta certezza attirato dal mio Spirito al riposo della contemplazione, e nello sforzo di giungervi trascura l’osservanza della Regola, rassomiglia al servitore che vuole assidersi alla tavola del Re mentre non gli è stato ordinato che di tenersi ai piedi accanto ad essa pronto a servirlo. E come un cortigiano che si siede alla mensa del suo signore senza esservi invitato, non solo non riceve alcun onore, ma viene anzi umiliato, così chi trascura la Regola del proprio Ordine per giungere coi suoi propri sforzi alla contemplazione divina (che nessuno può conseguire se non per mio speciale favore), ritrarrà da questo sforzo più danno che profitto, perché da un lato non giungerà alla contemplazione e dall’altro cadrà nella tiepidezza riguardo all’osservanza. Chi poi, avido dei propri comodi, trascura senza necessità l’osservanza della Regola, agisce come il cortigiano che, invitato a prestar servizio alla tavola reale, se ne andasse come l’ultimo dei servi a insudiciarsi occupandosi della stalla».
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45 – In qual modo il Signore gradisca l’ossequio dimostrato al Crocifisso
Un certo venerdì, dopo aver passato tutta la notte insonne immersa in preghiere e ardenti desideri, si ricordò di avere una volta tolto i chiodi a un Crocifisso per sostituirli con dei profumati chiodi di garofano, e disse al Signore: «O mio Diletto, che cosa ha i dunque pensato quando per tenerezza ho tolto i chiodi di ferro dalle dolci ferite delle tue mani e dei tuoi piedi per sostituirli con quegli altri chiodi profumati?». Il Signore rispose: «Ho tanto gradito questa tua testimonianza d’amore che ho sparso su tutte le ferite dei tuoi peccati il balsamo preziosissimo della mia Divinità; tutti i Santi si diletteranno in eterno di vedere le tue ferite emanare un così prezioso liquore». «O Signore mio – essa riprese – accorderesti forse lo stesso favore a tutti quelli che facessero altrettanto?». «Non a tutti – rispose il Signore – ma soltanto a quelli che lo facessero con lo stesso amore. Anche se però, eccitati dal tuo esempio, lo facessero soltanto con tutta la devozione possibile, la ricompensa sarebbe ancora molto grande».
A queste parole essa prese il Crocifisso, lo coprì di teneri baci, stringendolo fra le braccia e colmandolo di carezze. Dopo alquanto tempo, sentendo venir meno le sue forze a motivo di quella veglia prolungata, depose il Crocifisso dicendo: «Addio Signore caro, ti auguro una buona notte: adesso lasciami dormire, affinché possa ritrovare le forze che ho perduto nel trattenermi con Te».
Ciò detto si voltò dall’altra parte per dormire. Mentre così riposava le parve che il Signore, staccando il braccio destro della croce come per attirarla a Sé, le sussurrasse all’orecchio: «Ascolta, o mia diletta, le parole del mio canto», e sulla melodia dell’inno Rex Christe factor omnium, le cantasse questa strofa: «Amor meus continuus, tibi languor assiduus, amor tuus suavissimus mihi sapor gratissimus: il mio amore assiduo sia il tuo continuo languore: il tuo amore soavissimo sia la mia gradita dolcezza».
Quando ebbe finito disse: «Ora, invece del Kyrie eleison che si canta dopo ogni strofa, chiedimi le grazie che desideri e te le concederò». Essa espresse allora al Signore alcuni desideri e fu benignamente esaudita. Dopo di che il Signore Gesù ripeté la stessa strofa e di nuovo la invitò a chiedere ciò che desiderava. Ripeterono così parecchie volte, alternandosi, le stesse parole. Il Signore in tal modo le impedì però di dormire: ma a un certo momento le sue forze ormai esaurite la costrinsero al sonno. Così finalmente poté dormire un po’ prima dell’alba. Ed ecco: il Signore Gesù, che non si allontana mai da coloro che Lo amano, le apparve in sogno, e, attirandola a Sé, trasse, per ristorarla, dalla ferita del suo sacro petto una vivanda deliziosa che Egli stesso di sua propria mano la posava sulle labbra. Rifatta così di forze, si svegliò piena di energia e ringraziò devotamente il Signore.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
46 – Le sette Ore dell’Ufficio della Beata Vergine
Una volta, dopo aver trascorso buona parte della notte ricordando con amore e dolore la Passione del Signore si sentì molto spossata e, non avendo ancora recitato il Mattutino, disse al Signore: «Ah, mio Dio, Tu vedi che la mia umana fragilità non permette di fare ora a meno di un po’ di riposo. Dimmi dunque quale ossequio potrei prestare alla tua beatissima Madre in compenso delle Ore canoniche che avrei dovuto recitare in sua lode». «Lodami all’Ora di Mattutino – rispose il Signore – in unione con il mio stesso dolcissimo Cuore per l’intemerata verginità di Colei che vergine mi concepì, vergine mi diede alla luce e vergine rimase dopo il parto. Lodami per l’innocenza con cui ha imitato me, l’innocenza stessa, che, nell’ora appunto che corrisponde a Mattutino mi son lascito arrestare per la redenzione del mondo, per essere poi legato, schiaffeggiato, colpito senza pietà, colmato di oltraggi e di obbrobri».
Ora, mentre in tal modo lodava il Signore, vide che Egli presentava il suo Cuore divino sotto forma di un aureo calice alla sua Vergine Madre. La Vergine bevve a larghi sorsi questa bevanda più dolce del miele e sembrò esserne come inebriata e penetrata di soavità fin nell’intimo dell’anima. Essa disse allora alla Vergine Madre: «Ti lodo e ti saluto, o Madre beatissima, degnissimo sacrario dello Spirito Santo, attraverso al dolcissimo Cuore di Cristo, Figlio di Dio Padre e Figlio tuo amantissimo. Aiutaci, ti prego, in tutti i nostri bisogni, e soccorrici nell’ora della morte. Così sia.». Comprese allora che se uno loda il Signore nel modo indicato, aggiungendo anche il verso suddetto per glorificare la beata Vergine, è come se presentasse ogni volta alla Madre di Dio il Cuore del suo amantissimo Figlio per inebriarla di questo calice divino. La Vergine Regina accetterebbe volentieri questa offerta e la ricompenserebbe con tutta la liberalità della sua materna tenerezza.
Il Signore aggiunse: «Lodami all’Ora di Prima in unione al mio Cuore dolcissimo per la tranquilla umiltà con la quale la Vergine immacolata si disponeva a ricevermi come Figlio, anticipando l’umiltà che mostrai per la redenzione del genere umano quando, Io, giudice dei vivi e dei morti, ho degnato comparire davanti a d un pagano per essere da lui giudicato».
«Lodami all’Ora di terza per quel desiderio ardente col quale essa attrasse nel suo seno dal seno del Padre il Figlio di Dio; essa anticipò così l’ardente desiderio che Io ebbi della salvezza del mondo, quando, colpito da durissimi flagelli, coronato di spine, mi son degnato, all’ora di Terza di portare con dolcezza e pazienza sulle mie spalle stanche e insanguinate una croce ignominiosa».
«Lodami all’Ora di Sesta per la sicurissima speranza con la quale la Vergine celeste desiderava la mia gloria con perfetta buona volontà e intenzione purissima: essa anticipò così quello che Io feci sospeso sull’albero della croce, quando desiderai con tutte le forze la salvezza del genere umano in mezzo alle amarezze e alle angosce della morte. Quest’ardente desiderio mi fece gridare: Sitio; avevo infatti sete della salvezza degli uomini, tanto che, se fosse stato necessario, avrei sopportato supplizi ancor più aspri per la redenzione dell’uomo».
«A Nona, lodami per l’ardentissimo, reciproco amore che unì il mio Cuore a quello della Vergine Immacolata; per quell’amore che unì inseparabilmente l’eccellenza della Divinità alla debolezza umana nel seno di questa Vergine che agonizzò con me, Vita dei viventi, quando all’Ora di Nona morii sulla croce di amarissima per la redenzione del genere umano».
«A Vespro, lodami per l’indefettibile fedeltà con cui la Beata Vergine, sola, rimase fino alla mia morte immobile ai piedi della croce, mentre gli Apostoli fuggivano e tutti gli altri disperavano,. Essa imitò così la fedeltà con cui dopo la mia morte e deposizione dalla croce andai a cercare l’uomo fin nel fondo degli inferi, per strapparlo con l’onnipotenza della mia misericordia al Limbo e trasportarlo nel gaudio del Paradiso».
«All’Ora di Compieta, lodami per la ammirabile perseveranza con cui la Madre mia dolcissima ha perseverato con fermezza nel bene e nella virtù sino alla fine della sua vita. Essa imitò così la perfezione con la quale Io compii l’opera della redenzione umana, giacché dopo aver ottenuto con la mia amarissima morte il vostro riscatto, ho tuttavia ancora voluto che il mio corpo incorruttibile fosse sepolto secondo il costume consueto, per mostrare che non c’è umiliazione che Io non abbia voluto accettare per la salvezza dell’uomo».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
47 – L’amicizia del Signore
Le relazioni con le creature spesso la tediavano, come suole accadere a chiunque ama veramente il Signore e non trova che sofferenze e dolore all’infuori di Lui. Perciò spessissimo nel fervore del suo spirito, si recava all’improvviso al suo consueto luogo di preghiera e diceva: «Ecco, Signore, io non trovo che amarezza nelle creature, e solo mi compiaccio di trattenermi e di parlare con te. Mi allontano dunque da loro per occuparmi di te o mio unico bene, solo gaudio del mio cuore e dell’anima mia». Poi, baciando le cinque piaghe del Signore, ripeteva cinque volte questo versetto: «Salve, Gesù sposo dolcissimo, io ti abbraccio con l’amore di tutto l’universo deliziandomi nella tua divinità e bacio la piaga del tuo amore». A queste parole pronunciate sulle piaghe del Signore essa sentiva svanire ogni tedio e si ritrovava inondata dalla dolcezza di una tenera devozione.
Poiché ripeteva spesso questa pratica, un giorno chiese al Signore se gli fosse gradita pur essendo così breve da non richiedere che pochi momenti. Il Signore rispose: «Ogni volta che me la offrirai, Io accetterò da te questa pratica come si accetta l’ospitalità di un amico che si sforza di attestarci la sua gioia con ogni sorta di cortesie e con la sua delicata premura. Un ospite che fosse accolto così si proporrebbe certo di ricambiare la cortesia del suo amico quando venisse a sua volta a visitarlo; allo stesso modo il mio Cuore pensa con amore alle ricompense da darti nella vita eterna per l’affetto che mi ha attestato quaggiù, e che Io ti renderò centuplicato secondo la regale liberalità della mia onnipotenza, della mia sapienza e della mia bontà».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
48 – L’effetto della compunzione
La Comunità temeva assai, un giorno, l’avvicinarsi di un esercito nemico che si diceva essere fortemente armato (1). In tal contingenza fu deciso di recitare il Salterio ripetendo alla fine di ogni salmo il versetto O lux beatissima, con l’antifona: Veni Sancte Spiritus. Lo recitò dunque con devozione insieme alle sue consorelle e comprese che per questa preghiera, fatto sotto l’azione dello Spirito Santo, il Signore infondeva la compunzione in alcune anime, così che esse, dopo aver riconosciuto le loro negligenze, ne concepivano pentimento con un fermo proposito di emendarsi e di evitare per quanto possibile il peccato in avvenire.
Mentre le sue consorelle provavano questa compunzione, essa vide levarsi dai loro cuori, tocchi dallo Spirito divino, come una specie di vapore che, spandendosi per tutto il monastero e per i luoghi vicini, teneva a distanza i nemici. Più un cuore era pieno di pentimento e di buona volontà, più il vapore che da esso saliva aveva forza per respingere ogni potenza ostile.
Conobbe allora che per mezzo del timore del nemico il Signore aveva voluto attirare a Sé i cuori di quella eletta Comunità affinché, spezzati dal dolore e purificati da tutte le loro negligenze, si rifugiassero sotto la sua protezione paterna per trovarvi più abbondante il soccorso del divino conforto.
Dopo aver ricevuto questa illuminazione disse al Signore: «Perché mai, o Signore amatissimo, le rivelazioni che per tua gratuita bontà mi accordi sono così diverse da quelle che tu accordi agli altri? Per questa diversità accade infatti spesso che siano conosciute dalla gente, mentre io preferirei tenerle nascoste». Il Signore rispose: «Se una persona colta, interrogata da persone di diversi paesi rispondesse a tutte in un’unica lingua, non soddisferebbe nessuno. Se invece parla a ciascuno nella lingua che le è propria, vale a dire in latino ai latini e in greco ai greci, la sua scienza risulta tanto più grande quanto maggiore è l’abilità a rispondere nella lingua di chi l’interroga. Allo stesso modo, più la diversità con la quale comunico i miei doni è grande, più chiaramente Io manifesto l’insondabile profondità della mia sapienza. Essa risponde a ciascuno nel modo più conveniente alla sua intelligenza e rivela ciò che vuol rivelare adattandosi alla capacità di ciascun’anima. Io parlo ai semplici per mezzo di immagini e di paragoni sensibili, e a quelli la cui intelligenza è più vigorosa per mezzo di simboli più misteriosi e profondi».
(1) Pare che alluda a Re Adolfo che nel 1294 occupò la regione di Eisleben marciando contro i figli di Alberto [nota della edizione latina].
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
49 – Una preghiera gradita al Signore
Un’altra volta, nella stessa contingenza, la Comunità recitò il Salmo: Benedic anima mea Domino, aggiungendo ad ogni versetto un Oremus appropriato. Essa prese devotamente parte a questa preghiera e il Signore le apparve pieno di grazia e di bellezza: a ogni versetto recitato dalla Comunità prosternata a terra per chiedere grazia, Egli sembrava avvicinarsi a lei per farle baciare la piaga dolcissima del suo sacro costato. Essa la baciò molte volte e il Signore dava manifesti segni di gradire questo suo ossequio. Allora disse al Signore: «Signore amatissimo, poiché questa devozione ti è gradita, ti prego di insegnarmi qualche breve orazione che Tu possa accogliere con altrettanta misericordiosa degnazione da chiunque la reciti devotamente». Divinamente ispirata capì allora che il Signore avrebbe gradita, con la stessa compiacenza di una lunga preghiera la recita devota dei tre seguenti versetti, ripetuti cinque volte in onore delle sue cinque piaghe. Si doveva però baciarle ogni volta, aggiungendo qualche preghiera o colletta di propria scelta, e offrire tutto al suo dolcissimo Cuore, organo della SS. Trinità. Ecco i tre versetti: «O Gesù, salvatore del mondo, Tu a cui solo è impossibile il non aver pietà dei miseri, esaudiscici», «Tu che per la tua croce hai riscattato il mondo, o Cristo ascoltaci!, «O Gesù, sposo dolcissimo, salve! Io ti abbraccio con l’affetto del mondo intero, deliziandomi nella tua Divinità, e bacio questa piaga del tuo amore!». e ancora il Salmo 117: «Il Signore è la mia forza e la mia gloria, egli si è fatto mio Salvatore ecc.».
Un’altra volta, mentre si recitava lo stesso Salmo, essa vide che il Signore Gesù raffigurato in un Crocifisso, che si trovava in coro, lasciava sfuggire dalla sue piaghe delle fiamme ardenti che salivano verso Dio Padre per supplicarlo a favore della Comunità, attestando in tal modo il grande amore che il suo Cuore le portava.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
50 – Come il Signore si compiaceva nella sua anima
Un giorno si sentiva oppressa dalla debolezza a cagione della sua infermità. Nel momento in cui stava per comunicarsi, temendo che la sua devozione potesse risentirne, disse al Signore: «O dolcezza dell’anima mia, so bene quanto sono indegna di ricevere il Sacramento del tuo corpo e del tuo sangue santissimo, e se sapessi ove trovare qualche sollievo e consolazione, mi asterrei oggi dal riceverti nella santa Comunione. Ma poiché dall’oriente all’occidente, dal settentrione al mezzogiorno non trovo nulla che possa, all’infuori di te, sollevare le mie forze fisiche e spirituali, ecco che piena d’amore e assetata di desiderio, vengo a te che sei la sorgente viva della vita». Il Signore accolse queste espressioni con la sua solita bontà è degnò risponderle con altrettanta tenerezza: «Come affermi di non trovar piacere in alcuna creatura all’infuori di Me, così io affermo per la mai vita divina di non voler trovare il mio piacere in alcuna creatura senza di te».
Essa ripensava un giorno a questa parola così piena di bontà e diceva a se stessa che tale disposizione avrebbe forse un giorno potuto cambiare. Il Signore allora, entrando nei suoi pensieri, le disse: «Volere e potere per me sono la stessa cosa, perciò non posso far altro che ciò che voglio». Ed essa: «O Signore amabilissimo, quali delizie puoi trovare in me che sono il rifiuto della creazione?». Il Signore rispose: «L’occhio della mia Divinità si compiace indicibilmente di guardare una creatura che con tanti doni di grazia ho resa accetta al mio cuore. Il mio orecchio divino si diletta come ad una musica soave quando ascolta le tue parole, sia che tu mi preghi con amore per i peccatori o per le anime del purgatorio, sia che tu rimproveri o istruisca gli altri, sia che tu mi lodi in qualsiasi altro modo Gli uomini possono anche non ritrarne vantaggio: tuttavia per la rettitudine della tua intenzione, queste parole rendono al mio orecchio un suono delizioso che commuove le intime profondità del mio sacro Cuore. la speranza poi con la quale aspiri incessantemente a Me, esala un profumo soavissimo che Io respiro con gioia. I tuoi gemiti e i tuoi desideri, a loro volta, sono più dolci al mio palato di una vivanda squisita. Nel tuo amore infine trovo ogni più soave delizia».
In quel tempo, fu presa dal desiderio di vedersi al più presto restituire dal Signore la salute necessaria per seguire con fervore l’intera osservanza dell’Ordine. Il Signore le rispose con bontà: «Vorrebbe forse la mia sposa importunarmi se sapesse che ciò è contrario alla mia volontà?». Ed essa: «Giudichi quindi contrario dalla tua volontà questo desiderio col quale, o Signore, mi sembra di cercare unicamente la tua gloria?». «Stai dicendo una cosa puerile, rispose il Signore, e sarei spiacente se tu volessi insistere». A queste parole essa comprese che è buona cosa desiderare la salute al solo intento di servire Iddio; ma che è molto più perfetto abbandonarsi pienamente alla divina volontà, persuasa che le disposizioni della sua Provvidenza,nell’avversità come nella prosperità, sono per ciascuno di noi la cosa migliore.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
51 – I battiti del Cuore del Signore Gesù
Un giorno, vedendo le sue consorelle andare alla predica, se ne lamentò con N. Signore: «Tu sai, o mio Diletto, quanto sarei lieta di andare a sentire la predica, se non fossi trattenuta da questa malattia». E il Signore: «O mia diletta, vuoi che te la faccia io la predica?». «Ben volentieri», essa rispose. Il Signore l’attirò allora verso di sé facendole accostare il capo al proprio Cuore divino. Dopo qualche momento di riposo essa sentì il Cuore del Signore pulsare con un doppio battito mirabile e dolcissimo. Il Signore le disse: «Ciascuno di questi battiti opera la salvezza degli uomini in tre modi. Col primo battito – che opera la salvezza dei peccatori – invoco incessantemente Dio Padre, lo placo e lo induco a misericordia. Poi parlo a tutti i miei santi e dopo aver perorato davanti ad essi la causa dei peccatori li eccito a pregare per loro. Infine mi rivolgo al peccatore stesso e lo invito misericordiosamente a penitenza, aspettando poi la sua conversione con un desiderio ineffabile».
«Col secondo battito – che opera la salvezza dei giusti – invito anzitutto Dio Padre a rallegrarsi con me per il sangue che così efficacemente ho sparso per la redenzione degli eletti, nella cui anima prendo ora le mie delizie. In secondo luogo eccito la milizia celeste a celebrare l’ammirabile vita dei giusti e a ringraziarmi per tutti i benefici che ho loro concessi e che ancora concederò. Infine mi rivolgo ai giusti stessi, attestando loro il mio amore ed eccitandoli a progredire di giorno in giorno e di ora in ora nella virtù. E come il battito del cuore umano non si interrompe mai per alcuna azione che si compia, così neppure l’azione della mia Provvidenza che governa il cielo, la terra e l’universo intero, potrà mai sospendere o rallentare per un istante questo doppio battito del mio cuore».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
52 – Come offrire al Signore l’insonnia
Qualche tempo dopo le accadde di passare quasi un’intera notte senza dormire, e ne fu tanto spossata da rimanere addirittura senza forze. Offrì, com’era solita, la sua sofferenza a eterna lode di Dio e a salvezza del mondo intero. Il Signore allora compatendola con bontà, le insegnò ad invocarLo in questo modo:
«O Dio di misericordia, per la tranquilla dolcezza con la quale riposi da tutta l’eternità nel seno del Padre, per la soavissima dimora che facesti per nove mesi nel seno della Vergine, per il gaudio che provi quando prendi le tue delizie in un’anima amante, degnati ti prego, non per mia soddisfazione ma per tua eterna gloria, di accordare un po’ di riposo alle mie membra stanche perché riprendano le loro forze».
Mentre il Signore pronunciava queste parole le pareva che ciascuna di essere le servisse come di scalino per salire verso Dio. Allora il Signore le mostrò, preparato alla sua destra, un magnifico seggio e le disse: «Vieni, o mia diletta, riposa vicino al mio Cuore e vedi se il mio vigilante amore ti permetta di gustare un po’ di riposo». Essa si chinò allora sul suo Cuore divino e sentendolo battere più forte disse: «O dolcissimo Signore che tanto mi ami, che cosa vogliono dire questi battiti?». Il Signore rispose: «Vogliono dire che, quando uno, spossato dalle veglie e privo di forze mi rivolge la preghiera che ti ho ispirata, per rimettersi in grado di cantare le mie lodi (1), può anche d arsi che Io non lo esaudisca, ma se egli , abbracciando la pazienza, sopporta umilmente la sua debolezza, questo suo atto torna più gradito alla mia divina bontà delle lodi che mi voleva offrire. Un amico è pieno di riconoscenza quando vede il suo amico più intimo, ancora oppresso dal sonno, alzarsi prontamente per intrattenersi con lui e fargli piacere: quest’atto gli è certamente più gradito che se un altro dei suoi amici passasse tutta la notte vegliando, più però per abitudine che per far piacere a lui. Allo stesso modo chi mi offre pazientemente la sua debolezza quando la malattia e le veglie hanno esaurito le sue forze, mi è molto più accetto di un altro al quale la buona salute permette di passare l’intera notte in orazione senza affaticarsi».
(1) Per capire questo discorso bisogna tener presente che S. Gertrude era una monaca benedettina e le monache e i monaci ogni notte interrompevano il sonno a determinate ore notturne per andare in Coro a recitare la Liturgia delle Ore. Oggi le nuove Regole di quasi tutti gli Ordini monastici sono su questo punto meno penitenziali.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
53 – L’amorosa adesione alla volontà di Dio
Nelle sue infermità le accadeva spesso che dopo una abbondante traspirazione la febbre o salisse o scendesse. Una notte, madida di sudore, si domandava appunto con ansietà se il male sarebbe aumentato o diminuito. Il Signore le apparve nello splendore della sua bellezza, tenendo nella mano destra la salute e nella sinistra la malattia, e le pose entrambe le mani perché scegliesse ciò che preferiva. Essa però, respingendo tutte e due, si slanciò sul suo Cuore dolcissimo che è sorgente di ogni bene, non eleggendo altro che la sua santissima volontà. Il Signore allora la prese dolcemente fra le braccia e la fece riposare sul suo Cuore; ma essa pur restando fra le sue braccia, si voltò in modo da non vederlo e gli disse: «Guarda, Signor: rivolgo la mia faccia da Te per mostrarti che desidero che Tu non tenga alcun conto della mia volontà, ma che Tu compia in me, in ogni cosa, il tuo santissimo beneplacito».
Ci sia lecito far qui rilevare che un’anima fedele dovrebbe affidarsi in tal modo alla Provvidenza di Dio da compiacersi perfino di ignorare i suoi disegni onde compiere più perfettamente la divina volontà.
Il Signore fece allora sgorgare dai due lati del suo Cuore due fili d’acqua che sembravano fluire da una coppa troppo piena, per infonderli nell’anima della sua diletta. E le disse nello stesso tempo: «Io verso in te tutta la dolcezza e la delizia del mio Cuore divino, perché tu mi hai mostrato, nascondendomi il tuo volto, di rinunciare completamente alla tua propria volontà». Essa rispose: «O mio Signore dolcissimo, Tu mi hai già dato tante volte il tuo sacro Cuore: vorrei dunque sapere che frutto ritrarrò da questo nuovo dono che mi viene dalla tua generosità». «La fede cattolica – rispose il Signore – non insegna forse che chi si comunica anche una volta sola mi riceve a sua salvezza eterna e riceve insieme tutti i beni contenuti nei tesori della mia Divinità e della mia Umanità? E tuttavia, più spesso il cristiano si comunica e più cresce il grado della sua eterna beatitudine?».
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54 – Il diletto sensibile dell’anima in Dio
Molte persone l’avevano consigliata a sospendere la sua contemplazione abituale fino a che avesse recuperato la salute di prima; e poiché era solita preferire al suo il parere degli altri, cedette alle esortazioni, riservandosi però il piacere tutto esteriore di ornare le immagini della croce del Signore. Con questa specie di ricreazione intendeva di distrarsi dalla contemplazione interiore, conservando però nello stesso tempo il dolce ricordo del suo unico Diletto.
Una notte dunque stava pensando di preparare al Signore crocifisso un bel sepolcro ornato di drappi per deporvelo alla sera del venerdì, in memoria della sua Passione. Il Signore che, nella sua bontà, considera piuttosto l’intenzione che l’opera dei suoi amici, intervenne nel suo progetto e le disse: «Delectare in Domino, carissima, et dabit tibi petitiones cordis tui: Metti la tua gioia nel Signore e ti accorderà ciò che il tuo cuore desidera» (Sal 35,4). Comprese allora che quando, per piacere a Dio, cerchiamo qualche sollievo in cose consimili, il Signore prende le sue delizie nel nostro cuore come un padre di famiglia si diletta dell’abilità del menestrello che rallegra lui e i suoi convitati. È questo il «desiderio del cuore» che il Signore esaudisce in chi si diletta innocentemente nelle cose esteriori: il cuore dell’uomo infatti naturalmente desidera che Dio si compiaccia di lui.
Disse allora al Signore: «O amantissimo, e che argomento di gloria puoi ritrarre da questa soddisfazione esteriore che lusinga più i sensi che lo spirito?». Il Signore rispose: «Un avaro non rinuncerebbe certo spontaneamente all’occasione di guadagnare anche un solo denaro, così Io che ho stabilito di prendere in te le mie delizie non permetto che si perda neppur un semplice pensiero o la più piccola azione compiuta per amore mio, ma la faccio invece servire a mia gloria e a tua salvezza eterna». «Se queste piccole azioni – essa riprese – piacciono alla tua immensa bontà, quanto più le sarà allora gradito questo canto (1) che ho composto a tua gloria e con le parole dei tuoi Santi per ricordare la tua Passione!». Il Signore rispose: «Io vi trovo lo stesso diletto che uno troverebbe se fosse condotto da un amico in un giardino amenissimo, dove l’aria è imbalsamata da soavi profumi, dove l’occhio si compiace nella vaghezza dei fiori, l’udito nel suono di una dolce armonia, il gusto nel sapore dei frutti più gustosi. Ti ricompenserò certamente per le delizie che questo canto mi procura e benedirò quelli che lo ripeteranno con devozione, avanzando, per la via stretta che conduce all’eterna vita».
(1) Pare che questo canto sia andato perduto.
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55 – Languore d’amore
Poco tempo dopo, durante la settima ricaduta della sua malattia, mentre una notte pensava al Signore, Egli degnò di chinarsi su di lei e dirle con immensa tenerezza: «O mia diletta, dimmi dunque che languisci d’amore per me». «E come potrei mai, indegna come sono, presumere di dire che languisco d’amore per Te?». Il Signore riprese: «Chi spontaneamente dispone la sua volontà a soffrire per amor mio qualche pena, ben può gloriarsi e proclamare di languire d’amore per me, purché durante la prova custodisca la pazienza e diriga verso di me l’intenzione del suo cuore». Essa aggiunse: «O Signore amatissimo, e che piacere riceverà da questa mia parola?». «Questa tua parola farà le delizie della mia Divinità; onorerà la mia Umanità: i miei occhi si compiacerebbero di leggerla e le mie orecchie di udirla». E aggiunse ancora: «Chi mi protrasse questo messaggio riceverebbe una grande consolazione. La tenerezza del mio Cuore ne sarebbe così profondamente commossa, da costringermi a sanare color oche hanno il cuore spezzato per la contrizione delle loro colpe e desiderano la grazia del perdono; ad annunciare a quanti son nei ceppi, vale a dire ai peccatori, la misericordia; a concedere ai prigionieri, e cioè alle anime del Purgatorio, la redenzione».
«O Padre misericordioso – domandò dopo qualche tempo – degneresti, dopo questa settima ricaduta, restituirmi la salute?». Il Signore rispose: «Se quando ti sei ammalata Io ti avrei detto che dovevi ricadere sette volte, forse, per umana debolezza, avresti provato qualche timore e saresti caduta nell’impazienza. Allo stesso modo se ti promettessi oggi che questa ricaduta sarà l’ultima, la speranza con cui ti attaccheresti a tale promessa, diminuirebbe il tuo merito. Perciò la mia paterna provvidenza, unita alla mia infinita sapienza, ha disposto di lasciarti ignorare sempre e l’una e l’altra cosa per obbligarti ad aspirare sempre a Me con tutto il tuo cuore, ad abbandonarti a Me in tutte le tue pene esterne ed interne con piena fiducia, sicura che prendo cura di te e che non ti imporrò mai alcuna pena che tu non possa sopportare, ben conoscendo la limitata misura della tua pazienza. Comprenderai meglio queste parole se rifletterai che dopo la prima malattia ti sentivi molto più debole di quanto non ti senta ora dopo la settima. La ragione umana giudicherebbe ciò un controsenso, e tuttavia la cosa è possibile alla mia onnipotenza divina».
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56 – Indifferenza per la vita o per la morte
Una volta, mentre stava attestando in molti modi al Signore la sua tenerezza, gli chiese donde provenisse che, nonostante il perdurare della sua malattia, non avesse mai desiderato di sapere se sarebbe finita con la guarigione o con la morte e perché le fosse indifferente vivere o morire. Il Signore le rispose: «Quando lo sposo conduce la sposa in un’aiuola di rose per cogliervi dei fiori ed intrecciare una ghirlanda, la sposa prende tale diletto nella conversazione dello sposo che non pensa affatto quale rosa Egli stia per cogliere. Quando sono giunti all’aiuola, essa prende semplicemente, senza riflettere, qualunque fiore il suo sposo le presenti per intrecciarlo nella ghirlanda. Allo stesso modo l’anima fedele che mette il suo gaudio supremo nel compimento della mia volontà, si diletta in essa come in un’aiuola di rose ed accetta con indifferenza che Io le restituisca la salute o la richiami dalla vita presente, perché con piena fiducia si abbandona alla mia paterna volontà».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
57 – La rabbia del diavolo per un’innocente piacere
Una notte, immersa nella consolazione per le molte grazie che il Signore le aveva concesse visitandola, e affaticata insieme per la tensione spirituale, si trovò in uno stato di estrema debolezza. Prese allora un grappolo d’uva nell’intento di ristorare un po’ il Signore in se stessa. Il Signore lo accettò con grande riconoscenza e disse: «Ecco, questo mi compensa dell’amarezza con cui fui abbeverato sulla croce per amor tuo, poiché gusto in questo momento nel tuo cuore una ineffabile dolcezza. Più tu consideri soltanto la mia gloria quando concedi un sollievo al tuo corpo, e più dolce è il ristoro che Io provo nella tua anima».
Quando poi essa gettò per terra le bucce e i semi dell’uva che aveva raccolto nella mano, satana, il nemico di ogni bene, si presentò e si dispose con zelo a raccoglierli a prova della colpa dell’inferma che, contro la sua Regola, aveva mangiato prima di Mattutino. Ma appena ebbe toccato con due dita una delle bucce, immediatamente scottato come da un fuoco intollerabile, si precipitò fuori della stanza con urla terribili, ponendo tuttavia la massima cura a non posare i piedi sulla minima di quelle bucce, il cui contatto gli cagionava così intollerabile supplizio.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
58 – L’utilità dei nostri difetti
Un’altra notte, facendo l’esame di coscienza, scoprì in sé il difetto di ripetere spesso: «Dio lo sa!» per semplice abitudine e senza riflettervi. Si rimproverò questa imperfezione e pregò il Signore di correggerla e di concederle la grazia di non pronunziare mai invano il suo nome. Il Signore le rispose con bontà: «E perché vorresti privarmi dell’onore che me ne viene, e privare te stessa della ricompensa che ti assicuri quando, riconoscendo questo o qualsiasi altro difetto, fai il proposito di evitarlo? Ogni volta che un’anima si sforza di vincere per amor mio le sue cattive inclinazioni, essa mi procura tanto onore quanto quando, durante il combattimento, resiste coraggiosamente al nemico per vincerlo e sconfiggerlo col vigore del suo braccio».
Le sembrò poi di riposare dolcemente sul Cuore del Signore e di dirgli, riconoscendo la sua profonda indegnità: «Ecco, Signore amatissimo, ti offro il mio povero cuore perché Tu prenda le tue delizie nei suoi affetti e nei suoi desideri, secondo la pienezza del tuo beneplacito». Il Signore rispose: «Mi riesce più accetto il tuo povero cuore offerto con tanto amore, di un cuore pieno di vigore e di forza: allo stesso modo che un animale del bosco preso alla caccia riesce più accetto di un animale domestico, poiché le sue carni son più tenere e più saporite».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
59 – Un sollievo preso per amore del Signore
Le sue infermità le impedivano di prendere parte all’Ufficio Divino in Coro, ma andava sovente ad ascoltare la recitazione per impiegare almeno così le sue forze al servizio di Dio. non le pareva però di portarvi tutta la devozione che avrebbe desiderato, e se ne lamentava spesso col Signore tutta scoraggiata: «O amabilissimo Signore – essa diceva – che ossequio ti posso rendere standomene qui seduta con tanta negligenza, senza far niente, per pronunciare soltanto una o due parole o qualche nota del canto?». Un giorno finalmente il Signore le rispose: «Non proveresti tu un grande piacere se un amico ti offrisse di tanto in tanto una sorsata di eccellente idromele capace di ridarti le forze? Ebbene, ogni parola ed ogni nota da te cantata a mia lode fa provare a me una consolazione anche maggiore».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
60 – Mistico rinnovamento
Un giorno, facendo l’esame di coscienza, scoprì nel suo cuore una colpa di cui avrebbe voluto confessarsi. Ma non potendo avere i l confessore a sua disposizione, si rifugiò come al solito presso il suo unico consolatore, il Signore Gesù Cristo, lamentandosi di questo impedimento. Il Signore le rispose: «E perché ti turbi, o mia diletta? Ogni volta che lo desideri, Io che sono il sommo Sacerdote e il vero Pontefice, s arò a tua disposizione per rinnovare nella tua anima, in una sola volta, la grazia di tutti e sette i Sacramenti, e te li amministrerò meglio di quanto alcun Sacerdote o Pontefice possa fare amministrandoteli uno dopo l’altro. Ti battezzerò nel mio Sangue prezioso; ti confermerò nella fede del mio amore; ti consacrerò nella perfezione della mia vita santissima, spezzerò le catene dei tuoi peccati nella pietà della mia misericordia, e nell’eccesso della mia carità ti ciberò di Me stesso, facendoti a mia volta tutta mia. Poi con la dolcezza del mio Spirito ti penetrerò internamente di un’unzione così efficace che la dolcezza della devozione sembrerà stillare, per così dire, da tutti i tuoi sensi e da tutte le tue azioni, e tu sarai sempre più santificata e resa capace della vita eterna».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
61 – Gli effetti della carità
In un’altra occasione, benché si sentisse molto debole, si alzò tuttavia per recitare il Mattutino. Quando aveva già finito il primo Notturno, sopraggiunse un’altra inferma ed essa ebbe la carità di ricominciare con lei la recita dell’Ufficio con grande fatica. Alla Messa, mentre era devotamente intenta al Signore, vide la propria anima ornata di gemme preziose che mandavano vividi bagliore. Divinamente ispirata. Comprese di aver meritato questo dono per la carità con la quale aveva umilmente ricominciato con la sua consorella la recita di Mattutino. E notò che tante erano le gemme quante erano le parole che aveva rilette con lei.
Si ricordò poi di alcune negligenze che non aveva ancora confessato in mancanza del confessore e se ne lamentò col Signore. Il Signore rispose: «E perché preoccuparti di queste negligenze, dal momento che sei gloriosamente rivestita della veste della carità, che copre una moltitudine di peccati! (1Pt 4,8)». Essa riprese: «E come posso consolarmi col pensiero che la carità copre le mie colpe dal momento che me ne vedo ancora tutta macchiata?». E il Signore: «La carità non soltanto copre i peccati, ma, come l’ardore del sole, consuma ed annienta tutte le colpe veniali e inoltre colma l’anima di meriti».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
62 – Il suo zelo per l’osservanza religiosa
Un giorno vide che una consorella trascurava alcune osservanze regolari ed ebbe timore di incorrere in qualche mancanza se non avesse ripreso la colpa che aveva rilevato. Per un certo rispetto umano temeva però nello stesso tempo il giudizio delle consorelle meno rigorose nell’osservanza, che l’avrebbero forse trovata troppo esigente per delle piccole mancanze alla Regola. Come al solito, essa offrì al Signore a su eterna gloria le piccole noie che gliene sarebbero venute. Il Signore mostrò di gradire assai la sua offerta e disse: «Ogni volta che riceverai questo o altro rimprovero per amor mio, Io ti fortificherò e ti circonderò da ogni parte come una città munita di trincee, affinché nessuna preoccupazione possa distrarti e separarti da Me. Aggiungerò inoltre ai tuoi meriti quelli che ciascuna delle tue consorelle avrebbe acquistato se, a mia gloria, si fosse sottomessa umilmente alla tua ammonizione».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
63 – La fedeltà del Signore
Le ingiurie che vi vengono inflitte da un amico sono più penose a sopportare di quelle di un nemico, come dice la Scrittura: «Quoniam si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem, utique…: se il mio nemico mi avesse maledetto, l’avrei sopportato, ma…» (Sal 54,13). Essa aveva provato una certa pena venendo a sapere che una persona, della cui anima si era occupata con molto zelo e fedeltà, non solo non rispondeva alle sue cure, ma si sforzava anche, quasi per disprezzo, di fare il contrario di ciò che le suggeriva. Tutta turbata, si rifugiò nel Signore che benevolmente la consolò: «Non rattristarti, figliuola: lo permetto per la tua santificazione. Poiché trovo delle grandi delizie nel trattenermi con te e nel dimorare nell’anima tua, desidero gustare più spesso che sia possibile questa consolazione. Una mamma che ama teneramente il suo piccino vuol sempre vederlo presso di sé; e se egli vuol giocare coi suoi compagni, la mamma mette nelle vicinanze qualche spauracchio e il piccino, spaventato a quella vista, corre subito a rifugiarsi nelle braccia materne. Anch’Io desidero che tu stia sempre con me, e per questo permetto che i tuoi amici ti siano causa di qualche pena: tu allora, non trovando piena soddisfazione in alcuna creatura, corri verso di Me con più ardore, certa di trovare nel mio Cuore una perfetta fedeltà e abbondanza di ogni letizia».
Il Signore la strinse allora a Sé come un piccolo bambino, consolandola in tutti i modi, poi, chinandosi al suo orecchio, mormorò: «Come una mamma cerca di consolare con le carezze la pena del suo bambino, così Io voglio, con dolci parole di affetto, calmare la tua pena e il tuo dispiacere». Dopo che essa ebbe gustato per un momento, accanto al Signore, la dolcezza immensa delle consolazioni divine, Egli le presentò il suo Cuore e le disse: «Considera, o mia diletta, le nascoste profondità di questo Cuore; considera con quanta fedeltà ho riposto in esso tutte le azioni che tu hai fatto per piacere a Me e quanto le abbia arricchite di merito per il maggior profitto dell’anima tua E considera infine se puoi rimproverarmi di averti mai mancato di fedeltà anche con una sola parola». Dopo di ciò vide che il Signore le intrecciava una corona di fiori d’oro di mirabile splendore a compenso della pena che aveva sofferto.
Si ricordò allora di alcune persone che sapeva essere oppresse da gravissime prove, e disse al Signore: «O Padre misericordiosissimo, quanto più belle dovrebbero essere le ricompense e quanto più preziosi i doni che la tua liberalità accorda a queste persone! Esse sopportano pene gravissime e non hanno il sollievo di quelle consolazioni che io, pur così indegna, tanto spesso ricevo! E devo riconoscere per giunta di non soffrire con la dovuta pazienza le diverse contrarietà della vita». Il Signore rispose: «In questo, come in tutte le altre circostanze, ti rivelo la delicatezza del mio amore per te: una madre che ama il suo piccino vorrebbe rivestirlo d’oro e d’argento, ma poiché egli non potrebbe sopportarne il peso, lo adorna invece di fiori che fanno risaltare la sua bellezza senza opprimerlo. Allo stesso modo Io addolcisco le tue pene perché tu non soccomba sotto il loro peso, senza privarti tuttavia del merito della pazienza».
Prese allora a considerare la profondità della misericordia divina verso di lei, e, penetrata di riconoscenza, proruppe in devotissime lodi. Comprese che la corona di fiori leggeri e splendenti donati alla sua anima in ricompensa della pena sofferta, prendeva in qualche modo una certa consistenza quando la gratitudine la spingeva a cantare le lodi di Dio in mezzo alle avversità. E comprese da ciò che la grazia di lodare il Signore nell’afflizione compensa la minor gravità della pena, nella proporzione in cui un vaso di oro puro oltrepasserebbe il valore di un vaso d’argento solamente dorato all’esterno.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
64 – Il merito della buona volontà
Erano giunti i messi di un potente signore che venivano a domandare ad alcune religiose della Comunità per la fondazione (1) di un altro monastero. Quando essa lo seppe, piena di zelo com’era e sempre pronta a compiere il beneplacito di Dio, benché priva di forze fisiche si prosternò tuttavia con gran fervore davanti al Crocifisso, e si offrì tutta a Dio perché volesse disporre della sua anima e del suo corpo per la sua maggior gloria. Il Signore fu tanto commosso da questa offerta che, a mostrare la sua gioia e il suo amore, staccò un braccio dalla croce per abbracciarla teneramente: e ciò con la stessa gioia con cui un malato ormai privo di speranza si rallegrerebbe alla vista di un rimedio che può rendergli la salute. Stringendola dunque amorosamente contro la ferita adorabile del suo Costato, le disse: «Sii la benvenuta, o mia diletta, tu che lenisci le mie piaghe e addolcisci soavemente ogni mia sofferenza».
Capì da queste parole che l’offerta totale della propria volontà al compimento del beneplacito divino, nonostante le pene che esso comporta, è per il Signore come un dolce lenimento applicato alle sue piaghe durane la Passione.
Al momento poi dell’orazione cominciò a pensare a diverse cose che avrebbero potuto promuovere e sostenere la gloria di Dio e la diffusione della religione, se le fosse toccato di dover partire. Ma ben presto, rientrando in se stessa, si rimproverò di perdere il tempo in fantasticherie inutili che non avrebbero mai potuto avere compimento, poiché la sua salute doveva farle pensare piuttosto alla morte che alla possibilità della partenza. In ogni caso, se avesse dovuto partire avrebbe avuto sempre il tempo di pensare a disporre ogni cosa. Il Signore Gesù le si manifestò allora quasi in mezzo alla sua propria anima, con grande gloria e circondato da rose e da gigli magnifici. «Guarda, le disse, quanta gloria Io ricevo dalle buone disposizioni della tua volontà: è come se tu mi circondassi di splendide stelle e di candelabri d’oro: così Giovanni nell’Apocalisse vide il Figlio dell’Uomo circondato da candelabri d’oro con sette stelle nella mano destra. Gli altri pensieri che ti son venuti in mente, mi hanno d’altra parte procurato un piacere e una dolcezza paragonabile a quelle che proverei in mezzo a rose e a gigli freschissimi».
Essa disse allora: «O Dio del mio cuore, e perché riempi la mia mente di volontà così diverse destinate a restare senza alcun effetto? Pochi giorni fa mi hai indotta a desiderare di ricevere l’Estrema Unzione: e mentre ero occupata in questo pensiero mi hai colmata di gioia e di consolazione. Ora, al contrario, mi dai il desiderio di fondare un monastero in un altro luogo, mentre non ho neppure la forza per compiere qui i doveri del mio stato». Il Signore le rispose: «Ti ho detto, al principio di questo libro (2), che ho disposto di far di te una luce per tutte le genti, vale a dire per illuminare moltissime anime: bisogna dunque che nel tuo libro tutti trovino quanto è necessario per loro ammaestramento e consolazione. Molto spesso gli amici prendono a piacere a parlare insieme di cose che poi in realtà non si realizzeranno: un amico propone anche all’altro cose difficili per provare la sua fedeltà, e per rallegrarsi nello stesso tempo con la testimonianza del suo affetto. Allo stesso modo Io mi compiaccio di proporre ai miei eletti delle difficoltà che poi in realtà non incontreranno, al fine di provare la loro fedeltà e il loro amore. Li compenso allora con un cumulo di meriti che non avrebbero mai potuto acquistare altrimenti, perché considero come compiuti i desideri della loro buona volontà. Ho eccitato nella tua anima il desiderio della morte e per conseguenza quello dell’Estrema Unzione: e la devota preparazione che hai allora fatta con desideri e pie pratiche è nascosta nel mio sacro Cuore e servirà alla tua eterna salvezza. Rifletti a questa parola: «Justus, si morte præoccupatus fuerit, in refrigerio erit: il giusto, quand’anche la morte lo visitasse prematuramente, troverà riposo» (Sap 4,7). Così, se tu sarai sorpresa da morte improvvisa e non potessi ricevere i Sacramenti, o ancora se ricevendoli tu non avessi più la conoscenza (ciò accade spesso ad anime anche molto sante), non ne proveresti alcun detrimento. Infatti le opere che hai compiuto altre volte per prepararti alla morte, in virtù della mia cooperazione continueranno a crescere, a fiorire e a produrre per te frutti di salvezza nella incorruttibile primavera della mia eternità».
(1) Questa fondazione non può essere quella di Hefta fatta da Rodarsdof nel 1253, poiché S. Gertrude a quel tempo non era ancora nata. La richiesta delal fondazione a cui si allude qui deve essere stata presentata dopo il suo 25° anno; ma non se ne trova menzione altrove e non sappiamo se sia stata accolta (Nota dell’edizione latina)
(2) Allude al Prologo, e ciò è una prova che fa parte del libro stesso e che non può esser soppresso dall’Editore. Le parole mostrano anche che il Signore si considera come primo Autore del libro (Nota dell’edizione latina).
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
65 – Come viene esaudita la preghiera fatta in spirito di carità
Un giorno, pregata da una certa persona, essa stava offrendo a Dio per il di lei bene tutto ciò che la divina bontà aveva gratuitamente operato nell’anima sua. All’improvviso detta persona le apparve in piedi davanti al Signore. Egli era seduto sul suo trono di gloria e teneva sul petto una veste mirabilmente ricamata che offrì a quest’anima senza tuttavia rivestirla. Gertrude, molto stupita disse al Signore: «Qualche giorno fa, quando ti feci un’offerta simili in favore di una poveretta, tu subito la innalzasti al gaudio sublime del paradiso. Perché ora, o Signore misericordiosissimo, per il merito delle grazie che mi hai accordate, no n rivesti anche questa persona dell’abito che le mostri e che essa desidera con tanto ardore?». Il Signore le rispose: «Quando per carità mi si offre qualcosa in favore delle anime del purgatorio, Io l’applico subito ad esse concedendo loro la remissione delle colpe, il sollievo della pena e l’aumento della beatitudine secondo l ostato o il merito di ciascuna. Ho infatti pietà dell’abbandono di queste povere anime perché so che non possono in alcun modo aiutarsi da sé, e la mia bontà mi inclina sempre alla misericordia e al perdono. Quando invece mi si offre qualche cosa per i vivi, io lo conservo, sì, per la loro salvezza, ma poiché possono ancora accrescere i loro meriti con opere di giustizia, coi loro buoni desideri e la loro buona volontà, conviene che essi acquistino anche col loro proprio sforzo ciò che desiderano ottenere per i meriti altrui. Pertanto, se la persona per la quale tu preghi desidera aver parte nei meriti che Io ti ho concesso, bisogna che essa si applichi spiritualmente a tre cose: deve anzitutto inchinarsi con umiltà e riconoscenza per ricevere questa veste: deve cioè confessare di aver bisogno dei meriti altrui e rendermi devotamente grazie di aver supplito alla sua indigenza con l’altrui abbondanza. Deve poi prendere questa veste con la sicura speranza di conseguire per questo mezzo un gran beneficio per la salvezza della sua anima. Deve, infine, rivestirsene esercitandosi nella carità e nelle altre virtù.
Chiunque desidera partecipare alle grazie e ai meriti altrui deve comportarsi in questo modo, e potrà allora conseguire grande vantaggio».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
66 – Una preghiera da essa rivolta al Signore e da Lui gradita
Un po’ prima di una certa Quaresima, al tempo in cui dovette subire un piccolo salasso, le accadde di avere spesso sulle labbra queste parole: «O altissimo Re dei re, o potentissimo Signore», e altre del genere. Una mattina, mentre stava tutta raccolta nell’oratorio, disse al Signore: «O Signore amatissimo, e che cosa vogliono dire queste parole che mi ricorrono così spesso alla mente e sulle labbra?». Il Signore le fece vedere una collana d’oro composta di quattro file di perle che Egli teneva in mano. Essa non comprendeva che cosa volessero significare le quattro parti della collana, ma capì per rivelazione che la prima significava la divinità di Cristo, la seconda l’anima di Cristo, la terza l’anima fedele che Egli ha sposato versando il suo prezioso Sangue, e la quarta infine l’immacolato corpo del Signore. Notò ancora che in questo gioiello l’anima fedele si trovava fra l’anima e il corpo di Cristo, per indicare il vincolo indissolubile d’amore col quale il Signore la unirà al proprio corpo e alla propria anima. Ed ecco che all’improvviso fu rapita in spirito e disse:
«O vita della mia anima, possano gli affetti del mio cuore accesi dalla fiamma del tuo amore unirmi intimamente a Te! Possa la mia anima essere come morta riguardo a tutto ciò che potrebbe cercare all’infuori di Te! Tu sei lo splendore di tutti i colori, la dolcezza di tutti i sapori, la fragranza di tutti i profumi, l’incanto di tutte le melodie, la tenerezza dolcissima dei più intimi amplessi.
«In te si trova ogni delizia, da Te scaturiscono acque copiose di vita, a Te attira un fascino dolcissimo, per Te l’anima si riempie degli affetti più santi.
«Tu sei l’abisso straripante della Divinità, o Re, nobilissimo fra tutti i re, o Sovrano eccelso, o Principe chiarissimo, o Signore mitissimo, o Protettore potentissimo!
«O Gemma nobilissima di vivificante umanità! O Creatore di tutte le meraviglie, o Maestro dolcissimo, o Consigliere sapientissimo, o Soccorritore benignissimo, o Amico fedelissimo!
«Tu unisci in Te tutti gli incanti di un’intima dolcezza. Tu accarezzi con soavità, ami con dolcezza, prediligi con ardore, o Sposo dolcissimo castamente geloso!
«Tu sei un fiore primaverile di pura bellezza, o Fratello mio amabilissiimo, pieno di grazia di forza, o Compagno giocondissimo, Ospite liberale e generosissimo!
«Io ti preferisco ad ogni creatura, per Te rinuncio ad ogni piacere, per Te sopporto ogni avversità, non cercando in ogni cosa che la tua lode.
«Col cuore e con la bocca confesso che sei il Principio di ogni bene. Nella virtù del tuo amore unisco la mia preghiera alla tua preghiera efficace affinché, dopo aver soffocato in me ogni moto ribelle, io sia condotta alla cima della più alta perfezione in una completa unione con Dio».
Ognuna di queste invocazioni sembrava una gemma incastonata in quell’aureo monile.
La domenica seguente, mentre assisteva alla Messa e si preparava a comunicarsi recitando questa preghiera con molta devozione, vide che il Signore sembrava compiacersene assai: «O Signore amatissimo, dal momento che gradisci, voglio consigliare anche ad altre presone di rivolgersi a Te con questa preghiera, offrendotela come un prezioso gioiello». Il Signore rispose: «Nessuno può regalarmi ciò che è mio; ma chiunque reciterà devotamente questa preghiera otterrà la grazia di conoscermi meglio. Egli attirerà nella sua anima, in virtù di queste aspirazioni, lo splendore della mia divinità, così come raccoglie la luce del sole chi tiene esposta ai suoi raggi una lamina d’oro».
Essa provò ben presto l’efficacia di questa preghiera poiché, dopo aver finito di recitare la detta preghiera, al sua anima le apparve come tutta raggiante di luce e gustò come non mai la dolcezza della conoscenza divina.
Crediamo bene aggiungere qui [nei prossimi capitoli] alcune fra le cose più utili che il Signore le rivelò mentre pregava per altre persone.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
67 – I fiumi di grazia che il Signore concesse per sua intercessione
Il Signore le apparve una volta e le chiese il suo cuore dicendo: «O mia diletta, dammi il tuo cuore». Essa glielo offrì con gioia e le sembrò che il Signore lo applicasse su suo Cuore divino per servirsene come di tramite onde effondere con abbondanza sugli uomini le sue incontenibili misericordie. Le disse infatti: «Ecco: mi compiacerò d’ora innanzi di servirmi del tuo cuore come di un canale per spandere i torrenti di consolazione che sgorgano dal mio cuore dolcissimo su tutti quelli che si disporranno a riceverla, vale a dire su tutti coloro che ricorreranno a te con fiducia e umiltà». Vedremo in seguito qualcuno dei mirabili effetti di queste parole.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
68 – Come umiliarsi nelle prove
Pregava un giorno per alcune persone che, dopo aver depredato il monastero, continuavano a gravarlo con la loro prepotenza. Il Signore, sempre buono e misericordioso, degnò di apparirle: sembrava aver male ad un braccio. Questo era infatti tutto ripiegato all’indietro, tanto da parere completamente slogato. Il Signore le disse: «Pensa che acerbo dolore mi causerebbe chi mi colpisse con un pugno su questo braccio; questo appunto è il dolore che mi causano coloro che, poco preoccupati del pericolo di eterna dannazione che corrono i vostri persecutori, pubblicano i loro torti e le ingiurie di cui siete vittime, non pensando che anche essi sono annoverati fra le mie membra. Quanti invece, presi da compassione, implorano la mia clemenza perché misericordiosamente li attiri a miglior vita, si comportano come chi applicasse su questo braccio un unguento soavissimo. Coloro poi che coi loro consigli e le loro esortazioni li inducono caritatevolmente ad emendarsi e a riconciliarsi con Me, sono come degli abili medici che maneggiando il mio braccio con delicatezza lo rimettono a posto».
Essa fu presa da ammirazione per l’ineffabile bontà del Signore e disse: «O Dio misericordiosissimo, e che motivo ti induce a chiamare braccio tuo delle persone così indegne?». Il Signore rispose: «Esse appartengono al corpo della Chiesa di cui mi glorio di esser il Capo». «Ma, Signore . essa riprese – sono però separati a motivo delle vessazioni esercitate a danno del nostro monastero» (1). Il Signore riprese: «Essi possono sempre venir riconciliati con la Chiesa per mezzo di una assoluzione, perciò la mia bontà mi obbliga a curarmi di loro e a desiderare con indicibile desiderio che si pentano e ritornino a me».
Essa pregò poi il Signore di difendere la sua Comunità dalle loro insidie, prendendola sotto la sua paterna protezione: «Se vi umiliate sotto la mia mano onnipotente, riconoscendo con tutto il cuore che avete meritato questo castigo a motivo delle vostre negligenze, la mia paterna misericordia vi preserverà da ogni invasione nemica. Se invece per superbia vi adirate contro i vostri persecutori, desiderando ed ingiuriando loro male per male, allora per un giusto decreto della mia giustizia essi prevarranno contro di voi e vi causeranno ulteriori danni».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
69 – Come accettare la fatica del lavoro manuale
La Comunità si trovava una volta gravata da un ingente debito ed essa pregava devotamente il Signore che, nella sua bontà, degnasse concedere agli amministratori del monastero i mezzi per estinguerlo,. Il Signore le disse con dolcezza: «E che vantaggio me ne verrà se li aiuterò?». Ed essa: «Che noi potremo darci con più zelo e devozione alla preghiera». Il Signore riprese. «E che frutto ne ritrarrò? Io non ho bisogno dei vostri beni! (Sal 15,2). E mi è indifferente vedervi applicate agli esercizi spirituali o date ai lavori esterni, purché la vostra volontà sia liberamente a Me rivolta. Se Io prendessi il mio piacere che nei vostri esercizi spirituali, avrei certamente riformato la natura umana dopo la caduta originaria in modo che non avesse più bisogno né di nutrimento, né di vestito, né delle altre cose che l’uomo cerca di acquistare con la sua industria perché necessarie alla vita. Come un grande del secolo non si contenta di avere nel suo palazzo delle damigelle d’onore belle e ben vestite, ma vi stabilisce anche dei duci e altri ufficiali addetti ai diversi servizi, sempre pronti nelle varie parti del palazzo ad eseguire i suoi ordini, così Io non cerco esclusivamente le mie delizie nell’esercizio interiore della contemplazione, ma tutte le svariate ed utili occupazioni che hanno per fine il mio onore e la mia gloria mi inducono a dimorare tra i figliuoli degli uomini e a prendervi il mio diletto. In tutte queste occupazioni infatti gli uomini trovano più facilmente l’occasione di esercitare la carità, la pazienza, l’umiltà e tutte le altre virtù.
Essa vide in seguito l’amministratore principale del monastero stare davanti al Signore. Sembrava appoggiarsi sul lato sinistro e ogni tanto con grande sforzo si drizzava per porgere al Signore con la mano sinistra su cui prima stava appoggiato, una moneta d’oro in cui era incastonata una gemma preziosa. Il Signore si rivolse allora a lei: «Vedi, se Io vi sollevassi ora dal peso di questo debito, mi priveresti della preziosissima gemma incastonata in questa moneta, e priverei anche lui della ricompensa che gli ho preparata, perché in tal caso egli mi offrirebbe semplicemente moneta d’oro senza alcuna pietra preziosa. Mi presenta infatti una semplice moneta d’oro colui che, senza soffrire alcuna avversità, si sforza di fare in tutte le sue azioni la volontà di Dio; ma colui che è provato nell’opera sua e rimane tuttavia unito alla mia divina volontà, offre a Dio una moneta d’oro impreziosita da una ricchissima gemma».
Gertrude tuttavia non si diede per vinta, ma con maggior insistenza pregò il Signore di venire in soccorso degli amministratori del monastero. «Perché mai – le rispose – ti sembra cosa dura che uno sopporti qualche cosa per amor mio, dal momento che Io sono quel vero amico la cui fedeltà non vien mai meno col tempo? Quando una persona è priva di ogni umano soccorso e consolazione ed è ridotta alla miseria, ispira certamente una grande pena a chi una volta abbia da lei ricevuto attestazioni di bontà che ora non può ricompensare. Ma Io che sono il solo Amico vero, Io accorro sempre verso un’anima desolata e le presento i freschi fiori di tutte le buone opere che ha praticato durante la vita, in parole, pensieri ed azioni. Questi fiori sono sparsi sulla mia veste come fossero rose e gigli. Per la virtù della mia divina presenza, quest’anima sembra rinascere allora alla speranza della vita eterna, ove si vede invitata a ricevere la ricompensa delle sue opere buone. Il gaudio che ne prova la dispone a gustare la gioia dell’eterna beatitudine nel giorno in cui si spezzeranno per lei le catene delal carne. Così essa può esclamare nell’impeto del suo gaudio: «Ecce odor dilecti mei, sicut odor agri pleni: ecco: il profumo del mio Diletto è come il profumo di un campo di ricco di messi» (cf Gen 27,27). Infatti, come il corpo è formato dalla compagine di diverse membra, così si trovano nell’anima diversi affetti che sono il timore, il dolore, il gaudio, l’amore, la speranza, l’odio e il pudore. Quanto più l’uomo si sarà servito dei suoi affetti per accrescere la mia gloria, tanto più troverà in Me quell’ineffabile gioia, quel diletto tranquillo che dispongono l’anima a gustare l’eterna beatitudine. Al momento della resurrezione, quando il suo corpo mortale si rivestirà di incorruttibilità, allora le singole membra riceveranno un premio speciale per le opere che avranno compiute e per le fatiche che avranno sostenute a mia gloria e per mio amore. Ma l’anima otterrà una ricompensa incomparabilmente più sublime sia per la compunzione e l’amore che avrà provato, sia anche per la vita che avrà dato al corpo».
Tuttavia Gertrude, sempre presa da compassione per questo fedele amministratore del monastero, ricominciò a pregare ardentemente il Signore affinché lo ricompensasse delle sue fatiche e delle sue pene. Il Signore le rispose: «Il suo corpo, in quanto si affatica per me in questi affari, mi è come uno scrigno nel quale depongo tante monete d’oro quanti sono i passi che fa per assolvere il suo compito a mia gloria. Il suo cuore è un cofanetto ove depongo con gioia una dramma d’oro tutte le volte che per amor mio egli pensa a provvedere ai bisogni dei suoi amministratori».
«O Signore – essa disse allora tutta stupita – quest’uomo però non mi pare tanto perfetto da voler intraprendere ogni sua azione soltanto per tua gloria. Mi pare che molto spesso anche altri motivi lo spingano, come ad esempio il desiderio del guadagno e del benessere che ne risulta. Come puoi allora, o Dio di purissima dolcezza, prendere le tue delizie, come asserisci, così nella sua anima come nel suo corpo?».
Il Signore degnò risponderle: «La sua volontà è talmente subordinata alla mia, che Io sono sempre la causa principale di tutti i suoi atti, per la qual cosa egli ricava un inestimabile frutto con ogni suo pensiero, ogni sua parola e ogni opera sua. Se si applicasse tuttavia con maggior purezza di intenzione alle singole imprese, le sue opere acquisterebbero tanto maggior merito quanto maggior è il valore dell’oro rispetto a quello dell’argento. Se infine avesse cura di dirigere a Me ogni sua preoccupazione ed ogni sua sollecitudine con una purezza ancora maggiore, esse ne sarebbero di tanto più nobilitate quanto l’oro puro e senza lega è più prezioso dell’oro impuro che col tempo si oscura».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
70 – Il merito della pazienza
Accadde una volta che una persona, durante il lavoro, si ferì provandone una grande sofferenza. Essa, compatendola, chiesa al Signore di salvarle questo membro, ferito in un lavoro comandato dall’obbedienza. Il Signore rispose con bontà: «Il membro non corre alcun pericolo e questa persona inoltre, per la grande sofferenza che ha incontrato, acquisterà un premio grandissimo e tutte le sue altre membra che si son sforzate di sollevare il membro ferito otterranno un’eterna ricompensa. Se si immerge una stoffa in un bagno di zafferano, qualsiasi altro oggetto che cada in questo stesso bagno si tinge dello stesso colore; parimenti quando un membro soffre, tutte le altre membra che lo soccorrono ricevono con lui la stessa ricompensa».
«O Signore – disse allora – come mai le membra che si aiutano vicendevolmente otterranno una sì grande ricompensa, dal momento che non agiscono perché la persona ferita soffra con pazienza e amore, ma soltanto al fine di attenuare la sua sofferenza?». Il Signore le diede questa risposta consolante: «La sofferenza che nessun rimedio umano riesce ad addolcire e che l’uomo sopporta per amor mio, viene santificata per quella parola che ho detta al Padre nel momento supremo della mia agonia: «Pater, si fieri potest, transeat a me calicis iste: Padre, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26,39). Ripetendo questa parola l’uomo acquista un grande merito e un incomparabile premio».
Essa insistette: «Non ti è forse più gradito, o mio Dio, che l’uomo soffra con pazienza tutto ciò che accade, piuttosto che soffrire con pazienza soltanto ciò a cui nessun modo può sfuggire?». Il Signore rispose: «Questo è nascosto nell’abisso dei miei giudizi divini e oltrepassa l’intelligenza umana. Tuttavia, per parlare il linguaggio dell’uomo, ti dirò che fra queste due sofferenze passa la differenza che c’è fra due colori dei quali è difficile giudicare qual sia da preferire». Essa desiderò allora che queste parole, riferite alla persona colpita dall’infortunio suddetto, le portassero grande consolazione. E il Signore: «No. Sappi però che per una segreta disposizione della mia infinita sapienza ti do questo rifiuto perché la sua anima sia più provata, e consegua maggior eccellenza nella virtù della pazienza, della fede e dell’umiltà. Nella pazienza: perché se essa trovasse in queste parole la consolazione che tu senti, la sua sofferenza sarebbe del tutto alleviata e il merito della sua pazienza diminuirebbe. Nella fede: affinché creda più fermamente alla parola altrui che a quanto sperimenta essa stessa, poiché, è S. Gregorio che ve lo ricorda, non ha merito la fede quando l’esperienza umana le offre il suo soccorso. Nell’umiltà infine: affinché creda che altri può sapere per ispirazione divina ciò che essa non merita conoscere».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
71 – Riconoscimento dei benefici
Un giorno, presa da compassione per una persona che aveva proferito delle parole impazienti contro Dio, mentre pregava domandò al Signore perché le mandasse delle pene che non erano fatte per lei. Il Signore le disse: «Domanda a quella persona quali sarebbero le prove che essa giudica convenirle, e dille che, non potendo andare in cielo senza sofferenza, scelga ora le pene che gradisce e che quando sopravverranno, conservi la pazienza». Comprese allora che è imprudenza pericolosissima il credere di poter essere pazienti in altre circostanze, diverse da quelle che il Signore ora permette; l’uomo deve credere invece fermissimamente che le sofferenze più utili sono quelle che Dio manda, e quando non riesca in queste a conservare la pazienza deve umiliarsene.
Il Signore poi soggiunse con benevolenza: «E tu, che cosa pensi delle tue prove? Quelle che ti mando sono forse sproporzionate alle tue forze?». «Oh, no Signore! – rispose – confesso invece in tutta verità e confesserò fino all’ultimo respiro, che così nelle circostanze avverse come nelle prospere hai disposto ogni cosa nel miglior modo sia per il corpo, sia per la mia anima. Nessuna sapienza creata potrebbe mai uguagliarti, o mio dolcissimo Dio, o sola increata Sapienza, che ti estendi con forza da una estremità all’altra del mondo e tutto governi con soavità: Attingens a fine usque ad finem, fortiter et suaviter disponens omnia: Essa si estende da un confine all'altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa» (Sap 8,1).
Allora il Figlio di Dio la condusse davanti al Padre invitandola a riconoscere anche davanti a Lui il bene ricevuto. «Io ti rendo grazie – essa disse – o Padre santo, per mezzo di Colui che siede alla tua destra, per i doni magnifici di cui mi ha colmato la tua generosità. Riconosco infatti che nessuna potenza umana avrebbe potuto conferirmeli, ma solo la tua potenza divina che con la sua virtù dà vita ad ogni cosa creata». Il Signore la presentò poi allo Spirito Santo, affinché anche a Lui rendesse omaggio per la sua bontà: «Io ti ringrazio – essa disse allora –, o Spirito Santo, o divin Paraclito, per Colui che con la tua cooperazione si è incarnato nel seno della Vergine. Nonostante sia così indegna, mi hai prevenuta con le tue gratuite benedizioni della tua dolcezza, e questo solo per l’infinita tua Bontà, nella quale si nascondono, dalla quale procedono e per la quale si ricevono tutti i beni».
Il Figlio di Dio la strinse allora al suo Cuore e la baciò dicendo: «Dopo questa tua confessione Io ti prendo sotto la mia speciale custodia più che alcun’altra creatura e più di quanto tu ne abbia diritto come anima da me redenta e chiamata con speciale elezione». Essa comprese a queste parole che il Signore accoglie sotto la sua speciale custodia l’anima che loda la divina bontà e si affida con fiducia e gratitudine alla sua Provvidenza, così come un prelato si sente in obbligo di provvedere ai bisogni di colui che per la professione religiosa è diventato suo suddito.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
72 – Effetti della preghiera
Pregava un’altra volta per parecchie persone che le erano state raccomandate e con particolare affetto per una di esse: «o Signore pieno di bontà – disse -, che il tuo paterno amore mi esaudisca quando ti prego per questa persona». «Io ti esaudisco sovente, quando preghi per lei», il Signore rispose. Ed essa: «Ma perché allude tanto spesso alla sua indegnità e ricorre al mio aiuto come se Tu non le concedessi mai alcuna consolazione?». «È un modo delicato per eccitare il mio amore verso di lei che la fa agire così; il suo più bell’ornamento, quello che più mi piace in lei, è appunto il fatto che essa dispiace a se stessa. Questa grazia si accresce quanto tu preghi per lei in modo particolare».
Un giorno pregava di nuovo per questa stessa persona e insieme per altre. Il Signore le disse: «io le ho attirate più vicino a Me; è necessario perciò che siano purificate da qualche prova. Esse sono come una bambina che, epr il tenero affetto che porta alla madre, vuol sedersi vicino a lei sulla sua stessa seggiola. Naturalmente ci sta un poco più scomoda di quanto non stian le sue sorelle che son sedute vicino alla madre ciascuna sulla propria seggiolina, e la mamma inoltre non può con altrettanta facilità rivolgere su di lei, come sulle sorelline che le stanno sedute di fronte, il suo materno affettuoso sguardo».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
73 – Vantaggi della preghiera
Un giorno, volendo pregare per alcune persone che le si erano raccomandate per diversi motivi, si prosternò devotamente ai piedi del Signore e, dopo averne baciate con fervente amore le piaghe, gli affidò i loro interessi. Nello stesso momento vide come un rivoletto scaturire dal Cuore stesso del Figlio di Dio e riempire tutto il luogo in cu i si trovava. Comprese allora che tutte le sue richieste erano state esaudite, e perciò disse: «Signore mio, ma che vantaggio ne ritrarranno dal momento che non sentono alcun effetto delle mie preghiere? Non crederanno neppure che io le abbia raccomandate». Il Signore rispose con questo paragone: «Quando un re – disse – dopo una lunga guerra conchiude la pace, quelli che abitano lontano non ne hanno notizia fino a tanto che essa venga loro annunziata; allo stesso modo quelli che mi stanno lontano per diffidenza o per altri difetti, non possono sentire che si prega per loro». «Signore – essa riprese -, nel numero delle persone per cui ti ho pregato ce ne sono tuttavia alcune che ti son molto vicine, a quanto so per tua stessa testimonianza». «È vero – rispose il Signore –, tuttavia colui al quale il re vuole comunicare personalmente i suoi decreti, deve aspettare che il suo Signore giudichi venuto il momento opportuno. Allo stesso modo mi propongo di manifestare a queste anime l’effetto della tua preghiera al momento giusto».
Pregò in seguito in modo particolare per una certa persona che le aveva una volta procurato delle noie. Ricevette questa risposta: «Come non è possibile che il piede si ferisca senza che il cuore lo senta, così è impossibile alla mia paterna bontà di non considerare con misericordia colui che, spinto da carità, mi supplica per la salvezza del prossimo, pur essendo egli stesso gravato da colpe per le quali però riconosce di aver bisogno del perdono di Dio».
Bisogna spesso pregare per gli infermi. Costei volendo un giorno compiere questo dovere per un infermo, domandò al Signore che cosa doveva chiedere per lui. Il Signore rispose: «Chiedi per lui soltanto due cose con tutta devozione. Primo, chiedimi che tutti i momenti della sua malattia servano a procurare la mia maggior gloria e il maggior bene dell’anima sua, conformemente alla’eterna disposizione della mia paterna carità». E aggiunse: «ogni volta che ripeterai questa preghiera, così il tuo merito come quello dell’infermo si accresceranno, come si accresce lo splendore dei colori quando si ritocca una pittura».
Mentre pregava per alcuni dignitari comprese più di una volta che ciò che il Signore maggiormente gradisce in quelli che son giunti alle più alte cariche, è che essi le esercitino con distacco, vale a dire che si servano del potere loro conferito come se fosse stato loro concesso soltanto per un giorno, anzi per un’ora, tenendosi sempre pronti a rinunciarvi, e applicandosi tuttavia con ogni sollecitudine al compimento delle opere loro ingiunte, a lode sua. Dovrebbero sempre ripetere a se stessi: Su, affrettati a promuovere la gloria di Dio: un giorno deporrai volentieri la tua carica se potrai riconoscere di aver fatto ciò che potevi a servizio di Dio e ad utilità del prossimo.
Una volta ricorse al Signore per una certa persona che, sia direttamente sia per mezzo di altri, si era raccomandata con umiltà e fiducia alle sue preghiere. Essa vide in questa occasione il Signore piegarsi con bontà verso quest’anima, avvolgerla di uno splendore celeste e, in questa luce, comunicarle la sua grazia con tutto ciò che aveva sperato ottenere per mezzo della di lei preghiera. Il Signore diede poi a Gertrude il seguente ammaestramento: «Tutte le volte che una persona si raccomanda alle preghiere di un’altra, fiduciosa di poter così ottenere per i di lei meriti la grazia di Dio, il Signore la ricompensa secondo il suo desiderio, anche se la persona su cui ha contato avesse trascurato di pregare con devozione».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
74 – Diversi ordini di persone
Pregava un giorno per una persona la cui anima era piena di grandi desideri,k e ricevette questa risposta: «Dille da parte mia che se desidera unirsi a Me col vincolo di un intimo amore, cerchi di fare ai miei piedi il suo nido, fabbricandosi come l’aquila reale con ramoscelli secchi (quelli della propria miseria) e con rami di palma (quelli della propria grandezza). Vi prenda il suo riposo nel ricordo continuo della sua bassezza, poiché l’uomo mortale è per se stesso sempre incline al male e tardo al bene, a meno che sia prevenuto dalla grazia. Mediti anche spesso sulla mia misericordia, ricordando quanto Io sia disposto, nella mia paterna bontà, ad accogliere dopo il peccato colui che ritorna a Me con la penitenza. Quando poi desidera allontanarsi dal nido per cercare il suo cibo, si diriga verso il mio Cuore e lì, con affettuosa gratitudine, ripensi agli immensi benefici che gratuitamente le elargisco nella sovrabbondanza della mia tenerezza. Se poi desidera spingere più lontano il volo del suo desiderio, si innalzi come un’aquila veloce al di sopra di sé con la contemplazione delle cose celesti, si libri sulle ali, e, sostenuta dai Serafini, fissi il mio volto nell’ardore della sua carità, e contempli il Re nello splendore della sua gloria col penetrante sguardo dello spirito».
«Nessuno però, nella vita presente, può rimanere a lungo sulle vette della contemplazione che, secondo S. Bernardo, a mala pena quaggiù si raggiunge rara hora, parva mora: ben di rado e per breve momento. L’anima dovrà dunque spesso ripiegare le ali ricordando la sua miseria, e discendendo nel nido per cercarvi un po’ di riposo. Ritroverà ancora in seguito le sue delizie volando in spirito di riconoscenza verso i campi fioriti dell’amore, per raggiungere bene presto, nell’estasi dello spirito, le cime della contemplazione divina. Con l’alternarsi di questi due movimenti, la considerazione cioè della propria fragilità e lo slancio d’amore che contempla i benefici ricevuti, essa sempre troverà la consolazione del gaudio celeste».
Si ricordò ancora di un’altra persona che le si era devotamente raccomandata. Questa, dopo aver passato nel mondo la sua prima giovinezza, aveva rinunciato al secolo per consacrarsi a Dio nello stato religioso. Gertrude si volse dunque al Signore per presentargli il suo proprio cuore e ricordargli insieme la sua divina promessa, come cioè esso dovesse servire come canale per spandere la grazia delle divine consolazioni nelle anime che le avessero umilmente sollecitate per suo mezzo(1). Ad un tratto i Figlio di Dio le apparve sul trono reale: teneva in mano il cuore della sua eletta e lo stringeva al proprio dolcissimo Cuore. Essa vide anche la persona per la quale pregava avanzarsi verso il trono e piegare devotamente le ginocchia davanti al Signore il quale, stendendo con benevolo gesto la sua mano sinistra verso di lei le disse: «Sì, la riceverò nella mia incomprensibile Onnipotenza, nella mia insondabile Sapienza, e nella mia infinita Bontà». Pronunciando queste parole il Signore stendeva verso questa persona tre dita della sua mano sinistra: l’indice, il medio e l’anulare. A sua volta questa persona sovrapponeva delicatamente le corrispondenti dita della sua mano sinistra su quelle del Signore. Allora il Signore con rapido gesto voltò la sua benedetta mano, così che essa si trovò al disopra e quella della persona al disotto. Con queste tre dita e col gesto ora descritto, Egli voleva far capire i tre modi secondo i quali essa doveva regolare la sua vita.
Anzitutto doveva sottomettersi con umiltà, prima di cominciare qualsiasi azione, all’Onnipotenza divina, considerandosi come un servo inutile che aveva consumato inutilmente il vigore della sua giovinezza nella vanità del secolo, poco curandosi di Dio suo Creatore e Signore; e doveva chiedere alla divina Onnipotenza di concederle forza di agire secondo virtù. In secondo luogo doveva confessare all’insondabile Sapienza di Dio di essere indegna di ricevere le soavi illuminazioni divine, perché dalla sua infanzia non si era applicata allo studio delle cose del cielo, ma si era a preferenza servita delle sue facoltà per soddisfare la sua vanagloria. Doveva ora immergersi nella valle profonda dell’umiltà e poi, libera dalle cose terrene, dedicarsi alla contemplazione, e sforzarsi in seguito (a suo tempo e luogo) di comunicare al prossimo le abbondanti ricchezze che la divina liberalità le avrebbe concesso. Infine doveva prepararsi a ricevere con grandi azioni di grazie la buona volontà, che è dono gratuito concesso dalla Bontà divina per praticare i due consigli precedenti.
Il Signore sembrava portare all’anulare sinistro un anello di vile metallo nel quale era però incastonata una gemma preziosissima che splendeva come il fuoco. Comprese che l’anello raffigurava la vita povera di meriti di questa persona che, rinunciando al mondo, si era consacrata al servizio di Dio. La pietra preziosa significava la liberalità della divina misericordia che inclinava il Signore ad infondere in quest’anima il dono della buona volontà, per il quale tutte le opere diventano perfette davanti a Dio. Per tale ragione la sua voce, vale a dire la sua intenzione, non doveva d’ora innanzi esprimere altro che una continua azione di grazie per questo liberalissimo dono della divina bontà. Le fu anche rivelato che, ogniqualvolta questa persona, con l’aiuto di Dio, compisse una buona azione, il Signore se ne farebbe subito un anello prezioso che avrebbe portato nella mano destra per mostrarlo a tutta la milizia celeste, quasi gloriandosi del regalo della sua sposa. Tutti gli abitanti del cielo allora avrebbero provato per questa persona un sentimento analogo a quello che possono provare i principi della corte per la sposa del Re, e le avrebbero attestato la fedeltà e la devozione che spettano di diritto alla sposa del proprio Signore. Inoltre l’avrebbero aiutata in tutti i modi con cui i membri della Chiesa trionfante aiutano coloro che ancora militano sulla terra, ogni volta che il Signore li avesse invitti a farlo ripetendo il gesto che abbiamo descritto.
Mentre pregava per un’altra persona, ricevette a suo riguardo questo insegnamento destinato a regolare la sua vita: che essa stabilisca il suo nido nel cavo della roccia, e cioè nel Cuore santissimo del Signore Gesù, e, riposando in esso, si applichi a gustare il miele che in questa roccia si forma e cioè la dolcezza di questo Cuore divino. Mediti attentamente nelle Scritture l’ammirabile vita di Cristo, e si applichi a seguirne gli esempi specialmente in tre cose: Il Signore trascorreva spesso le notti in preghiera; questa persona in tutte le sue tribolazioni e le sue prove dovrà dunque sempre ricorrere all’aiuto dell’orazione. Il Signore predicava nelle città e nei villaggi; anch’essa dunque dovrà edificare il prossimo non soltanto con le sue parole, ma anche con le sue opere e col suo stesso contegno esteriore. Il Signore spandeva i suoi benefici su tutti quelli che ne avevano bisogno; allo stesso modo essa deve compiere il bene attendendosi alla norma seguente: quando vorrà dire o fare qualcosa, dovrà prima formulare l’intenzione di unirsi alle azioni perfettissime del Signore, affinché sia compiuta secondo la sua santissima volontà e per la salute del mondo intero; e quando poi l’avrà compiuta, dovrà offrirla di nuovo al Signore perché Egli le tolga ogni imperfezione e la presenti a Dio Padre, ad eterna sua lode.
Le fu ancora detto quanto segue: Ogni volta che detta persona vorrà uscir da questo nido dovrà servirsi di tre sostegni. Uno è l’ardente carità con la quale deve sforzarsi di attirare tutti a Dio e di servire tutti a gloria di Dio, in unione con l’amore col quale Gesù Cristo ha operato la salvezza del mondo. Il secondo è l’umile sottomissione con la quale deve assoggettarsi per amore di Dio ad ogni creatura, guardandosi bene dallo scandalizzare con le sue parole ed azioni e superiori ed inferiori. Il terzo è l’attenta vigilanza su se stessa per la quale deve preservare tutti i suoi pensieri, le sue parole ed i suoi atti dalla minima macchia che possa offendere lo sguardo di Dio.
Le fu anche rivelato, durante l’orazione, lo stato di un’altra anima. Questa persona le apparve nell’atto di costruirsi, davanti al trono di Dio, uno splendido trono formato di preziosissime pietre squadrate, cementate insieme con oro puro, sul quale di tanto in tanto si sedeva per poi alzarsi di nuovo e continuare la costruzione. La Nostra comprese che le pietre preziose rappresentavano diverse pene destinate a conservare e perfezionare il dono di Dio in quell’anima; il Signore infatti prepara in questa vita ai suoi eletti un cammino aspro e duro, per timore che le attrattive di una strada comoda e facile facciano loro dimenticare le gioie della patria. Quanto all’oro che cementava le gemme, significava la grazia spirituale di cui doveva servirsi con piena fiducia per unire insieme saldamente tutte le sue pene interne ed esterne per l’edificazione della sua eterna salvezza.
Si riposava poi di tanto in tanto sul trono, per mostrare che godeva talvolta la contemplazione divina, ma sia alzava subito per riprendere la costruzione onde figurare l’alternarsi continuo delle buone opre, che fanno progredire l’anima di giorno in giorno innalzandola alla vette della perfezione.
Le fu anche mostrato, durante la preghiera lo stato di un’altra anima. Vide davanti al trono di Dio un albero magnifico dal tronco e dai rami vigorosi e dalle foglie splendenti come l’oro. La persona per cui pregava stava salendo su quest’albero e, armata di uno strumento, tagliava alcuni rami novelli che cominciavano a seccarsi. Non appena ne aveva tagliato uno, subito dal trono di Dio, che appariva come circondato di fronde verdeggianti, le si offriva un altro ramo per sostituire quello reciso. Non appena esso era innestato, riprendeva tutto il suo vigore e produceva un frutto di color rosso che l’anima raccoglieva per offrirlo al Signore, il quale sembrava compiacersene in modo mirabile.
Quest’albero figurava la famiglia religiosa in cui questa persona era entrata per consacrarsi al servizio di Dio, e le fogli d’oro significavano le buone opere che essa compiva nell’ordine. Per i meriti di un certo suo parente che l’aveva indotta ad entrare, accompagnandola coi suoi devoti desideri e con le sue orazioni, queste superavano in valore altre opere simili di quanto l’oro supera in dignità gli altri metalli. Lo strumento di cui si serviva per tagliare i rami era la considerazione dei propri difetti che essa riconosceva ed eliminava con una degna penitenza. Il ramo che le veniva offerto dal trono di Dio per sostituire il ramo tagliato, figurava la perfetta e santissima vita di N. Signore Gesù Cristo che, per i meriti ed i suffragi del parente a cui abbiamo accennato, era sempre particolarmente pronto a supplire a tutti i suoi difetti. Infine il frutto raccolto ed offerto al Signore significava la buona volontà che metteva nel correggersi dalle sue mancanze,cosa di cui il Signore sommamente di compiace. Gli è infatti più gradita la buona volontà di un cuore sincero che non grandi opere compiute senza purezza d’intenzione.
Una volta pregava per due persone che le erano state devotamente raccomandate. Poiché non conosceva la loro disposizione d’animo, disse al Signore: «Tu, o Signore, che conosci tutti i cuori, degnati rivelare alla tua indegna serva ciò che credi e ciò che può riuscire a loro vantaggio». Il Signore, nella sua bontà, le ricordò allora due rivelazioni che in altro tempo le aveva concesso riguardo a due altre persone, delle quali una era letterata e l’altra no, e che avevano tutte e due rinunciato al mondo. La esortò poi ad applicare quanto allora le aveva detto anche a vantaggio delle due persone di cui si occupava attualmente. Ed aggiunse: «Le cinque rivelazioni precedenti e le due che ti farò, offrono un insegnamento che può essere utile a persone di qualsiasi ordine e stato».
La rivelazione che riguardava la persona letterata era la seguente. Il Signore aveva detto a suo riguardo: «Io l’ho presa coi miei apostoli per farla salire sul monte della trasfigurazione. Essa si applichi a regolare la sua vita e le sue opere secondo il significato del nome degli apostoli che mi hanno accompagnato sul Tabor. Pietro significa agnoscens(2): colui che conosce; che essa proponga dunque in tutte le sue letture di arrivare a conoscersi con serie riflessioni. Quando per esempio il libro parla dio vizi e di virtù, essa esamini se c’è in lei qualcosa di vizioso e quanto progredisca nella virtù. Quando poi avrà acquistato una più perfetta conoscenza di sé, si sforzi, secondo il significato del nome di Giacomo, che vuol dire suppleantator: colui che è vittorioso, di correggere ogni difetto lottando vigorosamente per conquistare la virtù con uno sforzo costante. Il nome di Giovanni significa poi: in quo est gratia, colui che è ripieno di grazia: si applichi dunque al mattino o alla sera, o quando ne abbia l’opportunità, almeno per un’ora a raccogliersi in se stessa e a cercare di conoscere la mia volontà, dopo aver allontanato da sé il pensiero di tutte le cose esteriori. Allora faccia ciò che Io le ispirerò: se le dirò di lodarmi, mi ringrazi per i benefici personali o generali; se l’inviterò a pregare per i peccatori o per le anime del purgatorio, lo faccia con somma devozione e il meglio che può, per il tempo che avrà stabilito».
Ed ecco la rivelazione che riguarda la persona illetterata. Essa aveva pregato per quest’anima che si rammaricava di vedersi impedita nell’orazione dalle diverse cure del suo ufficio. E ricevette questa risposta: «Io non l’ho scelta soltanto per servirmi in una determinata ora del giorno, ma per restare ininterrottamente con Me tutta la giornata; cioè perché offra continuamente a mia gloria ogni singola azione con la stessa intenzione con la quale mi offrirebbe la sua preghiera. Essa potrà aggiungere questa pratica: desiderare cioè che coloro i quali traggano vantaggio dalla sua fatica non solo ne siano ristorati nel corpo, ma progrediscano anche nello spirito e siano confermati in ogni bene. Se farà così ogni volta che si applicherà ad una azione qualunque sarà come se mi ristorasse con cibo squisito».
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Vedi Capitolo 47 di questo Libro III
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Certo dalla voce ebraica phatar, che significa interpretatus est [interpretato]. Così pure traduce Ludolfo il Certosino nella sua Vita Christi, parte II, capo 3: Petrus, che s’interpreta agnoscens – Nota dell’edizione latina
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
75 – Le membra di Cristo raffigurano la Chiesa
Mentre stava pregando per una certa persona, le apparve il Re della gloria, il Signore Gesù, per mostrarle nel suo proprio corpo fisico il corpo mistico della Chiesa, di cui Egli degna chiamarsi ed essere lo Sposo ed il Capo. Era magnificamente rivestito dal lato destro di abiti regali, mentre il suo lato sinistro era nudo e tutto coperto di piaghe. Essa comprese che la parte destra raffigurava tutte le anime elette che appartengono alla Chiesa, e che sono prevenute dal Signore con le benedizioni della sua dolcezza per uno speciale dono di grazia e per il merito personale delle loro virtù. Il lato sinistro raffigurava gli imperfetti che sono ancora immersi nelle loro debolezze. I ricchi abiti che ornavano il lato destro del Signore, indicavano gli ossequi e i benefici spirituali che certe persone prodigano con particolare devozione a quelli che riconoscono a sé superiori per l’eccellenza della loro virtù e per lo speciale privilegio di familiarità col Signore. Ogni ossequio infatti dimostrato agli eletti di Dio a motivo della grazia ad essi conferita, è come un nuovo ornamento aggiunto alla sua destra. Alcuni si mostrano, sì, per il Signore, generosi coi buoni, ma riprendono con tanta durezza i cattivi e gli imperfetti che per la loro impazienza, li irritano anziché correggerli. Questi sembrano quasi colpire furiosamente col pugno le piaghe del Signore, e il sangue che la loro violenza ne fa scaturire è come se sprizzasse loro in volto sì da rimanere coperti e sfigurati. Il Signore tuttavia, indotto dalla sua pietà, e insieme eccitato dall’amore dei suoi amici coi quali queste persone sono state generose, sembra non farne caso e con le vesti che ornano la sua destra, cioè coi meriti degli eletti, deterge le macchie che deturpano il loro volto.
E il Signore aggiunse: «Oh se volessero, curando le piaghe dei loro amici, imparare a curare anche le piaghe del mio corpo che è la Chiesa, cioè quelle degli imperfetti! Essi dovrebbero dapprima toccar le loro piaghe con precauzione, con dolci ammonimenti fatti di spirito di carità. Se poi con questo mezzo non riuscissero a nulla, dovrebbero allora cercare di guarirli con crescente fermezza. Molti invece non sembrano darsi alcun pensiero delle mie ferite; e son coloro che, conoscendo i difetti del prossimo, lo disprezzano per la sua miseria e non cercano di correggerlo neppure con una sola parola, per timore di incorrere in qualche noia. Adducono con Caino questa vana scusa: Numquid custos fratis mei sum ego?: son forse il custode del mio fratello? (Gen 4,9). Costoro sembrano porre sulle mie piaghe un unguento che, anziché sanarle, le fa piuttosto marcire e coprir di vermi, poiché nascondendo col silenzio i difetti del prossimo anziché correggerli con qualche parola, lasciano che essi mettano radici.
«Vi sono poi alcuni che segnalano al prossimo i suoi difetti, ma se non li vedono immediatamente corretti o castigati come essi vorrebbero, subito si irritano e, indignati, giurano in cuor loro di non far più osservazioni in avvenire, di non correggere più nessuno, dal momento che non si dà peso alle loro parole. Non omettono tuttavia di accusare duramente in cuor loro il prossimo, ma si astengono da ogni parola di ammonimento e di correzione. Costoro è come se mi applicassero sulle piaghe un unguento che internamente le rode come potrebbe fare un ferro arroventato.
«altri ancora si astengono dal correggere il prossimo più per trascuratezza che per malizia; ed è come se mi pestassero le piaghe dei piedi. Altri ancora non pensano che a fare in tutto la loro volontà propria, non curandosi dello scandalo degli altri pur di riuscire a compierla; ed è come se mi prendessero le mani e me le trapassassero con dardi infuocati.
«Vi sono poi di quelli che amano sinceramente i superiori virtuosi e perfetti, e non cessano, come è giusto, di mostrar loro ossequi e reverenza con le parole e con i fatti. Ma giudicano con rigore e disprezzano oltre misura i superiori che non osservano la Regola e son pieni di difetti. In questo caso essi ornano la parte destra del mio capo di gemme e di pietre preziose, ma quanto alla parte sinistra che è ricoperta di piaghe, e che Io avrei voluto appoggiare sulla loro spalla per un po’ di riposo, essi sembrano respingerla e colpirla con pugni senza alcuna pietà.
«Altri applaudiscono le cattive azioni dei prelati e dei superiori per attirarsi la loro benevolenza, ed esser liberi di fare in tutto la loro propria volontà. E questi mi piegano con violenza la testa all’indietro causandomi grandi dolori e, insultando alla mia sofferenza, sembrano quasi compiacersi delle mie piaghe putrefatte».
In questa rivelazione il Signore sembra quasi identificarsi con la sua Chiesa: i buoni sono come la parte destra del suo corpo, e i cattivi la sinistra. Con quanta vigilanza dunque ogni cristiano deve cercare di servire tanto il membro sano quanto il membro malato di Cristo! Sarebbe cosa ben indegna veder qualcuno lacerar con le mani le ferite di un suo amico, o coprire di un unguento avvelenato o respingere violentemente il capo che egli volesse posare sulla sua spalla o, peggio ancora, torceglielo all’indietro. Che ciascuno detesti dunque la sua colpa se, con la sua durezza, ha piuttosto offeso che servito il suo Creatore e Redentore, e cerchi di emendarsi per essere utile a questo fedelissimo Benefattore anziché nuocere alla sua causa. Che egli faccia tutto il bene possibile ai perfetti per eccitarli a progredir nel bene, e circondi di cura gli imperfetti affinché si emendino. Obbedisca con amore quando i superiori comandano ciò che è bene, e sopporti con rispetto i loro difetti. E tuttavia si guardi dall’adularli in ciò che è male, e quanto non può correggere in essi con la parola, si sforzi di correggerlo con l’ardore del desiderio e con la silenziosa preghiera del cuore davanti a Dio.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
76 – Spirituale comunicazione di meriti
Un’altra persona si era devotamente raccomandata alle sue preghiere. Essa, come al solito, non appena entrò in coro per fare orazione, chiese al Signore di far partecipe quest’anima di tutte le opere buone che Egli l’aiuterebbe a compiere, benché tanto indegna: digiuni, orazioni e altri atti di pietà. Il Signore rispose: «La farò certamente partecipe di tutto il bene che la mia infinita liberalità gratuitamente ti concede e ti concederà di fare fino alla morte». Ed essa: «Dal momento che tutta la tua Santa Chiesa partecipa a tutto ciò che Tu degni operare in me e per me tua serva indegna e anche in tutti gli altri tuoi eletti, che cosa riceverà in più questa perosna dalal tua bontà, quando io, per un affetto speciale, ti prego che essa abbia parte a tutti i benefici che Tu mi accordi?». Il Signore rispose con questo paragone: «Una nobile damigella che sa comporre ccon gemme e pietre preziose degli ornamenti di cui si serve per adornare tanto sé quanto sua sorella, procura in tal modo a suo padre e a sua madre e a tutti quelli di casa un certo lustro. La lode della gente è diretta soprattutto a colei che ha fabbricato questi ornamenti con le sue mani, e anche alla sua sorella prediletta che li ha condivisi, seppure in minor grado, con lei; però si riverserà anche in parte sulle altre sorelle che non hanno ricevuto nulla. Allo stesso modo, benché la Chiesa intera partecipi alle grazie, accordate a ciascuno dei fedeli in particolare, l’anima a cui sono accordati ne trae naturalmente più grande profitto; e per conseguenza ne ricavano speciale vantaggio anche coloro a cui desidera comunicarli per un particolare vincolo di affetto che ad essi la lega».
Ricordò allora al Signore che questa stessa persona aveva sovente mandato dei regali alla prima cantora, Donna Metilde di santa memoria(1), durante la sua malattia; e che si era spesso rammaricata sia di non averla abbastanza assistita, sia di non essersi trattenuta a parlare con lei di cose spirituali per timore di disturbarla o di recarle fastidio. Il Signore rispose: «A motivo della buona volontà e della gioiosa liberalità con cui egli ha beneficato la mia Eletta, col desiderio di fare anche di più se avesse potuto, Io lo considero come uno che presti ogni giorno servizio alla mia mensa, così come un illustre principe serve alla tavola dell’Imperatore suo signore. Mi compiaccio di tutti gli atti di pietà con cui Donna Metilde mi ha devotamente servito, facendo uso delle forze che il suo corpo attingeva nel cibo e in ogni altro ristoro inviato da lui. E non intendo soltanto parlare del ristoro materiale che egli le ha dato, ma anche del conforto che è venuto alla mia Eletta da ogni suo pensiero, parola od azione. Quanto al suo rimpianto di non essersi abbastanza intrattenuto con Donna Metilde, vi supplirò Io stesso. Come uno sposo che ama teneramente la sua sposa e che la vede esitare per estrema delicatezza nel chiedere qualcosa che molto desidera, viene incontro alla sua modestia e le accorda il doppio di quanto essa desiderava, così Io supplirò a ciò che non ha avuto.
«Inoltre, per tutta la gioia che detta persona prova per i benefici di cui ho colmato Donna Metilde , la sua anima riceverà in cielo, insieme a ineffabili delizie, il riflesso di tutte le grazie che Io ho conferito all’anima di questa mia sposa; riflesso che emanerà dall’anima della mia Eletta e sarà l’infinito splendore della luce divina che la illumina. Come il raggio del sole si infrange sulla superficie dell’acqua e si riflette sul muro, così lo splendore dei miei benefici brillerà nelle anime di coloro che sono stati prevenuti in terra dalla particolare dolcezza della mie benedizioni, e si rifletterà eternamente su coloro che hanno goduto al pensiero di questa mia glori. Ci sarà tuttavia questa differenza: che splenderanno non come il muro che è opaco, ma come uno specchio tersissimo che riflette distintamente l’immagine posta davanti ad esso».
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Cioè Santa Metilde, morta da poco [Nota dell’edizione latina].
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
77– Utilità della tentazione
Gertrude pregava un giorno per una persona assalita dalla tentazione, e il Signore le disse: «Io permetto questa tentazione per farle conoscere e deplorare il suo difetto, essa cercherà di vincerlo, e non riuscendovi si umilierà. Questa umiliazione cancellerà allora quasi interamente ai miei occhi altri difetti che essa ancora non riconosce. Colui che scorge una macchia sulla sua mano, non lava soltanto la macchia, ma anche le mani, e così le purifica anche da ogni traccia di polvere, che egli non avrebbe tolta se questa macchia visibile non gliene avesse dato l’occasione».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
78 – La Comunione frequente piace a Dio
Una persona, eccitata da zelo di giustizia, giudicava spesso alcune altre persone che trova poco devote e poco preparate a ricevere la Comunione con frequenza. Qualche volta ne faceva anche loro pubblico rimprovero, così che esse, diventate timorose, non osavano più comunicarsi.
Chiese un giorno al Signore se approvava questo suo modo di agire, ed Egli rispose: «Le mie delizie sono di stare coi figlioli degli uomini e Io ho istituito questo Sacramento perché lo si rinnovasse spesso in mia memoria, impegnandomi a restare per esso coi miei fedeli fino alla consumazione dei secoli. Chiunque cerca di allontanare dalla Comunione un’anima che non è in stato di peccato mortale, impedisce e sospende le delizie che Io avrei potuto trovare in essa. Egli assomiglia ad un precettore severo che impedisce al figlio del re di giocare con dei poveri bambini suoi coetanei, nonostante che il giovane principe vi trovi molto piacere, e ciò sotto pretesto che gli conviene di più ricevere gli onori dovuti al su orango che divertirsi sulla piazza a giocare alla palla». Essa allora disse: «Se questa persona fosse ben decisa a non dare più in avvenire tali consigli, le perdoneresti ciò che ha fatto finora?». «Non solo glielo perdonerei – disse il Signore -, ma troverei nel suo buon proposito un piacere simile a quello del figlio del re se il suo precettore, cambiando parere, gli riconducesse spontaneamente i suoi piccoli amici che prima aveva scacciato per eccesso di severità».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
79 – Vantaggi dello zelo
Pregava un giorno per una certa persona che si rammaricava per il timore di avere offeso Dio: si era infatti irritata di alcune negligenze delle sue consorelle che riteneva funeste per l’osservanza regolare.
Ricevette dal migliore dei maestri questo insegnamento: «Se alcuno desidera che il suo zelo sia per me un accettissimo sacrificio e assicuri nello stesso tempo il suo vantaggio spirituale, deve applicarsi a tre cose. Anzitutto deve mostrare sempre un volto amabile alla persona di cui corregge i difetti – come del resto richiedono la convenienza ed il tatto – e usare sempre parole e atti caritatevoli. In secondo luogo deve avere cura di non divulgare le colpe quando possa sperare la correzione del colpevole oppure quando non possa contare sul prudente riserbo degli astanti. Infine non deve lasciarsi arrestare da alcun rispetto umano quando la coscienza le indica qualche cosa che è degno di riprensione, ma deve cercare con tutta carità l’occasione di correggerlo al solo intento di procurare la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Allora sarà certamente ricompensato in proporzione della fatica e non in proporzione del risultato ottenuto, poiché se anche questo fosse nullo, chi ne porterà la pena sarà soltanto colui che non avrà riconosciuto il proprio torto o che avrà resistito».
Un’altra volta pregava per due persone che stavano discutendo fra loro, e delle quali una era persuasa di difendere la giustizia e l’altra di favorire la carità verso il prossimo. Il Signore le disse: «Quando un buon padre vede che i suoi bambini giocano e si esercitano alla lotta, qualche volta ride o fa finta di non vedere. Se però a un certo momento vede che uno dei contendenti si accanisce contro l’altro, si alza e corregge il colpevole. Allo stesso modo Io che sono il Padre delle misericordie, quando vedo due persone discutere con dolcezza e carità non vi presto particolare attenzione, anche se preferirei vederle in pieno accordo. Ma se una prende a trattare l’altra con durezza, allora non potrà evitare la correzione della mai paterna giustizia».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
80 – Utilità futura della preghiera
Una persona si lagnava spesso di non sentire alcun vantaggio dalla preghiera che gli altri facevano in suo favore. Essa riferì questa lagnanza al Signore chiedendogliene la ragione. Il Signore rispose: «Domanda a quella persona che cosa troverebbe più vantaggioso per un suo giovane parente a cui desiderasse di veder conferito un beneficio ecclesiastico: che gliene venisse concessa immediatamente la rendita (pur non avendo ancora compiuto i suoi studi) e che lo si lasciasse disporre di essa a suo talento? Il buon senso giudicherebbe più utile concedere al giovanetto soltanto il titolo del beneficio ecclesiastico destinato a procurargli in avvenire grandi rendite; perché se queste gli fossero concesse subito potrebbe dissiparle in spese inutili e trovarsi più tardi povero e misero come prima. La persona per cui preghi abbia dunque fiducia nella mia sapienza e nella mia bontà divina, poiché io sono il padre, il fratello, l’amico dell’anima sia, e veglierò sui suoi interessi spirituali e temporali con più sollecitudine e fedeltà di quella che essa potrebbe impiegare nel curare gli interessi di un suo parente. Sia persuasa che Io serbo per un tempo propizio e determinato il frutto di tutte le preghiere che mi sono state rivolte per lei, e che glielo consegnerò integralmente quando nulla potrà più sminuirlo o renderlo vano. E questo è per lei il meglio, poiché se provasse subito una certa consolazione ad ogni preghiera che si fa per lei, questa gioia spirituale sarebbe forse offuscata dalla vanagloria o resa sterile dall’orgoglio, e se io le concedessi qualche bene temporale, la sua anima potrebbe trovarvi un’occasione di peccato».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
81 – Vantaggi dell’obbedienza
L’Ebdomadaria(1) stava un giorno recitando il Capitolo di Mattutino a memoria, secondo quanto prescrive la santa Regola(2). Gertrude conobbe per rivelazione che essa lo faceva appunto per conformarsi a questo precetto, e vide che si acquistava in tal modo un merito uguale a quello che avrebbe potuto procurarle la preghiera di tante persone quante erano le parole che il Capitolo conteneva.
Comprese anche il senso delle parole che S. Bernardo(3) suppone dette ad un uomo in punto di morte dalle azioni che egli ha compiuto durante la vita: «Tu ci hai fatto, noi siamo opera tua, non ti abbandoneremo, ma ti seguiremo dovunque e ti accompagneremo al tribunale di Dio». Dio permetterà in quel momento che tutte le azioni compiute in spirito di obbedienza, quasi altrettanti personaggi illustri, consolino colui che ne sarà stato l’autore e intercedano per lui. Ogni opera buona compiuta per obbedienza e resa perfetta dalla purezza d’intenzione, otterrà all’uomo il perdono di qualche negligenza. Quale grande consolazione per chi si trova in agonia!
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Colei che era di turno per guidare la Liturgia delle Ore
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Regola di S. Benedetto, cap. XII
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Meditationes piissime, cap. II, 5. Inter spuria
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
82 – Raccomandazione di una persona deputata per quella settimana alla recita privata del Salterio(1)
Una Ebdomadaria(2) che doveva recitare il Salterio prescritto per la Comunità, chiese una volta l’aiuto delle sue preghiere. Essa acconsentì, e, mentre pregava vide in ispirito il Figlio di Dio prendere con sé questa Ebdomadaria per condurla davanti al trono del Padre suo, onde chiedergli di far partecipare quest’anima all’ardente amore e alla fedeltà coi quali Egli stesso aveva desiderato la gloria del Padre suo e la salvezza del genere umano. Questo soccorso di grazia le avrebbe ottenuto tutto quanto desiderava. Quando il Figlio ebbe fatta questa preghiera, la persona per la quale Egli aveva pregato apparve coperta di vesti simili alle sue. E come leggiamo che il Figlio di Dio sta davanti al Padre per intercedere per la Chiesa, così costei, come un’altra Regina Ester, stava davanti a Dio Padre per pregarlo insieme al Figlio suo per il suo popolo, vale a dire per la sua Comunità. E recitando essa con tale interna disposizione tutto il salterio, il Padre celeste accettava le sue parole in due modi: anzitutto come un signore accetta da qualcuno il pagamento di un debito di cui si era fatto garante; in secondo luogo, come un padrone che riceve dal suo intendente una somma da distribuire ai suoi più cari amici. Essa vedeva ancora il Signore esaudire tutte le preghiere che questa persona gli rivolgeva per la Comunità, e metterla davanti a Sé perché distribuisse alle sue consorelle tutto ciò che essa chiedeva per loro.
(1) Si tratta della recita superogatoria [=straordinaria] del Salterio in uso ad Hefta
come in altri Monasteri, per le intenzioni e i bisogni della Comunità.
(2) Colei che era di turno per guidare la Liturgia delle Ore
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
83 – Utilità della sottomissione
Un giorno pregava il Signore che correggesse il difetto di un certo superiore, e ricevette questa risposta: «Ignori forse che non soltanto questa persona, ma anche tute quelle che sono preposte a questa diletta Congregazione hanno tutte i loro difetti? Nessuno al mondo può esserne esente! Se lo permetto in questo caso, è per l’immensa mia bontà e per la tenerezza con la quale amo questa Congregazione che mi sono scelta, perché per tal via i suoi meriti saranno mirabilmente accresciuti. Ci vuol molta maggior virtù a star soggetti a una persona di cui si conoscono i difetti, che ad un’altra i cui atti sono irreprensibili». Essa rispose: «Sì, Signore, io provo una grande gioia a veder crescere i meriti dei sudditi, ma desidererei tuttavia che i superiori non commettessero la colpa che mi pare essi contraggono per i loro difetti». Il Signore rispose: «Io che conosco tutti i loro difetti, permetto che ne manifestino alcuni nelle diverse incombenze della loro carica, altrimenti non giungerebbero forse mai a possedere una grande umiltà. come il merito dei sudditi può crescere tanto per i difetti che per le qualità dei Superiori, così anche il merito dei Superiori può crescere tanto per i difetti che per la qualità dei sudditi, precisamente come tutte le membra di uno stesso corpo contribuiscono al bene l’uno dell’altro».
Essa comprese allora la bontà e la sapienza infinita del Signore che tutto saviamente dispone per la salvezza dei suoi eletti e sa servirsi anche dei difetti per innalzare a una maggior virtù. E pensò che, anche se la misericordia di Dio non le si fosse mostrata che in quella sola circostanza, tutte le creature insieme non avrebbero mai potuto lodarne abbastanza il Signore.
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
84 – La vera purificazione dell’uomo
Mentre pregava per una persona per una persona afflitta udì questa risposta: «Non temere: io non permetto mai che i miei eletti siano afflitti oltre misura delle loro forze, ma sempre son loro vicino per pesar la loro pena. Una madre che vuol scaldare il suo bambino al fuoco, tiene sempre la sua mano tra il bambino e la fiamma; allo stesso modo, quando credo bene purificare i miei giusti con la tribolazione, il mio intento non è di farli soffrire, ma piuttosto di provarli a loro salvezza».
Pregava un altro giorno per una persona che aveva sorpresa in qualche difetto, e, nell’ardore del suo desiderio, diceva al Signore: «Signore, io che son l’ultima delle tue creature, prego nell’interesse della tua gloria per questa persona; ma Tu, che sei Potenza infinita a cui nulla resiste, perché non mi esaudisci?». Il Signore rispose: «Sì, son la Potenza infinita a cui nulla resiste, ma sono anche l’insondabile Sapienza che tutto dispone per il meglio. Né faccio cosa alcuna che non convenga. Quando un re della terra che può disporre delle forze e dell’obbedienza dei suoi servi vede le sue scuderie non perfettamente tenute, non si abbassa fino a far la pulizia con le sue proprie mani, così Io non ritraggo mai un uomo dal peccato in cui è caduto deliberatamente, se egli non fa violenza a se stesso e non si mostra degno del mio amore cambiando le sue disposizioni».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
85 – Come il Signore supplisce per la creatura
Gertrude osservava una volta una monaca che si aggirava nel coro durante il Mattutino per esortare le consorelle all’osservanza di alcune regole la cui dimenticanza avrebbe causato una certa confusione nell’Ufficio divino, e domandò al Signore come gradisse questo zelo. Il Signore rispose: «Se uno, con l’intento di glorificarmi, si applica ad evitare ogni negligenza dell’ufficiatura e ad avvertire gli altri allo stesso fine, supplisco Io all’inevitabile imperfezione del suo raccoglimento e della sua pietà».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
86 – L’offerta della sofferenza
Essa pregava un giorno per una persona afflitta per l’infermità di un’amica che temeva di perdere. Il Signore le diede questo ammaestramento: «Supponi che un uomo abbia perduto un amico diletto nel quale trovava non solo il conforto dell’amicizia, ma anche un consigliere fidato per il suo profitto spirituale. Se egli mi offre, con piena adesione al mio volere, il dolore che sente disposto, pur di conformare la sua volontà alla mia, a rimaner privo dell’amico quand’anche fosse in suo potere trattenerlo, e permane in questa volontà non fosse che per un’ora, sia certo che la mia bontà divina conserverà sempre alla sua offerta tutto il valore che con queste su disposizioni egli le conferisce. Tutto il dolore che, per fragilità umana, anche in seguito continuerà a provare per questa perdita contribuirà alla sua salvezza eterna. più t ardi, forse sfuggiranno al suo cuore spezzato dei lamenti e dei rimpianti al pensiero delle consolazioni, dell’aiuto, del conforto che ha perduto, ma poiché mi ha offerto il suo dolore, la sofferenza di cui questi pensieri son causa disporrà il suo cuore a ricevere la mia divina consolazione. Essa si spanderà nella sua anima in proporzione dell’opprimente sofferenza che dopo questa offerta possa ancora gravare sul suo cuore. La mia bontà naturale mi sforza, per così dire, ad agire in tal modo. L’orefice non è forse obbligato ad inserire nell’oro o nell’argento tante pietre quanti sono i castoni che egli ha preparato per riceverle? Ho paragonato la mia divina consolazione alle pietre preziose, perché la consolazione celeste che l’uomo acquista con la sua passeggera sofferenza possiede appunto, come le gemme, una particolare virtù, e tale da ricompensarlo al centuplo fin da questa vita e poi mille volte tanto nell’eternità».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
87 – Colpe di fragilità
Stava pregando in un’altra occasione per una certa persona che desiderava ardentemente di avere, davanti al Signore, il merito della verginità, e temeva tuttavia di essere incorsa per fragilità umana in qualche piccola imperfezione. Questa persona le apparve fra le braccia del Signore, ornata di una veste candida come la neve, le cui pieghe erano disposte con grande eleganza. Il Signore le diede questa spiegazione: «Quando per debolezza umana una piccola ombra viene a macchiare la virtù della verginità, causando vero rincrescimento e senso di penitenza, la mia bontà fa sì che queste piccole colpe servano a far risaltare maggiormente la bellezza di tale virtù, allo stesso modo come le pieghe conferiscono grazia alla veste. Vale però sempre quel detto della Scrittura: «Incorruptio, proximum facit esse Deo: la perfetta purezza avvicina l’uomo a Dio (Sap 6,20). Se queste macchie pertanto fossero contratte per peccati molto gravi, impedirebbero la dolcezza dell’unione divina così come la molteplicità delle pieghe nella veste della sposa le riuscirebbe d’impaccio nell’andare verso lo sposo».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
88 – L’ostacolo dell’attaccamento
Pregava un giorno per un’anima che desiderava conseguire la grazia delle divine consolazioni, e ricevette dal Signore questa risposta: «È proprio lei che mette ostacolo all’effusione della mia grazia nella sua anima. Quando infatti attiro i miei eletti col profumo soave del mio amore, colui che si tiene ostinatamente attaccato al proprio giudizio non ne sente la fragranza; così come un uomo che si chiudesse il naso non potrebbe sentire il soave profumo di un’aroma. Colui invece che per amor mio rinuncia al proprio giudizio per seguire piuttosto il giudizio altrui, accresce di tanto il suo merito, quanto maggiore è la violenza che si fa. Egli, infatti, non solo pratica la virtù dell’umiltà, ma anche quella della fortezza che è causa della sua vittoria. E perciò appunto l’Apostolo dice: «Non coronabitur nisi qui legitime certaverit: nessuno sarà coronato se non regolarmente combattuto» (2Tim 2,5).
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
89 – La buona volontà riesce gradita al Signore
Una persona trovava grande difficoltà in un lavoro che le era stato imposto dall’obbedienza. Mentre Gertrude pregava per lei, il Signore l’illuminò con questo paragone: «Supponiamo che un uomo voglia intraprendere per amor mio un’opera nella quale prevede tali difficoltà da fargli temere che riescano di impedimento alla sua devozione. In tal cosa se egli preferisce il compimento della mia volontà al bene della sua propria anima, Io farò tanto conto anche di questa semplice buona intenzione che, purché cominci l’opera, Io già la prendo per un fatto compiuto, anche se dopo averla incominciata non riesca portarla a termine. Egli ne avrà lo stesso merito che se l’avesse compiuta senza incorrere in alcuna negligenza».
S. Gertrude la Grande – Le Rivelazioni, III
90 – Non anteporre i beni esteriori a quelli dell’anima
Un giorno pregava per una persona che spesso si trovava afflitta da pene che, in un certo senso, essa stessa si attirava. Il Signore le disse: «Queste pene servono a purificarla dalle macchie che qualche volta ha contratto anteponendo per ragioni umane il vantaggio materiale al profitto spirituale». «Non possiamo tuttavia vivere senza servirci di beni materiali – essa obiettò –, come mai dunque detta persona ha potuto peccare provvedendo a questi beni, come esige la sua carica?». Il Signore rispose: «Per una nobile damigella è certamente un onore ed un abbellimento portare un mantello foderato di una pelliccia tigrata; se però lo portasse al rovescio e cioè con la pelliccia al di fuori, anziché di decoroso ornamento le riuscirebbe di confusione e di vergogna. Sua madre certo non sopporterebbe questo camuffamento ridicolo e, se non potesse far di meglio, le getterebbe almeno sulle spalle un altro mantello, per timore che la prendano per una pazza. Così Io, che amo teneramente questa tua figliuola, copro questo suo difetto sotto un mantello, cioè con tutte le noie che conseguono, pur senza colpa, alle sue occupazioni; e inoltre la rivesto ancora dell’ornamento della pazienza. Ho infatti ordinato nel Vangelo di cercare per primo il Regno di Dio e la sua giustizia (Lc 12,31), vale a dire il profitto spirituale. Quanto alle cose esterne ho semplicemente promesso di darle in soprappiù».
Chi desidera l’intima amicizia di Dio, deve pesare con cura l’importanza di questa parola.
j.m.j.